L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 20 ottobre 2018

La Rai occupata dal corrotto euroimbecille Pd

L’indagine che smaschera la Rai come feudo del Pd


Avevano fatto scalpore le dichiarazioni del vice premier Luigi Di Maio in merito alla qualità di parte del giornalismo italiano. “Noi raccontiamo la verità” così si erano difesi i giornalisti del Gruppo editoriale Gedi, quello che comprende Repubblica per intenderci, di fronte alle accuse di Di Maio.

Certo, l’uscita colorita e un po’ sopra le righe del vice premier ha fatto compattare la maggioranza del mondo del giornalismo e dell’editoria, pronti a difendere la professionalità del loro operato. 

La libertà d’informazione in Italia è solo apparente

Tuttavia, seppur con modalità d’espressione discutibili, Di Maio ha in parte colto un problema che, proprio questa settimana, si è manifestato alla luce del sole in maniera incredibilmente limpida e chiara. L’informazione italiana non conosce il principio del pluralismo, soprattutto in materia politica.

Un giudizio che getta ombra lungo tutto il sistema di informazione italiano e che, purtroppo, è dimostrato nero su bianco da una recente indagine pubblicata da Agcom, l’Autorità italiana per le Garanzie nelle Comunicazioni. Il documento, uscito lo scorso 12 ottobre, dal titolo “Tabelle relative al pluralismo politico/istituzionale in televisione. Periodo 1/30 settembre 2018”, è frutto di un’attenta indagine volta a prendere in considerazione i palinsesti delle principali emittenti televisive italiane, pubbliche e private, durante tutto il mese di settembre. Sotto esame sono finite la Rai, Mediaset e La7. Il risultato è stato impietoso. 

Sulla Rai trova spazio solo il Partito Democratico

Come si può notare dalla tabella sottostante è stata fatta una prima analisi specifica sul “tempo di parola dei soggetti politici e istituzionali nei telegiornali RAI”. Il Partito democratico spadroneggia ovunque: 34% del tempo totale sul Tg1, il 31% sul Tg2, addirittura il 40% nel Tg3. Con una media totale del 31%, la sua presenza viene insidiata da quella di Forza Italia, trasmessa per il 30% del tempo totale sui telegiornali Rai.

Come si può notare dalla tabella sottostante è stata fatta una prima analisi specifica sul “tempo di parola dei soggetti politici e istituzionali nei telegiornali RAI”. Il Partito democratico spadroneggia ovunque: 34% del tempo totale sul Tg1, il 31% sul Tg2, addirittura il 40% nel Tg3. Con una media totale del 31%, la sua presenza viene insidiata da quella di Forza Italia, trasmessa per il 30% del tempo totale sui telegiornali Rai.

Al contrario le due forze politiche che costituiscono la maggioranza delle preferenze elettorali nel Paese, Lega e Movimento 5 Stelle, racimolano rispettivamente un misero 8% e 9%. In sostanza la televisione pubblica è riuscita quasi a ribaltare quelle che sono le proporzioni dell’elettorato dei rispettivi partiti. Si tratta di percentuali da far accapponare la pelle, che mettono in discussione il concetto stesso di televisione pubblica, come emittente in grado di dare un servizio accessibile a tutti e, soprattutto, adatta ai gusti di tutti. 

La qualità scadente delle televisioni private

Non miglior sorte tocca poi alle emittenti private di Mediaset e La7, dove quest’ultima riesce, tra tutte, a salvare la faccia dell’imparzialità. A tratti grotteschi risultano invece i numeri di Mediaset, dove, il Tg4 concede il 64% del tempo totale alla sola Forza Italia. Una bella lezione per coloro che esaltano in maniera acritica l’efficienza e la qualità del servizio privato rispetto al pubblico.

Gli stessi saranno inevitabilmente esterrefatti nel scoprire che il loro modello di comunicazione privata si è allineata, negli standard, a quelli utilizzati dai Paesi oltre l’ex cortina di ferro. 

Marcello Foa è davvero un pericolo per l’informazione?

Questo quadro drammatico in cui sguazza la televisione italiana fa venire più di un dubbio circa la legittimità di alcune esternazioni fatte dopo la nomina di Marcello Foaa Presidente Rai. Si è parlato di probabile deriva autoritaria e filo governativa dell’emittente pubblica, a seguito della sua nomina. Si è preannunciato uno scenario in cui la televisione non fosse più garante di equità e libero accesso a tutte le parti politiche. Insomma si è semplicemente descritto per filo e per segno uno scenario e un metodo di lavoro già purtroppo ben presente e radicato nel sistema dell’informazione, pubblica e privata.

Vi è poi un ulteriore fattore che non trova spazio nell’indagine di Agcom e che renderebbe, probabilmente, i risultati ancora più tragici: la qualità del tempo concesso. Perché un programma può decidere di invitare un esponente di un partito, ma può, allo stesso tempo, ridurre al minimo i suoi interventi, se non addirittura procedere ad una vera e propria ce(n)sura. I due recenti casi con protagonisti Paolo Becchi, su La7, e Diego Fusaro, su Rai 3, dimostrano come un programma può, solo apparentemente, rispettare la par condicio, ma privare della parola i propri ospiti a seconda dell’appartenenza politica.

Paolo Becchi, invitato per presentare il suo libro, scopre che il suo ruolo è stato attribuito ad un altro ospite.

In bocca al lupo Marcello Foa, avrai un gran bel da fare.

Conte Di Maio Salvini il vostro mandato è chiaro mettere in Sicurezza l'Italia

A Salvini e Di Maio: ma voi sapete cosa state facendo?

