Procuratore di Arezzo Rossi in tribunale a Genova
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CRONACAMartedì 5 Dicembre 2017
È arrivato in tribunale a Genova e non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione il procuratore capo di Arezzo, Roberto Rossi, al centro della bufera su Banca Etruria perché avrebbe omesso di dire alla Commissione Banche - come l'accusano alcuni parlamentari- che Pierluigi Boschi, padre del sottosegretario Maria Elena e per un periodo vice presidente di Banca Etruria, è iscritto nel registro degli indagati per falso in prospetto. Rossi, che è stato sentito come parte offesa nel processo a carico di un ex poliziotto che tra il 2010 e il 2011 aveva estorto 50 mila euro a un imprenditore sostenendo che servissero proprio per il magistrato, ha lasciato il tribunale di Genova senza parlare
con i giornalisti.
https://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/etruria_procuratore_arezzo_rossi_tribunale_genova-3410259.html
Mercoledì, 17 ottobre 2018 - 19:18:00
Banca Etruria: dubbi sulla conferma del procuratore di Arezzo Rossi
Banca Etruria, dubbi sulla conferma del pm Roberto Rossi per altri quattro anni alla guida della procura di Arezzo
Dubbi sulla conferma del pm Roberto Rossi per altri quattro anni alla guida della procura di Arezzo sono emersi nel plenum del Csm che avrebbe dovuto dare il via libera . E così su richiesta di diversi componenti laici la decisione è slittata alla prossima settimana. Le perplessità, scrive l'Ansa, riguardano la famosa vicenda dell’incarico di consulente giuridico di Palazzo Chigi ricoperto da Rossi mentre erano incorso da parte del suo ufficio le indagini su Banca Etruria, di cui era vice presidente il padre di Maria Elena Boschi, allora ministro.
Banca Etruria, il procuratore di Arezzo Rossi: “Non ho nascosto nulla”. Boschi contro De Bortoli e il match a colpi di tweet finisce in Tribunale
Resta in primo piano la vicenda legata a Banca Etruria e soprattutto le audizioni in Commissione parlamentare d’inchiesta. Il Pd, in queste ore, ha chiesto una nuova audizione per il pm Rossi, al centro di una serie di polemiche politiche e di equivoci, nel merito della sua audizione. Nella tarda serata di lunedì il pm aretino Rossi aveva scritto a Casini per chiarire il caso di Pier Luigi Boschi: ricorda d’aver risposto in Commissione banche precisando che non è tra gli ex del cda Etruria rinviati a giudizio, ma di aver annuito quando gli è stato chiesto se lui e altri potrebbero essere indagati.
La domanda al magistrato era stata fatta da un commissario dei 5Stelle ed il magistrato, anche se solo annuendo con la testa aveva risposto, cosa che alla gran parte dei presenti era sfuggita. Ma c’è di più, visto che il magistrato ha preso carta e penna ed ha scritto una lettera al presidente della Commissione d’Inchiesta Pierferdinando Casini, nella quale sottolinea di aver risposto “a tutte le domande che mi sono state formulate senza alcuna reticenza né omissione”. “Non ho nascosto nulla circa la posizione del consigliere Pierluigi Boschi in relazione alle domande che mi venivano poste” scrive il procuratore di Arezzo, rispondendo in merito agli “addebiti gravemente offensivi” attorno a quanto da lui dichiarato alla commissione sul caso Banca Etruria e sullo status di Pier Luigi Boschi. Per provare la sua condotta, il magistrato ha riportato una copia del verbale della commissione, aggiungendo di aver “chiarito e ribadito che la sua esclusione riguardava il processo per bancarotta attualmente in corso, mentre per gli altri procedimenti, a domanda, ho precisato che non essere imputati non significava non essere indagati. Null’altro mi è stato richiesto in merito”.
