L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 21 aprile 2018

Oro - c'è la corsa a riprendersi il proprio oro e ad accapararsene dell'altro




La Turchia si riprende il proprio oro. In vista della fine del dollaro?
Di La Redazione
-21 aprile 2018

Roma, 21 apr – Dopo Venezuela, Austria e Germania ora è il turno della Turchia che ha annunciato di voler riportare in patria parte delle proprie riserve auree attualmente conservate alla Federal Reserve di New York. La Germania ha da poco concluso il rimpatrio di 300 tonnellate d’oro, avvenuto sotto una forte pressione politica ed un clima di generale sfiducia verso una FED apparentemente restia a restituire l’oro in tempi ragionevoli (fatto che ha alimentato una certa serie di teorie, tra il complottista ed il realistico, sul fatto che, forse, la FED non disponga più fisicamente di tutto l’oro di cui formalmente sarebbe custode). Nel frattempo prosegue la corsa all’accaparramento dell’oro da parte di Cina e Russia, di cui avevamo già parlato, che assorbono più dell’80% della produzione annuale da oramai due anni; non tanto come affermano i giornali economici mainstream “per proteggersi dall’inflazione”, quanto probabilmente per gettare le basi per un nuovo sistema di scambi gold exchange standard.

Erdogan stesso, durante un congresso per l’imprenditoria internazionale tenuto la scorsa settimana ad Istanbul, ha lasciato cadere una frase che ha il peso di guerra: “Perché siamo costretti a fare tutti i pagamenti in dollari? Perché non possiamo trovare un differente sistema, magari basato sull’oro?”. Parole che, seguite dalla decisione di riprendersi fisicamente parte delle proprie riserve, assumono un significato parecchio più profondo. Qualcosa sta accadendo nel mondo dell’oro e non è qualcosa che si possa spiegare con semplici categorie economiche: la velocità con cui l’oro venezuelano messo in vendita negli scorsi mesi (mossa necessaria a Caracas per continuare a pagare puntualmente gli interessi altissimi sui propri bond e per poter essere credibile nell’emetterne di nuovi) lascia intendere che in questo momento solo i paesi ridotti alla fame vendano oro e che chiunque possa stia cercando di acquistarne e, anzi, di riportare in casa il proprio.

La sensazione è che tra i vertici dei paesi che hanno ancora una classe dirigente proiettata al futuro (quindi non l’Italia) il possesso dell’oro fisico oggi sia una priorità; sia acquistandone nuovo che fisicamente riappropriandosi del proprio lasciato in deposito presso “alleati”. Perché correre a riprendere il proprio oro? Non è sufficiente vendere certificati di possesso ed evitare l’enorme fastidio logistico di organizzare trasporti da miliardi di dollari da New York a Berlino o Istanbul? Le ragioni possono essere tante: la paura di una guerra o una crisi ad esempio può essere una spiegazione. Durante un conflitto la titolarità ed il pezzo di carta valgono zero mentre vale solo l’oro che davvero si possiede… paradossalmente anche se non è il proprio. Anche la paura di un peggioramento dei rapporti con il governo USA è una spiegazione; non è facile discutere con Washington quando questi ha nei propri sotterranei la ricchezza altrui.

Tuttavia probabilmente quel che si sta preparando è la fine del dollaro come moneta di scambio internazionale; la possibilità che il dollaro smetta di essere la moneta del commercio mondiale (o meglio, possa venire affiancata da altri sistemi e monete) spinge i governi a riportarsi in casa il necessario per essere tutelati. Ad ora è presto per affermare con certezza cosa accadrà, incuriosisce solo l’immobilismo e il silenzio della nostra classe politica, che al solito neanche si pone il problema in merito alla sensatezza, ad oggi, nel 2018, di avere circa la metà del proprio oro depositato alla FED mentre mezzo mondo sta correndo a riprenderselo.

Guido Taietti

http://www.ilprimatonazionale.it/esteri/la-turchia-si-riprende-il-proprio-oro-in-vista-della-fine-del-dollaro-84056/

Prossimo presente governo M5S-Centrodestra senza lo zombi. Maroni&Bossi due squallidi uomini piccoli piccoli piccoli

LA MUMMIA PERDENTE ROMPE IL CENTRO-DESTRA. PER ANDARE COL PD

Maurizio Blondet 21 aprile 2018 73 commenti

Ora tutto dipende dai votanti del Molise, quelli di centro-destra: spetta a loro liquidare la Mummia rabbiosa. Mi vien voglia di chiedere a tutti coloro che hanno votato Forza Italia, per qualsiasi ragione o senza ragione: votando, avete voluto un governo col PD?

Perché è quello il progetto fin dall’inizio: lo chiamiamo il progetto “glielo ha chiesto l’Europa” – neutralizzare ogni “deriva alla Orban” in Italia, ogni critica all’euro. Unendo i due partiti dell’ordine contro i rivoluzionari: i due partiti dell’Ordine essendo il PD e Forza Italia.

Già il metodo elettorale è stato concepito apposta al solo scopo di rendere impossibile ai 5 Stelle di andare al governo, di fatto rendendo inevitabile l’ingovernabilità e quindi il governo “istituzionale” europeista.

L’idea era: nel centro-destra vince la maggioranza Forza Italia. La quale trascina la Lega, arrivata seconda, verso un governo “di necessità” con il partito perdente ma caro ai poteri forti, che ha fatto “le riforme” (nozze gay, gender, immigrazione senza limiti…), l’ex PCI.

Maroni, che si era preparato proprio per questo esito uscendo dalla Regione Lombardia e acquattandosi nell’ombra – avrebbe cominciato il processo interno a Salvini (bossi aspettava il momento gonfio di rabbia e d’invidia) accusandolo di neofascismo, di essersi messo con la Le Pen – e per questo aver portato il partito nordista alla sconfitta. Bossi, essendo quel rozzo idiota che è, aveva già tradito la trama – e annunciato il capo d’accusa – un mese fa: “Se Salvini faceva saltare la coalizione (con Berlusconi) rischiava che lo avrebbero messo a testa in giù come il suo amico Mussolini a piazzale Loreto”.

“Salvini a piazzale Loreto come il suo amico Mussolini”. Il complotto non gli è riuscito. 

http://www.lastampa.it/2018/03/24/italia/bossi-se-salvini-rompeva-faceva-la-fine-del-suo-amico-mussolini-a-p-loreto-1iIFJm65sUP1uWGKgxYvuL/pagina.html

Anche B., nella sua rozzezza, ha tradito il complotto che aveva in mente. Se il governo col PD non avesse avuto una chiara maggioranza nelle Camere, lui avrebbe comprato i voti dei parlamentari grillini fuoriusciti o espulsi. Con la motivazione: “Potrebbero tenere lo stipendio intero”. Insomma un plateale proposito di corruzione. Corruzione come mezzo e come fine.
E’ andata come sappiamo: Salvini ha vinto la maggioranza nel centro-destra, e fra PD (ossia l’immobilità “più Europa”) e M5S (ossia la speranza di un cambiamento di rotta), ovviamente ha scelto la seconda. Tirandosi dietro Forza Italia. Per forza: Forza Italia aveva proclamato: chi vince comanda e si tira dietro l’altro – perché credeva di vincere.

Adesso, Berlusconi (lo zombi) rompe anche quel patto. Dopo aver lasciato accusare da uno dei suoi nani (Brunetta) “Salvini rompe la coalizione”, ora è lui a rompere la coalizione. Con insulti sempre più irrevocabili agli elettori dei 5 Stelle, mira appunto a spingere Salvini alla rottura, per dargliene vilmente la colpa: operazione in cui, idiota com’è, riesce solo a mostrare la sua abiezione e irresponsabilità, e a far crescere Salvini come statista, come figura morale leale, come l’unico ad avere le idee chiare e il coraggio politico per attuarle.

Anche se dovesse perdere questa partito, Salvini ha quarant’anni  di vita politica davanti a se. La Mummia no.

Poiché ha perso, si porta via il pallone, rompe la squadra. Preferisce far perdere la maggioranza al centro-destra, per perseguire lo scopo del governo col PD che “gli chiede l’Europa”.

Ormai un progetto profondamente velleitario, perché il Teppista Mummificato non può capire che il voto in Italia segna un cambiamento profondo, generazionale, la fine di certi giochi, l’emergere, comunque la si giudichi, di una generazione più giovane, che inevitabilmente si assume la responsabilità dei prossimi 40 anni di vita politica. Però, ottusamente, malvagiamente pieno di rabbia, continua a provarci. Purtroppo, è sicuro della tenuta del suo partito: proprio perché quelli che sono stati eletti in Forza Italia sono nullità ed escort, che lui ha fatto eleggere uno per uno, e senza di lui tornano nel nulla, lui crede che quelli non andranno con la Lega. Salvo qualcuno che ha intelligenza, come Toti, di cui non sa che farsi.

E’ insomma il tradimento e la corruzione più assoluta che persegue la Mummia: tradimento fino all’ultimo dei suoi elettori, della sua stessa “discesa in campo”, della vera o finta ragion d’essere di Forza Italia.

