L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 26 agosto 2017

26 agosto 2017 - Intervista a Antonietta Gatti - Fisico e Bioingegnere

26 agosto 2017 - Mario Albanesi: Udo Ulfkotte

22 agosto 2017 - Marco Zanni RPL - Analisi Dragoni Becchi Berlusconi e Approfondimenti 22...

Il libro come mattoncino per creare spessore culturale

L'INTERVISTA

Lorenzo Fazio, l'editore del pensiero libero


giovedì, 24 agosto 2017, 17:36
di aldo grandi

Lungo la strada che lo ha condotto in terra lucana, Lorenzo Fazio, direttore editoriale di Chiarelettere, una delle case editrici più prestigiose per il contenuto dei suoi libri, si è fermato a Lucca e, a cena, agli Orti di Via Elisa. L'occasione per una sorta di lungo viaggio attraverso il mondo editoriale e i suoi dintorni, il suo passato, il presente e il futuro.

Lorenzo Fazio, 62 anni di cui gli ultimi 35 anni spesi al timone di imprese editoriali di grande spessore. Non è ancora stanco?

No, per niente, c'è ancora un lavoro interessantissimo da fare in un momento di grandissima trasformazione. Si tratta di riuscire a capire quale ruolo potrà avere in futuro l'editoria. Secondo me c'è ancora un discorso da fare che è importantissimo ed è questo: cercare di smontare la narrazione che viene fatta dai mass media e cercare di proporre delle nuove verità e una nuova lettura della realtà non omologata.

E secondo lei in un paese dove l'omologazione regna sovrana, questo è possibile?

E' molto difficile, ma è l'unica possibilità che ha l'editoria di avere ancora una forza e un senso.

Sia sincero: la censura per lei ha un valore?

Per me la censura è, ovviamente, un disvalore e il nostro compito di editori liberi è quello di contrastarla in tutti i modi. Ma la censura non è soltanto la negazione, l'oppressione, è anche la censura che abbiamo dentro la nostra testa e quindi l'autocensura che ci facciamo e il conformismo mentale che abbiamo e che diventa quindi autocensura.

Si riferisce ad esempio al potere politico?

Più che al potere politico mi riferisco al potere ecconomico perché sono troppo forti gli interessi in gioco anche da parte dei gruppi che oggi controllano l'editoria.

Lei da chi è controllato?

La proprietà di Chiarelettere è costituita dal sottoscritto, da altri due imprenditori privati e dal gruppo Gems che è un gruppo editoriale autonomo, quindi si tratta di persone che puntano tutto sulla scommessa privata e sul fatto che un'azienda per andare bene deve avere i conti a posto. Quindi si tratta di conciliare la libertà con il bilancio e in questi tempi non è così facile. Quindi il pericolo di un editore libero, oggi è quello di cercare il fatturato a tutti i costi per riuscire a stare in piedi. E la logica del fatturato, a volte, può anche trasformarsi in una specie di censura.

Lei è stato alla Bompiani, da Einaudi, alla Rizzoli e, adesso, a Chiarellettere. E' mai stato censurato?

Censurato veramente no, ma sono stato messo in situazioni di forte difficoltà. La censura può essere fatta in tanti modi, anche col mobbing. E alla Einaudi, per esempio, ho subito delle azioni di mobbing.

Fu in occasione della pubblicazione del libro di Fasanella Il misterioso intermediario?

Anche quello. Ma non solo.

Come mai è così restìo a parlarne?

Non sono restìo, semplicemente si tratta di situazioni che, come dicevo prima, non sono mai così chiare, ma è un sistema che ti obbliga ad adattarti a certe regole che vengono decise da chi poi ha le leve del comando economico.

Ci scusi ma lei è stato alla Einadi sia prima sia dopo l'avvento della Mondadori. Prima, è vero che in via Biancamano non si muoveva foglia senza il volere del Pci?

Direi di no. Io comunque non ho vissuto quel periodo, ma dipendeva molto dai momenti storici. C'è stato il momento in cui l'influenza del Pci era forte e c'è stato il momento in cui era più forte ancora quello della sinistra radicale extraparlamentare e quindi tutta l'editoria del 1968. E' stato un periodo che ha avuto molto peso sulle scelte della casa editrice.

Poi arrivò Berlusconi e salvò Einaudi dal fallimento.

Sì, indubbiamente la Mondadori ha investito nella Einaudi, le ha dato una forza economica che non aveva, la possibilità di acquisire autori che altrimenti non avrebbe mai potuto avere in catalogo, però l'Einaudi si è omologata sempre di più a quelle che sono le necessità del mercato perdendo via via la propria identità.

Gian Arturo Ferrari. Chi era costui?

Gian Arturo Ferrari è stato amministratore delegato anche dell'Einaudi, direttore generale della Mondadori e, comunque, ha avuto una parte importante nella conduzione della casa editrice torinese dopo il 2001. E attraverso Ferrari la Mondadori ha potuto portare alla Einaudi quei criteri imprenditoriali ed editoriali che hanno da una parte reso la Einaudi una casa editrice molto redditizia, dall'altra hanno reso la casa editrice sempre più omologata come dicevamo prima.

Chiarelettere: un'oasi?

Non solo Chiarelettere, ci sono altre case editrici che sono importanti e che hanno scoperto nuovi autori soprattutto di narrativa, mentre Chiarelettere ha avuto un ruolo importantissimo per quanto riguarda la saggistica contemporanea ma, negli ultimi tempi, Chiarelettere ha aperto anche delle collane di narrativa perché pensiamo che la realtà possa essere raccontata attraverso anche gli strumenti della fiction.

Mai come oggi ci sono aspiranti scrittori e mai come oggi ci sono scrittori aspiranti tali. Che cosa si deve fare per essere scrittori?

Dipende che cosa si vuole pubblicare. Se vuoi fare lo scrittore nel senso che vuoi affermarti nel circolo mass mediatico ti devi adeguare a quelle che sono le regole del mercato. Se, invece, vuoi provare ad affermarti con una tua impronta originale, devi provare a scommettere su di te e sui lettori rischiando anche l'impopolarità, magari all'inizio..

Secondo lei un giovane come potrebbe cominciare se non sa nemmeno a chi rivolgersi?

I giovani scrittori sanno a chi rivolgersi. Ormai in Italia è pieno di scuole di scrittura, concorsi letterari, riviste on line, che ospitano contributi anche di giovani autori. Quindi c'è la palestra per chi vuole esercitarsi.

Lei ha pubblicato libri di successo, libri scomodi, libri che hanno lasciato un segno. In 35 anni ne ha viste di tutti i colori e, probabilmente, c'è ancora ben poco da vedere. C'è ancora un desiderio editoriale che non ha visto soddisfatto?

Recentemente stiamo scommettendo sulla poesia.

Sulla poesia? Ma se non la legge nessuno anche se, come sosteneva Mussolini, siamo sempre stati un popolo di poeti oltreché di santi e navigatori.

La poesia intesa come racconto della realtà e non invece come esercizio stilistico destinato a pochi lettori. L'esempio è Franco Arminio con il libro 'Cedi la strada agli alberi'.

Cos'è un libro ecologista?

E' un libro che è una specie di ritorno alla terra e a quello che siamo veramente. E' il racconto di un'Italia che rischia di essere perduta e invece va salvata, è l'Italia dei piccoli paesi, delle terre abbandonate e di un modo di vedere la natura e di guardare anche noi stessi.

Fazio non ci dica adesso che anche lei è diventato contrario alla globalizzazione e agli organismi sovranazionali.

Chiarelettere ha pubblicato già diversi libri contro il sistema bancario e il mondo della finanza che governa le nostre scelte. Bisogna continuare su questa linea e anche la poesia può dare il suo contributo.

E magari adesso si scopre che lei è anche diventato un seguace dell'antropologia culturale di Ida Magli?

Io ho pubblicato due libri di Ida Magli quando ero direttore editoriale della Bur. Indipendentemente da come può pensare una persona, io come editore sono interessato a tutti coloro che portano un pensiero libero perché il pensiero libero aiuta comunque tutti quanti a mettere in discussione le proprie idee.

Oggi si legge di più o si legge di meno rispetto a venti anni fa?

Purtroppo si leggono meno libri mentre i lettori in senso più ampio sono aumentati, lettori di qualsiasi tipo di piattaforma digitale. Non c'è mai stata tanta informazione come oggi e quindi le persone sono sollecitate a leggere anche se l'informazione è sempre più superficiale.

Un po' come con l'avvento dell'enciclopedia a rate negli anni Sessanta: si pensava, acquistandola, di comprare l'intero scibile umano.

L'enciclopedia comunque offriva una informazione puntuale e chi aveva tempo e voglia aveva la possibilità su quei testi di formarsi una conoscenza precisa e approfondita. Oggi, invece, sui social e sulla rete in generale, l'informazione è velocissima breve e non consente nessun tipo di approfondimento.

gli ebrei distruggono scuole

Mentre gli studenti palestinesi iniziano l’anno scolastico l’anno, le IOF demoliscono una scuola palestinese a Betlemme

News - 24/8/2017

Betlemme-PIC. Martedì, le forze di occupazione israeliana (IOF) hanno demolito una scuola elementare a est di Betlemme.

Fonti locali hanno dichiarato al reporter di PIC che i soldati di occupazione israeliana sono entrati nell’area di Jib al-Zayyib, a est della città di Betlemme, con dei bulldozer e hanno cominciato a demolire una scuola elementare con il pretesto che era costruita senza “permesso israeliano”.

Gli abitanti hanno cercato di impedire la demolizione, ma le forze israeliane hanno impedito loro di avvicinarsi all’area.

La demolizione ha avuto luogo solo poche ore prima dell’inizio del nuovo anno scolastico in Palestina.

Due giorni fa, le autorità israeliane hanno emesso una notifica di blocco delle attività per la scuola prima di demolirla.

Traduzione di Edy Meroli

Francesco dove stai andando?

La Logica pura minaccia di distruggere l’intera Dottrina morale della Chiesa Cattolica?

(di Josef Seifert) La domanda contenuta nel titolo di questo documento è rivolta a Papa Francesco e a tutti i cardinali cattolici, vescovi, filosofi e teologi. Esso tratta di un dubium circa una conseguenza puramente logica di un’affermazione in Amoris Laetitia e si conclude con una supplica a Papa Francesco di ritrattare almeno un’affermazione di AL nel caso il titolo/domanda di questo piccolo saggio riceva risposta affermativa, e se, in verità, da quest’unica affermazione in AL solo la logica pura, usando premesse evidenti, possa derivare la distruzione dell’intero insegnamento morale cattolico. In uno stile socratico, il documento lascia a Papa Francesco e ad altri lettori la risposta alla domanda del titolo e l’agire di conseguenza alla propria risposta.