Rossi ha quindi rimarcato che “non appena mi sono state fatte domande sull’ipotesi di falso in prospetto, ho chiesto la secretazione dell’audizione in quanto vi sono indagini preliminari sul punto. Le domande in merito hanno riguardato i fatti oggetto di indagine e non, in alcun modo, le persone iscritte nel registro degli indagati. Ho chiarito i punti che mi venivano sollecitati riferendomi ovviamente allo stato delle indagini in corso”.
Immediatamente dopo sono arrivate molte reazioni e prese di posizione. Il senatore di Idea, Andrea Augello ha chiesto a Casini “di accertare l’esistenza di un filone d’indagine nei confronti dei membri del Consiglio di amministrazione di Banca Etruria sulla denuncia di Consob riguardo alle falsificazioni dell’ultimo prospetto per l’emissione di obbligazioni subordinate”. Inoltre, Augello, dopo la richiesta di trasmissione dei verbali delle audizioni e della lettera di Rossi al Csm, ha chiesto che Rossi “venga formalmente convocato per un’audizione testimoniale per completare la sua esposizione sulle inchieste in corso a margine della vicenda di Banca Etruria dicendoci finalmente tutta la verità. Sempre ammesso che gli riesca”. Ma Casini ha fatto sapere che la lettera di Rossi “fornisce una risposta chiara ed esauriente. Tutto il resto afferisce ai giudizi politici che ciascun Gruppo ha il diritto di formulare”.
Chi invece va al contrattacco è la sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi che interviene, ancora una volta, dopo che da più parti era stata chiamata in causa: “Usano la vicenda per attaccare me e il Pd”. Poi il duello con Ferruccio De Bortoli a colpi di tweet, duello che si è scatenato dopo le polemiche e le accuse sulla vicenda, che vede coinvolto il padre della sottosegretaria. Lei annuncia, con un post su Facebook, azioni civili contro l’ex direttore del Corriere della Sera, e la replica non si fa attendere. “Mi aspettavo l’annunciata querela per diffamazione, che non è mai arrivata. Dopo quasi sette mesi apprendo che l’onorevole Boschi mi farà causa civile per danni. Grazie”, ha risposto lunedì sera De Bortoli in un tweet. Poco dopo, sullo stesso social, la Boschi conferma la sua decisione con una risposta: “Grazie a Lei, Direttore. Ci vediamo in tribunale, buona serata”. La vicenda nasce tutta da un articolo pubblicato dal quotidiano diretto da Maurizio Belpietro ‘La Verità’, che rivelava come “l’ex presidente Giuseppe Fornasari, Boschi senior e altri dieci consiglieri del cda insediatosi nell’aprile 2011, oltre all’ex direttore generale Luca Bronchi e a quattro membri del collegio sindacale, risultano iscritti sul registro degli indagati della Procura di Arezzo per bancarotta e falso in prospetto (il foglietto informativo che va ai clienti delle obbligazioni subordinate)”. Il quotidiano parlava di “un filone che dovrebbe essere arrivato quasi al giro di boa della richiesta di proroga delle indagini e che è stato innescato dalle conclusioni e dalle sanzioni che la Consob ha comminato a 17 ex amministratori per i subprime spazzatura”.
Il procuratore Rossi resta ad Arezzo
Il Csm non lo trasferirà in un'altra sede ma trasmetterà comunque gli atti alla procura della Cassazione per eventuali valutazioni disciplinari
ROMA — E' stata la prima commissione del Consiglio superiore della magistratura a decidere di proporre l'archiviazione per il fascicolo aperto nei confronti del procuratore generale di Arezzo Roberto Rossi, titolare dell'inchiesta sul crac di Banca Etruria. A Rossi furono a suo tempo contestati comportamenti e circostanze ritenuti incompatibili con il ruolo di procuratore capo, come la decisione di auto-assegnarsi l'inchiesta sul fallimento della banca dopo aver svolto, nel 2015, un incarico di consulenza per il governo Renzi.