In quella, piomba la sentenza, come al solito ad orologeria, di Palermo: strapotere totale della magistratura più corrotta, ovviamente salutata dai grillini (per ingenuità, credo) come “giustizia è fatta”, e lode della magistratura – che ha preso una lunga vendetta contro il capo del ROS, l’eroico e benemerito generale Mori e il suo colonnello.

Non spiego il perché di questo mio giudizio sui magistrati di Palermo, per un solo motivo: se lo facessi, sarei anch’io – privato cittadino senza mezzi, nemmeno la protezione di una testata – devastato da 12 anni di processi con relative spese, triturato dal sistema totalitario della casta giustiziera, che è il solo potere di cui avere davvero paura in Italia. Basti ricordare che, avendo assolto Mancino – ossia il ministro dell’Interno, l’uomo del governo di allora che avrebbe condotto “La trattativa Stato-Mafia”- allora viene a mancare il primo pilastro su cui giudici hanno appeso il loro teorema: manca “lo Stato” che avrebbe fatto accordi con la Mafia (e poi che accordi: una riduzione del carcere duro per i detenuti, capirai). II generale Mori avrebbe fatto gli accordi con la Mafia di testa sua, senza una autorizzazione politica? Demenziale solo crederlo.

(Onore al generale Mario Mori. E alla memoria eroica del maresciallo Lombardo).

Ma in ogni caso, la sentenza ingiusta viene a punto esattamente per dare ragione a Di Maio : “Pietra tombale su un governo dove entra Forza Italia”. Probabilmente, l’orologeria serve a volgere il 5 Stelle verso il forno PD, il garante e protettore della magistratura corrotta e del suo strapotere indebito, guadagnato da Mani Pulite che ha lasciato il PCI indenne.

Dunque abbiamo questo: Berlusconi vuol fare il governo col PD. Il M5S è spinto a fare il governo col PD. Il PD che ha perso le elezioni, lo vogliono tutti perché continui a governare, a pilotare il degrado economico, civile e culturale d’Italia come ha già fatto da un decennio (senza il voto degli italiani). E’ un tradimento totale, ultimo e definitivo della volontà popolare. Ma lo chiede l’Europa . Adesso dipende dai votanti del Molise, di centro destra, di Forza Italia: abbandonate la Mummia che vi sta tradendo. Avete mai pensato, desiderato, accettato, un governo Berlusconi col PD? Votate Lega in massa: e allora i nani e le escort, terrorizzati, troveranno il coraggio di eliminare la Mummia. Non fatevi complici del suo progetto di corruzione totale.

Vaccinazioni - quante bugie e solo per i soldi

VACCINI / DUE SCIENZIATI INDIANI SCOPRONO LE CARTE TRUCCATE DI GLAXO

Maurizio Blondet 20 aprile 2018 

Il colosso farmaceutico britannico e numero uno dei vaccini a livello mondiale, GlaxoSmithKline, trucca le carte. Alcuni ricercatori indiani, infatti, hanno scoperto che un recente rapporto inviato all’EMA, l’Agenzia europea per il farmaco, contiene dati incompleti e fuorvianti: quindi tali da non fornire un attendibile profilo circa la sicurezza di un vaccino, Infanrix Hexa.

In sostanza, secondo quanto ricostruito, sono stati taroccati i numeri sui decessi post vaccino. Un fatto – se confermato – di eccezionale gravità.

Vediamo cosa è successo. Si tratta di un prodotto-combinazione di svariati vaccini: vale a dire contro difterite, tetano, pertosse, epatite B, polio e influenza di tipo B.

GSK, ovvero GlaxoSmithKline, lo ha immesso sul mercato nel 2005, lo stesso anno in cui è entrato nel circuito commerciale un altro prodotto simile, Hexavax, realizzato da Sanofi Pasteur, la casa ‘rivale’ sul fronte dei vaccini: ebbene, nel 2005 Sanofi ha dovuto ritirarlo perchè alcune verifiche successive hanno dimostrato un aumento nelle morti di bimbi a 48 ore dall’assunzione.

Cosa succede ora per Infanrix? Qualcosa di simile, solo che fino ad oggi tutto è rimasto ben nascosto.

QUEI RICERCATORI FICCANASO

Fino al momento in cui due ricercatori indiani, Jacob Pulijel e Christina Sathyamala, hanno scoperto delle anomalie in un rapporto trasmesso dalla casa produttrice, GSK, ad EMA, l’Agenzia per mesi al centro delle polemiche per la sede trasferita da Londra (dove tra l’altro c’è il quartier generale di GSK) ad Amsterdam, mentre Milano è rimasta clamorosamente esclusa.

In particolare i due scienziati hanno passato ai raggi x il rapporto periodico sulla sicurezza, il cosiddetto PSUR, contenente dati sul vaccino prodotto da Glaxo, aggiornati a tutto il 2015. Si tratta di un report “riservato”, che per fortuna i due sono riusciti ad ottenere grazie alla legge sull’informazione che vige in India (certo più avanzata di quella esistente oggi in Italia, a botte di querele penali e citazioni civili milionarie)

n sostanza, secondo quanto ricostruito, sono stati taroccati i numeri sui decessi post vaccino. Un fatto – se confermato – di eccezionale gravità.

Vediamo cosa è successo. Si tratta di un prodotto-combinazione di svariati vaccini: vale a dire contro difterite, tetano, pertosse, epatite B, polio e influenza di tipo B.

GSK, ovvero GlaxoSmithKline, lo ha immesso sul mercato nel 2005, lo stesso anno in cui è entrato nel circuito commerciale un altro prodotto simile, Hexavax, realizzato da Sanofi Pasteur, la casa ‘rivale’ sul fronte dei vaccini: ebbene, nel 2005 Sanofi ha dovuto ritirarlo perchè alcune verifiche successive hanno dimostrato un aumento nelle morti di bimbi a 48 ore dall’assunzione.

Cosa succede ora per Infanrix? Qualcosa di simile, solo che fino ad oggi tutto è rimasto ben nascosto.

Pulijel e Sathyamala sostengono poi che la casa produttrice del vaccino “deve spiegare le cifre che ha presentato alle autorità regolatorie. Fino ad ora ha sostenuto che le morti riportate dopo il vaccino sono ‘coincidenti’ e che avrebbero avuto luogo anche se non ci fossero state le vaccinazioni”.

I due ricercatori sottolineano che la loro analisi ha dimostrato e portato alla luce un dato clamoroso e drammatico: ben l’83 per cento delle morti prese in esame è avvenuto immediatamente dopo la vaccinazione, cioè nei primi 10 giorni. E solo il 17 per cento si è verificato nei successivi 10 giorni.

Quindi, “se si fosse trattato di morti ‘coincidenti’, non si sarebbero tutte raggruppate subito dopo la vaccinazione, ma sarebbero state distribuite uniformemente nel periodo di 20 giorni”.

Durissimo un altro commento degli scienziati indiani. “Qualsiasi argomento – precisano – secondo cui le morti improvvise dopo la vaccinazione sono compensate dalle vite salvate dal vaccino, non è accettabile: allo stesso modo in cui sarebbe considerato illecito uccidere una persona per usare i suoi organi per salvare altre 5 persone”.

Non è finita. Il j’accuse va avanti: “Celare le morti dopo le vaccinazioni può impedire o ritardare le valutazioni dei profili di sicurezza e ciò può portare a decessi inutili e difficilmente giustificabili sotto il profilo etico”.

GLAXO PIGLIATUTTO 

E mettono in guardia anche le autorità indiane circa l’importazione di vaccini dagli Usa e dall’Europa, chiedendo il massimo rigore da parte del “Drug Controller General of India” e una revisione dell’attuale politica di approvazione autorizzativa all’import.

D’altro canto l’India è all’avanguardia sul fronte della produzione pubblica di vaccini, con il Serum Institute of India.

Va ricordato che ad inizio anni ’80 anche l’Italia poteva contare su un grosso polo nazionale di produzione: la vecchia e prestigiosa Sclavo, passata a inizio anni ’80 all’Eni e da questa smistata alla sua divisione chimico-farmaceutica, Anic. A fine anni ’80, poi, Eni passò il suo gioiello Sclavo al gruppo Marcucci, già oligopolista degli emoderivati e all’epoca sotto la protettiva ala di Sua Sanità Francesco De Lorenzo.

MA a chi ha poi fatto un sol boccone di Sclavo? GlaxoSmithKline, of course: nel momento in cui il gruppo Marcucci ha deciso di tuffarsi a capofitto nei mari ‘rossi’ e miliardari. Veleggiando a bordo della sua corazzata Kedrion, che qualche anno fa ha celebrato l’ingresso nel suo azionariato (ben il 25 per cento) della nuova Iri di casa nostra, la Cassa Depositi e Prestiti, che ha ‘investito’ nella lavorazione e nel commercio di sangue ben 100 milioni di euro.

Torniamo a bomba. Farà sapere ad EMA (e non solo) i dati reali sul suo vaccino Big Glaxo? Sarà in grado di fornire prove tangibili sui profili di rischio del suo Infanrix Hexa? O dovremo aspettare il prossimo report?

E poi. Come mai EMA nel frattempo sta a guardare? Timorosa di disturbare il Manovratore? O troppo impegnata nel trasloco da Londra ad Amsterdam?