Si ripropone un post di Eugenio Orso di giugno 2014

martedì 3 giugno 2014

Costanzo Preve: "L'immigrazione incontrollata è parte di un'offensiva economica e culturale del mondialismo"


Un Front National anche per l’Italia di Eugenio Orso


1.   Necessario e urgente, per salvare il paese più colpito dalla crisi e dall’euro, la costituzione di un raggruppamento politico e sociale sull’esempio del Fronte Nazionale francese, che rappresenti un vero aggregatore di massa e una concreta speranza di riscatto per l’Italia.
Voglio aprire il discorso richiamando il compianto Costanzo Preve, che dopo aver letto in lingua originale il libro di Marine Le Pen, Pour que vive la France del 2012, ebbe a scrivere in Se fossi francese le seguenti cose:
<< Marine Le Pen (p. 135) afferma apertamente il deperimento attuale della dicotomia Destra/Sinistra. Se lo fa, questo significa che cerca voti a destra, al centro e a sinistra. Bene, è esattamente quello che da 15 anni aspetto da un politico. Perché ora che arriva dovrei sospettare l’inganno?  Essa critica la guerra dell’Iraq (p.37). Sostiene che la bolla speculativa immobiliare è stata una strategia voluta (p. 36). Sostiene con Polanyi che il mercato è più utopico del piano (p.26). Sostiene con Maurice Allais che il liberalismo ha un codice “stalinista” e che il mondialismo è un’alleanza fra consumismo e materialismo (p. 49). Sostiene con Todd che c’è incompatibilità fra libero scambio e democrazia (p.50). Sostiene che se c’è qualcosa di “fascista”, questo qualcosa è l’euro (pp. 54-61), affermazione certamente un po’ hard, ma meglio esagerare che sottovalutare. Le è perfettamente chiara la natura abbietta dell’interventismo umanitario di Kouchner (p. 127). Si rifà positivamente a Lipovetsky, a Michéa ed a Bourdieu, e cita positivamente sia De Gaulle che lo stesso comunista Marchais.
Ma soprattutto ci sono due punti importanti. In primo luogo, a differenza dei soliti politicanti ignoranti, la Le Pen traccia una vera genealogia teorica del capitalismo liberista, dai fisiocratici a Smith. In secondo luogo, non lascia dubbi sul fatto che la mondializzazione è cattiva in sé, è un orizzonte di rinuncia (p. 19), il modello americano è al cuore del progetto mondialista (p. 34), il debito pubblico è un buon affare mondialista (p. 72), l’organizzazione europea di Bruxelles è l’avanguardia europea del mondialismo (p. 74), e che infine l’immigrazione incontrollata è parte di un’offensiva economica e culturale del mondialismo (p. 80). Questa ultima affermazione è particolarmente sgradevole per le anime pie politicamente corrette di sinistra, perché identificata con il razzismo ed il populismo. Bisogna però sapere se essa è fondata o infondata, ed io la considero parzialmente fondata. La Le Pen afferma anche che il sarkozysmo è lo stadio supremo del mondialismo (p. 151), che la nazione non deve essere demonizzata (p. 103), che la scuola e la cultura classica devono essere difese (p. 111 e p. 235), che il popolo è diventato “indesiderabile” e viene sempre accusato di “populismo”, termine vuoto e per questo sorvegliato dalla polizia del pensiero (p. 128). E potrei continuare.  Sottolineo per chiarezza che la mia dichiarazione “scandalosa” deve essere giudicata solo ed esclusivamente sulla base del libro e dei punti citati; essa non comporta in alcun modo  la condivisione del razzismo e della xenofobia anti-immigrati, con le quali la Le Pen si deve e si dovrà inevitabilmente confrontare sul piano elettorale. >>
Mi pento di non aver ponderato a sufficienza questa “scandalosa” dichiarazione di Costanzo, come lui stesso la definisce, già nel 2012 e di aver avanzato, in proposito, fin troppi dubbi sulla “legittimità anticapitalistica” del Front National e sulle reali intenzioni di Marine Le Pen, che giudicavo un po’ “figlia d’arte” (di Jean-Marie) e comunque inserita nel sistema liberaldemocratico, dal quale non può uscire nulla di buono per i popoli e le classi dominate.
A distanza di oltre due anni, la mia considerazione della formazione politica francese e della stessa Le Pen è cambiata alquanto. Anche perché mi rendo conto che la trasformazione dell’Europa e del mondo, che implicherà il superamento del neocapitalismo finanziarizzato e della globalizzazione neoliberista, potrà essere lunga e sicuramente implicherà un complicato processo di cambiamento. Si passerà, non senza scossoni improvvisi, dalla posizione di preminenza riservata all’economia finanziaria alla rivalutazione della politica e del ruolo degli stati nazionali sovrani, dalla dominazione incontrastata della classe globale finanziaria al riscatto dei popoli e delle classi dominate, dall’eurolager alla vera Europa degli stati sovrani e dei popoli. Tutte cose, fra l’altro, assolutamente compatibili con le idee della Le Pen.
Come sempre, Costanzo ha avuto ragione e ha saputo veder lontano.

2.  Nelle mie recenti analisi sono addivenuto a conclusioni nuove che voglio riassumere brevemente. Anzitutto, la fase “protorivoluzionaria” che stiamo vivendo, che è appena iniziata e che precede una futura fase propriamente definibile rivoluzionaria. Possiamo immaginare un periodo (quanto lungo non è dato sapere) d’interregno fra la dominazione dell’imperialismo finanziario privato, diverso, per esiti e presupposti, dai vecchi imperialismi otto-novecenteschi indagati e avversati da Lenin, e un nuovo ordine geopolitico che si accompagnerà alla trasformazione economico-sociale profonda nelle società. Noi, oggi, stiamo vivendo proprio in questo interregno, che sfocerà nel completamento di quella che ho chiamato la fase “protorivoluzionaria”. Il suffisso “proto” davanti a rivoluzionario, ci fa comprendere che già si palesano, pur confusamente, elementi caratterizzanti il nuovo ordine, visibili in una più compiuta e finale fase rivoluzionaria. Quali sono questi elementi? Nel nostro caso storico, il ritorno alla sovranità monetaria, l’abbandono del “punto di vista” finanziario come gestore assolutistico delle vicende economiche umane, la rivalutazione della socialità e dei legami classistico-comunitari, dell’identità culturale dei popoli e della giustizia sociale. Il metron greco (giusto mezzo) applicato alla necessaria ridistribuzione della ricchezza prodotta, il ristabilimento della giusta dimensione storica e culturale dei popoli, violata dalla globalizzazione neoliberista e dall’individualismo sminuente e omologante. In questa fase i più schizzinosi devono necessariamente “turarsi il naso” e accettare come veicoli positivi del cambiamento quelle forze, non importa se nate a destra o a sinistra, che mantenendo un piede dentro il sistema lo mettono in discussione con programmi alternativi, perché solo forze siffatte avranno la possibilità concreta di scardinare il sistema di potere globalista, e per noi, in Europa, di aprire le porte dell’eurolager. Ci si dovrebbe ricordare della metafora marxista e leninista dell’”Emiro dell’Afghanistan”, interpretandola alla luce della nostra realtà storica, sociale e politica. Fatte queste considerazioni, superati i dubbi iniziali e avendo ben presente la posizione assunta da Preve, oggi mi sento di scrivere Evviva il Fronte Nazionale Francese!
Ci sono altri raggruppamenti in Europa che condividono temi importanti con il FN, come il rispettabilissimo UKIP di Nigel Farage. Farage e gli indipendentisti britannici avversano la dominazione unionista e vorrebbero sottrarre il Regno Unito a questo percorso di sofferenze e ingiustizie sociali, ma l’ineliminabile fondamento liberista che li contraddistingue, molto comune nel mondo anglosassone, rende la formazione britannica per noi meno interessante del Fronte francese. Ciò non toglie che vi possono essere contatti e alleanze anche con UKIP, in nome della comune battaglia di libertà antiunionista.
Nella fase “protorivoluzionaria” che oggi è agli inizi, i popoli dominati cercano una strada da percorrere, pur fra mille difficoltà, per uscire dal percorso di morte tracciato dagli organismi soprannazionali della mondializzazione economica, dei quali fanno parte anche quelli unionisti europei, dalla bce alla commissione e al consiglio d’Europa. Un’epopea futura costellata di insidie in cui frequenti potranno essere gli errori, insidiosi i vicoli ciechi, una strada da percorrere assieme agli “Emiri”, in apparenza reazionari (per usare vecchie espressioni denigratorie) o accusati da media e sinistra di essere tali, ma nella realtà ribelli al mondialismo e alla dittatura liberal-mercatista e perciò con un contenuto che è già rivoluzionario. Sottrarsi ai dogmi dell’ortodossia liberista, alle lusinghe “riformiste” dell’economia sociale di mercato (bestialità aporetica che valeva per Monti, vale per Merkel e varrà per Juncker), contrapponendogli il dirigismo, la salvaguardia delle attività produttive nazionali, la tutela protezionistica dei prodotti locali contro le invasioni di prodotti “emergenti”, è un confortante segnale di indisciplina e financo di antagonismo anti-sistemico. Per non parlare del riappropriarsi la sovranità monetaria e respingere la disintegrazione delle identità nazionali, innescata dalla necessità neocapitalistica di “spostare” masse di poveri, da sud a nord, da oriente a occidente, per diminuire il costo del lavoro, dove è ancora alto, e meticciare a forza le società.
Per contro, la disgustosa sinistra oggi interamente “globalizzata”, unionista e liberista, e il comunismo superstite, degenerato in individualistico con accettazione del neocapitalismo e dei suoi immaginari, rappresentano i peggiori cani da guardia dell’”europrogetto” e della globalizzazione, i primi odiatori della sovranità popolare e nazionale. Così il ps francese, il pasok greco e il pd italiano. Così molti sindacati, “gialli” in relazione al potere finanziario, i cui lavoratori subiscono in pieno, senza difese, le delocalizzazioni, i rigori della crisi strutturale e il conseguente calo dei redditi e dei posti di lavoro. Tornando alla metafora dell’”Emiro dell’Afghanistan”, sono costoro e non l’Emiro che si ribella i peggiori reazionari, schierati contro i popoli e i paesi d’appartenenza, a difesa delle istanze e degli interessi delle oligarchie finanziarie.
Infine, nella fase “protorivoluzionaria” le battaglie, realisticamente, avverranno in buona misura dentro il capitalismo e non fuori, si cercherà di modificare, non di superare, i rapporti sociali e di produzione combattendo la prevalenza della classe globale finanziaria sul resto della società e quella del capitale finanziario sul capitale produttivo. Di questo occorre prendere atto, senza continuare a cullarsi in sogni di crollismo improvviso o di miracolosa fuoriuscita, che gli esiti del novecento dovrebbero avere già dissolto.