Nella proposta di archiviazione al plenum del Csm si legge che "non ci sono elementi per sostenere un rapporto di conoscenza del dottor Rossi con il ministro Maria Elena Boschi tale da mettere in discussione il profilo di imparzialità e di indipendenza del magistrato nella trattazione di vicende processuali che potenzialmente potrebbero coinvolgere parenti del ministro".
Secondo il Csm quindi, non esistono gli estremi per disporre il trasferimento in un'altra procura di Rossi che quindi resta al suo posto ad Arezzo. Ma al tempo stesso tutti gli atti saranno inviati al procuratore generale della Cassazione Pasquale Ciccolo, per valutare eventuali provvedimenti disciplinari.
I pasticci del signor Boschi
Il padre del ministro fu indagato per estorsione. In un'inchiesta archiviata dal pm del crac di Etruria. Che al Csm aveva giurato di non conoscerlo
Foto: Pier Luigi Boschi – Credits: Ansa
Antonio Rossitto - 25 gennaio 2016
Ecco il testo integrale dell'inchiesta di copertina di Panorama sulle indagini del pm Rossi (poi archiviate) che hanno coinvolto papà Boschi. L'inchiesta ha consentito la riapertura di un'istruttoria sul pm, prima archiviata (
come spieghiamo qui).
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Da giorni, il tormentone giudiziario che inzacchera la politica italiana è sempre lo stesso: "Papà Boschi sarà indagato?". Il riferimento è all’inchiesta sul fallimento di Banca Etruria. E al ruolo che in quel crac avrebbe avuto Pier Luigi Boschi: dal 2011 consigliere d’amministrazione dell’istituto aretino, poi membro del comitato esecutivo e infine vicepresidente dal 2014 fino al febbraio 2015.
Un accostamento che reca più di qualche imbarazzo alla "figliola" Maria Elena, ministro delle Riforme, già costretta a misurate prese di distanza mentre si sta avvicinando la delicata discussione al Senato della mozione di sfiducia al governo, prevista per martedì 26 gennaio e presentata da Forza Italia, cui si è aggiunta il 19 gennaio una mozione presentata dal Movimento 5 stelle: "Se mio padre venisse indagato" ha dichiarato l’11 gennaio il ministro "come qualunque altro cittadino dovrebbe trovarsi un avvocato, e seguire ovviamente tutta la vicenda, ma questo non avrebbe un impatto su di me".
L'inchiesta del 2010
Una trafila che l’ex vicepresidente di Banca Etruria, suo malgrado, ha già sperimentata esattamente sei anni fa. Panorama è in grado di rivelare i dettagli di un’inchiesta della Procura di Arezzo in cui il padre del ministro è stato indagato prima per turbativa d’asta e poi per estorsione. Un procedimento penale aperto nel gennaio 2010 e concluso nel novembre 2014 grazie a una serie di archiviazioni, sollecitate da Roberto Rossi: lo stesso pubblico ministero oggi divenuto procuratore della Repubblica della città toscana e titolare del fascicolo su Banca Etruria nonché consulente, dal novembre 2013 allo scorso dicembre, per gli affari giuridici dei governi Letta e Renzi, cioè lo stesso esecutivo di cui fa parte Maria Elena Boschi.
L’indagine ricostruita da Panorama vede Pier Luigi Boschi, più di sei anni fa, nelle inedite vesti di mediatore immobiliare. Si tratta di una vicenda che, alla luce degli ultimi episodi che lo hanno visto protagonista, confermano la propensione di Boschi senior a finire invischiato in vicende poco trasparenti. E la sua tendenza a farsi consigliare da persone di discutibile fama, come svelato dal quotidiano Libero, dal sedicente massone e agente segreto Valeriano Mureddu al faccendiere Flavio Carboni, a processo come presunto capo della P3: a loro e a Gianmario Ferramonti, vecchio amico di Licio Gelli, Boschi chiese aiuto per la nomina del nuovo direttore generale nel pieno della bufera sull’istituto di credito. Che finora gli è costata una sanzione di 144 mila euro, comminata dalla Banca d’Italia nel novembre 2014 per la "mala gestio" della cassa aretina. Multa alla quale si potrebbe aggiungere tra poco un’ulteriore, salatissima sanzione, dopo le dieci nuove contestazioni mosse da via Nazionale.
