L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 2 settembre 2017

Mario Bottarelli - e ci uccideranno attraverso il "risanamento" del Sistema Bancario

SPY FINANZA/ La Bundesbank smaschera Cernobbio e detta le riforme all'Italia

Cernobbio? Una merenda collettiva ad uso riflettori e stampa per comprimari della politica. Le cose serie si sono dette ad Alpbach, in Austria. E sono spiacevoli. MAURO BOTTARELLI

02 SETTEMBRE 2017 MAURO BOTTARELLI

Mario Draghi (Lapresse)

Fermi tutti, gli equilibri economici e geopolitici del mondo stanno per subire uno scossone. Ieri è iniziato a Cernobbio l'annuale Forum Ambrosetti, sedicente consesso economico di primaria fama mondiale ma, in effetti, nulla più che un ritrovo autoreferenziale di economisti di serie B, industriali del capitalismo di relazione e comprimari della politica che fingono di tessere i destini del mondo. Il massimo del complotto che si è mai consumato sulle rive del Lago di Como è stato il siluramento di qualche direttore di quotidiano, perché fuori linea con il governo: non bastano roboanti titoli di workshop per trasformarsi in Davos, si rimane l'emanazione lacustre delle famose terrazze romane dove i poteri presunti forti intrallazzano e si lisciano le penne in favore di telecamere. 

A riprova di quanto vi dico, c'è appunto la polemica del momento: Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Cassazione e guru dei 5 Stelle, ha infatti attaccato duramente il premier designato del Movimento, Luigi Di Maio, per la sua decisione di presenziare appunto al Forum Ambrosetti. La colpa? Non ci si mischia con i nemici della democrazia, con i membri della Trilateral, che si è contestato fino al giorno prima. Secca la replica di Di Maio: occorre farsi conoscere, vado a Cernobbio con le mie idee. E già questo dovrebbe farvi capire la caratura dell'incontro. Ma non basta, perché a deliziare l'uditorio ci sarà un altro noto e raffinato esperto di finanza e geopolitica come Matteo Salvini, sintomo che ormai Davos sta per perdere il suo primato di autorevolezza. 

Ma davvero pensate che in quel consesso di decida qualcosa di segreto? O, peggio ancora, di importante? Pensate che un happening in cui è riverito ospite da sempre Renato Brunetta possa avere un minimo di credibilità nelle stanze che contano del potere economico? Pensate che la Fed sappia cosa sia il Forum Ambrosetti? Pensate che vengano orditi complotti in un convegno dove i workshop a porte chiuse diventano a porte aperte, se pagate l'ingresso? Ve la vedete la Spectre che mette in vendita posti a sedere per una lezione di sedizione globale? 

Penso — e spero — che a Cernobbio si parli molto di non-performing loans più che di protezionismo o cambiamenti climatici, questo sì. Spero che si cerchi una soluzione per bloccare la deriva elettoralistica della politica occupazionale ed economica del governo, ormai in fase totalmente lisergica per quanto riguarda le proposte relative a mance e mancette. Spero che qualcuno chieda di discutere del futuro di FCA, soprattutto del fatto che la Consob non abbia nulla da dire rispetto al rally azionario garantito dalle voci di interesse di Great Wall: perché le regole valgono sempre e solo per gli stessi? Tranquilli, una domanda del genere a Cernobbio non verrà mai posta. 

Sarebbe bello, poi, capire come mai quella pletora di menti illuminate dell'economia e della finanza che si pavoneggia in favore di telecamera durante i coffee-breaks, abbia scoperto solo ora l'esistenza di un problema euro e di un'incognita QE. Dove sono stati fino all'annuncio in sordina di ieri tramite la Reuters, che diceva chiaro e tondo che si continua a stampare e che il tapering è ancora un miraggio solo della Bundesbank? Magicamente, ieri a Cernobbio non si parlava d'altro. Peccato che quanto emerso debba fare riflettere molto. "Abbiamo un'inflazione che rimane abnormemente bassa", ha dichiarato l'ex presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, intervistato da Bloomberg Tv, aggiungendo comunque che "abbiamo un'economia reale molto buona adesso. Abbiamo ancora un fenomeno che dovrebbe imporre alla Banca centrale di essere cauta nella propria linea di condotta, tuttavia una politica molto accomodante non può durare per sempre, né in Europa, né nel resto del mondo". Accidenti che Premio Nobel! Infine, Trichet si è augurato che la debolezza del dollaro possa essere progressivamente corretta. Come? Non si sa, per le ricette stanno ancora attrezzandosi.

Ma ecco che sempre in riva al lago arriva un'altra illuminante lezione. "La forte fase di ritorno dell'inflazione a livello globale che sembrava probabile all'inizio dell'anno non si è ancora materializzata. Perciò, gli obiettivi di normalizzazione dell'inflazione e della disoccupazione a livelli accettabili continuano a essere difficili". Parola del vicepresidente della Bce, Vitor Constancio. "Comunque — ha aggiunto Constancio — la ripresa ciclica in corso nell'area euro è adesso più ampia e più consolidata e la regione è più resiliente agli shock, grazie alla riduzione degli squilibri e a una più forte sincronizzazione dei ciclo economico tra i Paesi". 

A giudizio di Constancio, infatti, "riprendere una reale convergenza economica tra i Paesi membri è vitale per l'area euro. Questa è la prossima sfida fondamentale e richiederà più riforme strutturali e istituzionali sia a livello nazionale che europeo". Ops, riforme strutturali e istituzionali: quindi, per far salire l'inflazione e rispedire l'euro in una area export-friendly, per così dire, ci vorrebbe magari una ripetizione con esito diverso del referendum del 4 dicembre 2016. O, magari, una bella ammucchiata parlamentare dopo il voto legislativo del 2018, un bel governo delle riforme. Ecco quali illuminanti ricette escono dal Forum Ambrosetti, prove tecniche di inciucio istituzionale ammantate di saggezza da funzionario Bce. 

Ma attenti, perché l'uomo dell'Eurotower che conta davvero dopo Draghi, ieri ha parlato. E non da Cernobbio, bensì da un convegno a Alpbach, in Austria. "L'esperienza giapponese dimostra che gli Stati membri dell'Unione europea devono accelerare nel risanamento delle banche" ha dichiarato il membro del Consiglio della Bce, Ewald Nowotny. E ancora: "In Giappone ci hanno messo troppo tempo a riparare le strutture bancarie. E hanno autorizzato troppo a lungo un alto livello di non-performing loans: quindi una delle lezioni che riceviamo per l'Europa è che devi muoverti più velocemente per riportare in equilibrio il sistema bancario". A giudizio di Nowotny, "nella maggior parte dei Paesi europei l'abbiamo fatto, in altri il processo è ancora in corso". Indovinate di quale delle due categorie fa parte l'Italia, anche alla luce del bubbone Popolare di Bari appena scoppiato e da cui vi mettevo in guardia da mesi insieme a Carige. 

E ancora, proprio rispetto all'uscita di giovedì rispetto all'overshooting dell'euro e quindi alla più graduale uscita dal programma di stimolo: "L'apprezzamento dell'euro sul dollaro è un evento che non va sovra-interpretato o drammatizzato. Dall'introduzione della moneta unica ci sono stati significativi movimenti del cross euro-dollaro. Adesso ci troviamo più o meno dove eravamo quando la moneta unica venne introdotta. Siamo stati sotto la parità e siamo arrivati a 1,50-1,60 dollari". A giudizio di Nowotny, "ovviamente una politica di bassi interessi ha effetti positivi ma anche effetti collaterali ed è importante assicurarsi che per quanto la politica rimane in vigore, questi non sfuggano di mano". Si scrive Nowotny, si legge Bundesbank. Completa sconfessione delle dichiarazioni dell'altro giorno, completa sconfessione della linea Draghi. I falchi rigoristi non hanno perso tempo a inviare il loro segnale in vista della riunione del board di giovedì prossimo: ok bloccare la corsa dell'euro ma inviare il segnale di un QE di fatto senza una fine è troppo pericoloso per i margini di profittabilità delle banche (tedesche). Ed ecco, quindi, il richiamo a quelle poco virtuose a ancora piene di non-performing loans (italiane). La guerra valutaria con gli Usa si è già tramutata in guerra intestina nell'Ue. In Austria l'hanno capito, a Cernobbio prendono il caffè. Occorre mediare con la Merkel e in fretta, cercando di spezzare l'asse con Macron. Se la Germania non cede, allora c'è un'unica via. Mettersi di traverso a Bruxelles. E vedere chi ha più paura di restare davvero con il cerino in mano. Certo, se sperate che a darvi suggerimenti su scenari simili siano Di Maio o Salvini, conviene arrenderci subito e offrirci come prigionieri. Magari, per compassione, gli yankees ci uccideranno per ultimi.

Roma - Virginia Raggi è diventata il cavallo di Troia del Sistema massonico mafioso politico che comprime l'Italia

I nuovi manager della Raggi? Tutti collezionisti di poltrone

Lanzalone (Acea) e Simioni (Atac), siedono anche nei cda di tante grandi aziende. Concorrenti incluse
Stefano Sansonetti - Mer, 30/08/2017 - 08:40

Roma - Si scagliano contro i manager pubblici pluripoltronati, ma li imbarcano a piene mani.


Tuonano contro i poteri forti, che però fanno rientrare dalla finestra. Denunciano i conflitti d'interesse, per poi ritrovarsi addosso le loro ombre.

Le contraddizioni a Cinque Stelle, soprattutto a Roma, si vanno arricchendo di dettagli inediti. Si prenda Paolo Simioni, piazzato dalla giunta di Virginia Raggi al capezzale dell'Atac, la disastrata azienda capitolina dei trasporti. Nelle ultime ore l'Anticorruzione, guidata da Raffaele Cantone, ha contestato l'attribuzione al manager della tripla carica di presidente, amministratore delegato e direttore generale. Ma fosse solo questo. Si dà infatti il caso, come emerge dagli archivi delle camere di commercio, che Simioni attualmente vanti anche altre poltrone. Per esempio siede nel consiglio di amministrazione della Icm-Maltauro, gruppo vicentino delle costruzioni da 300 milioni di ricavi, già beneficiario di appalti per l'Expo 2015. In più occupa un posto nel Cda della Sias, super concessionaria autostradale del gruppo Gavio che fattura qualcosa come un miliardo di euro l'anno. Curioso notare che si tratta proprio di una di quelle lobby, i concessionari autostradali, contro le quali da sempre i grillini si scagliano.