3.   Il risultato delle elezioni europee di maggio ha drammaticamente confermato lo stato comatoso in cui versa il paese e gran parte della sua popolazione. Declino economico irreversibile nella gabbia delle regole e dei parametri europei, occupazione totale da parte degli agenti strategici neocapitalistici, che governano attraverso direttori collaborazionisti non eletti, assenza di una chiara linea di opposizione politica, economica e sociale, passività estrema della popolazione, e addirittura consenso di una parte di questa a chi agisce politicamente contro i suoi interessi vitali. Il voto a valanga al pd e a Renzi lo conferma in pieno.
Mentre in Francia una popolazione più coriacea, non passivizzata, ancora legata ai valori nazionali e alla prospettiva d’indipendenza (se non di grandeur) nel decidere del proprio futuro, ha affossato il psf dell’euroservo Hollande  e ha dato il consenso a una formazione come il FN, le cui proposte sono chiare e vanno nella direzione della riacquisizione totale della sovranità monetaria e politica, in Italia non solo ciò non è accaduto, ma l’esito è stato diametralmente opposto. Com’è potuto accadere? Il combinato disposto di una crisi economica senza vie d’uscita e del rimbecillimento sociopolitico di larga parte della popolazione, con lo zampino mediatico e l’abilità dell’euroservo pd nell’ingannare il popolo ha ottenuto un risultato sorprendente: quello della vittima che elegge suo rappresentante il carnefice. Oppure, se vogliamo, con molta minore tragicità, ha carpito il consenso di massa per fare l’interesse dei moderni oligarchi.
C’è però un’altra motivazione, da ponderare attentamente. L’opposizione confusa, senza una chiara legittimazione ideologica alternativa, contradditoria su temi importanti come l’euro, l’eurozona, i trattati-capestro unionisti e le regole da Maastricht in poi. Eccezion fatta per la nuova Lega di Salvini, che ha assunto una posizione chiara con “Basta euro!”, l’incertezza e una certa debolezza programmatica (se non una vera e propria confusione sul versante del programma politico) hanno caratterizzato il cinque stelle. Se il duumvirato Casaleggio-Grillo avesse assunto una posizione chiara sui predetti temi, cruciali per orientare almeno una parte del consenso, forse non ci sarebbe stato bisogno di Maalox, o almeno non in quantità industriali come suggeriva lo stesso Grillo (affaire pubblicitario?). La Lega di Salvini è ancora troppo piccola, troppo screditata al centro-sud, per reggere da sola il peso del confronto con gli euroservi. Ci voleva un cinque stelle con programma alternativo chiaro, fondato senza se e senza ma sull’”euroscetticismo” e su politiche economiche antiliberiste, in grado di attrarre ovunque il consenso. Questo avrebbe sicuramente ridotto la portata della vittoria governativa, offuscando un po’ l’immagine mediatica di un Renzi vincitore, senza alternative possibili. Acqua passata, tutto sommato, perché adesso bisogna guardare al futuro.

4.   Per quanto scritto finora, per le osservazioni riassunte nei tre punti precedenti, io affermo – lanciando una provocazione che spero qualcuno raccoglierà – che in Italia c’è disperato e urgente bisogno di una formazione politica coesa, con un chiaro programma, simile al Front National francese. Simile ma non uguale, ovviamente. Non un replicante del partito francese, una sua mera imitazione, ma una forza di massa, e per la massa dominata, indissolubilmente legata alla realtà sociale italiana. Un forza – non generata dalla rete, dal virtuale o dall’ambizione di singole personalità – in grado di accogliere le istanze antagoniste dei lavoratori e dei ceti medi rovinati dalla crisi strutturale, dall’euro e dal neoliberismo globalista. Ci potranno essere differenze, con il FN francese, in particolare per quanto riguarda la questione dell’immigrazione, ma la direzione di marcia sarà la stessa. Non necessariamente la via per l’affrancamento del paese dalle catene unioniste e globaliste dovrà essere quella elettorale, come lo è, parrebbe obbligatoriamente, per il cinque stelle e per la Lega, e per lo stesso FN in Francia. Non necessariamente, all’opposto, si ricorrerà in modo sistematico alla militarizzazione e alla “violenza di piazza”, per portare al collasso l’impianto di sub-potere euroservo – pd-Renzi-presidenza della repubblica – che ci opprime per conto terzi. Infine, resto dell’idea, come suggerito a suo tempo dal compianto Costanzo Preve, che il programma politico, immediatamente applicabile nella realtà, si formerà sul campo, nella sabbia calda della storia procedendo lo scontro sociale, sulla base delle esigenze della popolazione. Non sarà deciso aprioristicamente a tavolino. Ciò che si può tracciare sin d’ora sono le linee generali di politica strategica, in un orizzonte di generale riacquisizione della sovranità monetaria, dell’autonomia di bilancio e della libertà di scelta in politica estera.
Il programma del Fronte francese – Notre Projet. Programme politique du Front National, link http://www.frontnational.com/pdf/Programme.pdf  – potrà costituire un utile termine di paragone, se non una fonte d’ispirazione, nonostante una certa, inevitabile retorica e le differenze fra la Francia e l’Italia. Pur essendo 106 le pagine del pdf in cui è fissato il programma i punti essenziali, sintetizzando all’estremo, sono i seguenti: uscita dall’euro con la riappropriazione della moneta e della politica monetaria, fine dell’egemonia europoide, dell’imposizione dei trattati e delle regole con il primato della legislazione nazionale su quella europea, protezione dello stato sociale, dell’istruzione e dei servizi pubblici, protezione dei prodotti e delle industrie nazionali, regolamentazione dei flussi migratori, uscita dal comando integrato della nato (Otan per i francesi) e un solido partenariato militare e energetico con la Federazione Russa. Antieuro e antiunionismo, ostilità nei confronti della nato e ricerca di un’intesa con la Russia sono chiaramente scritti nel programma del FN. L’obiettivo geopolitico rilevante, tale da modificare profondamente l’ordine mondiale, è la costituzione di un’Unione paneuropea di Stati sovrani che includa la Russia. Tutto ciò non è solo nell’interesse dei francesi, ma anche degli italiani e della maggioranza degli europei. Senza voler sconfinare nella retorica, ma restando concreti, la famiglia è l’elemento centrale e fondamentale della società. Questo è chiaramente scritto nel programma del FN, in opposizione alla spinta dissolutoria proveniente dai modelli ultra-individualistici, proposti da neoliberisti, neoliberali e sinistre euroserve, che esaltano l’isolamento del singolo e l’ambiguità sessuale (Hollande in Francia, pd, sel e trista compagnia in Italia).
La battaglia in Europa e per l’Europa si preannuncia come una battaglia complessiva di civiltà. Per vincerla sarà di vitale importanza la costituzione di una forza simile al FN anche in Italia. L’area del consenso potenziale dovrebbe essere vastissima, dagli operai supersfruttati ai ceti medi declassati e al lavoro intellettuale umiliato. Nonostante l’idiotizzazione sociopolitica di una parte significativa della popolazione, che vota in massa pd e Renzi, offrendosi come vittima sacrificale. Un’eventuale dissoluzione del movimento cinque stelle, sotto il peso delle sue contraddizioni irrisolte, l’ovvia difficoltà leghista di valicare i confini dell’Italia settentrionale espandendosi a sud, aprirebbero spazi interessanti per la nuova formazione politica, ampliandone il bacino di consensi. Se l’espressione “Fronte” non dovesse essere la più opportuna, si potrebbe ricorre alla parola “Blocco”. L’espressione “Nazionale” potrebbe essere sostituita, sempre per ragioni di opportunità, da “Popolare”. Ad esempio, Blocco Popolare di Salvezza, o Blocco Popolare di Liberazione.

5.   Questo scritto, di natura squisitamente politica, si chiude qui. Il mio scopo, come già chiarito, è di lanciare il classico sasso nello stagno. Una provocazione che altri potranno raccogliere costruttivamente. Nel vuoto di proposte alternative che ci circonda, in questa latitanza di un vero antagonismo, è utile e doveroso cominciare a pensare, pur fra mille difficoltà, a iniziative concrete da mettere in campo, non aprioristicamente votate al fallimento e non effimere. Non è mia intenzione analizzare a fondo il programma del FN, che pur conosco nella sua versione originale, perché, scendendo nel dettaglio, le peculiarità del sistema sociale ed economico francese prendono il sopravvento sui tratti generali, sulle grandi questioni dell’epoca condivise con il resto d’Europa. Né è mia intenzione profetare su come potrà essere una nuova aggregazione politica italiana, nata sull’esempio del Front National ma rispondente ai bisogni di libertà, sovranismo, indipendenza e giustizia sociale del popolo italiano. O chiamare a raccolta, con un’autorevolezza che non possiedo, forze resistenti e anti-unioniste che sicuramente sono scarse e purtroppo disunite. Per ora, mi basta la provocazione. Domani vedremo.
In fede
Eugenio Orso

http://pauperclass.myblog.it/2014/06/02/front-national-anche-litalia-eugenio-orso/

http://www.progettoalternativo.com/2014/06/costanzo-preve-limmigrazione.html

Immigrazione di Rimpiazzo - La tratta degli schiavi - le manovre di agosto di Soros e Bergoglio con un pizzico di Ius soli per condimento e la foglia di fico, si vorrebbero nascondere dietro Benedetto XVI

Papa Francesco e lo Ius Soli: quello strano documento sui migranti

23 agosto 2017 ore 17:07, Americo Mascarucci
Non si placano le polemiche intorno alla presa di posizione di Papa Francesco sul tema dei migranti ed in favore dello Ius Soli, il riconoscimento della cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia. Con largo anticipo sui tempi infatti è stato diffuso il testo del suo Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che la Chiesa cattolica celebrerà il prossimo 14 gennaio 2018. Avete capito bene? Un testo predisposto per un evento che si svolgerà fra cinque mesi è stato già divulgato nella sua interezza ingenerando il sospetto che chi lo ha fatto, abbia voluto far entrare Bergoglio a gamba tesa nelle polemiche in atto in questi giorni intorno allo Ius soli che continua a dividere le forze politiche. L'attentato alla Rambla di Barcellona, città accogliente ed esempio di grande integrazione, ha fatto aumentare i dubbi e le perplessità da parte di chi ritiene un errore in questo momento approvare lo Ius Soli con l'emergenza migranti sempre più irrisolvibile.



LA VISITA DI SOROS
A destare ancora più scalpore le foto che ritraggono il magnate statunitense George Soros a spasso per Roma in questi caldi giorni d'agosto. E le indiscrezioni si sono sprecate. Che è venuto a fare Soros in Italia? C'entra qualcosa il recente codice di condotta per le Ong e le inchieste della magistratura che avrebbero sollevato forti sospetti di connivenza fra alcune Ong e gli scafisti? Ed è forse una coincidenza che proprio nei giorni in cui Soros passeggiava per Roma, Gentiloni rilanciava sullo Ius Soli lasciando quasi intendere la volontà di un'accelerata sul testo? Ipotesi ovviamente, legate al fatto che Soros è ritenuto fra i principali finanziatori di numerose Ong nel mondo, oltre che di movimenti di liberazione impegnati nelle rivoluzioni. Ed ecco che anche l'anticipata divulgazione del messaggio del Papa sui migranti finisce per essere collegata a tutto ciò. 