Nicola Gratteri - al ministero della giustizia e già il prossimo presente governo M5S-Centrodestra escluso lo zombi comincerebbe benissimo

PRIMA SERATA

Venerdì, 20 aprile 2018 - 13:14:00
Ascolti tv, se Nicola Gratteri sceglie Rai 2 per testare la discesa in campo
Auditel, Piazzapulita di Corrado Formigli batte Quinta Colonna, condotto da Paolo del Debbio

di Di Klaus Davi



Nicola Gratteri non è solo un grande magistrato che ha saputo rendere pop il tema 'Ndrangheta, contribuendo in modo determinante a sensibilizzare l’opinione pubblica in Italia ma anche all’estero. Gratteri è un simbolo di riscatto per tutto un Mezzogiorno in questi anni oscurato dalla narrazione renziana che ha imposto il Leit Motiv ‘tutto va bene, madama la marchesa’ a media e agenda politica. Vero è che Renzi tentò di farlo ministro della giustizia (ma poi la nomina fu stoppata, qualche maligno sostiene per colpa di influenti pm che fecero pressione su Napolitano). Il coriaceo magistrato geracese divenne poi consulente del governo per questioni di giustizia, ma il ministro Orlando, non esattamente un uomo amante del rischio, si guardò bene dal prenderlo in considerazione: fosse mai che le intuizioni di Gratteri avessero potuto risolvere i problemi endemici della giustizia penale. Il dialogo abortito fra Gratteri e il mondo renziano non solo non danneggiò minimamente la sua autorevolezza ma ne aumentò ulteriormente popolarità e prestigio. Prova costante sono le vendite stellari dei suoi libri, scritti in collaborazione con Antonio Nicaso, e i riscontri auditel delle sue apparizioni tv.

Andrea Fabiano

Qualche sera fa abbiamo assistito sul piccolo schermo a un episodio significativo, forse una svolta nella carriera politica del pm anti-‘Ndrangheta. Teatro, un’elegante trasmissione di Rai Due, diretta da Andrea Fabiano, dal titolo Night Tabloid, sacrificata criminalmente dai maghi dei palinsesti nella notte proibitiva del lunedì.

Annalisa Bruchi (foto Lapresse)

La brava conduttrice Annalisa Bruchi, una senese verace e molto diretta nel porre le domande, ha dedicato un ampio spazio alla lotta alla ‘Ndrangheta portata avanti dal giudice calabrese da tre decenni. Per l'occasione Gratteri veniva incalzato anche da due penne raffinatissime del giornalismo come Aldo Cazzullo del Corriere della Sera e Alessandro Giuli del Foglio. Quella che poteva sembrare un’ennesima passerella di un uomo apprezzato a livello mondiale per il suo impegno contro la criminalità si è trasformata in un evento politico-televisivo.

In breve: Annalisa Bruchi introduce l’argomento ‘Ndrangheta con domande e servizi pertinenti. Gratteri ribatte ma quasi fatica a terminare le frasi. Il pubblico, solitamente compassato e anglosassone, si lancia in applausi prima timidi poi sempre più accorati e rumorosi. Lo studio di Night Tabloid si scalda – fatto assai raro – quando Gratteri racconta i rischi e i limiti di una vita dedicata a combattere il malaffare mafioso. La Bruchi intuisce che sta succedendo qualcosa di inconsueto e anche Cazzullo e Giuli incalzano con ottimo senso del ritmo il magistrato, indirizzando l’intervista in un’ottica politica. Il vice direttore del Foglio riesce perfino a mettere in difficoltà il capo della procura di Catanzaro quando gli dice: "Ma con il 40% raggiunto dai grillini in Calabria, lei come può escludere che la ‘Ndrangheta abbia votato i 5 Stelle?" Gratteri schiva la trappola e replica: "Aspettiamo i fatti”. E molti del pubblico si alzano in piedi per manifestare il proprio fisico consenso con quello che a tutti gli effetti potrebbe diventare un leader politico.

Aldo Cazzullo

Certo, lui smentisce, “resto a fare il procuratore” ripete e ci mancherebbe pure... Ma si capisce lontano un miglio che quel mandato, pur estremamente autorevole, potrebbe essere un passaggio, seppur prestigioso, del suo percorso. E soprattutto appare chiaro che la gente è con lui: uomo del popolo, di un Sud brutalizzato, e icona di una legalità tangibile e non certo parolaia.

Mi direte: non basta un campione così limitato di popolazione a trasformare un magistrato in un leader. Ma i segnali cominciano a essere corposi: i libri venduti, le folle che lo inseguono durante i suoi interventi, i giornalisti tv che fanno a gara per averlo ospite, le centinaia di migliaia di ‘mi piace’ che accompagnano ogni sua foto sul profilo Facebook (curato dall’attivista antimafia Lia Staropoli). Ed è comprensibile: l’era renziana ha umiliato e brutalizzato il Sud, imponendo ai media un omertoso silenzio che poi il Partito Democratico ha pagato pesantemente nelle urne. Merito va ad Annalisa Bruchi di avere invertito, finalmente, la rotta.

ANNALISA CONQUISTA I MASCHI LAUREATI

Nonostante il cambio di giorno rispetto allo scorso anno, quando andava in onda di giovedì, i dati estrapolati da Anthony Cardamone, Head of Research di OmnicomMediaGroup, in collaborazione con l’agenzia Klaus Davi and Co., confermano che l’ascolto medio (393.500 spettatori, 3,1% di share) di Night Tabloid regge e, considerando che la seconda serata del lunedì non sia certo una fascia oraria facile, sconta alla precedente edizione 0,6 punti percentuali di share, complice anche l’ingombrante presenza di Che fuori che tempo che fa di Fazio su Rai Uno.

Annalisa Bruchi

Il programma è seguito da un pubblico leggermente più maschile (52%) e in età abbastanza avanzata (ottiene il 4% di share sui 55-64enni e il 4,2% sugli over 65 anni). Sardegna (4,3% share) e Veneto (4,2%) sono le regioni in cui ottiene un maggior seguito, Trentino (1,8%) e Sicilia (2,5%) dove l’interesse è più basso. Infine, il target più affine è quello ad elevata scolarità (share dei laureati 3,9%, sopra la media).

Spigolature

La7, diretta da Andrea Salerno, si è aggiudicata gli ascolti più alti per l’approfondimento politico del giovedì sera: Piazzapulita di Corrado Formigli, con 990.000 spettatori e il 5,3% di share, ha battuto infatti la concorrenza di Quinta Colonna, condotto da Paolo del Debbio su Rete 4, fermo a 910.000 spettatori, 4,7% di share.

Sempre su La7, TG La7 Speciale in onda ieri dalle 16:17 fino alle 20:35 per le consultazioni di governo, è stato visto in media da 674.000 spettatori, totalizzando il 5% di share.

19 aprile 2018 - PERCHÉ IL CETA DOVREBBE FARTI PAURA - Monica Di Sisto

20 aprile 2018 Trattativa Stato-mafia: i numeri del processo

20 aprile 2018 Il silenzio è d’oro

Gli ebrei violano sistematicamente la Sovranità del Libano e Siria e in un prossimo presente futuro avranno il medesimo trattamento

Lo scontro tra Israele e Iran in Siria 

19 aprile 2018 


da Il Mattino del 17 aprile 2018

Se al momento sembrano scongiurati ulteriori incursioni statunitensi e delle potenze europee sulla Siria, resta invece caldo il fronte che vede contrapporsi sul territorio dello Stato arabo le forze di Iran e Israele. Si tratta dello scontro potenzialmente più pericoloso nella somma di più conflittualità che si registra oggi in Siria.

A vivacizzare un conflitto rimasto che dal 2012 ha visto i cacciabombardieri israeliani effettuare più di 100 incursioni aeree contro installazioni militari siriane e delle milizie iraniane, afghane ed Hezbollah libanesi, ha contribuito il 16 aprile l’ammissione, da parte di un funzionario militare israeliano che l’aeronautica di Gerusalemme ha compiuto il raid aereo della scorsa settimana sulla base aerea siriana T-4, vicino a Palmyra, in cui morirono 14 militari, almeno per metà iraniani dei reparti scelti del Corpo delle guardie rivoluzionarie (pasdaran).

Tra i caduti anche un colonnello che guidava il reparto di droni iraniani schierato su questa base e già sorpresi a sorvolare il confine con lo Stato ebraico.


Tradizionalmente Israele non commenta, né conferma o smentisce i raid condotti in Siria o altrove dai suoi mezzi militari ma la fonte citata dal New York ha dichiarato che “era la prima volta che attaccavamo obiettivi iraniani, comprese strutture militari e soldati”.

Un’ammissione imbarazzante per Israele poiché, anche se nessuno ha mai avuto dubbi sulla matrice dei raid che hanno colpito più volte in Siria, ammettere di aver compiuto un atto di guerra violando la sovranità di Stati come Libano e Siria espone Gerusalemme a ripercussioni politiche, accuse in ambito Nazioni Unite e rappresaglie militari da parte dell’Iran.

Per questo anche un “falco” come il ministro della difesa Avigdor Lieberman non ha confermato la paternità del raid contro la base T4 né tanto meno l’ultimo attacco effettuato sabato notte su un deposito militare iraniano nella zona di Aleppo in cui sarebbero morti almeno 20 uomini di Teheran.