Chissà se in giunta qualcuno era a conoscenza di queste occupazioni quando il nome di Simioni è stato «calato» da un altro veneto e uomo forte dei Cinque Stelle capitolini, l'assessore alle partecipate Massimo Colomban. Ma il perimetro dei pluripoltronati non si ferma qui. C'è infatti un altro uomo forte, il cui nome al massimo viene sussurrato. Si tratta di Luca Alfredo Lanzalone, avvocato genovese, sistemato qualche tempo prima alla presidenza di Acea. Si dice sia lui il vero artefice dell'arrivo a Roma del nuovo assessore al bilancio, Gianni Lemmetti, il cui «scippo» sta facendo infuriare i grillini del comune di Livorno. Anche in questo caso dagli archivi delle camere di commercio viene fuori che Lanzalone occupa altre cinque poltrone, alcune delle quali in società che svolgono attività pericolosamente vicine a quelle della utility romana. Per esempio siede nel Cda della Sime Partecipazioni, società che controlla la Simecom, azienda che distribuisce energia elettrica e gas (ma non sono gli stessi settori di Acea?). In più ha un posto nel Cda della Società Impianti Metano, altra controllata della Sime Partecipazioni attiva nella distribuzione di metano. Ora, se proprio si dovesse avere pudore nell'evocare ombre di conflitto di interessi, di sicuro si potrebbe porre una questione di opportunità. Ma forse dalle parti della giunta Raggi hanno preferito non porsi troppe domande. E così Lanzalone oggi può completare il suo carnet vantando anche posti nei Cda di Breda Energia, della holding Futura 2004 e della Ims, società attiva nella trasformazione di acciai.

A completare il quadro c'è pure il super consulente Atac Carlo Felice Giampaolino, chiamato a dare una mano nell'opera di gestione della malandata azienda romana. Professore universitario di diritto commerciale, partner del super studio legale Clifford Chance, Giampaolino è incidentalmente figlio dell'ex presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino. Non si sa mai, devono essersi detti dalle parti dei Cinque Stelle.

Visco un governatore che non vigila ed è espressione del Sistema massonico mafioso politico che tiene prigioniero l'Italia

NOTIZIE
Le istituzioni fanno quadrato su via Nazionale

Le reazioni alla presunta indagine su Visco
01/09/2017 20:47 CEST | Aggiornato 14 ore fa
Bianca Di Giovanni

HANNIBAL HANSCHKE / REUTERS

Cautela, distacco, ridimensionamento. Banca d'Italia reagisce così alla notizia, pubblicata dal Fatto Quotidiano, di una presunta indagine della procura di Roma sul governatore Ignazio Visco, che secondo il giornale renderebbe non più tanto certa la sua riconferma al vertice dell'istituto. Due pagine di fuoco, che esplodono nei saloni semi deserti di fine estate in un momento cruciale: a due mesi dalla nomina del nuovo (?) governatore; a poche settimane dall'avvio della commissione parlamentare sulle banche, dopo le furenti polemiche sui salvataggi bancari e i costi addossati alla collettività; a pochi giorni dalla presentazione della legge di Stabilità, ultimo atto importante del governo Gentiloni. Bisogna avere l'abilità dei funamboli, e la calma felpata propria dei banchieri centrali, per uscire indenni da un cerchio di fuoco così.

Al piano nobile, dove si trova lo studio di Visco, non un commento, non una reazione. Alcuni membri del Direttorio sono ancora fuori Roma, in vacanza. Ma il silenzio non vuol dire indifferenza. Anzi. Si monitora la procura, si seguono da vicino i Palazzi. Si valuta il peso da dare a quelle notizie, e quello con cui controbattere. Alla fine la reazione arriva da fonti di palazzo Chigi: il presidente del consiglio conferma la sua incondizionata fiducia ai vertici di Bankitalia. Nessun collegamento tra l'esposto presentato in procura e le scelte del governo.

Due righe per chiarire, se ce ne fosse bisogno, che le istituzioni fanno quadrato attorno al governatore. Fermo restando che le eventuali inchieste faranno il loro corso. Si vedrà a tempo debito quello che c'è di concreto ("ricordate l'affaire della popolare di Spoleto, da cui Visco è uscito pulito dopo essersi visto contestare una serie di reati", osserva una fonte vicina a Bankitalia). Per ora, risulta soltanto un esposto. Anzi, una parte dell'inchiesta su quella vicenda (relativa al prezzo di cessione della Bim a Veneto Banca, sulla base di un memoriale dell'ex manager Pietro D'Aguì) è stata trasferita a Treviso. Così riferiscono rumors della procura romana. Sotto la lente degli inquirenti, poi, ci sarebbero le strutture interne, il capo della Vigilanza e un ispettore della banca. Non è detto – osservano fonti vicine a Via Nazionale – che la cosa riguardi direttamente il governatore.

A pesare, semmai, in questo caso, è la firma del legale che ha depositato l'esposto: l'avvocato Michele Gentiloni, cugino del premier. Da qui l'ipotesi di un coinvolgimento di Palazzo Chigi. Fatto sicuramente imbarazzante per la banca: rapporti di parentela che sconfinano nella politica. Nulla di irregolare, per carità. Ma fare due più due, passare dal legare per arrivare a Palazzo Chigi, ecco, questo forse non è andato giù ai compassati inquilini di Palazzo Koch.

Di qui discende poi tutta la partita per la successione che si chiuderà in novembre. Che Sergio Mattarella non voglia gettare anche Bankitalia nell'incertezza, in un Paese già dilaniato dalla campagna elettorale, è tesi nota da tempo. Di qui la convinzione che il presidente sia incline alla riconferma di Visco. Ma come è sempre stato nella storia di Palazzo Koch, spesso i giochi si scombinano nelle ultime ore. Per questo anche un esposto può far gioco, e far ruzzolare anche il candidato più forte. Resta comunque il fatto che il pallino è nelle mani del Quirinale (il decisore finale sul nome, tra una terna proposta dal presidente del consiglio, sentito il consiglio superiore della banca).

Sette anni fa fu Giorgio Napolitano a scegliere Visco, contro il volere di Silvio Berlusconi che "pendeva" per Lorenzo Bini-Smaghi e Giulio Tremonti che sponsorizzava Vittorio Grilli (con la Lega). A Napolitano bastò chiedere il parere del consiglio superiore della banca per ottenere il placet su Visco. Il quale anche stavolta ha dietro di sé l'istituto. Avrebbe poco senso, infatti, mandare via un governatore ancora giovane per un cambio interno (anche se già si fanno i nomi di Salvatore Rossi e Fabio Panetta). Se si vuole scegliere fuori, ogni possibile candidato ha i suoi contro. I banchieri "esportati" in Europa (Enria e Angeloni) potrebbero non ottenere il via libera di Via Nazionale, Lucrezia Reichlin ha l'handicap di venire da Unicredit, un gruppo vigilato. Quanto a Pier Carlo Padoan, avrebbe difficoltà a superare il veto della legge sul conflitto di interessi per chi proviene da incarichi governativi. Insomma, Visco sembra ancora in sella. Almeno per ora.

Le sinistre istituzionali sono diventate serve dei padroni e si fanno concorrenza tra loro per dimostrare chi è più servo, sono diventati autistici dimenticando il mondo reale


Posted: 01 Sep 2017 01:20 PM PDT


Non ci vuole molto a capire lo scopo del “reddito d’inclusione” appena varato dal governo Gentiloni. Gli italiani sono ormai “scafati”, infatti sui social circola questo semplice promemoria:

ad aprile 2014 viene approvato il Bonus degli 80 euro e – guarda caso – a maggio c’erano le elezioni europee;

a novembre 2016 arriva il Bonus Giovani di 500 euro e – per una strana coincidenza – il 4 dicembre successivo c’era il referendum costituzionale di Renzi;

oggi si vara il “reddito d’inclusione” che inizierà a gennaio 2018 e – curiosamente – a febbraio 2018 ci saranno le elezioni.

Insomma è campagna elettorale. Il Pd continua con la politica delle mance pre-elettorali, fatta però con i soldi dei cittadini. Paga sempre Pantalone.

Il lancio del “reddito d’inclusione” dovrebbe servire anche ad attutire l’indignazione degli italiani per l’annunciata legge sullo “Ius soli”, un’altra “sòla” voluta per mettere il cappello sui voti degli stranieri diventati cittadini italiani.

Questa almeno è la “percezione” degli italiani. Me lo ha fatto capire una lettrice, una brava signora che tira avanti con fatica dovendo mantenere la famiglia.

Mi scrive: “Sarebbe interessante far notare ai nostri contatori di bufale… che il reddito di inclusione, se venisse equiparato al costo giornaliero di un immigrato, dovrebbe essere di 1050 euro mensili. Sono 12.600 euro l’anno. A me farebbero comodo. Che dice? Italiani cittadini di serie B”.

La signora, che pure è una donna educata e anche colta, non sa trattenere l’indignazione: “il reddito di inclusione è una grandissima presa per il culo degli italiani… giusto le briciole per far passare lo ius sola ed evitare la guerra civile. Ma siamo già in piena guerra civile. Non se ne accorge nessuno?”.

In effetti – se ci si riflette – il ragionamento della signora è sensato.

Proviamo a mettere in fila alcune cifre partendo da quelle complessive: per il “reddito di inclusione”, di cui in realtà usufruirà solo un terzo delle famiglie che hanno un reddito inferiore alla soglia di povertà, è stanziato quest’anno 1 miliardo e 700 milioni di euro.