COSA PROPONE BERGOGLIO
Papa Francesco nel documento invita a puntare su quattro capisaldi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. "L'accogliere diventa innanzitutto offrire a migranti e rifugiati ingresso sicuro e legale nei Paesi di destinazione - scrive il Papa - in modo che si sfugga al traffico di esseri umani. Sì, dunque, a visti umanitari, ai ricongiungimenti familiari, alla creazione di corridoi umanitari, alla formazione del personale di frontiera perché sappia operare nel rispetto della dignità umana". No invece ad "esplusioni collettive e arbitrarie". E qui tanti hanno letto una critica al Governo italiano ed in particolare al Ministro dell'Interno Marco Minniti che nel suo piano prevede l'apertura di nuovi centri di identificazione ed espulsione, e procedure di rimpatrio più rapide. 
Ma è soprattutto sul verbo integrare che si concentrano le maggiori polemiche:.Perché Francesco per favorire l'integrazione arriverebbe a suggerire "l'offerta di cittadinanza slegata da requisiti economici e linguistici e di percorsi di regolarizzazione straordinaria per migranti che possano vantare una lunga permanenza nel Paese". Molti vi hanno letto una sorta di aperto sostegno allo Ius Soli proprio nel momento di maggiore contrapposizione sul tema. Ma resta la domanda di fondo: perché far circolare questo documento proprio adesso se la Giornata del migrante si tiene a gennaio? 

IL RIFERIMENTO A BENEDETTO XVI
Altra stranezza del documento papale il richiamo a Benedetto XVI e alla sua enciclica Caritas in Veritate. Francesco infatti scrive: "Il principio della centralità della persona umana, fermamente affermato dal mio amato predecessore Benedetto XVI, ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale". Tesi questa però smentita da Luigi Amicone autore di una lettera aperta a Bergoglio pubblicata su Tempi. 
Amicone scrive: "Leggiamo nell’Enciclica del Suo predecessore a proposito di migranti e migrazioni: «Possiamo dire che siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati». Si capisce chiaramente che in Benedetto XVI non vi è alcuna contrapposizione tra persone migranti e società di approdo degli stessi emigrati. Al contrario - precisa Amicone - Egli richiama la prospettiva di salvaguardare sia le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate, sia al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati".
Sarà anche questo un evidente segno di confusione all'interno della Chiesa dove le posizioni sull'immigrazione sembrano dividere la Cei dalla segreteria di Stato. Ad un Galantino segretario dei vescovi che entra a gamba tesa sulle questioni di governo criticando le scelte dell'Esecutivo, ha fatto sempre da contraltare il segretario di Stato Pietro Parolin che ha cercato di abbassare i toni fino quasi a smentire gli interventi del segretario Cei. Divergenze di vedute emerse con ancora più evidenza nelle diverse linee politiche che sono sembrate ispirare i due principali organi di stampa cattolici: Avvenire e l'Osservatore Romano. La vicenda Ong ne è il migliore esempio.

Portogallo - l'Alternativa all'austerità degli euroimbecilli c'era e c'è - I tagli inibiscono la domanda

analisi e proposta degli economisti italiani nel 14 giugno del 2010, non accolta dagli euroimbecilli del Pd e dallo zombi Berlusconi
martelun


Portogallo, l’alternativa all’austerità esiste e funziona


Dall’inizio della crisi economica ci è stato detto che l’austerità era l’unica via di uscita, che non c’era alternativa. Ma adesso, grazie al Portogallo, abbiamo la prova che l’alternativa, invece, c’era. Ne scrive Owen Jones sul Guardian.


Uno dei paesi europei più duramente colpiti dalla crisi economica è stato il Portogallo. Dopo il salvataggio da parte della Troika, i creditori hanno chiesto dure misure di austerità, attutate con entusiasmo dall’allora governo conservatore. I servizi sono stati privatizzati, l’IVA alzata, una sovrattassa è stata imposta sui redditi, sono stati tagliati i salari nel settore pubblico, le pensioni e i sussidi, mentre al contempo sono state cancellate quattro feste nazionali.

Su un periodo di due anni, la spesa per l’istruzione ha subito un devastante taglio del 23%. La sanità e il sociale hanno altrettanto sofferto. Nel 2012 c’è stato un aumento del 41% nelle bancarotte delle aziende. La disoccupazione è balzata al 17,5% nel 2013. La povertà è aumentata. Ma era tutto necessario per curare la malattia della spesa eccessiva, veniva raccontato.

Al termine del 2015, però, tutto questo ha avuto fine. Un nuovo governo socialista, di minoranza – con l’appoggio esterno del Blocco di Sinistra e della Coalizione Democratica Unitaria – è andato al potere. Il primo ministro, António Costa, si è impegnato a “voltare pagina sull’austerità”, che aveva riportato il paese indietro di trent’anni. Gli oppositori preannunciavano il disastro. Tutto si sarebbe risolto con un nuovo salvataggio e tagli ancora più severi.

C’era anche un precedente: Syriza era andata al governo in Grecia solo pochi mesi prima. Le autorità europee non sembravano certo intenzionate a permettere che quell’esperimento avesse successo. Come poteva il Portogallo evitare la stessa sorte?

La logica del nuovo governo portoghese era chiara. I tagli inibiscono la domanda: per una vera ripresa, la domanda deve crescere. Il governo, quindi, si è impegnato ad alzare il salario minimo, invertire l’aumento regressivo delle tasse, riportare i salari del settore pubblico e le pensioni ai loro livelli pre-crisi (i salari erano stati tagliati anche del 30% in alcuni casi) e reintrodurre le quattro feste nazionali cancellate in precedenza. Tutto questo aumentando la spesa sociale per le famiglie più povere e introducendo un’imposta sul lusso per case dal valore superiore ai 600 mila euro.

Il disastro preannunciato non si è mai avverato. Nell’autunno 2016 – un anno dopo essere andato al potere – il governo Costa poteva vantare una crescita economica costante e un aumento del 13% negli investimenti da parte delle aziende. E quest’anno, i dati mostrano che il deficit si è più che dimezzato, raggiungendo il 2,1% – il livello più basso di sempre dal ritorno alla democrazia. Anzi, questa è addirittura la prima volta che il Portogallo rispetta i vincoli fiscali dell’eurozona.

«Il successo del Portogallo – commenta Owen Jones – è sia fonte d’ispirazione che di frustrazione. Tutta quella miseria umana in Europa… e per cosa, poi?». Inoltre – continua Jones – ilPortogallo (così come la Gran Bretagna) «offre una lezione anche per la socialdemocrazia. All’indomani della crisi, i partiti socialdemocratici hanno abbracciato l’austerità. Il risultato è stato il loro collasso politico». Cosa che non è successa al Labour e al Partito Socialista portoghese. Ad esempio, i sondaggi mostrano che adesso i socialisti di Costa sono 10 punti avanti rispetto ai conservatori, con circa il 42%.

L’austerity, in Europa, è stata giustificata con il mantra “non c’è alternativa”, bisogna essere adulti, realisti. E invece no. Il Portogallo offre una risposta solida a questa affermazione. Confutandola. Una risposta di governo, suffragata dai fatti. «La sinistra europea – commenta Jones – dovrebbe utilizzare l’esperienza portoghese per cambiare l’Unione Europea e mettere fine all’austerità in tutta l’eurozona. In Gran Bretagna, il Labour può sentirsi ancora più legittimato nel rompere con l’ordine economico dei Tory».

E conclude: «Durante questo decennio perduto, in Europa, molti di noi continuavano a credere che un’alternativa ci fosse. Adesso ne abbiamo la prova».


Nella foto di copertina: il primo ministro portoghese, António Costa (di Rafael Marchante, Reuters)

2017 crisi economica - Deflazione, El-Erian si accoda alle analisi di Giulio Sapelli

El-Erian: il demone della deflazione è reale

24 agosto 2017, di Livia Liberatore

Il tasso di inflazione persistentemente basso ha complicato le decisioni di politica monetaria e minato la gamma delle soluzioni disponibili. Lo scrive Mohamed El-Erian, consulente economico ad Allianz SE ed ex Ceo di Pimco, il quale sostiene che la deflazione sta creando molti problemi alle banche centrali. Secondo El-Erian, finché la situazione non cambierà, le banche centrali dovranno pensare con una visione olistica agli obiettivi di politica monetaria e considerare anche le conseguenze non intenzionali per la futura stabilità finanziaria.

Il fenomeno non va sottovalutato: i tassi di inflazione sono stati insolitamente persistenti soprattutto nei Paesi avanzati, l’inflazione non ha risposto ai tassi di interesse bassi e alle iniezioni di liquidità con il quantitative easing e questo non ha coinciso con un aumento dell’occupazione negli Stati Uniti e negli altri Stati. La conseguenza è l’aumento del rischio di un declino effettivo dei prezzi che spinge i consumatori a rimandare i loro acquisti, indebolisce la crescita economica e sconvolge l’efficacia delle politiche.

Le cause della deflazione non sono del tutto chiare e possono riferirsi a una serie di fattori evidenziati dagli studi delle banche centrali. Queste si stanno interrogando sull’utilità dei modelli e degli approcci economici tradizionalinello spiegare e nel prevedere il comportamento dell’inflazione. Riguardo le soluzioni possibili al problema, alcuni economisti hanno suggerito che le banche centrali possano alzare i loro obiettivi di inflazione, ora fissati al 2%. Ma se, nonostante la politica monetaria espansiva, le banche centrali non riescono a raggiungere il 2% non è ovvio che possano raggiungere un obiettivo più alto.

Altri hanno proposto che le banche centrali debbano perseguire un livello di inflazione tale che i fallimenti nel raggiungerlo in un anno richiedano un obiettivo più alto nell’anno successivo. Tuttavia nessuno è abbastanza certo di come possa reagire il sistema politico ad una banca centrale che persegue un’inflazione più elevata in quanto cerca di compensare le carenze degli anni precedenti. Secondo El-Erian il demone della deflazione è reale e i mercati credono che potrebbe dissuadere la Fed dai prossimi passi nella normalizzazione della politica monetaria.

Amatrice - un governo inetto, le macerie testimoniano lo spessore dell'imbecille Renzi e del corrotto Pd

Una terremotata di Arquata a Laura Boldrini: "Qui non è stato fatto nulla. I fatti concreti non ci sono"

25/08/2017


"Ho fatto presente alla presidente della Camera Laura Boldrini che noi vogliamo i fatti, perché qui non è stato fatto nulla, i fatti concreti non ci sono". Nel giorno dedicato alla memoria e al ricordo delle 51 vittime del terremoto di Arquata del Tronto e della sua frazione Pescara del Tronto, la signora Rossana ("io sono una combattente") non ha apprezzato la sfilata dei politici e amministratori che hanno assistito alla Messa. Tra le autorità presenti la presidente della Camera Laura Boldrini, il ministro Marco Minniti in rappresentanza del Governo, il presidente della Regione Luca Ceriscioli, il capo della Protezione civile Angelo Borrelli e il Commissario uscente alla ricostruzione Vasco Errani.