Maurizio Blondet 20 ottobre 2018 

Un articolo fatto di copia/incolla. Incredibile quante cose intelligenti si trovano in twitter. Comincerei con un tweet di Gruido Crosetto:

Per cortesia, @matteosalvinimi, @luigidimaio, @GiuseppeConteIT, fatevi fare, da persone fidate, un quadro reale di cosa si sta addensando contro di noi sui mercati finanziari internazionali, di quale sarà il giudizio delle agenzie di rating e delle possibili conseguenze. Grazie

Vorrei aggiungere all’indirizzo dei due, uno dei quali ho votato: mentre litigate sul condono (dove ha ragione Di Maio) e per ripicca ponete 81 emendamenti sul decreto sicurezza (e qui ha ragione Salvini: sembra l’opposizione) avete perso di vista il Nemico Principale, che è potente, ha tutti i mezzi e le armi per schiacciarvi, a cominciare da una banca centrale nemica e quinte colonne nelle stanze dei bottoni – che voi non avete ancora saputo occupare. Vi rendete conto che, se mandate gli italiani a questa guerra con le eterne scarpe di cartone finite appesi a piazzale Loreto? E magari non dai piddini che ve l’hanno giurata, ma da noi che vi abbiamo votato.

Condono, reddito di cittadinanza, no-legge Fornero non sono stati un granché, sono venuti malcotti, diciamo. Non danno crescita né sviluppo. D’accordo, erano nel contratto. Ora per favore, sotto l’incalzare dello spread, volete occuparvi delle cose veramente urgenti da fare subito come arma contro le aggressioni dei mercati (ossia di Draghi e Berlino)?

La prima cosa, che dovevate aver già fatto: abrogare le norme criminali delle aste marginali sul debito pubblico, per cui lo Stato paga il 3-4 per cento di interessi a investitori che erano disposti a comprare i nostri titoli di debito da 1. E’ un trucco criminale inventato da Andreatta e Ciampi (maledetti traditori) che aumenta inutilmente i costo del nostro debito pubblico a solo vantaggio degli speculatori.

Se non sapete di cosa si tratta, Salvini e Di Maio, perché distratti da altro, leggetevi l’esortazione di Rinaldi e Dragoni che spiega bene il problema:


Dopodiché proponete un decreto d’urgenza per cancellare questa criminale idiozia che non ha eguali nel mondo (e fanno di noi il popolo finanziariamente più stupido e aggirabile che ci sia). Avete ricevuto in parlamento la maggioranza schiacciante: fate votare l’abolizione la cancellazione di questo trucco. Al ministero di Tria dovrebbero darvi indicazioni sulla formulazione della abrogazione. E’ una legge che è stata varata e approvata? Temo persino di no: che sia una cosa impapocchiata fra Tesoro e Bankitalia, così tra amiconi. Come il famigerato “divorzio” – la fine per la banca centrale di acquistare i Buoni del Tesoro eventualmente invenduti, facendo da calmiere agli interessi – non fu una legge approvata – e ancor meno discussa – dal parlamento, ma, come dovreste sapere, una lettera che Andreatta (Tesoro) scrisse a Ciampi (governatore), datata il 12 febbraio 1981.

Ora giustappunto, una cosa urgente da fare è rendere nulla questa lettera. A rigore, non occorre nemmeno un voto del Parlamento; visto che il divorzio non fu votato e non è legge, basta una lettera di Tria a Visco che annulla quella del 1981. Lo farà Tria? Lo accetterà Visco? Sarà interessante a vedersi. E avrete aggiustato il tiro sul Nemico Principale.

L’altra cosa da fare, con pari urgenza: offrire titoli del debito pubblico ai cittadini italiani, che hanno migliaia di miliardi di risparmi inoperosi – invece di andarli a piatire ai “mercati esteri”. Avete buoni economisti, ed avete parlato di CIR, Conti Individuali di Risparmio da offrire ai risparmiatori.

Ma “dal 2019 – mentre lo spread sale ORA, minaccioso, e bisogna fare qualcosa sin da subito”: sto citando Guido Grossi, l’esperto del problema, che vi dice: “Fra il 15 ottobre ed il 1 dicembre scadono 30 miliardi di BTP, che devono essere rinnovati. Fra il 12 ottobre ed il 30 novembre scadono anche 24 mld di BOT e 10 mld di CCT, attualmente posseduti da banche e fondi”. Grossi vi spiega cosa fare, vi rimando all’articolo:


Un altro twitterologo, Alberto Micalizzi, vi dice:

SPREAD AI MASSIMI DA 5 ANNI – SOLUZIONE IN DUE MOSSE,

1) Cassa Depositi e Prestiti in acquisto sistematico di BTP;

2) Tesoro emetta CCT ai risparmiatori attraverso il canale postale. Occorre farlo subito, senza tentennare e senza fare concessioni (fu l’errore di Berlusconi…).

Un altro:
I Minibot sarebbero un ottimo strumento di difesa contro lo spread (di P. Becchi e G. Palma)

Seguite il consiglio. E subito. Risparmierete così non i 56 milioni dei “tagli sui vitalizi” (briciole, di cui voi grillini avete fatto tanto tripudio: si vede che pensate da “poveri”), ma le centinaia, forse migliaia.

Avete anche la maggioranza per abolire l’obbligo del pareggio di bilancio in costituzione, norma fatta d Monti (ma anche da Giorgetti) per obbedienza servile ai tedeschi.

Mi sta venendo un dubbio: ma siete capaci di fare quello che dovete, nel caso estremo? Di espulsione o di uscita dall’euro? Avete in mano le leve per attuare i controlli sui capitali (ci sarà una fuga, anzi c’è già) contrastare il congelamento dei conti alla greca che Draghi può attuare emettendo i leggendari minibot? Sapete come si fa? Savona sa come si fa, ma io mi domando: la Banca d’Italia obbedirebbe? Il ministero del Tesoro ? La Rai, che voi non controllate ancora? Saprete farlo capire all’opinione pubblica, terrorizzata dal subisso mediatico terroristico sullo spread, impaurita per i propri risparmi?

Non mi sembra proprio. La gente è lasciata in balia delle voci dei terroristi interni: rischio-Italia, debito ingigantito e impagabile, bancarotta, lira supervalutata, inflazione, miseria….

Nessun ministro Tria che dica in due minuti sui TG della sera:

Di quale rischio-Italia state parlando? Come fate a dire che “i mercati non comprano i nostri titoli”? ma lo sapete che chi ha comprato i BTP nel 2011, quando andato al 5%, ha guadagnato il 50 per cento? E se li ha comprati dal 2008, ha guadagnato il 71 per cento?