“Dobbiamo fare il nostro lavoro”, si è limitato a dire il ministro, aggiungendo che “non permetteremo il consolidamento dell’Iran in Siria, né accetteremo alcuna restrizione quando si tratta degli interessi di sicurezza di Israele”.

Secondo fonti israeliane la presenza militare di Teheran in Siria ammonta ad almeno 15mila militari e pasdaran cui si aggiungono 10 mila Hezbollah libanesi e circa 50 mila miliziani sciti iracheni, afgani e pakistani. Numeri impossibili da verificare ma in Israele il contrasto degli iraniani in Siria è considerato una priorità strategica ma senza incrinare gli ottimi rapporti con Mosca.


L’intesa politica e strategica con la Russia, nonostante il suo ruolo nel sostenere Bashar Assad, è una delle fonti di preoccupazione per Teheran e causa di tensioni tra iraniani e russi, alleati di ferro di Assad ma al tempo stesso rivali anche in virtù di valutazioni divergenti.

Per Mosca il regime di Damasco è l’ultima linea di difesa avanzata contro i jihadisti in una visione strategica difensiva tesa a sostenere il “bastione siriano” per impedire che il jihad dilaghi nel già turbolento Caucaso, “ventre molle” della Federazione Russa.

Per l’Iran invece mantenere lo stretto rapporto con la Siria significa completare quella “mezzaluna scita” che va dal territorio nazionale fino alle coste del Mediterraneo attraverso Siria e Iraq. Un fronte che da un lato contrasta il blocco sunnita guidato dall’Arabia Saudita, rivale regionale di Teheran, e dall’altro consente di circondare lo Stato ebraico di forze ostili.

Un disegno che ha visto Teheran armare, finanziare e addestrare le milizie di Hamas a Gaza e gli Hezbollah in Libano puntando ora a schierare proprie forze lungo il Golan siriano. Uno scenario inaccettabile per Israele, giunto a patti con Riad e con l’estremismo islamico sunnita nel nome della lotta al comune nemico scita/iraniano.

Del resto il confronto tra Gerusalemme e Teheran vede ancora aperto anche il fronte nucleare: Israele dispone (ma non lo hai ammesso) di 150/200 ordigni atomici ma teme che l’Iran possa presto dotarsene anche in misura limitata nella consapevolezza che una sola bomba nucleare, anche di potenziale limitato, sarebbe sufficiente a spazzare via il piccolo Stato d’Israele.


La differenza è quindi che per i russi la Siria di Assad è un argine contro l’estremismo islamico mentre Teheran la considera una testa di ponte per mantenere la pressione sullo Stato ebraico e rifornire Hezbollah nel Libano del Sud.

“Ci occupiamo solo della sicurezza di Israele e questo i Russi lo comprendono bene” ha detto Libermann in un’intervista ad Haaretz che sottolinea il mantenimento di rapporti stabili e coerenti tra Gerusalemme e Mosca nonostante le tensioni in Siria.

In Iran, dove il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Bahram Qassemi, ha affermato che Israele “prima o poi” pagherà per il raid aereo contro la base aerea T-4, sembra prendere piede la percezione che l’intesa con Mosca in Siria sia solo di opportunità e temporanea.

Il 16 aprile un editoriale del quotidiano iraniano Payam sottolineava come la Russia voglia evitare un confronto militare con l’Occidente e che in caso di un attacco più massiccio si limiterebbe ad un sostegno diplomatico al regime di Damasco di cui l’Iran rimarrebbe l’unico alleato militare.

Mauro Bottarelli - Prossimo presente governo M5S-Centrodestra escluso lo zombi. Sbrigatevi l'Italia deve essere messa in sicurezza, si può e si deve

SPY FINANZA/ La mossa per far pagare la prossima crisi a Trump

L'allarme lanciato dal Fmi sul livello del debito globale pare la prima mossa di un'operazione per far apparire Trump come responsabile della prossima crisi. MAURO BOTTARELLI

20 APRILE 2018 MAURO BOTTARELLI

Donald Trump (Lapresse)

Ha avuto grande eco anche su giornali autorevoli e nei tg la messa in guardia del Fmi rispetto al livello di indebitamento raggiunto nel mondo, un combinato pubblico/privato ormai insostenibile e che obbligherà a scelte lacrime e sangue per evitare eventi realmente sistemici. Il fatto, poi, che il nostro Paese abbia avuto un richiamo particolarmente duro rispetto all'indebitamento ma anche - e forse soprattutto - alle politiche necessarie per favorire l'economia e combattere le diseguaglianze, dovrebbe farci capire che le consultazioni tenutesi fino a ieri a Palazzo Giustiniani sono state niente più che una farsa, una sciarada degna di un romanzo di Arthur Schnitzler: chi di dovere, nella fattispecie una delle tre componenti della troika, ha già deciso quali saranno le politiche prioritarie, su tutte l'aumento dell'avanzo primario e una bella patrimoniale. Complimenti a chi, magari, il 4 marzo ha anche fatto un bel po' di coda per votare, utilissimo all'atto pratico. 

Ma se il nostro caso di specie è ormai paradigmatico, è la netta bocciatura della politica fiscale ed economica degli Stati Uniti a confermarmi indirettamente che - come pensavo - Donald Trump sia stato messo alla Casa Bianca solo per divenire esecutore materiale di un ennesimo crimine finanziario, ovvero addossare al taglio delle tasse e ora allo scontro commerciale sui dazi, responsabilità che invece sono tutte in capo alle Banche centrali, Fed in testa. Se infatti il Fmi si è svegliato come al solito quando i buoi sono già scappati dal recinto, pensare che scelte che di fatto non sono ancora divenute operative o che lo sono da poche settimane, possano essere responsabili del disastro sistemico che grava sul mercato azionario e obbligazionario è delirante. O supremo atto di malafede, ipotesi che ritengo più probabile. Stando al report del Fmi, il Fiscal Monitor Report sovrainteso dal direttore dell'Istituto di Washington, Vitor Gaspar, gli Usa sono infatti l'unico Paese fra le economie avanzate a non aver pianificato politiche di riduzione del carico debitorio, proprio a causa dell'aumento della spesa pubblica e del deficit contemplati nel budget 2019 dell'amministrazione Trump, come ci mostrano questi grafici. 

E se l'operazione pare chiara, ovvero cominciare la criminalizzazione delle politiche di Trump al fine di trasformarle nel capro espiatorio del botto finanziario in arrivo, mettendo così al riparo la Fed che - anzi - diverrà il salvatore della patria agli occhi dei cittadini in caso facesse ripartire "emergenzialmente" la stamperia del Qe, una conferma a quanto ho scritto nel mio articolo di ieri, rispettivamente alle previsioni irrealistiche sull'economia Usa delineate su Il Foglio dall'ex rettore della Bocconi, Tabellini, ecco che in questo video a confermare la mia tesi ci pensa non proprio un economista qualsiasi ma Doug Duncan, capo economista di Fannie Mae, di fatto una voce governativa. Ma attenzione, perché se l'America e le sue storture macro rappresentano ormai il proverbiale elefante nella stanza che non si riesce più a nascondere, ecco che sarebbe il caso - soprattutto nel nostro caso, visto che stiamo giocando con il futuro governo come se fossimo un Paese con ratio debito/Pil al 15% - di cominciare a dire la verità anche sullo stato di salute dell'economia dell'eurozona, tanto più che formalmente siamo ormai a pochi mesi dalla fine del Qe della Bce. 

Guardate questi due grafici: il primo ci mostra come, nonostante la retorica dell'Eurotower e la grancassa compiacente della stampa, la spinta propulsiva della ripresa nell'eurozona sta rallentando, trainata dalla Germania, formalmente la locomotiva. Il secondo, poi, conferma quanto vi accennavo ieri, ovvero l'aumento delle possibilità di un'entrata rapida in recessione proprio di Berlino. Oggi siamo al 32,4% di possibilità: sapete a quanto stava quella percentuale solo a marzo? Al 6,8! E a confermarlo non è qualche oscuro blog, bensì l'ultimo studio - appena pubblicato - dell'Institute for Macroeconomics and Business Cycle Research (Imk) della Hans Böckler Foundation. Tedeschi. Serissimi. 



Alla base di questa allarmante dinamica, tre fattori: calo notevole della produzione industriale, aumentata volatilità del mercato azionario e deterioramento negli indicatori di sentiment, Zew in testa. Il colpo di grazia? In questo caso non appare strumentale il richiamo alla politica di protezionismo lanciata da Donald Trump, la quale doveva avere sì formalmente come obiettivo la Cina, ma, stante l'impossibilità di Washington di vincere la guerra con chi detiene il suo debito, garantisce liquidità al sistema e materiale primario per la tecnologia più avanzata (terre rare), ecco che a pagare il prezzo più alto è il motore dell'export (e, proprio per questo, del surplus) europeo. Volete una rappresenta plastica di quanto l'eurozona sia potenzialmente nei guai, alla faccia del Qe e della ripresa sostenuta e sostenibile invocata da Mario Draghi? Pronti, ci pensa proprio un proxy tedesco, nella fattispecie quello rappresentato in questo grafico: lo spread fra il rendimento del bond biennale Usa e quello pari durata tedesco sia oggi a 300 punti base, il record di divaricazione storico. 