La signora Rossana è nativa di Pescara del Tronto, "ma per ragioni di lavoro e familiari abito ad Ascoli con mio marito. A Pescara del Tronto avevo la mia seconda casa, quella di famiglia, ma dal 24 agosto dell'anno scorso è andata in fumo e con quella casa è finita la mia vita". Per questo la donna ha intercettato la presidente Boldrini all'uscita della messa per farle presente il suo caso. "Qua - racconta ai cronisti che hanno seguito la funzione - non è come appare, hanno portato la presidente a vedere la casette, ma mancano tante cose. Siete andati a Pescara? Com'è la situazione?". La situazione, in effetti "non è bella": la frazione è ridotta a un cumulo di macerie, pesantemente colpita dalla scossa del 24 agosto, è poi definitivamente collassata con il sisma di fine ottobre. Ora praticamente è un fiume di rovine instabili.

"Avete visto quante macerie ci sono ancora? - insiste la signora -. Invece di stare qui a fare le foto, dovreste andare a farle di sopra". Il suo caso personale in effetti è complicato, mentre i residenti hanno diritto alle Sae o a sistemazioni alternative grazie al Cas, chi ha le seconde case distrutte può solo ricostruirle. "Ma mancano i decreti - proclama la signora Rossana -, abbiamo chiesto alla Boldrini e lei ci ha detto che non è sua competenza agire, ma ci ha promesso che ci farà parlare con chi di dovere a Roma". Ma il vero problema è che la vecchia Pescara del Tronto sorgeva su un terreno instabile e non potrà essere ricostruita com'era e dove era. Si parla di microzonazione sismica di terzo livello per individuare zone più sicure dove costruire la 'nuova' Pescara. Secondo alcuni comitati dei terremotati che hanno incontrato la presidente Boldrini, però, non ci sarebbero risorse sufficienti per fare sondaggi adeguati. La signora Rossana, intanto, guarda con nostalgia un'immagine di Pescara del Tronto com'era e che praticamente non esiste più, riprodotta sul fianco di un container. "Vedete com'era?" dice ai giornalisti. Una distesa di tetti, un campanile, un cartello stradale e le fontane di Pescara del Tronto, l'unica parte rimasta in piedi del centro abitato, raso al suolo. Dai cannelli sgorga ancora l'acqua dei Sibillini. (Ansa)

La Cia è la maggiore centrale di terrorismo della Terra



Come la principale agenzia d’intelligence Usa guarda il pianeta.
carta di 
La carta inedita della settimana è sulla visione del mondo della Cia, la principale fra le 17 agenzie d’intelligence degli Stati Uniti.

Esplorare come il servizio con sede a Langley, Virginia guarda il pianeta è di cruciale importanza per capire la postura geopolitica di Washington.

L…

http://www.limesonline.com/il-mondo-della-cia/101097?prv=true

Afghanistan - abbiamo occupato quelle terre da ottobre del 2001, cosa ci stiamo a fare?



http://www.limesonline.com/afghanistrump/101102?prv=true

Italia prossimo presente - agli euroimbecilli targati Pd non gli è bastata l'esperienza delle privatizzazioni degli anni '90 dove abbiamo regalato e distrutto le migliori aziende statali senza ridurre di una lira il debito pubblico, ci vogliono riprovare per la definitiva morte dell'Italia. Sono degli imbecilli pericolossissimi

Goldman Sachs, Rothschild, Mediobanca, C. Suisse e SocGen assunte dal governo per ridurre il debito

Di Redazione 25 agosto 2017


Una super holding per provare a privatizzare in un colpo solo buona parte degli asset controllati o partecipati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. È il piano che, secondo quanto riporta il Sole24Ore, stanno studiando diverse banche d’affari e un paio di studi legali per supportare il Tesoro in quella che potrebbe rivelarsi una mossa chiave per ridurre il debito.

Quest’ultimo a giugno scorso ha toccato il suo picco storico arrivando fino a 2.281 miliardi, in aumento di 30,6 miliardi rispetto a gennaio e con un’incidenza sul Pil che difficilmente si discosterà dal 132%. Dati che impongono una riflessione concreta sui prossimi passi da compiere.

Tanto che al lavoro sul piano, come detto, ci sarebbero diverse banche d’affari tra cui Goldman Sachs, Rothschild, Mediobanca, Credit Suisse e SocGen, più un paio di studi legali e tra questi uno di profilo internazionale.

In una recente intervista a Il Sole 24 Ore il ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan ha ricordato che «le privatizzazioni hanno sempre rappresentato una parte della strategia del governo» per «abbattere il debito e migliorare l’efficienza manageriale».

La fattibilità del progetto è naturalmente tutta da verificare ma le riflessioni sarebbero in fase piuttosto avanzata. Tanto che alcuni rappresentanti delle banche d’affari avrebbero già bussato anche alle porte di Palazzo Chigi per presentare le prime bozze del piano. La regìa, in ogni caso, al momento è nelle mani del Tesoro che vaglierà le eventuali proposte.

venerdì 25 agosto 2017

Jackson Hole - Tranquilli gli elementi che hanno portato alla crisi del 2007/08 sono ancora lì ancora più forti

Cinque grafici per capire Jackson Hole

Il summit dei banchieri centrali è l'appuntamento finanziario più atteso dell'estate, con in programma gli interventi di Mario Draghi e Janet Yellen. Dall'inflazione alla bolla speculativa: ecco le cinque parole chiave del vertice

di FLAVIO BINI
25 agosto 2017

MILANO - Inflazione, tapering, crescita, Supereuro, bolla speculativa. Sono almeno cinque i convitati di pietra del summit in corso a Jackson Hole, in Wyoming. I fari sono puntati soprattutto sui discorsi sul presidente della Fed Janet Yellen e su quello del numero uno della Bce Mario Draghi. Su di loro, attese diverse per problemi diversi che interessano le due economie. Ecco cinque grafici che evidenziano quali sono i temi al centro dei pensieri delle due banche centrali.

Inflazione. Rischio surriscaldamento negli Usa, ancora troppo bassa in Europa
L'inflazione, cioè la crescita dei prezzi, è il faro della politica monetaria. La Fed e la Banca Centrale Europea hanno un obiettivo preciso: raggiungere e mantenere un livello vicino ma inferiore al 2%. Negli Stati Uniti a giugno il dato Pce (Personal Consumption Expenditures Price Index), uno dei riferimenti preferiti dalla Fed, è salito dell'1,4%, stabile invece rispetto al mese precedente. Nell'Eurozona, l'ultima stima flash di luglio, vede invece l'inflazione europea fermarsi all'1,3%. Stati Uniti ed Europa sono afflitti però da preoccupazioni diverse. Oltreoceano in una parte del board della Banca Centrale Usa cresce la preoccupazione che l'inflazione sia destinata a crescere sensibilmente e che quindi sia opportuno arginarla per tempo procedendo a un rialzo dei tassi di interesse, strumento tradizionale di politica monetaria per "raffreddare" l'economia. Non tutti però ne sono convinti, ritenendo invece che un rialzo prematuro possa danneggiare la ripresa Usa. Divisioni che sono emerse chiaramente nell'ultima riunione di luglio, come documentato dalle minute pubblicate qualche giorno fa. In Europa invece l'inflazione fatica a stabilizzarsi verso l'obiettivo del 2% e in seno al consiglio direttivo non c'è alcuna discussione a proposito di un possibile rialzo dei tassi, attualmente a zero.


I bilanci, la Fed pensa alla dieta
Il bilancio di entrambe le banche centrali è cresciuto sensibilmente negli ultimi anni, grazie ai programmi di acquisti di titoli. Le due banche si muovono però "in differita". La Fed ha iniziato la riduzione dell'acquisto di titoli a partire dal 2013 completandolo alla fine dell'anno successivo. Il tema in discussione ora è quello della riduzione del bilancio, le cui dimensioni come si vede si sono ormai da tempo stabilizzate (curva gialla). Le Bce ha altri pensieri. Il Quantitative Easing procede nonostante i malumori tedeschi, ma presto o tardi Francoforte dovrà iniziare a valutare una progressiva sforbiciata degli acquisti, il cosiddetto tapering, che rappresenta l'anticamera dell'uscita dal programma. Ad oggi, l'unica scadenza fissata è il dicembre 2017, anche se più volte Draghi ha spiegato che gli acquisti potrebbero procedere al ritmo attuale di 60 miliardi al mese anche oltre quella data.


Crescita felice
Per una volta, dopo molti anni, la crescita non è il cruccio principale dei Paesi. Seppure a passo diverso, dal Nord al Sud del mondo si segnalano solo segni più. Lo ha evidenziato recentemente anche l'Ocse, sottolineando come per la prima volta da dieci anni tutte le 45 economie più grandi del mondo chiuderanno il 2017 in positivo.


La minaccia di Supereuro
Non mancano però le preoccupazioni. L'ultima l'ha messa in evidenza proprio il presidente della Bce Mario Draghi nell'ultima riunione del consiglio direttivo dell'Eurotower, come è emerso dai resoconti pubblicati da Francoforte: il timore di eccessivi futuri rialzi dell'euro. La maggior parte degli analisti considerano 1,2 come soglia di sicurezza, oltre la quale l'economia rischia di essere penalizzata da un cambio troppo sfavorevole per il nostro export. Il livello è ancora lontano, ma se si guarda al trend dall'elezione di Trump in avanti il campanello d'allarme sembra suonato.


Lo spettro della bolla
Ma è qualcos'altro che rischia soprattutto di non fare dormire sonni tranquilli. L'esplosione dei listini azionari alimenta più di una paura. Il Dow Jones mette a segno record su record, l'ultimo all'inizio del mese quando ha superato per la prima volta quota 22 mila punti. Come evidenziato recentemente da Repubblica, gli indizi sparsi per strada non mancano: le Borse americane hanno oscillato in una banda dello 0,3% per 15 sedute, un fenomeno che non succedeva da 90 anni. E sempre a Wall Street, i valori attuali sono oltre trenta volte gli utili medi decennali. I precedenti non sono per nulla incoraggianti: è successo solo tre volte dal 1881: prima della crisi del '29, prima di quella del 2007 e oggi. Cresce anche l'indebitamento Usa: tra pubblico e privati ha toccato quota 71 mila miliardi, il 40% rispetto al 2007.


25 agosto 2017 - Fulvio Scaglione: "Senza Assad né guerra né pace"

PTV News 25.08.17 - Strana moria di diplomatici russi

certo confondere la Fratellanza Musulmana con la liberazione della Siria dalla Rivoluzione a Pagamento voluta pagata, dalla Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, ebrei, Turchia, Arabia Saudita e Qatar



La Conquista Islamica Dell’Europa Parte Dalla Siria E Da Un Grande Inganno

Il disinteresse di Bruxelles per quanto sta avvenendo in Siria e in particolare per la trasformazione della Siria in una provincia iraniana, ci preoccupa non poco, anche perché la stessa strategia iraniana, lo stesso tipo di inganno lo stanno usando i Fratelli Musulmani in Europa

BY ANTONIO M. SUAREZ Ago 25, 2017

SULLO STESSO ARGOMENTO

Se l’Europa crede che la presenza iraniana in Siria sia un problema unicamente israeliano si sbaglia di grosso. Non lo è. Al contrario, è un problema che riguarda non solo i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo ma anche la già indebolita Unione Europea perché la presenza permanente iraniana in Siria è il frutto di una strategia di conquista islamica ben studiata che proprio in territorio siriano ha visto il suo collaudo, il suo battesimo del fuoco, una strategia già in atto anche in Europa.