Mentre – secondo il Documento Programmatico di bilancio presentato nell’aprile scorso – il governo ritiene che nel 2017 le spese per il soccorso e l’accoglienza dei migranti possono salire fino 4,6 miliardi di euro, che sarebbe un miliardo in più rispetto a quanto si è speso nel 2016 (da “Il Sole 24 ore”, 17 aprile 2017).

Dunque – se la matematica non è un’opinione – il governo spende, per gli stranieri che accoglie e mantiene, quasi tre volte più di quanto spende per le famiglie italiane più povere.

E i soldi che lo Stato spende per i migranti vengono anche dalle tasse pagate dagli italiani più indigenti.

Il calcolo personale fatto dalla mia lettrice è plausibile: il costo del migrante è di 35 euro al giorno per un adulto, 45 euro per i minorenni che effettivamente fanno 1050 euro mensili per un adulto e 1350 per un minore (è il costo del mantenimento del migrante, non uno stipendio di 35 euro, anche se c’è compreso il cosiddetto “pocket money” per le sue spese quotidiane).

Mentre al povero italiano vanno 190 euro mensili, al massimo per 18 mesi. La differenza tra 1050 euro mensili e 190 euro mensili è alquanto vistosa ed è difficile che la gente non se ne accorga. E’ chiaro che se c’è una discriminazione è contro gli italiani.

Va pure detto che in realtà i costi complessivi dell’emigrazione, per l’Italia, non sono neanche quantificabili completamente, perché si dovrebbero considerare molti altri aspetti, ma resta il fatto che le spese per i migranti dello Stato italiano sono molto alte, assai di più di quanto spenda per il cosiddetto “reddito di inclusione” dei nostri indigenti.

Dunque gli italiani sono davvero cittadini di serie B in casa loro. Le menti illuminate della Sinistra dicono che è aberrante mettere in contrapposizione i poveri (cioè gli italiani poveri con i poveri migranti) e aggiungono – assurdamente – che così si fomenta il razzismo.

Ma la concorrenza è nei fatti perché la coperta è sempre quella: se la si tira da una parte si scopre quell’altra.

Lo fa capire efficacemente Milena Gabanelli che non è certo una leghista: “Le anime belle parlano di frontiere aperte, ignorando che la frontiera aperta significa fine del sistema del welfare. E’ questo che vogliamo?”.

La Sinistra si rifiuta sempre di fare i conti con la realtà. Preferisce vivere nel mondo dell’ideologia, che fa rima con ipocrisia e con demagogia.

In quel mondo si fa beneficienza con i soldi degli altri e per sentirsi buoni e illuminati si predica accoglienza, ma si spediscono i migranti nella “disperata periferia romana” del Tiburtino III e non a Capalbio o al quartiere Prati (trattando poi da xenofoba o razzista la “plebe” dei quartieri popolari che deve convivere con situazioni pesantissime).

Va anche detto che l’assistenzialismo del “reddito d’inclusione” (peraltro esiguo) non risolve la povertà.

Lo Stato deve affrontarla anzitutto facilitando chi crea lavoro e ricchezza.

Si devono fare scelte di politica economica che sostengano il nostro sistema produttivo cosicché si abbia la possibilità di mantenersi col proprio lavoro, che è anche la cosa che ciascuno dignitosamente chiede (e che, peraltro, sta scritta nell’articolo 1 della Costituzione).

Ma più del crollo del reddito degli italiani, il Pd si preoccupa del crollo dei suoi voti.

Moneta Complementare - Ben venga la discussione sul modo di introdurla per avere il Piano B quando l'Euro imploderà nonostante gli euroimbecilli sparsi in Europa e in Italia

Puntare sui Minibot non è un motivo per non introdurre i CCF


Marco Cattaneo
Trend Online1 settembre 2017



Si continua a parlare delle varie ipotesi di strumenti finanziari a valenza fiscale, dopo che la replica di Berlusconi all’articolo di Paolo Becchi e Fabio Dragoni ha riacceso i riflettori sull’argomento.

Dico “riacceso” perché a fine marzo scorso il M5S aveva reso noto il suo interesse verso ipotesi di Moneta Fiscale. Per cui, va ricordato, schieramenti politici che rappresentano complessivamente il 60% circa dell’elettorato (stando ai sondaggi) stanno ragionando su idee che hanno una matrice comune, anche se declinata in forme parzialmente differenti.

Tra le varie soluzioni sul tavolo, i Minibot proposti dal responsabile economico della Lega, Claudio Borghi si distinguono in quanto sono esplicitamente presentate non come una soluzione alle disfunzioni dell’Eurosistema, ma come una transizione verso il suo scioglimento.

In quest’ottica, non è un problema prioritario il fatto che i Minibot non creino una grossa iniezione di potere d’acquisto supplementare. Al contrario dei CCF (diritti a sconti fiscali che nascono al momento dell’emissione del titolo) i Minibot danno infatti forma cartacea a crediti verso l’erario già esistenti.

Il vantaggio per chi riceve il Minibot è sostituire uno strumento illiquido con uno liquido, utilizzabile immediatamente per effettuare compensazioni d’imposta, e trasformare quindi potere d’acquisto differito in capacità di spesa immediata (nella misura in cui i Minibot circolano e sono accettati).

Però non si verifica un arricchimento reddituale e patrimoniale in capo al ricevente. Certo, il vantaggio della maggiore liquidità non è da trascurare, ma l’impatto sulla spesa sarà con ogni probabilità inferiore (a parità di emissioni) a quello ottenibile distribuendo CCF.

Come accennato sopra, questo non è un problema se i Minibot rappresentano un ponte verso lo scioglimento della moneta unica e la fine dell’euroausterità.

Tutto questo mi spinge però a formulare tre riflessioni, o se vogliamo a porre tre domande.

La prima: se l’introduzione dei Minibot è un passo preliminare all’avvio di un negoziato in sede Eurozona per arrivare allo scioglimento consensuale, in che misura la loro esistenza rafforza il potere contrattuale dell’Italia?

Certo, se si arriva all’impasse, o peggio ancora ad azioni intimidatorie (a cui personalmente non credo) meglio avere in circolazione un embrione di moneta nazionale, che la popolazione sta già utilizzando, che viceversa. Ma cambia drasticamente la situazione ? le complessità dell’euro-breakup non sono riconducibili solo, e neanche prevalentemente, al problema di emettere una nuova moneta cartacea.

Teniamo anche conto che in sede UE la risposta potrebbe semplicemente essere di questo tipo: bene, hai introdotto i Minibot, nessuno te lo impediva, non è debito aggiuntivo. Non ci compete obiettare nulla. Ma sciogliere consensualmente l’euro ? ovviamente no, non se ne parla.

La seconda: esiste una maggioranza politica per andare a proporre lo scioglimento dell’Eurozona ? sembra di no, Forza Italia non è su questa linea, il M5S appare aver preso atto che il referendum è impraticabile e ragiona sulla Moneta Fiscale in affiancamento all’euro. La Lega è cresciuta, e rispetto ai sondaggi attuali è possibilissimo che vada anche meglio alle elezioni: ma al 51% non arriva.

La terza: in ogni caso, se si avvia un negoziato per concordare lo scioglimento, i tempi sono lunghi (un anno mi appare una stima già fortemente ottimistica) e l’esito molto incerto. Nel (Londra: 0E4Q.L - notizie) frattempo, come si riavviano domanda, produzione e occupazione?

Alla luce di quanto sopra, una strada che ritengo vada seriamente esaminata è introdurre CCF e Minibot insieme.

Il fatto che i Minibot siano in circolazione tra l’altro potrebbe agevolare l’accettazione e la valutazione di mercato dei CCF, di cui si propone l’emissione sotto forma di titoli utilizzabili come sconto fiscale due anni dopo l’introduzione (per non creare squilibri di finanza pubblica prima che l’azione espansiva sulla domanda abbia adeguatamente avuto effetto).

I CCF sarebbero in pratica l’equivalente di un CTZ a due anni che, invece di essere rimborsato in euro a scadenza, si trasforma in un Minibot. L’abitudine ad utilizzare i Minibot consoliderebbe quindi anche l’accettazione dei CCF.

Su un progetto di questo genere esiste, a quanto pare, un consenso ampiamente maggioritario tra gli schieramenti politici italiani, “pesati” sulla base degli attuali sondaggi: sia che lo si veda come un punto di arrivo, che come un passo intermedio per qualcos’altro.

2 settembre 2017 - Mario Albanesi: Le balle della CNN

Amerigo Vespucci - una nostra eccellenza

LE ISOLE AZZORRE SALUTANO IL RITORNO DI NAVE SCUOLA AMERIGO VESPUCCI DOPO 25 ANNI


(di Marina Militare)
31/08/17 

Lunedì 28 agosto la nave scuola Amerigo Vespucciha concluso la 9^ tappa della Campagna d'Istruzione 2017 a Ponta Delgada, nelle Isole Azzorre, dopo avere percorso circa 2300 miglia in ben 24 giorni di navigazione oceanica quasi esclusivamente a vela.

Una sosta, quella sull'isola di San Miguel - soprannominata "Isola Verde" per via della natura incontaminata e rigogliosa – che ha rappresentato un importante ritorno della "nave più bella del Mondo" in questo arcipelago portoghese di origine vulcanica, dopo 25 anni di assenza.

Ponta Delgada è la cittadina più grande dell'arcipelago delle Isole Azzorre, reso celebre per i litorali ed il mare ma anche per i vulcani e le piscine termali.

Una perla immersa nell'Oceano Atlantico, che ha stupito e affascinato l'equipaggio e gli allievi dell'Accademia Navale di Livorno, che ne hanno potuto apprezzare l'architettura tipicamente coloniale e la bellezza della natura rimasta incontaminata, con terrazzamenti verdeggianti da cui è possibile scorgere piante ed arbusti variegati.

Durante la seppur breve sosta in porto, oltre 2400 visitatori – molti dei quali italiani – hanno potuto visitare il Vespucci mentre domenica 27 agosto, la piccola comunità italiana residente nell'isola ha preso parte alla Santa Messa celebrata sul Cassero della nave.