Ma attenzione, perché l'inganno è dietro l'angolo e mi riferisco all'uso parziale, quando non distorto, che si fa delle notizie che arrivano proprio dalla Germania per dipingere un quadro d'insieme favolistico dello stato di salute dell'economia europea. È infatti dell'altro giorno la notizia in base alla quale, dopo i metalmeccanici, anche i 2,3 milioni di lavoratori del pubblico impiego in Germania hanno ottenuto aumenti salariali del 7,5% complessivo in busta paga, da pagare in tre tappe su 30 mesi. Molto di più dell'inflazione tedesca, ferma all'1,5% a marzo. Un incremento che oltre alla crescita sostenuta dell'economia, riflette anche la bassa disoccupazione tedesca, scesa fino al 5,3%. L'Ig Metall, il potente sindacato dei metalmeccanici, solo a febbraio aveva ottenuto un aumento del 4,3%. 

Il sindacato della funzione pubblica ha definito l'accordo «il migliore risultato raggiunto da molti anni», ma anche il ministro degli interni, Horst Seehofer, si è detto molto soddisfatto, pur ricordando che dopo questi «sensibili aumenti salariali, ora ci aspettiamo miglioramenti nelle strutture corrispondenti». Insomma, come chiede anche la Bce, Berlino si è decisa a spingere sui consumi interni usando la leva salariale? Tanto più che l'intesa, chiusa nella notte tra martedì e mercoledì, prevede riconoscimenti anche per i neo assunti che, essendo tra i meno pagati, riceveranno un aumento del 10% in busta paga nell'arco di 30 mesi, oltre che per gli apprendisti, ai quali sarà riconosciuto un bonus di 100 euro e un giorno di ferie in più. Insomma, Bengodi. Non proprio, perché se si è arrivati a questa conclusione, occorre far notare come certe dinamiche salariali in Germania, in ossequio al surplus e alla riforma Hartz tanto decantata da certi ambienti del giuslavorismo italiano che di lavoro parlano molto, pur avendolo praticato molto poco, erano ferme da un decennio. 

In Germania, la percentuale di cittadini sotto la soglia ufficiale di povertà (917 euro pro-capite, al netto delle tasse pagate) è salita al 15,7% lo scorso anno dal 14,7% del 2005, questo nonostante il dato record dell'occupazione. Lo stesso governo, lo scorso anno ha dovuto ammettere attraverso uno studio del Dipartimento del lavoro e del welfare che il 40% dei lavoratori tedeschi non aveva visto aumenti sui salari reali netti da metà degli anni Novanta: capito come si ottengono i surplus! Tra il 2005 e il 2015, inoltre, il livello di povertà nella fascia di popolazione sopra i 64 anni è salito dall'11% al 15%: vedere anziani che frugano nelle campane del vetro in cerca di bottiglie, per cui in Germania viene pagata una cauzione, non è scena particolarmente rara, soprattutto nelle aree urbane e de-industrializzate della ex-Ddr. Inoltre, la bassa crescita salariale (soprattutto per i lavori a salario minimo) unita all'aumento degli affitti, i tedeschi non comprano casa, sta inoltre cambiando il volto di molte città: a Lipsia, ex-Ddr, l'affitto mensile era fino a poco tempo fa di 4,50 euro per metro quadrato, ora la media è di 7,50 euro. A stipendi invariati o quasi. Tra il 1995 e il 2015, la percentuale di lavoratori al minimo salariale nella ex Germania occidentale è salita dall'11,9% al 19,7%, mentre nell'ex-Ddr quel dato è rimasto drammaticamente invariato al 36,3%: ecco perché chi vede nell'exploit elettorale di Alternative fur Deutschland un allarme fascista non capisce nulla e non sa nulla della realtà tedesca. Non c'entrano né Hitler, né il razzismo, né la nostalgia del Reich (tanto più che, al limite, trattasi della cosiddetta Ostalgia, ovvero la nostalgia della Germania comunista di Honecker): è esasperazione. E, spesso e volentieri, povertà che sconfina nella miseria. E stiamo parlando della locomotiva d'Europa. 

Ed ecco perché degli aumenti salariali, prima ai metalmeccanici e poi al pubblico impiego: per evitare di precipitare ancora di più al prossimo passaggio elettorale, le europee dell'anno prossimo e per blandire l'Spd al fine di chiudere l'accordo per una nuova Grosse Koalition, il nuovo governo ha infatti stanziato parte dell'enorme surplus per spesa sociale, ma, al momento, si tratta di 4 miliardi di euro da dividere fra edilizia popolare, housing sociale, aumento delle pensioni minime e limitazione, attraverso sgravi, dei contratti a tempo determinato e part-time: il tutto, dopo un decennio di mini-jobs a valanga, frutto della Hartz, che hanno garantito casse statali piene. Ma molti stomaci vuoti, soprattutto nella ex Germania Est. Insomma, a ben guardare, l'erba del vicino è magari più verde - soprattutto di quella di molte aree del nostro Mezzogiorno -, ma non risplende proprio di riflessi di smeraldo. Almeno, non per tutti. Ma tranquilli, va tutto bene, la ripresa è sostenuta e sostenibile e il Qe è stato talmente un successo che può terminare. Credeteci pure, se volete. Poi, però, spegnete la Playstation e tornate sul pianeta terra, dove se per caso Mario Draghi dovesse davvero staccare la spina al finanziamento diretto ed extra-bancario degli acquisti di bond corporate, potremmo assistere alla prima ondata di default di massa nella storia dell'eurozona. 

Non va affatto tutto bene, fidatevi. E la cosa peggiore è che, per quanto bocconiani e giornalisti autorevoli vi dicano il contrario, debito pubblico e deficit sono gli ultimi dei problemi: sulla forca, in attesa del conoscere il proprio destino, c'è il sistema produttivo, le Pmi spina dorsale della nostra economia e punta di diamante del nostro export. Calcolando che, con le sue mosse, Donald Trump potrebbe garantire al dollaro altri mesi di debolezza strategica proprio sul fronte delle esportazioni (di fatto, un off-set dei ricaschi sulle condizioni peggiorative frutto della guerra sui dazi), spiegatemi voi come può la Bce bloccare il programma di acquisti, stante le condizioni macro dell'eurozona. Ma si sa, io sono un catastrofista. Fidatevi degli ottimisti, invece, visto che finora vi hanno trattato bene. E ci hanno visto lungo…

Mauro Bottarelli - 2018 crisi economica - non c'è stata mai e non c'è nessuna ripresa ma questo non si dice

SPY FINANZA/ Le nuove prove della farsa sulla ripresa globale

Non c'è stata e non c'è alcuna ripresa globale e sincronizzata e se arrivasse una nuova crisi non basterebbe nemmeno avere un avanzo primario elevato. MAURO BOTTARELLI

19 APRILE 2018 MAURO BOTTARELLI

Lapresse

«Nei prossimi due anni, possiamo permetterci di restare sedati. Probabilmente lo scenario economico resterà favorevole e i tassi di interesse saranno bassi. Ma poi? È probabile che l'economia mondiale si stia avvicinando ora al picco della crescita. L'aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti e la fine di acquisti di titoli di stato in Europa, il rischio di una guerra commerciale, o altri choc oggi imprevedibili, potrebbero mandare gli Stati Uniti in recessione nel 2020 o nel 2021. In questo scenario negativo, le conseguenze non tarderebbero a farsi sentire anche nell'Eurozona». Chi ha scritto tutto questo, a vostro modo di vedere? Chi azzarda addirittura l'approssimarsi del picco della crescita e l'ipotesi recessiva per gli Usa da qui a due, tre anni? Guido Tabellini. Anzi, il professor Guido Tabellini, professore di economia ed ex rettore dell'Università Bocconi di Milano, il quale da ieri ha cominciato la propria collaborazione con Il Foglio attraverso un articolo che contiene appunto questo estratto. 

Ora, diciamo che dal quotidiano fondato da Giuliano Ferrara e dalle sue posizioni politiche e geopolitiche mi divide l'oceano. Anzi, mettete due oceani in fila, rende meglio l'idea. In economia, essendo formalmente dei liberali, dovrebbero vedere come fumo negli occhi il montante rigurgito keynesiano reso possibile dall'attivismo post-2008 delle varie Banche centrali, quindi potremmo anche non essere completamente in antitesi: ma la questione è altra e ben più seria. Ce la mostra questo grafico, come vedete a cura di Morgan Stanley, non esattamente i primi che passano per strada in fatto di economia e finanza: a vostro modo di vedere, quel grafico ci mostra un'economia che sta per approssimarsi al picco o è già bellamente alla fine del ciclo economico (anzi, della bolla da denaro facile) e in perfetta area pre-crisi, ovvero pre-recessiva? 



A vostro modo di vedere, quell'ammontare delirante di debito con cui abbiamo a che fare, sarà così gentile da garantire agli Usa un paio d'anni, prima di reclamare il conto? Se potesse esservi utile, questo grafico ci mostra con quale mole di debito abbiamo a che fare: com'era la faccenda, molto in voga negli ambienti bocconiani, della lezione del 2008 finalmente andata a mente, della riforma del sistema voluta da Obama che ha messo il mondo al riparo da nuovi eccessi da azzardo morale? 