Il socio "legato alla 'ndrangheta"
Nell’inchiesta della Procura di Arezzo partita nel 2010, il padre del ministro si trova coinvolto in un girone assai fosco: socio di un imprenditore calabrese dipinto dalla Direzione distrettuale antimafia di Firenze come "legato alla ‘ndrangheta", promotore e garante di un affare milionario su cui si allunga l’ombra del riciclaggio, accusato di aver ricevuto in nero 250 mila euro per la vendita di un podere. Circostanze che non sono approdate ad alcun processo. Un anno fa Boschi è uscito di scena. Lasciando però dietro, come confermato a Panorama da chi prese parte a quell’affare, molte domande ancora senza risposta.
La Fattoria di Dorna
"Procedimento penale 499/2010" dettagliano gli atti dell’inchiesta, intestata a "Boschi più 8": nove persone indagate per turbata libertà degli incanti e riciclaggio. L’asta oggetto delle verifiche è la cessione della "Fattoria di Dorna" di Civitella Val di Chiana, a pochi chilometri da Arezzo: 303 ettari di terreno, tra vigneti, oliveti, seminativi e boschi. E 12 immobili: un edificio padronale, sette case coloniche e quattro fabbricati. È una grandissima tenuta, posseduta dall’Università di Firenze. Che nel luglio 2005 la mette all’asta: la base di gara è 9 milioni di euro. La proprietà viene poi venduta più di due anni dopo, il 12 ottobre del 2007. Ma con una trattativa privata. Così la "Fattoria di Dorna" è acquistata dalla "Valdarno superiore società cooperativa agricola", su iniziativa del presidente del suo consiglio d’amministrazione, Pier Luigi Boschi.
Il prezzo è d’occasione: 7,5 milioni. La cifra, annoterà la Guardia di finanza di Arezzo, è notevolmente inferiore rispetto ai valori di mercato. È sopratutto più bassa rispetto a precedenti offerte ricevute dall’ateneo fiorentino. La cooperativa guidata da Boschi si aggiudica comunque il lotto, dichiarando però di "partecipare per sé o persona da nominare". L’indicazione dell’acquirente avviene il 9 novembre 2007: il preliminare e il successivo rogito saranno sottoscritti dalla "Fattoria di Dorna società agricola". Un’impresa ufficialmente nata poco dopo, il 29 novembre 2007, di cui è socio al 90 per cento lo stesso Boschi.
Le altre quote sono invece in mano a Francesco Saporito, un imprenditore immobiliare originario di Petilia Policastro, in provincia di Crotone. È proprio il suo ingresso in un affare così importante, assieme a moglie e figli, a mettere in allerta gli inquirenti. Sempre la Finanza, in un’informativa inviata alla Procura di Arezzo il 21 gennaio 2010, descrive i Saporito come "soggetti che risulterebbero essere i referenti nella provincia di organizzazioni malavitose riconducibili alla ‘ndrangheta".
Una successiva nota dei finanzieri, del 5 febbraio 2010, dettaglia altri investimenti milionari della famiglia calabrese: fabbricati, uliveti e terreni. "Gli esigui redditi della famiglia non sono sufficienti ad affrontare uno solo degli innumerevoli acquisti" analizza l’informativa, che "ipotizza sistematiche operazioni di riciclaggio", visti anche "gli importanti precedenti penali dei compenti della famiglia". E sottolinea addirittura la circostanza di un "tentativo di omicidio in capo a Saporito Mario", il figlio di Francesco.