Il silenzio quasi tombale, il disinteresse dei media occidentali sui viaggi israeliani negli Stati Uniti e in Russia volti a mettere in guardia le grandi potenze sul fatto che Israele non permetterà che l’Iran di posizioni in pianta stabile in Siria dimostra tutta la sottovalutazione del problema da parte dell’Europa. Eppure i rischi che la guerra in Siria si trasformi un una guerra regionale che coinvolga oltre alla stessa Siria anche il Libano – oltre naturalmente Israele e Iran – sono altissimi. E’ come se a Bruxelles credessero che il tutto sia risolvibile con qualche scaramuccia sul Golan e che la questione sia unicamente un problema tra Gerusalemme e Teheran. E’ una pia illusione.

La perfetta strategia iraniana

“ Teheran non sta liberando la Siria, la sta occupando”

Ora, la situazione sul terreno dimostra che l’intervento iraniano in Siria – sia diretto che attraverso Hezbollah – non è il frutto della volontà di Teheran di aiutare l’amico Assad quanto piuttosto quello di fagocitare la Siria e di “libanizzarla”, di farne cioè una provincia iraniana come ormai purtroppo è avvenuto per il Libano. Geopoliticamente parlando è una rivoluzione per tutto il Medio Oriente perché non solo permette all’Iran di espandere il proprio dominio ma soprattutto perché è il frutto di una strategia studiata a tavolino che va ben oltre la liberazione del territorio siriano dai gruppi terroristi sunniti puntando invece alla conquista del territorio attraverso la sostituzione dei terroristi sunniti con i terroristi sciiti (?!?!) legati a Teheran. Occupazione e non liberazione, è bene tenere presente la differenza tra i due termini se si vuole veramente capire qual’è il problema. Teheran non sta liberando la Siria, la sta occupando e la cosa non avviene per caso, gli iraniani ci hanno studiato, hanno delineato una strategia di conquista e l’hanno messa in pratica.

Perché riguarda anche l’Europa?

Ma perché questo è un problema che riguarda anche l’Europa? Prima di tutto perché ad essere ingannata dalla strategia iraniana è stata anche l’Unione Europea che ha fatto confusione tra il termine “liberazione” e il termine “conquista”. A Bruxelles sono ancora convinti che l’Iran sia in Siria per liberare il territorio siriano dallo Stato Islamico quando invece gli iraniani sono li per conquistarlo, ma soprattutto perché, come ci è stato fatto notare nei giorni scorsi, questa strategia iraniana di conquista può essere applicata anche per conquistare territorio europeo facendo passare il tutto come “liberazione dall’Islam integralista”. E’ un inganno di vastissima portata studiato rispettando quella “teoria della gradualità” che ha il copyrights della Fratellanza Musulmana e che nel lungo periodo ci porterà ad aprire gli occhi solo a fatto compiuto. La Siria è l’esempio più eclatante della applicazione sul campo della teoria della gradualità. Se a questo aggiungiamo che in un eventuale (e sempre più vicino) conflitto tra Iran e Israele il Libano non ne potrà restare fuori e visti gli interessi europei nel Paese dei Cedri, sfugge davvero il motivo del disinteresse europeo verso questa pericolosissima escalation.

E francamente appare un paradosso che in Europa non notino due fattori importantissimi come lo sono i punti fondamentali su cui si basano il regime iraniano e la Fratellanza Musulmana. Il primo ha come obiettivo l’esportazione della rivoluzione islamica in tutto il mondo, i secondi quello di unificare il mondo sotto il vessillo dell’Islam. Stesso obiettivo enunciato con parole diverse. E siccome Iran e Fratellanza Musulmana oltre ad essere sempre più “alleati” (?!?!) sono anche gli interlocutori preferiti dalla UE nella cosiddetta “lotta all’estremismo islamico” qualche riflessione sui fatti siriani e sulla strategia di conquista islamica iraniana a Bruxelles la dovrebbero fare.

Sembra un pensiero troppo complottista? Forse lo è, forse ci preoccupiamo per nulla. Ma l’escalation che stiamo vedendo a seguito della conquista iraniana della Siria e la sottovalutazione da parte dell’Europa di quella che è a tutti gli effetti una aggressione iraniana a Israele (?!?) ci preoccupa non poco perché dimostra in modo lampante che la ingannevole strategia iraniana, la stessa della Fratellanza Musulmana, funziona, eccome se funziona. E siccome siamo convinti che quando Ugo La Malfa diceva che «la libertà dell’occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme» avesse ragione, non possiamo non preoccuparci della incredibile ignavia europea.

25 agosto 2017 - Cosa accade davvero in Venezuela

24 agosto 2017 - Amatrice, un anno dopo.

Tim/Telecom è un'azienda strategica e deve rimanere italiana, forse il governo si rinsavisce

TELECOMUNICAZIONI

«Telecom Sparkle resti italiana»: il governo verso lo stop a Vivendi

Venerdì il vertice a Palazzo Chigi. Il governo italiano ha avviato una indagine per capire se Vivendi esercita un controllo di fatto su Tim e per valutare se ci sono margini per applicare la normativa del «Golden Power» per la sicurezza nazionale

24 agosto 2017


«Una cosa è la verifica sulle procedure, un’altra è la valutazione politica e sin qui la seconda è stata già fatta, Telecom Sparkle deve restare sotto il controllo italiano». Una decisione verrà presa nel breve periodo, forse già prima del vertice italo-francese previsto a settembre. E l’ultima parola ovviamente sarà di Paolo Gentiloni, che si troverà davanti ad una delle scelte più delicate della sua stagione, ma al momento sia a Palazzo Chigi che al ministero dello Sviluppo Economico, chi si occupa da vicino del dossier, la mette in questo modo. Oggi a Palazzo Chigi si riunirà per la seconda volta il Comitato per la verifica dei poteri speciali del governo sul cosiddetto Golden power, la normativa che autorizza l’esecutivo ad intervenire sulle aziende quando interessi strategici nazionali sono considerati a rischio.

Il Comitato dovrà decidere se la francese Vivendi, che a fine luglio ha comunicato di avere assunto la direzione di Telecom Italia, viola la normativa italiana. La questione non è tanto quella della rete di Telecom, quanto piuttosto quella della rete internazionale di Telecom Sparkle, considerata importante a tal punto da avere come requisiti, per la sua direzione, quella del rilascio del Nos, il Nulla osta di segretezza, che l’esecutivo dà per l’amministrazione di aziende considerate strategiche per la sicurezza nazionale. Telecom Sparkle, società satellite di Telecom, è considerata a livello internazionale come un gioiello di tecnologia, valutata circa 3 miliardi di euro e considerata da tutti gli analisti indipendenti come uno dei primi player del mondo della rete Internet: secondo alcune classifiche è fra le prime 7 aziende del settore in grado di gestire una rete Tier 1. È cioè proprietaria, attraverso 500 mila km di cavi sottomarini, di una fetta della Rete, capace di veicolare dati e traffico senza pagare tariffe. Un primato, che insieme ad un profilo riservato, ne ha fatto anche un caso aziendale: fra le pochissime imprese europee a poter dirsi «proprietaria» di Internet, è a ragione considerata dal governo strategica anche per ragioni di intelligence.

Nell’acquisire la direzione di Telecom, i francesi di Vivendi hanno lasciato le deleghe operative su Sparkle al vicepresidente italiano, Giuseppe Recchi, e non avrebbero potuto fare altrimenti, vista la legge e il Nos che deve rilasciare Palazzo Chigi. «Ma è inutile che ci prendiamo in giro - è un’altra considerazione che si raccoglie - se la direzione di un gruppo dipende da Parigi nulla vieta ai francesi di influenzare l’andamento di Telecom Sparkle. Magari discuteremo, ma ci devono dire se e come vogliono vendere, viceversa dovremo intervenire». Insomma le probabilità che nel caso Telecom l’esercizio del Golden power venga attivato sono al momento abbastanza alte. «E non c’entra nulla la querelle che coinvolge Fincantieri sui cantieri francesi», viene aggiunto, tenendo le questioni separate. Di sicuro Gentiloni vedrà il presidente francese, Macron, due volte, nelle prossime settimane, lunedì prossimo per un vertice con Spagna e Germania, poi, a settembre, per una bilaterale Parigi-Roma. Ma non è affatto detto che la partita rientrerà fra le questioni aperte: dalla Libia ai cantieri navali Stx, «anche perché i rapporti fra Macron e Bolloré non sono proprio idilliaci». Del Comitato che si riunirà oggi, presieduto dal vicesegretario di Chigi, Luigi Fiorentino, fanno parte rappresentanti dei vertici dei ministeri di Esteri, Interni e Difesa. Dovranno valutare la sussistenza di una «minaccia di grave pregiudizio» per gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale. La decisione finale è nelle mani di Paolo Gentiloni.

Roberto Pecchioli - degli impostori al servizio del nemico

Toni Negri, Impero e Moltitudine. Il peggio del male.

Maurizio Blondet 25 agosto 2017 

di Roberto PECCHIOLI

Una fortunata rubrica cinematografica di un quotidiano nazionale si intitola Lo sconsiglio. E’ tenuta da Massimo Bertarelli, uno dei rari critici non afflitti dall’accigliato intellettualismo da sinistra al caviale della sua categoria. Unito ad una scrittura brillante che tradisce il debito nei confronti di Gianni Brera, di cui fu allievo al Guerin Sportivo in gioventù, lo sconsiglio di Bertarelli prende di mira e boccia impietosamente i film peggiori del momento, senza riguardo al successo al botteghino o all’accoglienza presso il ceto semicolto dei pensosi “intellò” cinefili. Nel nostro piccolissimo, vogliamo dare uno spassionato consiglio ai lettori: ignorate le opere del duo Antonio Negri (Toni per i reduci della peggio gioventù) e Michael Hardt.

Sono ormai numerosi i saggi a quattro mani del sodalizio neo marxista italo statunitense, tra i quali Questo non è un Manifesto, del 2012, che tenta di tirare le conclusioni politiche delle torrenziali opere precedenti, dal titolo inevitabilmente “cult” e colto: pare una citazione del celebre dipinto surrealista di Magritte Questa non è una pipa, sull’ambiguo rapporto tra realtà ed immagine. I titoli che hanno consacrato il successo internazionale dei due autori sono Impero, del 2000, e Moltitudine, del 2004. Salutati con entusiasmo dai banditori del progressismo liberal come i “manifesti comunisti del XXI secolo” (New York Times ), molto meno apprezzati dagli studiosi di area marxista , i due libri mettono a dura prova non solo la resistenza e la pazienza dei lettori – circa mille pagine sarebbero chiamate un mattone, se non fosse per la quasi religiosa devozione di cui è circondato in alcuni ambienti l’ex docente padovano – ma soprattutto evidenziano come all’ambizione del progetto non corrisponda una prestazione intellettuale all’altezza.