Evito di riproporvi per l'ennesima volta grafici e cifre relative al credito al consumo e ai prestiti per acquisti di automobili e per andare al college negli Usa, perché ormai li saprete a memoria: è in questo modo, riproponendo la ricetta dei subprime, che si dimostra di aver imparato dagli errori passati? Guardate poi questo altro grafico, il quale ci mostra plasticamente una cosa. Anzi due, esattamente come le alternative che il mondo occidentale e le sue economie hanno da spendere: la prima è andare incontro a uno tsunami di deleverage forzato come non se ne sono mai visti, mentre la seconda è proseguire con il Qe sine die. Tertium non datur, spiacente.

Quel grafico è chiarissimo: la linea gialla mostra il debito come percentuale del Pil nominale relativamente ad aziende non finanziarie negli Usa, mentre quella verde ci mostra il tasso di default legato all'alto rendimento: completamente in de-couple, il mondo degli unicorni e degli arcobaleni perenni. Grazie alla Fed, ci si può indebitare quanto si vuole, tanto non si fallisce: è un'opzione win-win quella delle Banche centrali, visto che operando come prestatori di prima e ultima istanza, eliminano di fatto qualsivoglia rischio di mercato, oltre ai concetti base dello stesso, come il mark-to-market e la price discovery. Nessuno in questo momento sa con esattezza il valore reale di un asset, semplicemente perché la distorsione è tale da far diventare investment grade ciò che è di fatto junk in base a tutti i criteri di rating: la stessa Bce, più conservativa e pudica della Fed, non fosse altro per il pungolo della Bundesbank, quando ha intravisto in lontananza il pericolo non ci ha pensato due volte prima di attivare il programma di acquisto di bond corporate, di fatto senza limitazioni legate al rating. 

Ora, volete dirmi che il professor Tabellini non sa queste cose? Che non è conscio del fatto che, se di crescita si è potuto parlare, questa è stata limitata e tutta focalizzata sul mantenimento di criteri che si riverberassero in maniera diretta e rapidissima sui mercati azionari? Ovvero, volete dirmi che alla Bocconi ignorano che ormai la vulgata è quella in base alla quale un'economia è automaticamente sana se il mercato azionario cui fa riferimento appare sano? Non importa che le Borse siano cresciute per l'aumento a dismisura del debito e poco altro, non importa che se calassero davvero i buybacks scopriremmo i veri valori e le vere quote degli indici: importa poter parlare dei rallies azionari, poiché questi sono - stando alla nuova narrativa - la cartina di tornasole dell'altro grande totem, ovvero la crescita globale sincronizzata. 

Peccato che, l'altro giorno, sia stata una delle sacerdotesse vestali di questo story-telling, ovvero il Fmi, a smentirlo e con toni piuttosto allarmistici: volete dirmi che dopo la Bocconi, non possiamo più fidarci nemmeno degli analisti del Fondo monetario internazionale? Intendiamoci, l'articolo del professor Tabellini era incentrato al 90% sul debito pubblico italiano e sul suo destino, in tempi di probabili recessioni future e, soprattutto, fine della tregua garantita dall'effetto placebo della Bce sui mercati: e, al riguardo, poco da obiettare, ci stiamo godendo il sole, dimenticandoci di aggiustare il tetto per quando arriveranno le piogge. Vero. Però non si può decontestualizzare la questione italiana dal quella mondiale attraverso l'accettazione dell'assunto di base per cui il mondo sta comunque crescendo e bene, grazie alle politiche straordinarie. 

Non è vero e questo aggrava il tutto, perché se quelle politiche funzionano così bene, perché l'inflazione è - in tutti i casi di specie del Qe - lontana dall'obiettivo prefissato del 2% circa, nonostante anni di acquisti con il badile? Addirittura, la Bank of Japan che ha trasformato il mercato obbligazionario nipponico in un deserto dei volumi attraverso i suoi acquisti onnivori, ha spostato avanti di un anno l'obiettivo temporale per il raggiungimento del target, dal marzo di quest'anno a quello del prossimo: significa che sta funzionando o che l'Abenomics, così come i Qe statunitense ed europeo, è servito solo a salvare l'indice Nikkei e le grandi corporations giapponesi? Come mai le banche europee non sono riuscite a riattivare il meccanismo di trasmissione del credito, nonostante il diluvio di liquidità dell'Eurotower? E non negatelo, perché altrimenti spiegatemi come mai Draghi ha sfidato apertamente l'ira funesta di Weidmann, attivando il programma di acquisto di corporate bond, il quale è di fatto nulla più che un finanziamento diretto delle imprese europee da parte della Bce, bypassando proprio il sistema bancario, le sue rigidità e i suoi costi. E come mai, se tutto è così bello e funzionale, il Libor continua a salire, tramutandosi da canarino a struzzo a pterodattilo nella miniera per segnalare l'approssimarsi del rischio di scarsità di liquidità in dollari a livello globale, se davvero la Fed continuasse ad alzare i tassi e la Cina non operasse in contemporanea un offset come si deve, riattivando il suo impulso creditizio di reflazione

È ovvio che l'Italia rischia di pagare un conto maggiore nel servizio e nella sostenibilità del suo debito monstre, una volta che la Bce smetta di operare in modalità espansiva e che il costo del denaro tenda a normalizzarsi ma se non si racconta la verità più generale, se non si offre alla gente il quadro reale dell'incubo monetarista ed espansivo in cui siamo precipitati dal almeno sei anni, è il contesto dei costi reali che andremo a pagare a sfuggire. I disastri tipo 2008 nascono da questo, sottovalutazione o, peggio, occultamento della verità globale. 

Parliamoci molto schiettamente: chissenefrega dell'avanzo primario o dello spread, se esplode la bolla di Wall Street: saremo comunque tutti degli zombie il giorno dopo, anche con l'avanzo primario al 7-8%. Per il semplice fatto che i conti un po' più in ordine potevano tamponare un po' meglio lo shock di dieci anni fa, evitando di farci perdere 25 punti di Pil, ma oggi, con il carico debitorio venutosi a sedimentare dal 2008 in poi, nulla può salvarti. Se non proseguire con l'eroina monetaria e sperare in un miracolo: o, più facilmente, in una maga-moratoria a livello globale, un grande reset che eviti l'armageddon. Non c'è stata e non c'è alcuna ripresa globale e sincronizzata, si è trattato unicamente dello stimolo da eccesso creditizio cinese, quell'insostenibile - sul lungo termine - espansione monetaristica che ha sortito l'effetto di non far quasi percepire il passo di danza all'indietro della Fed. 

Ma guardate quest'ultimo grafico: a partire dal 2008 e con la sola eccezione del 2010, breve e modesta, l'indicatore Tfp (Total Factor Productivity) a livello globale è stato in perenne contrazione. Ovvero, zero crescita. Se non quella del numero di aziende zombie e strutturalmente disfunzionali tenute in vita dai soldi delle Banche centrali. Punto. Quindi, prima di sviscerare - come è giusto fare - i rischi particolari per il nostro debito pubblico, forse dire la verità sul quadro d'insieme sarebbe intellettualmente onesto. Altrimenti sorge davvero il dubbio che più sono roboanti i nomi e prestigiosi i titoli e meno ci si avvicini alla realtà, salvo prenderla in faccia come un treno che esce dal tunnel. E di cui si erano scambiati i fari per la luce della ripresa. Globale e sincronizzata, si intende. 


venerdì 20 aprile 2018

Gaza la prigione a cielo aperto - altri morti e feriti e gli euroimbecilli danno ragione ai killer ebrei che fanno caccia grossa


20 apr 2018
by Redazione

Quattro palestinesi uccisi e oltre 600 feriti è il bilancio parziale delle manifestazioni popolari lungo le linee tra Gaza e Israele. Intanto ieri in un testo approvato a larga maggioranza, l’Europarlamento prende di mira Hamas ed esorta l’esercito israeliano soltanto a una risposta proporzionata alle manifestazioni palestinesi.