Anch’io lo ignoravo. E non l’ho saputo da Tria né da un direttore generale ministeriale, né da Visco, bensì da Gianni Zibordi, trader. Qui una sua tabella e le sue parole:


I “mercati” faranno sempre la fila per indebitarci, dati i rendimenti che offriamo.

“Nel mondo di oggi tutto il reddito fisso sta facendo perdere soldi, i bonds in media da inizio anno hanno perso intorno al -2%; e se poi li hai comprati tramite banca, ossia tramite fondi, con i vari costi connessi probabilmente hai perso più del -3%. Oggi abbiamo tassi di interesse più bassi della storia dell’umanità, tutti i paesi importanti pagano tra meno di zero e il 3% massimo (gli USA o l’Australia o la Cina) e quando pagano il 3% come gli USA poi hanno anche inflazione al 3% per cui il rendimento reale è sempre zero.

“L’Italia in pratica è l’unico paese OCDE che paga rendimenti sui titoli di stato superiori all’inflazione !

“Se allora un paese che ha un surplus estero del 2,5% del PIL e un enorme risparmio privato come l’Italia offrisse rendimenti del 4% o 5% arriverebbero fondi da tutto il mondo per comprarne; e anche i risparmiatori italiani, che stanno ora soffrendo perdite su tutti i loro fondi, gestioni e polizze che le banche hanno loro rifilato possono rendersi conto che i titoli di stato non gli fanno perdere come “l’industria del risparmio gestito”. Se stai perdendo un -3% medio su tutti i prodotti del risparmio gestito della banca perchè ti deve fare schifo un 2 o 3% dei titoli di stato ?


Le tv di Stato, che voi non controllate, nascondono tutte le informazioni a favore dell’Italia. Per esempio questa:


“Il capo economista di Deutsche Bank ha detto che la Commissione UE sta esagerando con l’Italia, in quanto il deficit è generato solo da interessi sul debito.L’Italia è il più virtuoso dei Paesi europei – e la UE sta usando la mazza da baseball!

Già: l’economista-capo della Deutsche Bank, David Folkerts-Landau, intervistato da Bloomberg, ha detto che da 24 anni lo Stato italiano SPENDE MENO DI QUELLO CHE TASSA (ex interessi) è sempre in surplus, che dunque fare un po’ di spesa in deficit è “sostenibile”…”

La RAI non lo dice, il ministro Tria non lo dice; e nemmeno va a Bruxelles a ritorcere che se noi abbiamo fatto “una deviazione senza precedenti” per 8 miliardini di deficit, la Germania e l’Olanda fanno deviazioni senza precedenti di surplus che per normativa europea devono ridurre.

Voi non sapete quello che detto il premio Nobel Stiglitz:


Come liberare la RAI? Quanto costa?


I tg della Rai hanno dato voce a reti unificate al PD e Fi per tutto il mese di settembre.

La Rai è occupata, come sapete, da poco meno di cento giornalisti o simili che costano ciascuno 200-300 mila euro l’anno: dalla figlia del vecchio capo comunista Berlinguer (330 mila) alla ex lottacontinua (o Potere Operaio) Botteri (220 mila), più le dozzine che prendono 100mila e quindi non sono pubblicati. E’ imperativo toglierli dal video, invitarli a mettersi in pensione: ma come? Facciamo un conto sommario: la Berlinguer è lì da 35 anni. Contando una mensilità per ogni anno di anzianità, il suo trattamento di fine rapporto costa 900 mila euro almeno. Solo per congedare i cento strapagati del vecchio regime, bisogna sborsare decine di milioni.

Cari Salvini e Di Maio, ve lo dico seriamente: state rischiando il favore popolare. Voi siete al governo come un CLN, Comitato di Liberazione Nazionale. Come il precedente CLN storico univa monarchici, cattolici e comunisti nella “lotta antifascista”, anche voi avete miracolosamente unito due movimenti che incarnano due Italie e due “culture” incredibilmente eterogenee ed incomunicabili, fatte per non capirsi. Basta dire che il Sud, in piena e tragica decrescita infelice, con milioni di giovani che né studiano né lavorano e sono perduti per ogni possibilità di occupazione, ha adottato l’ideologia della “decrescita felice” ecologista fantasticata da Beppe Grillo (che non ha mai visto una fabbrica), e si oppone ad una fonte di energia di cui avremo assoluta necessità se usciamo dall’euro, e voleva chiudere l’ILVA.

Ebbene: siete uniti politicamente con un “Nord-Est, Emilia, Lombardia e Veneto, ha un surplus estero di 56 miliardi, il secondo nella UE dopo la Germania” . 


“Con un Pil che arriva 738 miliardi di euro, l’area compresa fra Milano-Bologna-Padova/Treviso, supera nazioni come i Paesi Bassi, la Svezia o la Polonia, diventando, di fatto, la sesta nazione europea”.

“Se si sommano tutte insieme le province di Milano, Lodi, Monza e Varese, a quelle di Bologna, Modena e Ferrara e, infine, a Treviso, Padova e Venezia, possiamo vedere che queste province hanno generato (dati 2015) un Pil complessivo di 375,3 miliardi di euro, superiore a quello dell’Austria. Il valore aggiunto ha sfiorato i 63 miliardi di euro, più della Svezia. Se poi dai soli vertici del triangolo passiamo a tutta l’estensione territoriale del triangolo, alla sua area, il Pil arriva 738 miliardi di euro, superiore a quello di nazioni come i Paesi Bassi, la Svezia o la Polonia, facendolo diventare, di fatto, la sesta nazione europea”



Ebbene, l’Austria

che è un nano economico rispetto al Nord-Italia, si permette di ordinarci di obbedire ai diktat UE:
Manovra, Austria chiede risposta chiara Ue a Italia, Roma mette tutti a rischio


Ciò perché un’Italia che ha un rapporto irrisolto, diciamo, con la “buona modernità” produttiva, ignara della cultura industriale che è anche un’etica del miglioramento personale, non si rende conto di essere unita ad una specie di Germania manifatturiera che, nonostante tutti i bastoni fra le ruote messi dalla burocrazia pubblica, dal fisco e dai giudici, riesce ad affermarsi come una potenza industriale vera. Con una moneta meno sopravvalutata, questa potenza, questo forte cavallo oggi bastonato e legato, troverebbe quell “ ’impulso da una gigantesca volontà di futuro” che la UE ha fatto perdere a tutti, Meridione e Settentrione. Non vi distraete dallo scopo principale, non litigate davanti al Nemico Principale. Non mostrate davanti agli euiropeiostili questa profonda dissociazione, disgregazione, che è l’infermità gravissima del corpo nazionale Concentratevi. Siete in pericolo voi stessi se fallite. Il vostro collo. Lo dico sul serio.