Le Isole Azzorre rappresentano quindi il rientro nell'"area europea" del Vespucci, che ha definitivamente concluso l'avventura nel Continente americano lo scorso 31 luglio, dopo la storica sosta a New York.

La prossima sosta a Cadice dal 5 al 8 settembre vedrà approdare finalmente il veliero della Marina Militare nel Continente europeo, prima di fare nuovamente ingresso nel Mare Mediterraneo avviandosi alle ultime tappe della Campagna d'Istruzione 2017.

Mare Nostrum Allargato - dobbiamo incrementare e sviluppare la già eccellenza Marina Militare

SE VUOI LA PACE... NON GUARDARE SOLO LA LIBIA!


(di Giuseppe De Giorgi)
29/08/17 

In questi giorni la nostra attenzione è giustamente concentrata sulla Libia e sul tema del blocco dell’immigrazione. Sarebbe tuttavia un grave errore immaginare di confinare l’area d’interesse nazionale al solo Mediterraneo, anzi al solo Mediterraneo centrale come di recente vorrebbero alcuni.

La globalizzazione dell’economia ha accentuato l’interdipendenza di Paesi geograficamente lontani, ma coinvolti nella stessa catena produttore-consumatore, il cui elemento di continuità è rappresentato dal mare e dal flusso globale di merci/risorse energetiche che lo attraversano. Oggi il 90% dei beni e delle materie prime transita lungo le linee di comunicazione marittime e il 75% di questo flusso scorre attraverso pochi vulnerabili passaggi obbligati (c.d. choke points), costituiti dai canali e dagli stretti internazionali.

In Oceano indiano, in cui transita in termini di tonnellaggio la maggioranza delle merci mondiali, il 65% del petrolio e il 35% del gas, l’ENI sviluppa importanti e promettenti attività estrattive, fra cui, di particolare interesse rivestono gli immensi giacimenti di gas al largo del Monzambico.

Gli accessi all’Oceano Indiano e le relative linee di comunicazioni, sono controllati da 7 dei 9 più importanti passaggi obbligati del Pianeta (Stretto di Hormuz, Canale di Suez, Babel Mandeb, Capo di Buona Speranza, Stretto di Malacca, Stretto della Sonda, Stretto di Lombok)

Per quanto riguarda l’Italia, Suez, Babel Mandeb e Hormuz assumono naturalmente valenza primaria.

Per Hormuz transita tutto il traffico marittimo dei Paesi del Golfo; è senz’altro il più importante passaggio per gli idrocarburi a livello mondiale (ca 20 Mil. di barili al giorno, pari ad approssimativamente il 20% degli idrocarburi trasportati via mare nel Mondo). A differenza degli altri stretti, non è aggirabile. Una volta chiuso l’accesso via mare, il Golfo Arabico-Persico sarebbe isolato. Hormuz e in realtà tutto il bacino del Golfo Persico è facilmente minabile, cosa già accaduta ai tempi del conflitto Iran-Iraq.


Il Canale di Suez è la porta d’accesso orientale al nostro mare, insieme a Babel Mandeb, è senz’altro il passaggio obbligato più importante per l’Italia. L’eventuale chiusura del canale comporterebbe un allungamento della rotta verso l’Europa di circa 6.000 miglia nautiche. Largo non più di 300 metri, è anch’esso facilmente minabile, anche da entità non statuali (evento già successo nel 1984), ed è sotto il controllo totale di una sola nazione, l’Egitto. Di qui fra l’altro l’importanza strategica della Somalia, dello Yemen e dell’Oman per la sicurezza degli accessi al Mar Rosso/Mediterraneo per gli interessi italiani.

I passaggi obbligati sono soggetti a varie minacce come la pirateria, il terrorismo marittimo sinistri di grandi proporzioni, instabilità politica degli stati rivieraschi. La loro chiusura, ipotesi spesso scartata come mero esercizio militare, (oltre ad essersi già verificata in passato) trova, se ce ne fosse bisogno, nuova credibilità, per la sempre maggiore pericolosità di attori non statuali e la crescente diffusione di armi più potenti e sofisticate, un tempo prerogativa esclusiva di un ristretto numero di Nazioni.

In particolare l’eventuale chiusura degli accessi orientali al Mediterraneo trasformerebbe la configurazione del commercio mondiale a danno dell’Italia che risulterebbe penalizzata dallo spostamento dei traffici dalle rotte per Suez a quelle che circumnavigano l’Africa, con il conseguente punto di imbarco e sbarco delle merci nei porti nordeuropei anziché negli storici porti mediterranei italiani. Come accadde dopo la scoperta dell’America, sino all’apertura di Suez il Mediterraneo sarebbe marginalizzato sotto ogni punto di vista. La nostra economia ne risentirebbe pesantemente.

La volatilità politica dell’area è evidente; ne consegue che la gran parte delle Nazioni facenti parte del G8 mantengano pressoché costantemente nell’area forze navali, supportate in alcuni casi da basi permanenti. Anche la Marina iraniana è attiva al di fuori di Hormuz, sia in missioni di antipirateria sia in chiave di sorveglianza marittima oltre che in ottica di contenimento israeliano. Fra le nazioni Europee, la Francia mantiene una presenza navale di maggior profilo, inviando ogni anno per 5 mesi un Gruppo navale centrato sulla portaerei Charles De Gaulle (foto apertura) e da un sommergibile nucleare, per citare solo gli assetti più significativi.

Di recente anche la Turchia si è affacciata nell’area, con importanti operazioni di “soft power” nei confronti della Somalia, costruendo un aeroporto internazionale a Mogadiscio e proponendosi come aiuto nella ricostituzione delle forze armate somale. La Germania ha avviato contatti preliminari per muoversi autonomamente nell’avviare cooperazioni con la Somalia e con i paesi dell’Africa orientale, nell’ambito di un’iniziativa parallela a quella proposta dal Governo italiano in un framework europeo, con il “migration compact”, volto a stabilizzare anche con investimenti, oltre che con iniziative mirate alla sicurezza, i Paesi origine della maggior parte dell’emigrazione africana.


La Cina ha da alcuni anni dato vita a un intelligente esercizio di “soft-power”, diretto in particolare verso i Paesi della costa dell’Africa orientale e sud orientale, ma che nei piani di Pechino si spingerà fino a interessare il Mediterraneo. È già in atto il coinvolgimento della Grecia nel progetto della nuova via marittima della seta, per trasformare il Pireo nel suo punto d’arrivo, come snodo per la successiva distribuzione, via terra e via mare, in concorrenza con Trieste e Venezia. È evidente come l’Italia non possa disinteressarsi dell’Oceano Indiano. Lo confermano, se ce ne fosse bisogno, le missioni condotte dalla Marina Militare (8 missioni principali di lunga durata con significativo impiego di mezzi, incluse dislocazioni di portaerei e impiego dell’aviazione tattica imbarcata, senza contare le attività di presenza navale di unità isolate) dal 1979 ad oggi.

Piaccia o no, il Mediterraneo è oggi, ancora più che in passato, un continuum geo-strategico e soprattutto geo-economico con il Mar Nero, l’Oceano Indiano e il Golfo Arabico-Persico. Quell’entità geo-politica e geo-economica che a partire dagli anni 90 è stata identificata con il termine Mediterraneo allargato, per indicare l’area di diretto interesse nazionale, a superamento del concetto guida della Difesa italiana degli anni 50 e 60 , centrato sul binomio “sbarramento della soglia di Gorizia e interdizione del Mediterraneo centrale”.

In tal senso peraltro si sta muovendo la politica estera italiana, come dimostrato dall’intensificazione dei rapporti ai massimi livelli con i Paesi del Golfo, dell’oceano Indiano e verso l’Asia. L’apertura verso l’Iran, il lancio dell’iniziativa del cd. “migration compact”, sono importanti tasselli della ripresa dell’iniziativa italiana per assumere maggiore rilevanza nella regione.

È quindi tempo di allineare la “visione” della Difesa a quella della politica estera nazionale. L’attuale disconnessione è a mio parere uno dei problemi che andrà necessariamente risolto per acquisire tempestività e resilienza nella nostra azione, verso i Paesi con cui vogliamo far crescere in ampiezza e profondità i rapporti politici, commerciali e di sicurezza.

Dobbiamo rivedere la pianificazione militare e procedere senza ulteriori indugi alla conseguente riconfigurazione del nostro strumento militare e del suo impiego, anche e soprattutto per le operazioni militari in tempo di pace.

(foto: Marine nationale / U.S. Navy / ENI)

venerdì 1 settembre 2017

5 novembre - elezioni siciliane - il prodromo dell'Alternativa

Regionali, il filosofo Fusaro incontra Busalacchi: "La Sicilia riscopra la sua sovranità culturale"

Regionali, il filosofo Fusaro incontra Busalacchi: "La Sicilia riscopra la sua sovranità culturale"

Fusaro sta promuovendo in giro per l'Isola il progetto politico del movimento autonomista e sovranista. Il candidato governatore di "Noi Siciliani": "E' l'uomo giusto per guidare l'assessorato alla Cultura"

Redazione 31 agosto 2017 15:19


Da destra Lillo Massimiliano Musso, Diego Fusaro e Franco Busalacchi

"Ripartire dalle radici culturali della Sicilia che risalgono alla Magna Grecia e quindi dalla sua sovranità culturale. Liberando così l’Isola dall’esterofilia convulsiva e rimettendola al centro". Questa l’idea di Diego Fusaro, giovane filosofo e conoscitore della questione meridionale, indicato come assessore regionale alla Cultura da Franco Busalacchi, leader e candidato alla presidenza della Regione siciliana del movimento "Noi siciliani con Busalacchi - Sicilia libera e sovrana".

Fusaro ha incontrato stamattina Franco Busalacchi a Palermo, nella sede del movimento, per fare il punto sulla campagna elettorale. "Fusaro è l’uomo giusto per guidare l’assessorato regionale alla Cultura - sostiene Busalacchi - perché conosce perfettamente la questione meridionale ed è quindi pienamente consapevole di quali sono i problemi dell’Isola, la loro radice storica e soprattutto le soluzioni".