Una tenda della Marcia del Ritorno a Gaza (Foto: Middle East Eye/Mohammad Asad)

ore 18.30 Uccisi altri due palestinesi

E’ salito a quattro il numero dei palestinesi uccisi oggi dai cecchini israeliani. Gli ultimi due sono Saed Abu Thamna e Mohammed Ayoub, appena 15enne. I feriti sono saliti a 645.

ore 17 – Supera i 120 il numero di feriti

Secondo il bilancio fornito poco fa dal ministero della Salute di Gaza, sono almeno 126 i feriti oggi tra i manifestanti palestinesi, per gas lacrimogeni, proiettili rivestiti di gomma e pallottole vere sparati dall’esercito israeliano.

ore 16 – Il ministro della Difesa israeliano Lieberman al confine con Gaza

Oggi il ministro della Difesa israeliano Lieberman ha compiuto un sopralluogo lungo la frontiera tra Gaza e Israele, durante le manifestazioni palestinesi per la Marcia del Ritorno. Su Twitter ha scritto: “Ho incontrato soldati e ufficiali che comprendono bene quale sia la loro missione. Sono determinati, sono il meglio di Israele, su di loro si può contare. Grazie alle attività delle nostre forze armate, di settimana in settimana cala il numero di quanti partecipano ai tumulti. Noi continuiamo a tenerci pronti a ogni sviluppo, sia a Gaza sia al confine nord», con riferimento alle frontiere con Siria e Libano.

ore 15 Ucciso un secondo palestinese

E’ di due palestinesi uccisi e di 83 feriti il bilancio delle manifestazioni lungo le linee tra Gaza e Israele. Lo riferisce il ministero della Sanità palestinese. Il secondo ucciso è stato identificato in Ahmed El Athamna, 24 anni.

ore 14.50 – Ai volantini dell’esercito i palestinesi rispondono con altri volantini

Dopo i volantini lanciati dall’esercito israeliano che intimava ai palestinesi di allontanarsi dai confini, i manifestanti ne hanno scritti di altri e li hanno legati agli aquiloni: “Sionisti, non c’è posto per voi in Palestina. Tornate da dove siete venuti. Non ascoltate i vostri leader. Loro vi portano alla morte e alla prigionia. Gerusalemme, capitale della Palestina”

(Foto: Twitter)

(Foto: Twitter)

ore 13.30 – Feriti tra Khan Younis e Rafah

Almeno 4 i feriti in modo serio tra Khan Younis e Rafah, sud della Striscia di Gaza, dall’esercito israeliano. Intanto alcune fonti palestinesi dicono che il giovane ucciso oggi, Ahmad Abu ‘Aqil, era disabile, già ferito alle gambe in passato dall’esercito israeliano. Lo riporta anche Palestine Tv.

ore 12.40 – E’ morto il giovane ferito questa mattina

E’ morto in ospedale il giovane palestinese ferito questa mattina al confine nord di Gaza. Fonti mediche lo hanno identificato: Ahmad Abu ‘Aqil, 25 anni. Era stato colpito alla testa da un proiettile sparato da un tiratore scelto israeliano.

ore 12.15 – Onu: protezione per i manifestanti palestinesi a Gaza

Jamie McGoldrick, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite, ha fatto appello alla protezione dei manifestanti palestinesi a Gaza e l’invio di aiuti umanitari immediati, a causa dell’alto numero di feriti colpiti dall’esercito israeliano e le difficoltà degli ospedali della Striscia a trattarli adeguatamente: “L’attuale impennata di necessità umanitarie è una crisi sopra una catastrofe. Mentre ci avviciniamo a un altro venerdì di manifestazioni vicino alla barriera tra Gaza e Israele, è fondamentale che le autorità israeliane esercitino massima moderatezza nell’uso della forza, secondo gli obblighi previsti dal diritto internazionale.

ore 11.50 – Giovane palestinese gravemente ferito alla testa

Secondo il ministero della Salute di Gaza, un giovane palestinese è stato gravemente ferito alla testa da un proiettile sparato dall’esercito israeliano a est di Jabaliya, nel nord della Striscia di Gaza. Si trova ora nell’unità di terapia intensiva.

ore 11.45 – Volantini di Israele sui manifestanti: state lontano dai confini

L’esercito israeliano ha lanciato questa mattina volantini lungo le linee di demarcazione tra Gaza e Israele in cui oggi si svolge il quarto venerdì di Marcia del Ritorno: “Non si tollereranno danni alle infrastrutture di sicurezza e alla barriera, che tutela i cittadini israeliani e verrà preso di mira chiunque cerchi di nuocere alla sicurezza israeliana”, si legge nei volantini, mentre lungo il confine sono già pronti – come nei venerdì precedenti – i cecchini di Tel Aviv.

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di Michele Giorgio – Il Manifesto

Gerusalemme, 20 aprile 2018, Nena News – Un colpo alla botte e una al cerchio, un colpo ad Hamas e uno a Israele. ‎Anzi, colpi soprattutto ai palestinesi. L’Europarlamento ieri ha ‎condannato Hamas per la presunta ‎‎«istigazione‎» alla ‎violenza alla ‎frontiera tra Gaza e Israele e ha esortato ‎l’esercito dello Stato ebraico ad ‎usare ‎«strumenti proporzionati‎» per rispondere alla “Marcia del ritorno” ‎dei palestinesi.

Con 524 voti a favore, 30 contrari e 92 ‎astensioni, ‎l’assemblea parlamentare, dopo aver espresso rammarico ‎per ‎‎«l’uccisione e il ferimento di manifestanti ‎palestinesi innocenti a Gaza‎», ‎ha riconosciuto «le sfide cui Israele deve far fronte in materia ‎di ‎sicurezza e la necessità di proteggere il suo territorio e i suoi confini‎».

‎Gli europarlamentari si sono detti preoccupati ‎‎‎«per il fatto che Hamas ‎sembri essere intenzionato a fomentare le ‎tensioni‎» e, adottando la ‎narrazione israeliana di quanto accade lungo le linee tra Gaza e Israele, ‎hanno condannato ‎«con fermezza la persistente tattica di ‎Hamas di ‎utilizzare i civili per coprire le attività terroristiche‎». ‎Solo alla fine il ‎testo europeo chiede la revoca del blocco israeliano della Striscia di ‎Gaza che dura da quasi 12 anni, il motivo principale che spinge decine di ‎migliaia di palestinesi a manifestare a ridosso delle linee di demarcazione ‎con lo Stato ebraico.

‎ Il voto europeo è giunto alla vigilia di nuove proteste di massa a ‎Gaza. Dopo il “venerdì delle ruote” e il “venerdì delle bandiere”, oggi ‎sarà il “venerdì dei martiri e dei prigionieri”. I promotori della “Marcia ‎del Ritorno” hanno annunciato che i cinque accampamenti di tende, ‎dove dal 30 marzo si radunano i manifestanti, sono stati avvicinati alle ‎barriere con Israele, da 700 a 500 metri di distanza, quindi ai limiti di ‎quella “no-go zone” proclamata unilateralmente da Israele all’interno del ‎territorio orientale di Gaza.

(Foto: Twitter)

Oggi vedremo la risposta di Israele, che si ‎prevede di nuovo dura. Nelle scorse settimane il ministro della difesa ‎Lieberman ha fatto schierare dozzine di tiratori scelti contro i ‎manifestanti. Gli effetti del fuoco dei cecchini sono stati devastanti: 33 ‎palestinesi sono stati uccisi e 4.279 feriti secondo il bilancio di vittime ‎diffuso due giorni fa dal ministero della sanità a Gaza. Tre degli uccisi ‎erano ragazzini, uno un giornalista. I feriti colpiti da munizioni vere sono ‎stati 1.539, quelli da proiettili rivestiti di gomma 388, gli intossicati dai ‎gas 1.878. Negli ospedali 134 feriti versano ancora in gravi condizioni, in ‎‎17 casi è stato necessario ricorrere ad amputazioni di arti.‎

‎Fonti di Gaza spiegano che Hamas, la forza principale dietro la ‎‎”Marcia del Ritorno”, ha respinto le pressioni dell’Egitto affinché ‎mettesse fine alle proteste del venerdì. Nell’incontro al Cairo con ‎l’intelligence egiziana, la delegazione del movimento islamico ha detto ‎che prenderà in considerazione il “pacchetto di idee” presentato ‎dall’Egitto – che include la ripresa dei colloqui per la riconciliazione ‎nazionale pal0estinese e uno scambio di prigionieri con Israele – ma non ‎intende spegnere le manifestazioni popolari lungo le linee di ‎demarcazione.‎

Deutsche Bank - un errore di 28 miliardi su operazione di derivati

Deutsche Bank si addebita per sbaglio 28 miliardi

20 aprile 2018, di Daniele Chicca

Un pagamento che doveva essere di routine è andato a finire male per la prima banca di Germania. In uno dei tanti dealing giornalieri nel settore dei derivati, Deutsche Bank ha effettuato un bonifico a una piattaforma di scambio di una cifra molto superiore al previsto, addebitandosi per sbaglio 28 miliardi di euro. L’errore è stato rettificato e il denaro è stato restituito di lì a poco, ma l’episodio è sintomo di una gestione ballerina dei rischi.

Il trasferimento di denaro verso la quarta clearing house al mondo è avvenuto all’incirca una settimana prima di Pasqua, quando Deutsche Bank stava eseguendo una delle operazioni giornaliere sul collaterale, secondo quanto riferito a Bloomberg da una fonte a conoscenza dei fatti.

La clearing house Eurex (che sta per European Exchange), controllata dal gruppo Deutsche Boerse, si è vista così accreditata sul proprio conto una somma di gran lunga superiore all’importo che doveva essere sborsato. L’errore, commesso nei giorni precedenti all’uscita di scena dell’amministratore delegato John Cryan, è stato individuato e rettificato immediatamente, senza dunque avere conseguenze finanziarie. Ma per qualche minuto le holding dell’exchange specializzata nel trading di derivati europei e di future e opzioni, sono aumentati di più del 50%.

Detto questo, l’episodio potrebbe recare all’immagine dell’istituto di credito in un momento delicato per il management. Rischia infatti, in un momento delicato a livello gestionale e di risultati per il gruppo, di alimentare qualche dubbio sulle pratiche di gestione e controllo del rischio di una delle banche leader in Europa, con l’ex top manager Cryan che aveva promesso di migliorare prima di venire estromesso dal suo incarico.