20 ottobre 2018 - Un Bel Fuorionda Antonio Maria Rinaldi

20 ottobre 2018 - DIEGO FUSARO: Interventi a "Matrix" (Canale 5) del 19.10.1018

Il corrotto euroimbecille Pd fa le leggi e poi insulta chi le applica comportamento schizofrenico ma d'altra parte da questa gente non ci si può aspettare altro

Lodi, la legge anti-immigrati sulla mensa? Scritta dalla sinistra

Il sindaco di Lodi si è "adeguata" alla normativa vigente. Che è stata emanata da governi di sinistra

Claudio Cartaldo - Ven, 19/10/2018 - 11:08

Avete presente le proteste della sinistra per la decisione del sindaco di Lodi di chiedere documenti aggiuntivi alle famiglie straniere per ottenere i bonus mensa all'asilo? In molti hanno parlato di "aparthaid", di "razzismo" e via dicendo.


Peccato che, come fa notare Libero, si tratti solo di un "adeguamento" voluto dal primo cittadino alla normativa vigente. E la legge non l'hanno scritta Salvini o altri populisti di ogni ordine e grado. Ma i premier simbolo della sinistra.

Partiamo dal principio. Come noto a Lodi il sindaco ha chiesto alle famiglie straniere di presentare un documento, rilasciato dallo Stato di origine, che attesti eventuali altri beni (mobili e immobili) e redditi esteri quando si va a calcolare il reddito per poter accedere allo sconto alla mensa scolastica. In sostanza, non basta presentare l'Isee, ma occorre assicurare che non si abbia una casa o altri guadagni nei Paesi di appartenenza. Sono subito montate le polemiche, ovviamente, e una associazione ha anche dato il via ad una raccolta fondi per pagare il pranzo ai bimbi di chi verrà escluso dallo sconto.

Il fatto è che, come scrive Libero, la norma vigente emerge da due decreti del presidente della Repubblica (394 del 1999 e il numero 445 del 2000) e un decreto legislativo del 1998 ("Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell' immigrazione e norme sulla condizione dello straniero") che sono stati firmati rispettivamente da Carlo Azeglio Ciampi ed emanati da Romano Prodi. Nelle norme si legge che i "cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea autorizzati a soggiornare nel territorio dello Stato" devono produrre, per "stati, qualità personali e fatti" non certificabili da parte di soggetti pubblici italiani, "certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero". Insomma: la legge a cui si è adeguata il sindaco Casanova è stata redatta da governi sinistri. E non populisti.

I nervi scoperti degli euroimbecilli del corrotto Pd gli fanno assumere comportamenti scomposti ed isterici

POLITICA
19/10/2018 20:15 CEST | Aggiornato 18 ore fa

"Soros finanzia gli eurodeputati del Pd", bufera sulle dichiarazioni di Marcello Foa
Il Pd annuncia una querela nei confronti del presidente della Rai: "Ci diffama. Dovrà rispondere in sede penale con relativo risarcimento danni"


SIMONA GRANATI - CORBIS VIA GETTY IMAGES

"L'intera delegazione" degli eurodeputati del Pd, secondo il presidente della Rai, sarebbe finanziata da George Soros, Steve Bannon è intelligente ma pensa solo all'America e le diffidenze nei confronti dei migranti si basano "sulla diretta esperienza sociale". A fare queste affermazioni non una persona qualunque ma Marcello Foa, presidente della Rai. Affermazioni, queste, fatte in un'intervista al quotidiano israeliano Haaretz.

Le sue parole hanno scatenato l'immediata reazione del Partito democratico. Il giornale cita il portavoce del Pd Roberto Cuillo che ha negato l'affermazione di Foa. Secondo Cuillo, Foa si riferiva probabilmente a simili accuse basate su un rapporto di una società di consulting che aveva stilato una lista di eurodeputati le cui posizioni erano ritenute vicine a Soros. Accuse che l'anno scorso erano circolate sui media populisti ed euroscettici. "Sono dichiarazioni di una gravità inaudita, si dimetta", ha affermato il dem Francesco Verducci, vicepresidente della Commissione di Vigilanza Rai. Per Verducci, inoltre, "nelle dichiarazioni di Foa emergono toni xenofobi contro migranti e minoranze". Dello stesso tenore le dichiarazioni di Salvatore Margiotta, senatore del Pd e di Michele Anzaldi, deputato dem e segretario della commissione di Vigilanza Rai, che ha affermato: "Le parole di Marcello Foa al quotidiano israeliano Haaretz sono gravissime e vergognose. Foa parla come un esponente politico, addirittura come un portavoce del governo Salvini-Di Maio e attacca anche un partito di opposizione, il Pd, inventando balle".

Dopo le reazioni del Partito democratico è arrivata la risposta di Foa: "Chi mi accusa di razzismo e di xenofobia forse farebbe meglio a leggere tutto il testo del lungo colloquio avuto con Haaretz invece di affidarsi a sintesi di agenzia. Nell'intervista ho dichiarato esattamente l'opposto e ho preso nettamente le distanze da ogni forma di razzismo e di estremismo. Sono dunque accuse strumentali il cui intento politico è evidente". E sul presunto finanziamento di Soros agli eurodeputati dem ha affermato, in un post su Facebook: "Non sono io a dirlo ma la stessa Open Society in un suo rapporto interno".