Il ruolo attivo di Boschi senior
Eppure Boschi senior non si lascia impensierire dalla fama dei Saporito. Anzi, è proprio lui a proporre al capofamiglia di costituire la «Fattoria di Dorna» società agricola. Lo sostiene lo stesso Francesco Saporito, interrogato il 21 aprile 2010: "Un compaesano che conosco da 40 anni mi presentò a tale Pier Luigi Boschi, che era il presidente della Cantina Valdarno superiore. Mi informò che dei terreni di Dorna, che la sua cooperativa aveva in affitto erano in vendita. E mi prospettò l’idea di costituire una società tra me e lui, per acquistare l’intero complesso. Boschi mi disse anche che, per quell’operazione, la Cantina aveva già versato all’università 800 mila euro. Per questo, a novembre del 2007, costituimmo la Fattoria di Dorna con Boschi al 90 e io al 10 per cento".
Nei mesi seguenti, però, la quota del padre del ministro si ridurrà progressivamente. Fino al maggio 2009, quando Boschi esce dalla società per fare posto a Carmela Londino, moglie di Saporito. L’imprenditore calabrese racconta anche di aver ottenuto, per l’acquisto della fattoria, un mutuo agrario di quasi 4 milioni di euro dall’agenzia di Montevarchi del Monte dei Paschi di Siena e di esserci riuscito "grazie all’interessamento del Boschi". Il ruolo di Boschi sarebbe andato però anche oltre.
A Dorna c’erano 42 mila metri quadri di zona edificabile. "Mi assicurò che avrebbe fatto da tramite con la politica e i professionisti del posto" dice adesso Saporito a Panorama. "Mi fece incontrare due volte un sindaco. Ma nessuno mi ha mai permesso di toccare una pietra. Perché sono calabrese. E noi calabresi siamo tutti mafiosi. Appena ci sono stati i primi problemi, Boschi è sparito. Ho ipotecato tutto e m’hanno rovinato".
L'iscrizione nel registro degli indagati
L’ex presidente di Banca Etruria si adopererà però anche, come emerge chiaramente dall’inchiesta della Procura di Arezzo, per trovare persone ed enti interessati ad acquistare piccole parti dell’immenso podere rilevato con Saporito. E proprio per una di queste compravendite che il procuratore Rossi, a febbraio del 2013, iscrive l’ex vicepresidente di Banca Etruria nel registro degli indagati con l’accusa di estorsione, in concorso con Tulio Marcelli, presidente in Toscana della Coldiretti, l’associazione per cui Boschi senior ha lavorato a lungo.
Come emerge dalle carte investigative, sarebbe stato proprio Marcelli a presentare Boschi a M.A., possibile acquirente di un podere. Ma il numero 1 dell’associazione toscana degli agricoltori, contattato da Panorama, svicola: "È una vicenda in cui ho avuto un ruolo del tutto marginale" dice. "Dell’inchiesta mi aveva parlato Pier Luigi, di cui sono amico. Ma non sapevo nemmeno di essere stato indagato". È Marcelli però, racconta M.A. sentito dagli investigatori il 17 marzo 2010, a prospettargli l’acquisto di un podere di due ettari. Per questo, lo mette in contatto con Boschi, "come rappresentante della cooperativa agricola “Fattoria di Dorna”. M.A. nell’interrogatorio chiarisce: "Lo stesso Marcelli mi rappresentò le richieste di Boschi e del suo socio, Saporito: mi venne richiesta la cifra di 480 mila euro. Con la specifica che, di questa cifra, 270 mila euro dovevano essere dati in contanti". Dopo una contrattazione, il prezzo viene abbassato a 460 mila euro.
Il 19 dicembre 2008, nello studio del notaio Fabrizio Pantani di Arezzo, si procede dunque all’atto: il prezzo indicato è di 210 mila euro. "La differenza tra l’importo rogitato e quello effettivo, pari a 250 mila euro" rivela M.A. "fu consegnata da me nelle mani del Boschi Pier Luigi. Io manifestai il mio dissenso rispetto a un’operazione da cui non traevo nessun beneficio. Ma il messaggio, arrivatomi tramite il Marcelli, fu che questa era la condizione “sine qua non” per la vendita".