“Si è trattato di un errore operativo nel trasferimento del collaterale tra i conti principali di Deutsche Bank e il conto di Eurex”, spiega in un comunicato via email Charlie Olivier, portavoce di Deutsche Bank, spiegando che la banca stava effettuando tutte le verifiche del caso per far si che l’episodio non si ripeta.

La banca, dall’8 aprile guidata da Christian Sewing, che viene dal suo terzo anno di perdite, ha avviato un piano di ristrutturazione che nel 2018 ha raggiunto la sua “fase 1″, che prevede maggiori controlli interni e una riduzione del numero dei sistemi operativi da 45 a 32. I titoli Deutsche Bank, che da inizio 2018 hanno perso il 27%, in questo momento a Francoforte cedono lo 0,8 a 11,60 euro.

Siria - da Ghouta e da Douma i terroristi tagliagola mercenari bombardavano umanamente i civili di Damasco ma le anime candite occidentali non se non se ne sono mai accorte

SIRIA. I TUNNEL DEI JIHADISTI CHE I TG NON VI HANNO MOSTRATO.

Maurizio Blondet 20 aprile 2018 

Per giorni i tg ci hanno raccontato che stavano ritardando l’accesso degli esperti OPWC a Douma, al luogo del preteso attacco chimico. Facendo intendere che erano i russi e i siriani, che avevano qualcosa da nascondere.

Il vero motivo può essere in questi tunnel che le tv non vi hanno fatto vedere. E’ l’impressionante labirinto nascosto che – liberata Douma – i liberatori hanno scoperto sotto l’abitato: decine di chilometri di camminamenti, di cui colpisce la vastità e spaziosità – in certi tratti potevano passarci veicoli – e perfettamente fortificati: in modo da far capire che i tagliagole erano affiancati da importanti unità di genio militare occidentale.


E’ovvio che prima di far accedere gli esperti internazionali, le truppe dell’asse di resistenza abbiano voluto accertarsi che questo labirinto non nascondesse trappole esplosive o d’altro tipo.

Del resto alla sicurezza dei tecnici OPWC non provvedono le forze le forze siriane né quelle russe. Come ente sovrannazionale, essi sono protetti da un apposito apparato delle Nazioni Unite, lo United Nations Department of Safety and Security (UNDSS). Il direttore, di nome Peter Drennan, è un agente d’alto livello della polizia federale di Australia: potrebbe aver lui ritardato le cose, per consentire agli ultimi britannici di nascondere la partecipazione inglese alle operazioni dei terroristi? E’ sempre più chiaro infatti che il “caso Skripal” e le accuse dell’uso di gas chimici a Douma, vanno interpretati come un estremo sforzo di ritardare la resa dell’enclave di Goutha per far esfiltrare i consulenti in uniforme Usa, inglesi e israeliani.


Ma forse la causa è più semplicemente l’estrema pericolosità dei luoghi. Il direttore generale dell’OPWC, Ahmet Üzümcü, un diplomatico turco di carriera che è stato anche rappresentante della Turchia alla NATO, ha emesso un comunicato in cui spiegava che “il 16 aprile”, lo UNDSS (cioè gli agenti dell’ONU addetti alla loro sicurezza) “hanno preferito prima (di farsi accompagnare dai russi) fare una visita di ricognizione dei siti” in modo autonomo. “Al Sito 1 si è radunata una grande folla e il parere del gruppo di ricognizione dello UNDSS è stato di ritirarsi. Al Sito 2, il gruppo è stato fatto segno di tiri con armi da fuoco ed scoppiato un esplosivo. Il team di ricognizione ha fatto ritorno a Damasco”.

(On 16 April, we received confirmation from the National Authority of the Syrian Arab Republic that, under agreements reached to allow the evacuation of the population in Ghouta, the Syrian military were unable to enter Douma. The security for the sites where the FFM plans to deploy was under the control of the Russian Military Police. The United Nations Department of Safety and Security (UNDSS) has made the necessary arrangements with the Syrian authorities to escort the team to a certain point and then for the escort to be taken over by the Russian Military Police. However, the UNDSS preferred to first conduct a reconnaissance visit to the sites, which took place yesterday. FFM team members did not participate in this visit.)


I media non hanno raccontato ciò che davvero avveniva a Douma in quelle ore: l’armata siriana ha liberato 200 civili, alawiti e cristiani, che i jihadisti – specificamente quelli di Jaish al-Islam, pagati dai sauditi – hanno tenuto prigionieri per cinque anni,usandoli come scudi umani e persino portandoli in giro su camion chiusi in gabbia. Le varie Goracci non hanno potuto documentare la gioia e la commozione di questi prigionieri che hanno ritrovato le famiglie, che li temevano ormai morti.


Sono i civili di Douma che hanno scavato i tunnel: lo hanno raccontato loro, spiegando che dovevano scavare, per ricevere le razioni alimentari.

I tg mainstream naturalmente non hanno riportato la testimonianza in video del ragazzino Hasan Djab, uno di quelli che appaiono nel video dei Caschi Bianchi come “Intossicati dall’attacco chimico” . Ne ha già parlato l’Antidiplomatico:

“Eravamo nel seminterrato. La mamma mi ha detto ‘oggi non abbiamo niente da mangiare, cosa mangeremo domani?’ Abbiamo sentito un grido fuori, dicendo “vai all’ospedale”. Siamo corsi all’ospedale e non appena sono entrato, mi hanno afferrato e hanno iniziato a buttarmi acqua addosso “, ha aggiunto Hasan Diab.

Suo padre aggiunge che era al lavoro quando ha saputo che suo figlio era in ospedale. È corso verso l’ospedale e ha trovato la sua famiglia lì in buona salute, è andato in strada, precisando che non sentiva alcuna arma chimica. Secondo le loro dichiarazioni, i miliziani davano da mangiare a tutti i partecipanti (datteri, biscotti e riso) e poi li rilasciavano.



Il racconto è stato raccolo da un giornalista russo, sicché le goracci del caso possono schifarlo come propaganda russa (loro invece…). Ma l’ambasciatore di Mosca all’Onu mostrerà questo video col racconto del bambino al Consiglio di Sicurezza.



Gli ebrei occupano abusivamente terre non loro e schiacciano il popolo palestinese, nelle loro intenzioni e fare un genocidio

Dal 1967 Israele ha emanato 50.000 ordini di detenzione amministrativa contro i Palestinesi

Evidenza - 19/4/2018

Il Comitato palestinese per gli Affari dei prigionieri afferma che dal 1967 Israele ha emesso circa 50 mila ordini per la cosiddetta detenzione amministrativa contro i palestinesi, quando il regime occupò i Territori palestinesi.

Il Comitato ha dichiarato, questo lunedì, che il numero di ordini di detenzione amministrativa è aumentato drasticamente dal 2002, aggiungendo che 427 palestinesi sono attualmente detenuti a causa di tale meccanismo.

La detenzione amministrativa è una sorta di reclusione senza processo o accusa che consente a Israele di incarcerare i palestinesi fino a sei mesi. L’ordine di detenzione può essere rinnovato per periodi di tempo indefiniti.

Il Centro per gli studi dei prigionieri palestinesi (PPCS) ha invitato le organizzazioni internazionali per i diritti umani a fare pressione su Israele affinché si attenga alle disposizioni delle Convenzioni di Ginevra e rispetti i diritti dei prigionieri palestinesi.

Il capo della PPCS, Raafat Hamdouneh, ha dichiarato che i prigionieri palestinesi stanno affrontando condizioni difficili e ha lanciato l’allarme sulla situazione altamente esplosiva alla luce degli abusi quotidiani commessi contro di loro dalle forze israeliane.

Secondo Hamdouneh, quasi 6.500 prigionieri palestinesi sono tenuti in situazioni intollerabili, dove le visite sono proibite, i libri e l’istruzione sono vietati, il cibo è povero e la loro salute è trascurata.

Gaza segna la giornata dei prigionieri.

Il 17 aprile ha segnato la Giornata dei Prigionieri nei Territori palestinesi occupati. In questa occasione, i palestinesi dimostrano il loro sostegno ai detenuti nelle carceri israeliane.

In una dichiarazione rilasciata lunedì, Hanan Ashrawi, membro del Comitato esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ha dichiarato: “Mentre continuiamo a rendere omaggio ed affermare il nostro sostegno a tutti i prigionieri palestinesi, ex ed attuali, all’interno delle carceri israeliane, ci viene ricordata la loro fermezza ed impegno indissolubile per l’indipendenza e la giustizia di fronte alla violazione intenzionale e violenta e alla svalutazione dei loro diritti e delle loro vite da parte dell’occupante militare belligerante”.

Sempre domenica, decine di utenti su sedie a rotelle hanno partecipato ad una gara soprannominata “Marathon 1.500” a Gaza per dimostrare solidarietà ai malati o feriti palestinesi in prigione.

Nelle ultime settimane, nella Striscia di Gaza, Israele ha violentemente represso le manifestazioni di massa pacifiche contro il regime d’occupazione. 35 palestinesi sono stati uccisi.

La Striscia di Gaza è sotto assedio israeliano dal giugno 2007. L’embargo ha causato un declino del tenore di vita e livelli senza precedenti di disoccupazione e povertà.

Traduzione per InfoPal di F.H.L.