Da ieri in giro per la Sicilia, il filosofo torinese è accompagnato da Lillo Massimiliano Musso, leader di Forza del Popolo e vicepresidente della Regione designato da "Noi siciliani con Busalacchi". Un piccolo tour per far conoscere, attraverso il giovane filosofo, il progetto politico del movimento autonomista e sovranista in corsa alla prossime elezioni regionali del 5 novembre. "Noi siamo alternativi a tutti gli schieramenti politici presenti in Sicilia - spiega Musso - e abbiamo posizioni chiare su tutti i temi attuali. Siamo dalla parte del popolo e quindi siamo per l’acqua e la sanità pubbliche, per il sostegno al reddito e alle imprese. Siamo una forza del popolo".

Nicola Gratteri - la forza della cultura può combattere le mafie

Gratteri: «Contro l’immigrazione clandestina servono i servizi segreti» 

Il procuratore di Catanzaro ha trattato il tema nel corso di un incontro svoltosi a Nicotera nella stessa piazza dell’atterraggio dell’elicottero nuziale. Idee chiare su legalizzazione delle droghe leggere e commistioni tra politica e malaffare

di Redazione 
giovedì 31 agosto 2017 
17:35


«Un popolo civile, democratico che ha la presunzione di essere guida morale ed etica non può pensare di risolvere il problema dell’immigrazione facendo costruire delle gabbie. Le mafie sono presenti anche qui perché c'è da gestire soldi. Sono interessate ai latifondi che comprano e fanno coltivare da operai in nero o sottopagati come gli extracomunitari di Rosarno. Noi potremmo far finire questi viaggi, per i quali un terzo muore in mare e un terzo nel deserto, ma termineranno solo quando finirà la gente in Centro Africa. È necessario andare lì con i servizi segreti e capire chi organizza questi viaggi e costruire lì aziende agricole, scuole e uffici».

A dirlo è stato il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, intervistato, a Nicotera, da Alberto Romagnoli, corrispondente Rai da Bruxelles sul suo ultimo libro "L'inganno della mafia" scritto insieme ad Antonio Nicaso. All'incontro, promosso dal gruppo "Dopo le 22,00" hanno partecipato, fra gli altri, il prefetto di Vibo Valentia Guido Nicolò Longo, il questore Filippo Bonfiglio, il comandante provinciale dei carabinieri Gianfilippo Magro, il commissario straordinario del Comune di Nicotera Nicola Auricchio e il deputato Dalila Nesci

Il magistrato ha inoltre affrontato la questione della legalizzazione delle droghe leggere. «Si sta discutendo in Parlamento sulla legalizzazione delle droghe leggere. Importanti magistrati sono per la legalizzazione, io “pubblico ministero di campagna” non sono d'accordo. Ritengo di poter dire la mia - ha aggiunto - perché da 30 anni contrasto la mafia che introduce l'80 per cento di droga in Italia. Gente sopra le nostre teste che non sa nulla di droga parla di legalizzazione. Non accetto questi slogan che pompati mediaticamente diventano credibili e questo è un guaio. Se noi legalizziamo la marijuana, che ha un principio attivo molto forte che sballa, secondo questi magistrati, le forze dell'ordine potranno dedicarsi ad altro. Però un'organizzazione criminale, se viene legalizzata una parte di droga, venderà l'altra, quella pesante. La cocaina si produce in Colombia, Bolivia e Perù dove è vietata la vendita ed è, per questo, controllata dai narcotrafficanti. Quindi l'Italia dovrebbe comprarla da loro. Scandalizza - ha concluso Gratteri - che lo Stato venda qualcosa che rende dipendenza e fa male. Stiamo attenti perché se bevo vino posso smettere prima di ubriacarmi, ma se mi faccio una canna sballo subito».

Infine la ramificazione delle mafie in Europa. «L'Italia ha a disposizione la migliore polizia d'Europa anche perché noi siamo preparati per contrastare le mafie più pericolose al mondo. Anche dopo la strage di Duisburg, l'Europa ancora nega la presenza della mafia nel continente. Invece, le mafie vendono cocaina e acquistano di tutto, alberghi, ristoranti, pizzerie. Il pericolo - ha aggiunto ancora Gratteri - è quello che se riescono ad acquistare anche i media potrebbero riuscire a banalizzare i comportamenti di correttezza, lavorando ai fianchi le basi della morale e dell'etica».

L'unica arma contro la mafia, per Gratteri è la cultura. «Grazie alla cultura nessuno si fa prendere in giro dal mafioso di turno. Un popolo istruito si ribella e reagisce». Quindi si è soffermato sulla necessità di informatizzare gli uffici giudiziari. «Negli armadi dei Tribunali - ha spiegato in conclusione il procuratore Gratteri - sono fermi migliaia di fascicoli. E' necessario creare un sistema informatizzato come a Catanzaro, dove sono presenti i vertici delle forze dell'ordine tra i migliori d'Italia»

PTV News 01.09.17 - Washington: Russofobia sotto forma di breakdance

Pierluigi Fagan - il neo colonialismo francese

6 h · 

AD ESSER FRANCHI. Vediamo un po’ il caso francese. Abbiamo un paese che è la 6° economia del mondo, 25° per pil pro capite (Italia 32°). Stanno abbastanza bene i transalpini, no? No. 

Per debito aggregato, debito pubblico, delle aziende, della banche, delle famiglie, i franchi sono il primo in Europa (http://www.ilsole24ore.com/…/italia-no-e-francia-paese-piu-…). Vivono con un rapporto di quattro volte il debito sul Pil, 9000 mld. L’assurdo è che noi siamo a 3,5, quindi sotto, solo che noi siamo finto-comunitari per cui scarichiamo gran parte del debito sullo Stato ma lo Stato è anche “in teoria” solvibile perché insomma, alle brutte, qualcosina di valore ce l’abbiamo per onorare il debito. Aziende, banche e famiglie invece, sono difficilmente solvibili per cui non solo l’aggregato francese è più alto ma composto in maniera (per prestatori interni ed esteri) più “rischioso”. Siamo in un “post” per cui andiamo per vie brevi.

Accostiamo allora questa situazione macro a questo articolo (http://contropiano.org/…/due-cose-sul-franco-cfa-sulleuro-l…). Scopriamo che la Francia ha una potestà valutaria su 14 nazioni afro-occidentali che contano 137 milioni di persone. Ma se poi consideriamo anche questo articolo (http://www.africanews.it/14-paesi-africani-costretti-a-pag…/) scopriamo che la faccenda valutaria è solo il vertice di una gabbia d’acciaio con cui la Francia continua a tenere in controllo semi-coloniale, queste sue ex-colonie. Si leggano tutti gli undici punti che qualificano questo dominio per capire quanto esso sia profondo ed esclusivo. Si potrebbero poi aggiungere rapporti di dipendenza o di favore esclusivo anche considerando alcuni stati del Maghreb ed altre cosine sparse per il globo. 

J.W.Moore, docente americano di economia e membro del F. Braudel Center di NY, nel suo recente “Antropocene o Capitalocene” (Ombre corte, 2017), sottolinea la tesi sostenuta dai sistemici dell’economia mondo ovvero che il sistema economico detto capitalismo è una macchina che ha entrate ed uscite. Non si capisce affatto come funziona questa macchina se non la si considera con le aree di entrata ed uscita. L’area d’entrata è data da “quattro fattori a buon mercato”. E’ chiaro che se avete esclusive coattive su forza lavoro, cibo, energia e materie prime che non pagate ai prezzi di mercato ma di favore e se avete esclusive per poter piazzare vostre merci e servizi (e scaricare mondezza e scorie), il vostro capitalismo va alla grande. Quindi il capitalismo francese, va analizzato con un’area che è il doppio della Francia, da cui si traggono fattori a buon mercato e piazzano merci e servizi in via privilegiata e non certo vincendo la battaglia della libera concorrenza. Chapeau! Va bene, queste son cose note si dirà. 

Allora consideriamo un altro fattore. Prendiamo Alain Badiou, Etienne Balibar, Jacques Ranciere, Jan Luc Nancy, Jacques Sapir et similia. Chi sono? Sono l’aristocrazia dell’intelligencija marxista, anticapitalista, foucultiani o deleuziani, lacaniani ed altro, tutti viventi e ben inseriti nei sistemi didattici ed intellettuali di un Paese che non sembra esagerato dire,è fortemente dipendente da un controllo cripto-colonialista vergognoso. Questa gente è usa scrivere deliziosi libricini, per lo più incomprensibili, che esplorano l’eterno sogno della liberazione umana, della giustizia sociale, del sol dell’avvenir. Posso sbagliare, ma non mi risulta (attendo dai lettori e lettrici documentazione di segno contrario) che cotanta concentrazione di intelligenza etica abbia mai denunciato il bubbone che hanno in casa. Uno si aspetterebbe che prima di raccontare la rava e la fava sull’universo mondo, gente con tale tensione etica, avrebbe quantomeno dovuto volger lo sguardo in casa e notare che l’oikonoms (da cui deriva “economia” ma che originariamente significava proprio “regime -ordine, legge, funzionamento- della casa”) in cui loro stessi vivono, puzza ancora di schiavismo sebbene 3.0. 

Era solo per dire che come altrove detto c’è una filosofia politica che ci manca ma il peggio è quella che abbiamo. Non quella dominante delle classi dominanti che è scontato sia conforme al dominio ma quella che dovrebbe trovare l’alternativa. Questa filosofia politica alternativa, è coltivata da gente del genere, gente embedded ad un sistema che paga loro la “critica di corte” affinché non si sviluppi una critica veramente alternativa. Lo diciamo non per fare i Ritals della filosofia politica (anche perché non è che quella italiana "svetti") ma per segnalare che le forme di certo pensiero a cui dovremmo attingere per trovare il sistema per mettere in piedi un contropotere, sono deformate e quindi non solide strutturalmente, inservibili. Ad esser franchi, un gran bel “grip pour le cul” che essendo parte dell’organico, chissà se rientra pur sempre nel complesso concetto della biopolitica ... 