Ma al Pd la risposta di Foa non basta e Patrizia Toia, a nome dei suoi colleghi dem del Parlamento europeo annuncia che il presidente della Rai sarà denunciato per diffamazione: "Abbiamo deciso tutti insieme di portarlo davanti ad un tribunale della Repubblica. Foa dovrà rispondere in sede penale con relativo risarcimento danni", ha affermato.

Sulla questione è intervenuto anche David Sassoli, vicepresidente del Parlamento europeo: "Non avrei mai immaginato di dover querelare e chiedere i danni al presidente della Rai. Il presidente dell'azienda di servizio pubblico italiana dovrà dimostrare quello che ha sostenuto, privo di ogni fondamento, in Tribunale davanti a un giudice", ha dichiarato.

L'Euroimbecillità dei giornaloni e delle Tv è silente, la Vigilanza della Bce non esiste

Chissà perché nessuno parla di questa truffa tedesca

Maurizio Blondet 19 ottobre 2018 

(Dov’era la vigilanza BCE? Ah sì, deve dare ordini alle banche italiane. Deve far mancare i fondi alle banche nostre. . E la Bundesbank? Deve condannare il maggior debito italiano di 13 miliardi – e ne “perde” 55. In piena omertà – e complicità)

La mega truffa sui dividendi tocca Deutsche Bank e Santander

CumEx-Files è stata definita la più imponente investigazione in Germania dal secondo Dopoguerra: vede al centro la transazione di azioni tedesche, ma anche italiane. Secondo le tre procure è costata solo al fisco tedesco oltre 55 mld di euro. HVB (Unicredit) ha chiuso le pendenze con la magistratura e presentato ricorso per risarcimento nei confronti di tre ex dipendenti

Rischia di diventare la più importante inchiesta per frode in Germania dal Dopoguerra a oggi, giocata attorno a quella che le autorità hanno definito una truffa sui dividendi. E che pare sia già costata ai contribuenti tedeschi oltre 55 miliardi di euro. Ma il timore è che l’effetto dirompente si estenda a mezza Europa, Italia compresa.

Il fascicolo prende il nome di CumEx-Files e su questo vi stanno lavorando dall’aprile del 2013 (con una forte accelerazione negli ultimi mesi) tre procure su fatti avvenuti fra il 2006 e il 2009. Si tratta di Francoforte, Monaco e Colonia. Quest’ultima è fra l’altro specializzata in crimini fiscali internazionali. Nelle ultime ore stanno emergendo dai media tedeschi diversi particolari sulle indagini, grazie al lungo lavoro svolto in 12 nazioni da 19 gruppi editoriali riuniti nella newsroom Correctiv.

Secondo l’accusa, le banche coinvolte nella truffa avrebbero fuorviato lo Stato tedesco su due livelli: il primo accreditando il dividendo nella giornata di stacco a più soggetti, che risultavano tutti titolari dell’azione, e il secondo perché questi ultimi maturavano un credito fiscale dalla cedola. Oggi il Tagesschau scrive che alla fine dei conti si è trattato di danni per 55,2 miliardi nei confronti del Fisco di Berlino.

Ma non riguarderebbe solo la Germania, anzi.

Sempre il Tagesschau oggi riporta alcune rivelazioni fatte alla magistratura tedesca da alcune persone coinvolte nella truffa. “Abbiamo creato una macchina del demonio”, ha detto una fonte a conoscenza dei fatti agli investigatori. “Non abbiano transato solo azioni tedesche, ma anche di altre nazioni quali Francia, Spagna, Italia, Austria, Belgio, Danimarca”.

Come ha funzionato, di fatto, lo schema secondo le procure? Una banca accetta di vendere il titolo di una società quotata, per esempio a un fondo pensione, prima dello stacco della cedola e glielo consegna dopo che il dividendo viene pagato. Sia la banca che il fondo pensione fanno richiesta della ritenuta sui dividendi (witholding tax).

In alcuni casi le banche vendono azioni che non posseggono e concordano di acquistarle più avanti nel tempo secondo il metodo dello short selling. Il titolo viene rapidamente trattato all’interno di un gruppo sindacato di istituti di credito, investitori ed hedge fund per creare l’impressione che vi siano molti possessori (ma l’azione è una solo). I profitti da questa operazione (illegale) vengono poi divisi fra i soggetti.

Secondo l’agenzia Reuters, i nomi degli istituti coinvolti nell’operazione sono diversi: in primis lo spagnolo Santander, ma anche Deutsche Bank e l’australiana Macquarie Bank. Quanto ad HVB, la controllata di Unicredit , il gruppo guidato dall’ad Jean Pierre Mustier ha chiuso le pendenze con la magistratura e presentato ricorso per risarcimento nei confronti di tre ex dipendenti. La specifica è contenuta nel bilancio semestrale della banca al 30 giugno 2018.

Secondo il documento, il Supervisory Board del gruppo ha concluso le indagini interne scoprendo che la controllata tedesca, Ucb AG, “ha subito perdite a causa di passate azioni/omissioni attribuibili a singole persone. A tal proposito, il Supervisory Board ha presentato un ricorso per risarcimento danni nei confronti di tre singoli ex componenti del consiglio di gestione non ritenendo opportuno intraprendere alcuna azione nei confronti dei componenti dello stesso attualmente in carica”. Sono state poi condotte “indagini penali nei confronti di attuali o ex dipendenti in Germania da parte delle Procure di Francoforte, Colonia e Monaco con lo scopo di verificare presunti reati di evasione fiscale da parte loro”. La banca ha collaborato e sta collaborando con i magistrati.

Il procedimento di Colonia si è chiuso nel novembre 2015 con il pagamento di una sanzione di 9,8 milioni di euro. Le indagini della Procura di Francoforte sono state invece chiuse a febbraio 2016 con una sanzione di 5 milioni. L’indagine del procuratore di Monaco è stata a sua volta chiusa ad aprile 2017, con il versamento di 5 milioni di euro. “Allo stato, tutti i procedimenti contro Ucb AG sono stati definiti”, si legge in bilancio.