Una versione confermata agli inquirenti da M.D.B., la compagna di M.A., interrogata l’8 luglio 2010: "Prima del rogito, in un incontro avvenuto ad Arezzo nello studio del Marcelli, il Boschi disse testualmente che “i soldi hanno un colore”. La frase, al momento, non ci disse nulla. Ma poi la ricollegammo a un altro episodio. Marcelli ci disse che per concludere l’affare avremmo dovuto versare 250 mila euro in contanti, come pagamento in nero". E, sentito nuovamente dai finanzieri il 21 aprile 2010, M.A. aggiunge: "La dazione del denaro al Boschi avvenne nello studio di Marcelli ad Arezzo, in via Veneto, a cui si accede entrando dal portone adiacente il Bar Magi. Eravamo presenti solo io, Boschi e Marcelli".
Le prove dei finanzieri
"I soldi hanno un colore": nero, quindi. I finanzieri, il 24 marzo 2010, durante una perquisizione a casa dell’acquirente, ritengono di aver trovato le prove: "Per mia garanzia, feci le fotocopie delle banconote consegnate al Boschi, che avete rinvenuto nella mia abitazione" riferisce M.A. Lo stesso giorno i finanzieri perquisiscono casa Boschi, a Laterina: sequestrano una cartellina gialla e un assegno di 95 mila euro emesso da Saporito e intestato alla Valdarno superiore. Poi bussano alla porta proprio della cooperativa diretta da Boschi, dove requisiscono altri documenti.
"Asserita la dazione dei 250 mila euro in contanti nelle mani del Boschi", analizza l’informativa del 22 aprile del 2010, firmata dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Arezzo, resta però un mistero: dove sono finiti i soldi? Saporito nega, nel suo interrogatorio, versamenti in contanti. E la nota investigativa esclude anche che quei soldi "siano la parte in nero" dell’affare.
Dove sono finiti dunque quei 250 mila euro? Rossi, il 4 febbraio 2013, chiede l’archiviazione dall’accusa di turbativa d’asta in carico ai nove indagati: oltre al padre del ministro, la famiglia Saporito e tre acquirenti dei terreni. Lo stesso giorno, il magistrato iscrive nel registro degli indagati Boschi e Marcelli per estorsione: parte offesa, in questo processo-stralcio, è proprio M.A., che ha dichiarato di essere stato costretto a pagare 250 mila euro.
Tre settimane dopo, il 21 febbraio 2013, comincia la travolgente ascesa politica di Maria Elena Boschi, eletta deputato del Pd. Nel luglio di quello stesso anno, intanto, Rossi è nominato consulente del governo. Ed è proprio la Procura di Arezzo, di cui allora Rossi è reggente, a organizzare nell’Auditorium di Arezzo, il 24 ottobre 2013, un convegno dal titolo: "Cultura della prevenzione per una crescita ecosostenibile". Oltre a Rossi, al convegno partecipano Andrea Orlando, ai tempi ministro dell’Ambiente, e l’onorevole Maria Elena Boschi, figlia di Pier Luigi, allora indagato per estorsione. Ma pochi giorni dopo, il 7 novembre 2013, Rossi chiede l’archiviazione per papà Boschi. L’accusa di aver ricevuto quei 250 mila euro in nero rimane però un enigma: Boschi, come confermato a Panorama dallo studio legale Fanfani, che difende l’ex vice presidente di Banca Etruria, non ha mai sporto querela per calunnia.