[Singoli e distratti articoli in cui questi signori accennano una auto-critica al regime nazional-coloniale non basteranno a riequilibrare il giudizio. In mancanza di una Manifesto pubblicamente sottoscritto, azione politica incisiva, libri argomentati e reiterati, una vera e proprio mobilitazione dello sdegno, questi signori vanno considerati falsi coscienziosi e con loro tutto il sistema planetario degli Zizek, Negri, Agamben et varia che gli ruota attorno]


18 luglio 2017 - MEZZI DI PAGAMENTO NAZIONALI, USCITA DALL'EURO, CETA. INTERVISTA A ANTON...

30 luglio 2017 - Moneta Complementare Comune di Modica Conf. n. 3

19 agosto 2017 - Nino Galloni: "Ecco dove trovare i soldi per lo sviluppo della Sicilia"

23 agosto 2017 - NINO GALLONI DA ASCOLTARE

1 settembre 2017 - Fabio Dragoni RPL Meccanismo MiniBot

30 agosto 2017 - TV e stampa mentono sugli SGOMBERI di Roma. Colpa della Raggi?

31 agosto 2017 - Così l'Iran ha sconfitto gli Usa

3 novembre 2010 - Gli ultimi giorni di Tolstoj - 1/11/1910

1 settembre 2017 - Roberto Germano: Inquinamento elettromagnetico (bassa frequenza)

31 agosto 2017 - Grandes Ejercicios militares alrededor de Venezuela

Implosione dell'Euro - costruiamo il piano B

USCIRE DALLA MONETA UNICA

Dragoni: "Con l'euro l'Italia finirà come la Ddr, ecco come possiamo salvarci"

31 Agosto 2017


L'Italia con l'euro finirà come la Ddr con il marco dopo la riunificazione tra Germania dell'Est e dell'Ovest: rovinata. Lo ripete da tempo l'imprenditore ed editorialista Fabio Dragoni, tra i più attivi anti-euro d'Italia, che in un intervista a Italia Oggi spiega perché la moneta unica ci sta condannando alla morte e come possiamo uscirne ancora sani e salvi. 

"Quando uno Stato si disfa della moneta e non può più usarla come leva, magari per svalutarla, finisce di svalutare sé stesso e il proprio lavoro - spiega Dragoni -, chiudendo imprese e delocalizzandone la produzione". Sta succedendo questo, da anni, in Italia, ed è già successo in Germania dell'Est dopo il 1990. "Con la caduta del Muro, ai tedeschi orientali fu proposta una parità uno a uno, fra marco occidentale ed ex comunista. All'inizio fu una pacchia, una rivalutazione del 400% del marco comunista. Poi si accorsero che la loro economia non poteva reggere quella parità folle: non si poteva produrre più con quei salari, acquistando le materie prime. Fu una desertificazione industriale, come sta accadendo in Italia. L'economia della ex Ddr finì fuori mercato. E quasi un milione di tedeschi orientali emigrarono. Ma emigrare parlando la stessa lingua, è facile. Lei ce lo vede un dentista greco andare a lavorare a Riga?". E anche oggi, che le cose in Germania vanno benissimo, i territori della ex Ddr restano l'area depressa del Paese di Angela Merkel.

Per Dragoni c'è solo una via d'uscita. Non la doppia moneta prospettata da Silvio Berlusconi ("Stampare una moneta nazionale da affiancare all'euro oggi non si può, viola i trattati europei da noi sottoscritti"), ma mini-Bot che permettano all'Italia una transizione morbida prima di uscire definitivamente dall'euro. L'idea, spiega l'imprenditore laureato alla Bocconi (con Mario Monti), nasce da una proposta di Claudio Borghi, economista ed europarlamentare della Lega Nord: "Tornare al regime in cui c'erano, in tutta Europa, valute nazionali, e una moneta comunitaria comune, per gli scambi, ossia l'ecu, con meccanismi di imbrigliamento delle oscillazioni dei cambi". In Italia la si potrebbe declinare così: "Buoni del Tesoro dello stesso taglio delle banconote euro, con cui lo Stato dovrebbe pagare i proprio crediti verso le imprese, grossomodo 70 miliardi, crediti Irpef, Iva ecc. Titoli irredimibili, dei quali cioè non può essere chiesta l'estinzione, ossia il pagamento, e senza interessi". I creditori potrebbero poi spendere questi mini-Bot "pagandoci le imposte future, i contributi pensionistici o di lavoro e la benzina. Presto diventeranno una moneta di scambio", un po' come accadeva con i vecchi gettoni del telefono utilizzati anche per pagare i gelati. Secondo Dragoni questo utilizzo collaterale dei mini-Bot non confligge con i trattati Ue "e potrebbe, in qualsiasi momento, sostituire la moneta comunitaria". "Secondo molti esperti - conclude - per sostituire una moneta, fra emissione e distribuzione, ci vogliono fra sei e nove mesi. Quando ce ne fosse l'opportunità, saremmo pronti".

2017 crisi economica - e la bomba dei derivati sta lì guatata e aspetta il momento opportuno per affondare i suoi denti al collo di un'economia che toglie ai poveri e continua a dare imperterrita ai ricchi

SCENARIO/ Le due profezie che affondano l'Italia nel 2018

Da Jackson Hole al "ritorno" di Keynes. La sensazione è che si sia arrivati a diverse rese dei conti contemporaneamente, tutte finora rinviate. E l'Italia? GIANLUIGI DA ROLD

31 AGOSTO 2017 GIANLUIGI DA ROLD

Mario Draghi (Lapresse)

La sensazione è che si sia arrivati a una sorta di resa dei conti. Forse, contemporaneamente, a diverse rese dei conti, che sono lentamente maturate in questi anni di "vacanza" della politica e con i problemi che si accumulavano implacabilmente.

Esiste una grande questione geopolitica e un equilibrio mondiale che va ricercato tra focolai di guerra, una balcanizzazione allargata che va dal Medio Oriente alla vecchia Mesopotamia, con fasi di terrorismo ormai endemico che si rifanno alla confusa situazione che vive proprio il mondo mediorientale anche per i suoi rapporti passati con l'occidente e all'interno dell'islam.

Il tutto è accompagnato dall'avventurismo del coreano Kim Jong-un, che rivela un'instabilità anche nell'Estremo Oriente e ripresenta i conti con la pace, mai fatta, tra Corea del Sud e del Nord, dopo la guerra dei primi anni Cinquanta del Novecento, che si è fermata con il più lungo armistizio della storia, non con una pace. 

E' di fatto un'eredità della politica di contenimento militare degli Stati Uniti con il mondo comunista in quell'angolo del mondo.

Sullo sfondo infine, c'è la grande questione dei migranti, a cui si possono mettere anche delle "toppe", ma che richiede una gestione razionale, non ideologica e di civiltà, da assumere con chiarezza non solo a livello italiano, ma sopratutto a livello europeo. E i momentanei cambiamenti di rotta delle migrazioni non devono illudere.

L'occidente, la democrazia occidentale, da una parte e dall'altra dell'Atlantico, affronta questo periodo di grande assestamento con una grande incertezza che è legata al suo sistema economico, finanziario e produttivo, non ancora uscito da una crisi devastante, quella del 2007, che alcuni buontemponi e ottimisti spensierati pensavano di poter risolvere in pochi mesi e con qualche riforma e che hanno in parte sottovalutato. 

La crisi ha seminato disordine tra le vecchie classi sociali, impoverendone alcune, mettendone in stato di grande incertezza altre e creando soprattutto un'instabilità di fondo che l'occidente non conosceva più da tantissimi anni. Oggi non si assiste solo a una grande disparità sociale in occidente, ma anche a una divisione profonda tra le classi sociali e tra i cittadini e le istituzioni. 

Non si può escludere che il grande disordine mondiale sia legato anche all'intraprendenza che l'altro mondo vuole usare per indebolire il vecchio modello della democrazia occidentale e di un sistema che aveva garantito diritti e welfare da almeno 70 anni a questa parte. 

Naturalmente il confronto non è così netto e schematico, ma non c'è dubbio che un occidente e una democrazia occidentale in sofferenza offrano il fianco a incursioni di ogni tipo, sia di investimenti economico-strategici che vengono da molto lontano e anche di nuove culture politico-sociali, meno attente ai diritti democratici lungamente acquisiti e raggiunti dopo secoli di lotte sociali.

Di fronte alle stime e ai dati che entrano nelle statistiche di previsione, si può dire che tra la fine del 2017 e l'inizio del 2018, ci sarà la prima resa dei conti veramente importante sulla sostenibilità di questo sistema economico finanziario. E' difficile pensare che le opinioni pubbliche attendano ancora promesse o rassicurazioni solo attendibili. In tutti i casi, è incredibile come il grande apparato mediatico, oggi arricchito anche da internet e dai vari network, colga poco i problemi principali che sono sul tappeto, come appunto questa scadenza decennale compiuta e le sofferenze che diverse classi sociali vivono in tanti paesi del mondo. Si gira intorno, ma non si arriva mai al nocciolo della questione.

Le prime avvisaglie di una possibile resa dei conti non sono buone. Si attendeva ad esempio una parola di chiarificazione dalla riunione di Jackson Hole nel Wyoming, con il capo della Fed americana, Janet Yellen, e il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi.

Si frena o non si frena la filosofia, la vocazione speculativa di Wall Street, con la riforma messa in atto da Obama nel 2010 e con la Volcker-rule? Varata, posticipata e messa in atto solo per una parte, non pare che questa riforma abbia frenato Wall Street, limitando significativamente il mercato dei derivati fuori dalle Borse e contenendo il cosiddetto shadow banking, la finanza ombra che ha un valore quasi simile ai circuiti bancari ufficiali.