Sempre la semestrale aggiunge che “le autorità fiscali di Monaco stanno regolarmente effettuando verifiche fiscali nei confronti di Ucb AG, in relazione agli anni dal 2009 al 2012, che inter alia, includono l’analisi di altre operazioni di negoziazione di azioni in prossimità delle date di pagamento dei dividendi… Non è ancora chiaro se, e a quali condizioni, crediti fiscali o rimborsi di imposte possano essere applicati ai diversi tipi di operazioni concluse in prossimità della data di distribuzione dei dividendi”. Non è poi possibile “stabilire se Ucb AG possa essere esposta a pretese fiscali da parte dei competenti uffici oppure a pretese da parte di terzi in base alle norme civilistiche”. La controllata tedesca “ha predisposto accantonamenti ritenuti dalla stessa congrui a coprire il rischio di causa”.

Il Fisco tedesco ha scritto agli inquirenti di Colonia che ci sono “concrete indicazioni” che, per esempio, il Santander abbia operato nel ruolo di short seller, venditore allo scoperto. Tre fondi pensione hanno invece usato linee di credito da Macquarie, aggiunge poi Reuters. La banca australiana ha spiegato “che continuerà a cooperare con le autorità tedesche”. Macquarie ha calcolato che dovrà sborsare 100 milioni di euro in dispute legali, metà dei quali già pagati.

Quanto al Santander, gli inquirenti hanno scritto agli avvocati della banca spagnola dicendo che l’istituto e la sua controllata inglese Abbey National Treasury Services, sono state coinvolte “in un ampio numero” di operazioni che riguardano lo short selling, una fase importante della truffa che riguarda il possesso di una singola azione da parte di più soggetti. Il gruppo spagnolo ha ribattuto che “alla data di oggi non abbiamo identificato alcuna evidenza che le attività sotto investigazione abbiano coinvolto manager senior, la banca o sue controllate”.

In relazione a Deutsche Bank , un portavoce del gruppo tedesco ha riferito a Reuters che la banca non ha partecipato “al mercato cum-ex organizzato”, ma che è stata “coinvolta in alcune transazioni di tipo cum-ex riguardanti taluni clienti”. Ha poi aggiunto di stare cooperando con le autorità inquirenti.

(Grazie, Milano Finanza!)



E' guerra vera all'Euroimbecillità - Fazio e Savona usano spartiti simili con la supervisione del maestro Giulio Sapelli

Vi spiego perché così com’è l’Europa non funziona. Parola di Fazio (ex Bankitalia)

20 ottobre 2018


Il pensiero dell’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, in un’intervista alla rivista Credito Popolare, sulle istituzioni europee e non solo. 

Quasi delle Considerazioni Finali. Antonio Fazio, ex governatore della Banca d’Italia, torna a far sentire la sua voce con una lunga intervista rilasciata a Cesare Pacioni e Vittorio Mucci per Credito Popolare, il trimestrale dell’Associazione Nazionale fra le Banche Popolari, dedicato nell’ultimo numero in gran parte al ricordo di Ezio Tarantelli, l’economista ucciso dalle Brigate Rosse nel 1985, avviato negli anni 60 allo studio del mercato del lavoro proprio da Fazio, quando lo coinvolse nello staff dell’Ufficio ricerche econometriche della Banca d’Italia.

Fazio, da sempre convinto che sia stato un errore cancellare le gabbie salariali («cosa c’è di più rigido di un principio che prevede lo stesso salario per tutti?»), pensa che il tema del costo del lavoro sia tornato della massima attualità. «Quando, cedendo sovranità sulla politica monetaria, si perde lo strumento del cambio, bisognerebbe conservare un adeguato spazio di manovra sugli altri due strumenti di politica economica: bilancio pubblico e costo del lavoro».

Nessun governo, però, li ha presi seriamente in considerazione, nonostante fosse evidente «la necessità di agire almeno sul livello dei salari e sulla produttività». Invece «tra il 2000 e il 2017 la produzione industriale in Italia, in termini reali, è diminuita di almeno il 15%.

In Germania, l’attività industriale nello stesso intervallo di tempo, è cresciuta del 25%. È evidente che non siamo competitivi. Quando, nel 1999, invitai Samuelson – con il quale ho sempre mantenuto un cordiale rapporto tra allievo e maestro e, per parte sua, anche affettuoso – a fare una conferenza in Banca d’Italia, ci spiegò bene il funzionamento del mercato del lavoro americano basato su un livello minimo salariale al quale anche le imprese meno produttive possono accedere.

Poi nulla e nessuno vieta che i salari possano essere più alti in relazione al livello e all’accrescimento della produttività. So bene quanto alcune scelte possano essere difficili e impopolari. Disse una volta Guido Carli: «Entrati nel Mercato Comune, gli operai della Fiat vorranno e chiederanno i salari degli operai della Volkswagen . Subito dopo aggiunse: «Però gli operai della Fiat non sanno fare le automobili come le Volkswagen ».

Secondo Fazio, ora «bisognerebbe osare e percorrere strade che, senza mettere in discussione la moneta unica, rimettano al centro la politica economica. Coinvolgere i lavoratori nella gestione dell’azienda è una di queste strade. Una scelta che, tra l’altro, produrrebbe maggiore e più stabile occupazione. Del resto lo avevano già capito i Costituenti quando hanno scritto l’articolo 46 della nostra Carta – fondata sul lavoro e non sull’euro – riconoscendo che «ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto – si badi bene: il diritto, non la facoltà – dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende».