I nuovi Karl Marx e Friedrich Engels fanno rimpiangere gli originali, ed è tutto dire. Questa non è solo l’opinione di lettori esausti e di modesta erudizione, come lo scrivente, ma anche, diremmo soprattutto di intellettuali di primo piano culturalmente affini come Slavoj Zizek o l’italiano Danilo Zolo, giurista e filosofo del diritto che studia da decenni le ricadute della globalizzazione. La tesi fondamentale dei due, sorretta da un arsenale teorico notevole, è che la postmodernità ha costituito un’unica struttura di potere globale, del tutto nuova, deterritorializzata e fondata su un universalismo cosmopolita, determinando la crisi sistemica degli Stati nazionali, prodotto dagli esiti storici del Trattato di Westfalia che concluse le guerre di religione alla metà del Seicento. La nuova forma avvolgente e reticolare di “biopotere”, poiché coinvolge ogni aspetto e momento della vita contemporanea, è detta appunto Impero.

Nulla di originale, nemmeno una scoperta straordinaria; tutto sommato anche il nome pare inadeguato, giacché l’Impero fu ed è, storicamente, una forma molto precisa di potere dotata di un centro, di un’idea base, di una forma. Preso comunque atto che l’Impero è la forma politica della globalizzazione capitalistica, si riconosce che” nessun confine territoriale limita il suo regno” e che, attraverso l’abolizione contemporanea dello spazio e del tempo, l’impero “non rappresenta il suo potere come un momento storicamente transitorio, bensì come un regime che non possiede limiti temporali”. Esso si converte in un ordine “che, sospendendo la storia, cristallizza lo stato attuale delle cose per l’eternità”. Verità evidenti, ma niente affatto eclatanti scoperte svelate di Toni Negri.

Viene a galla, invece, l’ambizione titanica di riscrivere il Manifesto del Partito Comunista del 1848. In quel fondamentale testo, Marx ed Engels colsero perfettamente il ruolo storico della borghesia del loro tempo, celebrandone il potenziale rivoluzionario di rottura epocale e storica, che una nuova forza emergente, il proletariato, avrebbe volto a proprio vantaggio attraverso la lotta di classe e l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione. “Dove è giunta al potere, la borghesia ha dissolto ogni condizione feudale, patriarcale, idillica. Ha distrutto spietatamente ogni più disparato legame che univa gli uomini al loro superiore naturale, non lasciando tra uomo e uomo altro legame che il nudo interesse, lo spietato pagamento in contanti. Ha fatto annegare nella gelida acqua del calcolo egoistico i sacri fremiti dell’esaltazione religiosa, dell’entusiasmo cavalleresco, del sentimentalismo piccolo-borghese. Ha risolto nel valore di scambio la dignità della persona e ha rimpiazzato le innumerevoli libertà riconosciute e acquisite con un’unica libertà, quella di un commercio senza freni.”

Questo brano celeberrimo dimostra il giudizio marxiano positivo, il ruolo emancipatorio dell’azione della borghesia, e, in maniera inequivocabile, prova il legame profondo tra liberalismo e collettivismo, la loro vicinanza ideale, attraverso il giacobinismo, lo spirito dei Lumi e la comune radice materialista ed economicista. Marx, tuttavia, contro la borghesia ed il suo capitalismo chiama alla lotta, al superamento (nel lessico di Hegel, aufhebung), per costruire una società totalmente nuova, fondata sul comunismo. Negri e Hardt, al contrario, non solo formulano un giudizio positivo sulla globalizzazione mondialista, ma ne celebrano il potenziale liberatorio nei confronti di un nuovo soggetto, che non riescono tuttavia a definire come attore politico, la Moltitudine, protagonista del loro secondo ponderoso volume.

Incredibilmente, essi negano o minimizzano il ruolo degli Stati Uniti, asserendo che gli Usa non sono il centro dell’Impero, e che non sussiste alcun progetto o ambizione imperiale americana. Ciò per loro significherebbe una sorta di auto confutazione dell’affermato carattere reticolare, magmatico della pentola che ribolle (melting pot) senza che alcuno attizzi il fuoco o ne diriga gli intenti che è la loro idea di Impero. “Contrariamente a quanto sostengono gli ultimi difensori del nazionalismo (??), l’Impero non è americano.” Una ben misera conclusione, un vero e proprio clamoroso errore di valutazione contestato a Negri ed Hardt da più parti, poiché è evidente che gli Usa sono, quanto meno, il centro ed il motore dell’impero, il vettore del suo dominio, il luogo di residenza e di irradiazione delle sue organizzazioni più importanti – istituzioni finanziarie e transnazionali, multinazionali- oltreché il quartier generale dell’apparato di controllo di quello stesso biopotere denunciato dai due studiosi : la cupola tecnoscientifica ed informatica, le agenzie di comunicazione che scelgono le notizie da diffondere e quelle da celare al pubblico, i grandi sistemi di spionaggio, nonché l’esercito più potente del mondo, dispiegato nei mari e nei cieli dell’intero pianeta.

E’ curioso che gli stessi autori notino senza fiatare la forza pervasiva della finta ideologia della pace, del diritto di ingerenza e dell’interventismo “umanitario”, riconoscendo il silenzioso ritorno della “guerra giusta”, che si giustifica da sé per l’autoevidenza delle sue ragioni universali. Si parte da Marx, dunque, ma si procede poi per sentieri che ne negano l’eredità. Il giudizio positivo sull’Impero e sul suo potenziale liberatorio, infatti, giunge a proporre di accelerarne il cammino: anziché resistere alla mondializzazione, occorre incalzarne il processo non per provocare una rottura rivoluzionaria, ma per costruire attorno ad esso forme nuove, più vantaggiose per la vasta categoria definita moltitudine, il nuovo nome degli sfruttati. Una forma inedita di riformismo attendista, forse, o la bizzarra ideologia di chi accetta un passaggio storico, quello dell’Impero, necessario e positivo, da accogliere con speranza, non certo da combattere frontalmente, tanto meno distruggere. Marx- Engels ai tempi supplementari.

Un esegeta del dubbio verbo dei due pensatori ricorre all’esempio erudito del nastro di Moebius, figura matematica che ha un solo lato ed un unico bordo, per cui ci si ritrova al lato iniziale solo dopo due giri. Si è in grado quindi passare da una superficie a quella posteriore senza attraversare il nastro, semplicemente con un percorso più lungo. Tradotto dall’intellettualese, per Negri ed Hardt il potere imperiale e la resistenza ad esso appaiono come il diritto e il rovescio di un unico nastro. Se si ha la capacità di spingersi abbastanza lontano, il potere si trasforma nel suo contrario. Qui gioca un ruolo notevole l’idea, consolidata a partire dai lavori di Manuel Castells sulla network society, che la grande rete di Internet divenga un modello anche nell’ambito sociale, sinché la moltitudine si approprierà delle tendenze imperiali, considerate prive di centro e di gerarchia, sino a padroneggiare un sapere nuovo e condiviso e diffondere controinformazione.

Concetti nebulosi e ingenui, poiché il centro esiste, eccome, e la struttura reticolare ne è semmai l’espediente funzionale, e l’universo tecnico e tecnoscientifico, poco esplorato dai Nostri nelle sue ragioni e connessioni, ha dei padroni molto precisi ed ormai riconoscibili. La produzione di beni e servizi, l’esercizio stesso del potere sono sì mutati e sono divenuti, nella grammatica di Negri, “biopolitici”, ma non è certo una vittoria del proletariato, come sostengono letteralmente ed incredibilmente. E’ piuttosto la scelta meditata di un soggetto inedito, l’Impero ossimoro, un centro mutante che si sposta continuamente, si deterritorializza nella forma dei “cloud” informatici che contengono, elaborano e processano dati situati in un luogo cibernetico, ma esercita coercitivamente un dominio imperiale in larga parte introiettato dai sudditi.

La chiave di tutta la costruzione ideologica è l’irruzione di una inedita forza storica, la produzione immateriale, la cui funzione cognitiva, frutto del sapere diffuso, “produce beni immateriali, come un servizio, un prodotto culturale, conoscenza o comunicazione”, per cui lo stesso capitalismo diventerebbe cognitivo e possiederebbe l’embrione del suo definitivo superamento, in una specie di gemmazione che insieme lo trascende e lo distrugge. Il lavoro intellettuale svolto dalla proclamata “moltitudine” è intrinsecamente legato alla “messa in comune”, anzi all’idea stessa di “comune”. Un comune che non genera affatto comunità, un concetto respinto nell’indicibile e nel passato più oscuro, ma, al contrario, per ibridazione, crea sempre nuove singolarità. La pentola che bolle declinata in una indigeribile ed indefinita salsa collettivista. Questo inafferrabile comune viene descritto come una totalità aperta che si rinnova, rigenera continuamente e, udite, “non si costruisce e non agisce a partire a partire da un principio di unità o identità, ma a partire da ciò che gli è comune”. Tautologia, parole in libertà o, perché non ammetterlo, concetti al di là della comprensione media del lettore, che è poi quella della moltitudine in nome della quale si strologa.

Saremo incapaci di pensiero complesso, o più probabilmente privi di sufficiente cultura, ma non riusciamo davvero a capire che cosa tutto ciò significhi. Ci è tuttavia chiaro il fraintendimento iniziale, ovvero che il capitalismo globalista e deterritorializzato, l’impero, adottando il lessico di Negri, si articola a rete ma lo fa in forme molto gerarchizzate, spesso più insidiose che nel passato. Si impongono temibili metodi disciplinari, ben oltre le intuizioni in materia di un Michel Foucault, a partire dalla costante messa in concorrenza dei lavoratori, la fissazione unilaterale di obiettivi, la continua selezione, le modalità nuove e tecnologiche dell’antico “divide et impera”. La stessa mobilità del capitale genera un potere ogni giorno maggiore, che possiamo certamente chiamare biopotere, ma per affermarne una violenza nuova, sottile e raffinata.

Le reti collaborative care agli autori hanno semmai concentrato i redditi e le opportunità verso l’alto. La moltitudine plurale puntinista formata da miliardi di “singolarità” è descritta come “desiderio di costruire il comune” e qui, francamente, gettiamo la spugna, a meno di non citare la folgorante definizione delle masse postmoderne di Costanzo Preve: “neoplebi desideranti”. Preve richiamava, da un punto di vista marxista e comunitarista, l’esigenza di una lotta di liberazione dagli esiti rivoluzionari, mentre la moltitudine di Negri e Hardt assomiglia più ad uno sconfinato esercito senza ranghi, un magma umanoide appagato nelle pulsioni primarie, ma del tutto privo di obiettivi personali o comuni. Nessuno spazio, ovviamente, nel radicale materialismo del tutto, per la famiglia, lo spirito, la trascendenza, la bellezza, la contemplazione: un’umanità di scimmie sapienti che volteggiano senza posa di ramo in ramo, connesse alle reti gestite dall’Impero, perplesse, gettate in un presente plastico, privo di rotta, incapace di mete.