Nello stesso tempo, la Yellen, che vorrebbe salvare il salvabile di quella riforma incompiuta, è costretta a subire le critiche di Donald Trump (un autentico fan di Wall Street!) e delle grandi banche d'affari, a cedere al ripristino delle vecchie regole e poi ad andarsene dalla stessa Fed. 

Mario Draghi, non sta meglio, anche se le apparenze possono ingannare. Ufficialmente la Merkel e Schäuble difendono il suo operato, ma la Bundesbank aspetta solo che tra qualche mese il presidente della Bce termini il suo mandato e quindi si chiuda la partita del Quantitative easing, che ai tedeschi ha fatto letteralmente venire il mal di pancia.

Alla fine, senza questi due "paletti" di Draghi e della Yellen, che a Jackson Hole si sono dilungati a parlare del mercato mondiale aperto (forse per evitare critiche), tutto rimane o addirittura ritorna alle regole, cioè alle non regole, di dieci anni fa.

La "fulminante" e disgraziata idea del neoliberismo moderno ritorna a girare a pieno ritmo, nonostante i disastri subiti in questi anni, come prima del 2007, con l'aberrante scelta di affidare alla Borsa e ai mercati finanziari i compiti di orientare l'accumulazione del capitale, situando la finanza privata al centro del regime di accumulazione mondiale e mettere le autorità di politica economica al suo completo servizio.

Non è bastata la crisi, non è bastata la recessione di questi dieci anni che, in qualche modo tutti hanno subito e alcuni Paesi (tra questi l'Italia) hanno patito più degli altri. Piuttosto che riconoscere gli errori si continua a balbettare (è il caso ormai patetico di Monti e della Fornero) di interventi straordinari fatti dopo il 2008 e, in Italia, dopo il 2011, per errori di un antico passato. 

Basta guardare da un lato i grafici del debito pubblico, che è letteralmente esploso per la politica di austerità e deflazione degli ultimi anni. Si preferisce invece avere memoria cortissima e nello stesso tempo evitare un dibattito sullo scempio del sistema bancario, dopo l'abolizione del Glass-Steagall Act e la regola del Wto che ha cancellato le norme restrittive sul controllo dei derivati, dando così via libera al commercio di prodotti fuori Borsa e al proliferare, appunto, della cosiddetta finanza ombra.

Insomma, non si vuole riconoscere nessun errore e si continua ad andare verso una probabile e nuova instabilità, che è connaturata al capitalismo come hanno dimostrato tutti i più grandi economisti del Novecento.

Nessuno che si faccia uno scrupolo su quello che diceva ad esempio l'ex governatore della Banca d'Inghilterra dal 2003 al 2013, Sir Mervyn King: "Di tutti i modi per organizzare l'attività bancaria, il peggiore è quello che abbiamo oggi". Siamo quindi destinati a un futuro prossimo molto controverso e imprevedibile, con dati altalenanti, quelli che confortano per un mese e deludono nel mese successivo.

Certo, qualcuno si rende conto che ormai la situazione diventa sempre più concitata. E' incredibile ad esempio che sia stato ristampato, quasi con paura, un libro di John Maynard Keynes del 1936, Esortazioni e profezie. Un economista italiano, Emiliano Brancaccio, ha fatto la prefazione, dove dice tra l'altro: "Pareva destinato a diventare una reliquia, un polveroso cimelio del periodo tra le due guerre. E invece dopo il fallimento di Lehman Brothers dell'ottobre 2008 e l'inizio della cosiddetta grande recessione, il nome di Keynes è tornato a risuonare improvvisamente nel dibattito di politica economica. Si tratta, beninteso, di una evocazione ancora spettrale, che per adesso incide solo in termini marginali e confusi sulle azioni pratiche delle autorità monetarie e di bilancio. Ma già il solo fatto che Keynes venga nuovamente menzionato nell'agorà politica appare a molti un segnale minaccioso, un potenziale incentivo all'eversione del precario ordine finanziario costituito".

Diventerà una "lettura proibita", ma se la crisi dovesse continuare, come è del tutto possibile, lo spettro diventerebbe un incubo per molti.

Maurizio Blondet - gli euroimbecilli al traino del Reich

DALLA UE AL QUARTO REICH? UN PUTSCH SILENZIOSO E’ IN CORSO.

Maurizio Blondet 31 agosto 2017 

Un putsch silenzioso è in corso nelle istituzioni europee, con la brutale velocità di un blitzkrieg, per mutare la UE in Quarto Reich. Così sussurrano le voci ben informate del deep superstate a Bruxelles, raccolte dal sito belga Dedefensa, che ha nell’ambiente buone entrature.

“Con il Brexit, i funzionari britannici stanno lasciando posti strategici nel labirinto istituzionale e burocratico che hanno occupato, da abili tattici, da una trentina d’anni. Invece di aprire una procedura trasparente di ripartizione fra i funzionari degli stati membri, i tedeschi li occupano praticamente tutti loro, approfondendo il loro potere su queste retrovie strategiche decisive e dando la loro impronta alla UE.

“il punto è che i britannici, fautori accaniti della sovranità nazionale, in quei posti chiave erano riusciti a bloccare i più ambiziosi progetti sovrannazionali ed oligarchici delle tecno-eurocrazie. Va riconosciuto che hanno proseguito in questo l’opera che condusse contro i progetti delle tecnocrazie “apatridi” il generale De Gaulle nel primo decennio della Comunità. Partiti loro, e data l’incredibile stato di deliquescenza della Francia ormai subalterna a Berlino, la via è aperta alla chiusura in gabbia degli europei in un sistema che corrisponde all’ideologia e agli istinti profondi dello Stato più grosso e pesante economicamente, che impoliticamente ha sempre avuto della nazione un concetto volkisch, naturalistico e non politico; la volontà benintenzionata di abolire i conflitti invece di riconoscerli in istituzioni appropriate, ossia politicamente pluraliste. Ricordiamo che la Prussia non unificò la Germania proponendo gli altri staterelli germanofoni un esplicito progetto politico, bensì una pacifistica Unione Doganale (Zollwerein) ; che il concetto di Stato non è affatto compreso in quello di Reich, parola che mal si traduce come Impero, perché ogni impero è multinazionale, mentre il Reich del Kaiser puntò alla omogeneità del Volk e della Kultur. Di fatto, divenne una struttura di comando e obbedienza, ossia l’estensione del prussianesimo dalla Baviera ad Hannover. Su questa pericolosa forma che l’Unione Europea tende a prendere di per sé sotto il dominio delle tecnoburocrazie a-politiche e sovrannazionali, John Laughland ha scritto un saggio la cui lettura andrebbe resa obbligatoria ai politici, The Tainted Source (La fonte inquinata).

I politici d’oggi non avendo la levatura di un Andreotti ( “amo tanto la Germania che ne preferisco due”) non sono capaci di capire il rischio, a cui daranno la loro adesione nel nome – ovvio – del “ci vuole più Europa”, a cui il Quarto Reich somiglia. I servi mediatici ci parleranno di una Merkel che “avanza verso il federalismo europeo”…

Intanto i tedeschi annetteranno alla loro già smodata potenza economica e finanziaria che governano coi diktat nel più brutale disprezzo delle regole che loro stessi impongono (vedasi il loro demenziale surplus) anche la politica estera comune e a difesa “europea”. Allora sarà davvero il Quarto Reich.

La dipartita dei britannici lascia in balia della Germania lo European External Action Service (EEAS) , il colossale sub-ministero (scommetto che pochi ne avrete sentito parlare) i cui burocrati dettano la politica estera europoide, forte d 3400 dipendenti e di 140 delegazioni estere; fatto aggravato dalla vera e propria incredibile e sospetta dimissione francese, quando il segretario generale di questo servizio estero, Alain Le Roy, s’è dimesso per “motivi personali” senza che l’Eliseo di Hollande reclamasse il posto. Posto immediatamente occupato per cooptazione da Helga Schmidt, tedesca, fatta salire da n. 2 del servizio a n. 1 senza che i francesi né alcun altro ”latino” chiedessero almeno questo n.2 liberatosi.

Naturalmente la bella Helga spadroneggia con mano pesante germanica sul servizio ed ha messo in ombra la Alta Rappresentante, ossia la nostra Mogherini, non solo perché ci vuol poco, ma perché non ha alle spalle un governo che debba la sua elezione agli italiani, e che deve invece la sua sopravvivenza al potere (e ai quattrini) al benvolere della Merkel, della BCE e al “progetto europeista” anti-populista: quindi nella condizione di servitù perenne che gli conosciamo. Servitù – sia detto en passant – che la Merkel vuole rendere eterna avendo chiesto a Berlusconi (che ha eliminato come sappiamo nel 2011) di formare dopo le elezioni un governo col PD, per non dare il potere ai “populisti”. Inutile dire che il cavaliere, scodinzolando, ha detto sì.

Adesso le residue (e scarse) speranze sono affidate a Parigi: si tratta infatti della Difesa Comune Europea – un progetto di Monnet che De Gaulle stracciò nel 1954, e che i britannici hanno da allora in poi impedito in funzione filo-americana. Adesso la Merkel lo vuole fortemente, l’esercito europeo. Il che significa, retorica a parte che siano i francesi a conferire al Reich le forze armate. Berlino è infatti disarmata per volontà americana e propria, e solo la Francia (grazie a De Gaulle) ha una potenza militare autonoma, la force de frappe, la capacità di proiettare forza a distanza, autonome tecnologie (i Mirages, mica gli F-15), il deterrente nucleare, la capacità organizzatrice. Adesso l’annessione di fatto sta forse per sorgere attraverso la finzione di un “aereo da combattimento europeo”, dove la Dassault dovrebbe mettere quasi tutto a disposizione. “E dopo si porrà la questione della potenza nucleare di dissuasione, che la Germania vorrà sia conferita all’esercito europeo, ossia alla Germania”.