Aver sottovalutato il tema del costo del lavoro non è però l’unico errore che Fazio imputa ai governi precedenti. Anche aver accettato il trasferimento della vigilanza sugli istituti di credito da Bankitalia alla Banca Centrale Europea, secondo lui, è stato un enorme sbaglio. «Se alla banca centrale viene tolto il controllo sulle maggiori banche, viene tolto lo strumento per intervenire quando è necessario. In tutti i casi di crisi che si sono verificate dal 1995 e con tutte le riforme che si sono susseguite, nessuno ha perso una lira (o, dopo, un euro). Si interveniva. Anche chi assorbiva sportelli di banche in crisi, alla fine, faceva un affare. Abbandonare questo sistema e poi introdurre il bail-in è stato un errore. Non funziona. Riduce la vigilanza a continue immissioni di regole e richieste di ricapitalizzazioni». (…) «Quando la Vigilanza era tra le competenze delle singole banche centrali, nel momento in cui i dati cominciavano a mostrare anche minime criticità, si interveniva immediatamente, spesso anche soltanto informalmente, per evitare preventivamente situazioni di crisi. Negli Stati Uniti funziona ancora così. Occorre tornare a riflettere seriamente su questo problema, senza restare ancorati a un sistema che, alla prova dei fatti, si è visto non essere efficiente».

Quanto al nuovo governo, pur evitando di entrare nel merito di misure di bilancio ancora per lo più sconosciute, Fazio condivide le critiche alla linea di austerity imposta da Bruxelles, mentre la strategia vincente al riguardo «deve essere quella delineata dal professor Savona. Quella cioè di agire sugli investimenti», il che «non significa, per forza di cose, ricorso al finanziamento pubblico. C’è, oggi nel mondo, grande abbondanza di potenziali finanziamenti che potrebbero essere attivati per progetti di pubblica utilità. Si pensi alle strade, ai ponti, agli aeroporti, ai porti turistici, ai parcheggi nelle città e a molte altre strutture di pubblica utilità che si posso autofinanziare nel mercato. Occorre, dunque, una forte iniziativa pubblica che non significa, se non in misura assolutamente minima, finanziamenti pubblici».

Articolo pubblicato su Mf/Milano finanza

Gli euroimbecilli a Bruxelles e quelli italiani, i giornaloni e le Tv se ne facciano una ragione l'Italia ha i conti più in ordine dell'intera Euroimbecillità e non c'è logica nel continuare a colpirla con una mazza da baseball

L’Italia? Il Paese più virtuoso in Europa. Parola di capo economista della Deutsche Bank

20 ottobre 2018


“L’Italia, in questo senso, è il paese più virtuoso in Europa, ed ora il fatto di andare da lei con una mazza da baseball e dire “Devi abbassare il tuo budget perché sia ‘Sostenibile‘ per i criteri della UE” va contro tutte le ragioni e le logiche politiche”.

E’ quello che ha detto ieri Folkerts Landau, capo economista di Deutsche Bank a Londra, intervistato da Bloomberg TV.

ECCO CHE COSA HA DETTO DELL’ITALIA IL CAPO ECONOMISTA DI DEUTSCHE BANK

Ecco la traduzione del passaggio che riguarda l’Italia fatta da Fabio Lugano sul sito Scenari economici di Antonio Maria Rinaldi.

“L’Italia ha un surplus, se non per il pagamento degli interessi. La cosa più straordinaria è che lo sforzo fiscale dell’Italia è oltre ciò che chiunque altro ha fatto in Europa, ed ha accumulato surplus primari per il 13% del PIL, mentre la Germania solo il 5%”.

L’ITALIA? IL PAESE PIU’ VIRTUOSO IN EUROPA

“L’Italia, in questo senso, è il paese più virtuoso in Europa, ed ora il fatto di andare da lei con una mazza da baseball e dire “Devi abbassare il tuo budget perché sia ‘Sostenibile‘ per i criteri della UE” va contro tutte le ragioni e le logiche politiche”.

LA MINACCIA CONTROPRODUCENTE DELL’EUROZONA

“Infatti io credo che questa sorta di minaccia, di pressione, da parte della UE stia radicalizzando la Nazione, stia radicalizzando la politica stia creando un pericolo per l’esistenza dell’Eurozona. Sì, sono fortemente dal lato degli italiani su questo particolare argomento”.

Spread - quell'accelerazione impressa da Bruxelles ...

MONDO, PRIMO PIANO
Moody’s, ecco perché gli allarmismi sui downgrade sono eccessivi
di Giuseppe Sersale
20 ottobre 2018



Non solo Moody’s. Il commento giornaliero ai mercati finanziari di Giuseppe Sersale, Strategist di Anthilia Capital Partners Sgr


Ieri la vera svolta per gli asset europei è arrivata a metà pomeriggio, quando Moscovici, firmatario insieme a Dombrovskis della lettera di ieri, ha utilizzato toni assai più conciliatori. Il commissario europeo ha dichiarato che il dialogo con l’Italia è buono, le divergenze possono essere appianate, l’Unione europea comprende le priorità del Governo italiano, e non vuole dare lezioni di budget ne interferire. La carota, dopo il bastone, insomma.

LE PAROLE DI MOSCOVICI

Non che la sostanza cambi granché, ma le parole di Moscovici hanno funto da catalyst per un bel round di ricoperture da fine settimana, alla vigilia di un week end in cui possono succedere parecchie cose.

CHE COSA SUCCEDERA’ OGGI

Oggi ci dovrebbe essere lo showdown tra Salvini e Di Maio sul decreto, ed entro lunedì bisogna rispondere al Bruxelles.

QUESTIONE DI RATING

E poi, come osservavo giorni fa, prima che l’accelerazione impressa da Bruxelles alle vicende causasse questo finimondo, sui livelli attuali lo spread prezza uno scenario abbastanza negativo. Il rating implicito si colloca tra la doppia e la singola “B”, ben sotto la soglia che divide l’investment grade dal high yield.

LA DECISIONE DI MOODY’S

Ieri sera Moody’s ha tagliato il rating sui titoli di Stato dell’Italia portandolo da Baa2 a Baa3 con outlook stabile. Baa3 rappresenta l’ultimo gradino prima del livello “spazzatura”.

ALLARMISMI ECCESSIVI

L’eventualità che i downgrade impongano vendite forzate ad alcune categorie di investitori è remota per il momento. Per determinare l’uscita dei BTP dagli indici occorrerebbero 2 downgrade da Moody’s e S&P (Citi index) oppure 4 cumulativi (Bloomberg Barclays). La inidoneità a collaterale presso ECB richiede rating junk da tutte le agenzie e l’assenza di un programma di assistenza finanziaria EU.