A questo punto, però, la logica si incrina. Per la Procura quella dazione non è stata un’estorsione. Allora perché il magistrato non ha indagato Boschi per evasione? Lo riteneva, al contrario, vittima di infamanti accuse? Allora avrebbe dovuto procedere d’ufficio contro M.A., accusandolo di calunnia. Ma questo non è successo. Il dubbio, quindi, rimane intonso: dove sono finiti quei 250 mila euro? Panorama ha tentato di chiedere ragguagli al procuratore Rossi. Il magistrato ha opposto un cortese ma fermo rifiuto: "Mi scusi, non posso parlare. Cerchi di capire il momento" dice mentre porge la mano. "Veramente volevamo chiederle di una vicenda legata al padre di Boschi...". Mezzo sorriso di circostanza: "Peggio ancora". Poi Rossi sparisce nel suo ufficio. Mentre nell’aria continua ad aleggiare il mistero dell’ennesimo pasticcio di papà Boschi.
Quando il pm Rossi assolse papà Boschi
Il procuratore di Arezzo disse al Csm di non averlo mai conosciuto
Siamo proprio alla frutta. Nemmeno il procuratore di Arezzo Roberto Rossi, titolare delle inchieste su Banca Etruria, per il quale la prima commissione del Consiglio superiore della magistratura ha aperto una procedura per verificare se vi sia incompatibilità tra il suo ruolo di procuratore sull'inchiesta della banca e un incarico di consulenza per il governo Renzi fino all'anno scorso, ha detto una piccola bugia.
Nell'audizione davanti al Csm del 28 dicembre 2015, Rossi spiegò di non conoscere «nessuno della famiglia Boschi, il signor Boschi, i fratelli, i figli; non sapevo neanche come fosse formata. Ho conosciuto l'attuale ministro Boschi in un'occasione pubblica, istituzionale quando era parlamentare, come ho conosciuto tutti i parlamentari, ma non frequento nessun politico, non ho con loro nessun tipo di frequentazione». Il procuratore ribadì in quella occasione che non conosceva «neppure la composizione del nucleo familiare: ho appreso dai giornali che aveva un fratello e una cognata che lavoravano in banca ma non ne ero a conoscenza. Perché altrimenti sembra che io indago tutti tranne il padre del ministro: è il contrario, io non indago nessuno tranne i vertici decisionali della Banca dell'Etruria».Una furbata, quella davanti al Csm, che ora rischia di diventare un boomerang. Un'indiscrezione di Panorama in edicola oggi, dimostra infatti che Rossi conobbe papà Pierluigi Boschi molto tempo fa in occasione di una vicenda giudiziaria del 2010: il Boschi venne indagato ad Arezzo per reati di turbativa d'asta ed estorsione, e per due volte venne prosciolto su richiesta proprio del pm Rossi, poi diventato procuratore capo ad Arezzo, nonché lo stesso magistrato che indaga sul dissesto di Banca Etruria e quindi sul vice presidente Boschi.La vicenda, che fino al 2014 ha coinvolto Boschi senior e altri otto indagati, riguardava la compravendita, nel 2007, di una grande tenuta agricola posseduta dall'Università di Firenze.Malgrado il proscioglimento - scrive ancora Panorama - restano senza risposta due domande, relative ai 250mila euro in contanti che un successivo acquirente di parte della tenuta affermò di aver personalmente consegnato a Boschi. Da una parte non si sa dove siano effettivamente finiti quei soldi, ma non si sa nemmeno perché la Procura di Arezzo non abbia mai indagato per calunnia chi affermava di averli dati a Pierluigi Boschi. Magari sono finiti nelle casse di Banca Etruria. Ma questo toccherà a Rossi scoprirlo.