Non c’è dubbio che Macron darà il suo sì, “europeista” com’è. Ma accetterà l’Armée? La Grande Muette, nella cui storia c’è Napoleone e De Gaulle e la ferita di Sedan e l’occupazione prussiana di Parigi? Non è improbabile che quando Macron ha sbattuto fuori il generale De Villiers, il capo di stato maggiore, sia stato perché costui obiettava alla “fusione-acquisizione” delle armate francesi da parte di Berlino. E il saluto corale e silenzioso che tutto il personale ha tributato al generale dimissionario, è forse la sola ultima speranza che che il Quarto Reich mercantile e brutale venga impedito.

Gender, uno degli strumenti per distruggere la famiglia

Gender a scuola? No, grazie. In Perù vincono le famiglie

Gender a scuola? No, grazie. In Perù vincono le famiglie



L’imposizione dell’ideologia gender nelle scuole subisce una battuta d’arresto in Perù.

In una sentenza della Corte Suprema di Giustizia di Lima infatti è stata chiesta la cancellazione di una frase assolutamente equivoca presente nella guida pedagogica imposta dal Ministero dell’Educazione nonostante le massicce proteste pubbliche di genitori, famiglie e associazioni nei mesi scorsi.

La frase problematica diceva che a parte il dato biologico e sessuale, ciò che viene considerato maschile o femminile in realtà è costruito giorno per giorno attraverso le interazioni sociali. Chiaramente si tratta di ideologia gender allo stato puro: l’identità di maschio e femmina non è data, ma si crea, è un costrutto della società. Ne consegue – per il governo peruviano e le varie lobby LGBT – che ciascuno può e deve scegliere se essere uomo o donna (o altro?) a prescindere dal proprio sesso biologico.

Ebbene, ora un giudice, Ana Valcárcel, sentenzia ufficialmente che tutto ciò non è accettabile. E non lo è in quanto viola gli articoli 7 e 22 della Legge generale sull’Educazione, secondo i quali le politiche inerenti l’educazione devono svilupparsi di comune accordo tra Stato e società e quindi tenendo particolarmente in considerazione la volontà delle famiglie. I genitori infatti hanno il diritto di formare i figli in base ai principi e ai valori in cui credono, senza che lo Stato imponga indebite (e malsane) invasioni di campo.

Detto in parole povere, poiché in Perù la maggioranza della gente non ne vuole proprio sentir parlare, la teoria gender non può trovare spazio.

Pertanto la sentenza esorta il Ministero a mettere in atto un processo democratico, trasparente ed effettivo affinché la voce dei papà e delle mamme peruviani venga davvero ascoltata.

L’associazione “Genitori in azione”, che tanto ha lottato per questo pronunciamento, si è dichiarata soddisfatta e ha chiesto al Ministero di accertare il verdetto, senza ricorrere in appello.

Il governo saprà accettare il dialogo con i padri di famiglia? Vorrà chiamarli attorno ad un tavolo per discutere sul futuro delle nuove generazioni? Staremo a vedere…

Redazione

Fonte: InfoCatólica

Mauro bottarelli - 2017 crisi economica - è guerra valutaria, la Bce costretta a mantenere il Quatitative Easing con i soliti tedeschi che spingono non sanno neanche loro dove. Gli euroimbecilli al palo

SPY FINANZA/ Euro/dollaro, la nuova guerra che affonda l'Europa

La Bce continua a stampare, tapering addio. Il programma del Qe è costretto a continuare. Lo scenario da resa dei conti è diventato realtà. MAURO BOTTARELLI

01 SETTEMBRE 2017 MAURO BOTTARELLI

Janet Yellen (Lapresse)

Signore e signori, la Bce continua a stampare, tapering addio. Mentre il Giappone sfrutta la crisi nordcoreana per — di fatto — espandere ancora il suo fallimentare programma di acquisto assets attraverso il moltiplicatore bellico del Pil (il ministero della Difesa nipponico ieri ha chiesto un aumento record del suo budget per il 2018, il corrispettivo di 40,5 miliardi di euro), la Bce grida al mondo che il Re della guerra valutaria è nudo: con una settimana di anticipo sul board dell'Eurotower, ieri la Reuters rendeva noto che "le preoccupazioni per una sovra-valutazione dell'euro potrebbero rimandare la decisione riguardo al programma di QE o portare a una più graduale uscita dall'acquisto di assets". 

Boom, la valuta comune europea, salita l'altro giorno sopra la quota psicologica di 1,20 sul dollaro — ribattezzata nelle segrete stanze di Francoforte, "la linea rossa tracciata nella sabbia per i profitti corporate europei" — è scesa nettamente, addirittura sotto 1,18. Come dire, la festa può continuare nell'eurozona, così come la propaganda relativa a un crescita robusta e sostenibile dell'economia del Vecchio Continente: come vi dico da sempre, dipende tutto dalla Bce. La quale, sempre attraverso Reuters e in fonte anonima, ha reso noto che "l'euro forte sta spaventando un sempre crescente numero di membri del Consiglio direttivo". 

Insomma, vi avrò anche rotto le scatole tutta estate con la questione euro/QE ma, alla fine, non avevo poi tutti i torti. E la questione è particolarmente preoccupante per il timing con cui arriva. Anche i sassi, al netto della malafede o dell'ordine di scuderia del silenzio, sapevano che gli Usa stavano lavorando per un indebolimento del dollaro al fine di massimizzare il dato dell'export e che il ricasco automatico, ovvero l'euro in apprezzamento, avrebbe causato preoccupazione: si è negato finché si è potuto, addirittura con Mario Draghi che arriva ad anticipare ai mercati la decisione di tenere un discorso assolutamente generico a Jackson Hole, senza alcun riferimento alla politica monetaria, pur di non ingenerare aspettative o fraintendimenti. 

La riunione della Fed, con il suo comunicato da colomba, avrebbe potuto spingere la Bce a parlare ma, anche in questo caso, si è stati silenziosi. Tutto l'interesse era concentrato sulla riunione del board di settembre, destinata a diventare giocoforza lo spartiacque rispetto al tapering e al suo timing: di colpo, ieri cambia tutto. Quanta pressione stava macinando il cross euro/dollaro sui contratti futures, per decidere un cambio simile di politica e, di fatto, un contrattacco in grande stile alla svalutazione americana? 

Io temo che a muovere l'Eurotower siano stati i dati dell'export europeo di agosto, sicuramente già visionati a Francoforte e invece ancora in attesa di diffusione per noi comuni mortali: al netto del calo dei volumi dovuti al periodo estivo, il mese appena concluso è stato quello che per la prima volta da almeno un anno e mezzo ha visto le aziende europee — prime beneficiarie del QE, attraverso l'acquisto di bond corporate che garantiscono finanziamento diretto e a costo zero — fare i conti con un euro di nuovo forte nei confronti di un dollaro ai minimi ciclici. Una dinamica talmente disastrosa da mettere non solo a repentaglio gli effetti benefici del QE ma, soprattutto, dal sancire una crisi di sistema per il nostro settore corporate, in caso si partisse davvero con il tapering? Temo di sì. Altrimenti perché anticipare questo orientamento ieri, attraverso fonti anonime rilanciate da un'agenzia di stampa e non attendere una settimana e comunicarlo ufficialmente nella conferenza stampa che seguirà la riunione del board? 

D'altronde, a livello formale, la Bce non si trova in una condizione molto differente da quella della Fed, visto che il dilemma politico è quello di conciliare una robusta crescita del Pil con un tasso di inflazione ancora distante dall'obiettivo del 2% e che vede le prospettive a 5 anni in netto undershoot sullo stesso. C'è però una differenza, sostanziale: la Fed non deve fare i conti con un'entità economica spaccata in due come l'eurozona, divisa fra Paesi del Nord a guida tedesca e il cosiddetto Club Med, ovvero Italia, Spagna, Portogallo e Grecia che vedono ancora livelli macro ben distanti dalla media europea e criticità fortissime e irrisolte, come il tasso di disoccupazione giovanile. 

Certo, Moody's ci ha alzato le prospettive di crescita ma, al netto delle acrobazie di governo di queste ore rispetto al tema occupazionale e previdenziale (si vede che il voto regionale siciliano si avvicina), quel poco di crescita presente è data dall'export solido: quindi, dalla Bce e dal suo finanziamento diretto alle imprese attraverso il QE. 

Due i problemi immediati. Primo, un forte apprezzamento dell'euro si configura, di fatto, come una contrazione monetaria, ovvero l'equivalente di una aumento dei tassi di interesse. Secondo, la mossa della Bce ha immediatamente fatto balzare all'insù il rendimento del Bund, fattispecie che certo non rende felice Berlino, visto che — di fatto — è stato sancito lo spostamento in avanti a tempo indeterminato delle misure di stimolo. C'è poi il problema ulteriore, proprio legato ai Bund: avanti di questo passo con il controvalore di acquisti mensili, prima della fine dell'anno la Bce rischia di non avere letteralmente più carta tedesca da monetizzare. 

Quindi, ora la sfida ulteriore della Bce è davvero ciclopica, non fosse altro nei confronti delle montanti pressione tedesche, destinate da oggi ad aumentare: cambiare nuovamente i parametri base di acquisto del programma, di fatto sancendo la sua quasi perpetuità, esattamente come in Giappone. Si abbasserà ulteriormente il requisito di rating per l'acquisto? Varierà la scadenza per l'eligibilità dei bond? E chi lo dirà a Schäuble e alla Bundesbank, con il voto tedesco a meno di un mese da oggi? Oltretutto, c'è anche la questione dell'acquisto di bond sovrani, visto che per ragioni legali difficilmente ci si aspetterebbe che la Bce rimuova il cap che limita gli acquisti a solo un terzo del debito di ogni nazione, limitazione ribadita nella sua validità dallo stesso Draghi solo il luglio scorso nel suo discorso a Sintra, in Portogallo. 

Insomma, lo scenario da resa dei conti che ho cominciato a prefigurarvi a fine luglio, è diventato realtà. Ora, vediamo se Mario Draghi merita davvero l'appellativo di Supermario. L'attesa è breve, giovedì prossimo qualche carta dovrà per forza finire sul tavolo. Scoperta, stavolta.