Quanto al termine singolarità, a nostro avviso fa discendere di un altro gradino la specie umana: dapprima persone, con un carattere, una forma ed una direzione, poi individui, solitari viandanti della vita dalla bussola smarrita, ed ancora consumatori nel tempo libero, utenti, risorse umane nel sistema produttivo. Per Negri, l’obiettivo è trasformarci in semplici singolarità dal destino comune, e balza agli occhi l’immagine di uno stormo di uccelli che si leva in volo tutto insieme. La differenza è l’istinto naturale degli animali che conosce la rotta, possiede una direzione e un punto di arrivo.

In fondo l’opera non è che un’altra tappa dell’ambizioso proposito di attualizzare il Marx ostetrico del tramontato proletariato industriale. Negri e Hardt scambiano una piccola parte del mondo, ovvero l’Occidente, con l’universo. Il settore secondario, l’industria, sono qui meno importanti che nel passato (i grandi polmoni dell’Impero, tuttavia, come Stati Uniti e Germania continuano a possedere un forte settore manifatturiero), nondimeno in gran parte del pianeta, a cominciare dall’immenso serbatoio umano ed economico asiatico, è ancora predominante il modo di produzione fordista e taylorista dell’industria disciplinare. Diventa quindi infantile affermare, come fanno i due neomarxisti cui farebbe bene un onesto ripasso dell’opera dell’uomo di Treviri, “che il lavoro immateriale si situerebbe già oltre il capitalismo, poiché sarebbe in grado di valorizzarsi senza aver bisogno del capitale”.

Qui entriamo nel campo dei desideri – o dei sogni ad occhi aperti- scambiati per realtà. L’ “eccedenza rivoluzionaria”, una sorta di plusvalore tratto dalla moltitudine dei produttori di lavoro immateriale cognitivo, consentirebbe di costruire le basi di quello che chiamano il comune. Per loro l’impero è un fatto positivo, questo risulta chiarissimo: esso ha innanzitutto sradicato gli Stati, sostituendoli con una prospettiva cosmopolita, la quale va estesa sempre più. Ecco un’altra profonda distinzione rispetto al marxismo, internazionalista, ma non cosmopolita, sino alla definizione delle vie nazionali al socialismo, l’esperienza sovietica come comunismo in un solo Stato, o alla retorica stalinista della grande guerra patriottica condotta dall’URSS contro la Germania. Va sottolineata altresì l’indifferenza con cui gli autori tacciono sul fatto che lo stesso cosmopolitismo imperiale è vettore di valori, modi di vita, criteri di benessere di ascendenza occidentale ed in particolare anglosassone. Niente da fare, il muro non può essere scalfito, giacché l’Impero deve essere riposizionato in favore della moltitudine, ma non distrutto. Si tratta di “un passo in avanti, un progresso, meglio di ciò che l’ha preceduto”.

Dunque, nel guazzabuglio di frasi tortuose, neologismi e di un linguaggio semi iniziatico, simile ai pistolotti “dialettici” di professorini ed allievi degli anni 70 e 80, dal male si passa al peggio. Anche la globalizzazione è cosa buona, per la sua capacità di creare “nuovi circuiti di collaborazione e cooperazione che attraversano le nazioni e i continenti, facilitando un illimitato numero di incontri” e, più ancora, per la positiva influenza della deterriorializzazione delle precedenti strutture di sfruttamento e di controllo”. Qui davvero l’abbaglio appare colossale: la società della sorveglianza e della punizione descritta assai bene da un Michel Foucault non è affatto priva di centro o di territorio. Semplicemente si serve di mezzi del tutto nuovi, infinitamente più potenti, e punta, almeno in prima battuta, più all’interiorizzazione dei suoi comandi, all’omologazione dei pensieri della massa e sull’impersonalità tecnica degli apparati di controllo che sulla coercizione diretta, cui peraltro non rinuncia affatto, come verifica quotidianamente che si pone all’opposizione del sistema.

Viene giudicato positivamente anche il declino del diritto internazionale, a conferma della natura anarcoide e utopista del sinistrismo tardo marxista orfano dei suoi feticci, mosca cocchiera del liberalismo, con una generica aspirazione al disordine ed al caos, segretamente ammirato dalla “distruzione creatrice” del capitalismo descritta da Joseph Schumpeter. Felicitandosi per la tendenza alla dissoluzione dei confini tra le forme politiche, sociali, culturali del potere e della produzione, anche il giudizio sul capitalismo sfuma, si fa ambiguo e bifronte. Esso ha sì generalizzato lo sfruttamento umano, ma resta il portatore di un intrinseco cosmopolitismo che ne è il frutto positivo. Il debito nei confronti dell’Illuminismo più radicale è enorme.

Strano approdo per un uomo passato attraverso le suggestioni dell’operaismo degli anni 70 del secolo passato, divenuto il cattivo maestro di una generazione di giovani che si sono rivolti alla lotta armata, al brigatismo rosso, sino alla condanna per insurrezione armata ed al sospetto di complicità nel sequestro di Aldo Moro. A beneficio dei più giovani e degli immemori, che in Italia sono la maggioranza stragrande, va infatti ricordato che Antonio Negri, Toni per i compagni, classe 1933, docente universitario con un passato adolescenziale nell’Azione Cattolica, è stato considerato uno degli ideologi dell’estrema sinistra rivoluzionaria, incarcerato nel 1979 per terrorismo e liberato quattro anni dopo in quanto eletto deputato nelle file del Partito radicale.

Beneficato dal folle Pannella – che peraltro portò successivamente a Montecitorio la porno attrice Ilona Staller, la quale perlomeno non aveva sulla coscienza alcun crimine- Negri raggiunse l’ospitale Parigi, in cui ebbe una cattedra universitaria, divenne un influente membro del milieuculturale e soprattutto fu un esponente di Hyperion. La scuola di lingue con quel nome fondata nel 1977 venne sospettata di essere una copertura per il terrorismo internazionale e il crocevia di servizi segreti, mentre altri la considerano una sorta di “grande vecchio” collettivo dell’estremismo comunista.

Ciò che avvicina Negri ed Hardt ai globalisti di matrice liberale o genericamente progressista è la comune filosofia del caos e l’entusiasmo per il nomadismo, lo sradicamento, il meticciato, il rifiuto di ogni legame comunitario. Di qui alcuni dei concetti chiave del loro glossario, la singolarità, passaggio successivo e gradino inferiore dell’individualismo, la moltitudine, che è l’esatto opposto di popolo ed è distinta dalla massa per effetto delle singolarità che la costituiscono, il comune che prende il posto del collettivo, nonché il concetto, centrale nell’intera teorizzazione negriana, del lavoro immateriale, che darebbe vita ad un nuovo capitalismo cognitivo, in cui credono di individuare una specie di eterogenesi dei fini, ossia un esito di creazione e liberazione universale che lo oltrepasserà, decretandone il dissolvimento.

Interessante è anche il giudizio sprezzante sulla democrazia partecipativa, considerata un modello molto ipocrita. La moltitudine, invece, descritta come” potenza senza potere” condurrà alla “dissoluzione del potere e [alla] realizzazione di nuove istituzioni”. Se dai fatti occorre trarre significazione, direbbe Niccolò Machiavelli, l’inventore della scienza politica, lo snodo finale sarebbero quindi istituzioni senza potere. Utopia antipolitica che, in assenza della vasta cultura di Negri e del credito culturale di cui gode, verrebbe derubricata, nel migliore dei casi, ad astrazione visionaria.

Tuttavia, due o tre elementi ci sembrano interessanti. Il più immediato è la coerenza di un percorso subculturale che, dal 1968, giunge a noi, e si compendia nella parola dissoluzione. Solo l’Occidente terminale, malato di intellettualismo, gonfio di presunzione e superbia palingenetica poteva partorire il pensiero degli autori di Impero e Moltitudine. E’, per un verso, la vittoria antropologica, persino ontologica (un termine caro ad Antonio Negri…) dell’Illuminismo più radicale, nella forma del giacobinismo; dall’altro è l’esito coerente del liberalismo. Osiamo affermare che, in un loro strano modo, Negri e Hardt sono dei liberali eretici, nel senso della pulsione libertario-libertina che li muove. Il cosmopolitismo, poi, l’ibridazione generale e continuata, il meticciato entusiasta, sono tipici di quei fenomeni che hanno condotto da certi filoni marxisti al liberalismo progressista e radicale.

Resta poi l’economia come unico orizzonte, senza neppure il potenziale liberatorio dell’esito finalistico del comunismo compiuto (tutt’altra cosa della sua realizzazione storica concreta novecentesca). Lo stesso materialismo totale, di ascendenza spinoziana – Spinoza conosce oggi una singolare fortuna tra numerosi autori postmarxisti, specie in area francese – appare un altro ossimoro, un materialismo disincarnato in una dimensione affollata di automi, le singolarità, nude figurine opache in un deserto in cui la sabbia rovente è chiamata liberazione. Persiste in fondo una sinistra coerenza nel vecchio rivoluzionario, partito dal discorso evangelico delle Beatitudini, transitato per la lotta armata ed approdato alla scoperta di una equivoca moltitudine nomade la cui tenda è un caos in cui libertà significa assenza di principi o regole, in cui tutto fluisce e scorre non alla maniera di Eraclito, ma verso un nulla che, forse, è il “comune”.

Non sembra neppure più sussistere un’umanità, ma, come nella meccanica, parti e pezzi staccati, frattali avrebbe detto Jean Baudrillard. Anche l’anticapitalismo dei fieri comunisti di un tempo sfuma nel grigio di un modesto altercapitalismo rivendicativo dei “diritti” delle singolarità, tutt’al più partigiano del software libero. Davvero poco per andare oltre il biopotere e saltare dall’altro lato del nastro di Moebius. L’Impero del capitalismo universale può dormire, purtroppo, sonni tranquilli, può continuare a tessere il suo dominio tecno scientifico, colonizzare lo spazio insieme con l’immaginario e dominare concretamente il mondo.

Conquistato all’Impero, contagiato forse dalla sindrome di Stoccolma nei confronti dell’antico nemico di classe, non in grado di esprimere un vero progetto politico, spiace dire a un uomo come Antonio Negri, da cui ci divide tutto, ma il cui livello intellettuale è indiscutibile, la stessa frase che un monatto, uno di quelli che raccoglievano i cadaveri delle vittime della peste, rivolge a Renzo Tramaglino nei Promessi Sposi: “va, va, povero untorello, non sarai tu quello che spianti Milano.”