http://www.ilgiornale.it/news/politica/quando-pm-rossi-assolse-pap-boschi-1215446.html
Il procuratore Roberto Rossi
22 GENNAIO 2016
IL PROCURATORE ROBERTO ROSSI
La partita si riapre, adesso il procuratore di Arezzo Roberto Rossi – titolare delle indagini sul fallimento di Banca Etruria – rischia il trasferimento per incompatibilità ambientale. Non solo. Anche la procura generale della Corte di cassazione ha chiesto gli atti al Consiglio superiore della magistratura e ciò vuol dire che nei suoi confronti potrebbe essere aperto anche un procedimento disciplinare. Le verifiche riguardano la gestione del fascicolo processuale e quanto raccontato da Rossi nel corso delle sue audizioni al Csm. Il magistrato aveva infatti negato di aver avuto a che fare con l’ex vicepresidente dell’istituto di credito Pierluigi Boschi, omettendo di raccontare che in passato lo aveva iscritto nel registro degli indagati e poi prosciolto nell’ambito di un’inchiesta di cui erano ipotizzati reati gravi come turbativa d’asta, riciclaggio ed estorsione. Mentre arriva la richiesta di rinvio a giudizio per i primi due filoni sul dissesto della banca aretina, l’organo di autogoverno mette in dubbio la correttezza del capo dei pubblici ministeri e decide di verificare se avesse avuto l’obbligo di astenersi. La pratica Rossi era stata avviata dal Csm per stabilire l’opportunità di indagare su Banca Etruria ed essere contemporaneamente consulente del governo per la concessione di pareri giuridici in materie penali, visto che Boschi è il padre della ministra per le Riforme Maria Elena. Il magistrato aveva spiegato di aver avuto l’incarico quando a Palazzo Chigi c’era Enrico Letta e di aver poi ottenuto proroghe che non avevano <<in alcun modo interferito con il mio lavoro di procuratore>>. E alla domanda sui suoi eventuali rapporti con la famiglia Boschi aveva categoricamente negato di conoscerli. Una difesa apparsa convincente, tanto che fino a tre giorni fa veniva data per scontata l’archiviazione del caso. Tutto è cambiato lunedì, quando il settimanale Panorama ha pubblicato un lungo articolo per rivelare che nel 2010 Rossi, all’epoca sostituto ad Arezzo, aveva cominciato a indagare proprio su Pierluigi Boschi per una compravendita immobiliare che coinvolgeva anche un suo socio calabrese ritenuto dagli investigatori <<personaggio legato alla ‘ndragheta>>. E ha messo in fila le date della vicenda: la prima richiesta di archiviazione per la turbativa d’asta è di febbraio 2013; pochi giorni dopo Maria Elena Boschi diventa ministro; a novembre per Pierluigi Boschi cade anche l’accusa di estorsione. Il 21 gennaio si riunisce la prima commissione del Csm. Una nota ufficiale firmata dai consiglieri Piergiorgio Morosini, relatore del fascicolo, e serve a comunicare che <<a tutela della trasparenza e della credibilità dell’operato della magistratura, si è deciso all’unanimità un ulteriore approfondimento sulla vicenda con la formulazione di una richiesta di informazioni al Procuratore Generale di Firenze>>. Non è tutto: <<E’ stata accolta la richiesta di acquisizione degli atti del Procuratore Generale presso la Corte di cassazione>>. Obiettivo delle indagini è verificare come mai Rossi non abbia parlato di quella vecchia inchiesta. L’indagine dovrà stabilire se avesse dovuto astenersi dall’indagine su Etruria e sull’operato di Pierluigi Boschi come vicepresidente. La proroga dell’incarico è stato infatti ottenuta dopo l’archiviazione dell’altro fascicolo, quando a Palazzo Chigi è arrivato Matteo Renzi e uno dei ministri del suo governo è proprio la figlia di Boschi. Ieri Rossi – che ha già inviato alcune memorie al Csm – ha cominciato a preparare una nuova memoria per respingere ogni accusa, smentendo nuovamente di aver avuto rapporti personali con i Boschi. Intanto ha chiuso i primi due fascicoli su Etruria e nelle prossime ore depositerà la richiesta di rinvio a giudizio per i vecchi amministratori che si occuparono dell’operazione <<Palazzo della Fonte>> e per l’evasione fiscale effettuata attraverso la società <<Methorios>>. E va avanti il lavoro per esaminare le denunce degli abbligazionisti che hanno perso i soldi dopo il decreto del governo.
Fonte: Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera
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