LO SCENARIO SULLO SPREAD

Con questo non intendo dire che gli attuali livelli coprano da qualsiasi rischio. La direzione dipende dagli eventi dei prossimi giorni e lo scenario centrale sembra uno spread nel range tra 300 e 350.

Gli euroimbecilli tedeschi vogliono mandarci via dall'Euro, li costringiamo a guardare in faccia alla realtà e loro non ci stanno

NON DIVIDERSI DI FRONTE AL NEMICO. IL MOMENTO E’ DECISIVO.

Maurizio Blondet 18 ottobre 2018 

Quante rotture di unioni monetarie sono avvenute dal 1918 in poi? Risposta: 67. Precisamente 67 paesi hanno esercitato il loro diritto sovrano di uscire da una zona monetaria che vivevano come opprimente.


Dell’eurozona, Nordvig elenca la quota di Pil mondiale che rappresenta, e il Pil pro capite di ogni paese coinvolto da una uscita monetaria. I GIIPS sono Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo e Spagna, probabili uscenti dall’eurozona.

Si va dall’Algeria che uscì dal franco francese nel 1969 a Malta che abbandonò la sterlina nel 1971, dalla Slovenia e Croazia che si staccarono dalla “Jugoslavia” e dalla sua moneta nel 1991. La dissoluzione dell’impero austro-ungarico nel 1918 ha visto l’Austria farsi la sua moneta e i paesi che ne facevano parte farsi le loro, senza particolari traumi. Cechia e Slovacchia si sono monetariamente divise di comune accordo nel 1992, senza subire le apocalissi, stermini e rovine che profetizzano i media europeisti e i Beppe Severgnini: e sì che sono paesi piccolissimi. La rottura della zona del rublo nel collasso dell’Unione Sovietica è del ’92 – e benché abbia avuto gravi conseguenze per la Madre Russia, non è stato per ragioni di frattura monetaria, e i paesi che si sono distaccati dal rublo (a cominciare dai baltici) se la cavano benino.
Nessuna unione monetaria dura

Soprattutto, la storia insegna questo: che tutte le unioni monetarie si sono prima o poi spezzate. Lo si ricava da uno studio importantissimo, grandioso, di un notevole economista (e banchiere d’affari) danese, Jens Nordvig. Un testo di 116 pagine molto dense e a tratti necessariamente tecniche. E’ uno studio del 2012, e benché sia spesso citato per esempio da Alberto Bagnai, è per lo più sconosciuto alle opinioni pubbliche, perché i media – accortamente – non l’hanno mai divulgato.


Anche l’Italia è nella sua storia uscita da una unione monetaria. Se Nordvig non si fosse limitato al ‘900, ne avrebbe parlato sicuramente: avvenne nel 1865, quando il regno savoiardo creò una zona monetaria latina con il Belgio, la Francia di Napoleone III e la Svizzera, a cui si unì poi la Grecia, e più tardi la Serbia; la Spagna ne adottò i principi, anche se non formalmente, non riuscendo a garantire l’adeguato livello di denaro circolante in funzione delle sua riserve di oro ed argento (vigeva il Gold Standard).

All’epoca, una notevole porzione dell’economia europea, anzi mondiale. L’obiettivo, studiato a tavolino, era di permettere la libera circolazione delle valute fra gli stati membri, e portò alla creazione del marengo, che aveva lo stesso tenute aureo dei 5 franchi di Napoleone III. Fu un fallimento per moltissimi motivi – dalla scoperta di giacimenti d’argento nel Nevada alla guerra di Bismarck contro la Francia, per la quale il paese sconfitto pagò in argento al punto da svalutare il metallo – e l’Italia la prima che ne uscì. Nel 1914 la convertibilità in oro fu abbandonata e questo ne decretò la fine, anche se formalmente solo nel 1926 l’unione latina

fu abolita.


Nordvig ammette che la rottura della zona euro non ha precedenti storici, sia per la dimensione delle economie europee coinvolte, l’alto sviluppo della finanziarizzazione europea e il suo fitto intreccio con la finanza mondiale, e infine la funzione di valuta di riserva (il 19% delle riserve nelle banche centrali del pianeta è in euro).

Ordine di grandezza delle economie coinvolte in rotture di zone monetarie.

Tuttavia è anche vero che l’Europa ha avuto già due rotture: il serpente monetario e lo ESM. Nordvig esamina dunque tutte le ipotesi di uscita unilaterale, di uscita multilaterale concordata, esplosione dell’eurozona, esaminandone gli aspetti fiscali, legali, di ridenominazione e di valutazione o svalutazione, del necessario controllo sui capitali, eccetera.

Senza dirlo apertamente, le sue tabelle e analisi mostrano quel che altri economisti internazionali hanno sottolineato: che l’Italia è in miglior posizione, ad esempio, della Spagna o dell’Italia per uscirne.

Una delle nozioni che insegna la storia del fallimento delle precedenti unioni monetarie, è che i paesi che ne escono primi e rapidamente se la cavano meglio di quelli che si ostinano a restarci dentro. Vedi la Cecoslovacchia alla fine dell’impero absburgico, i paesi baltici agli inizi del collasso dell’URSS, e la Slovenia che si sfilò per prima dal dinaro nella frammentazione della ex-Jugoslavia.

Un altro ammaestramento è che i paesi centrali nelle unioni monetarie ed eccedentari verso gli stati membri, dopo che è avvenuta la rottura, raramente riescono a farsi rimborsare i loro crediti dai debitori: è accaduto alla Russia che non ha mai ricevuto i suoi crediti dai paesi ex satelliti, è ciò che teme la Germania del suo Target 2, di cui vuole riavere dall’Italia 500 miliardi e dalla Spagna 400.

In ogni caso, i governi sono arrivati ad un bivio, diceva Nordvig nel 2012: o una piena integrazione monetaria con un bilancio comune, o una ragionata e concordata uscita. La prima ipotesi, sappiamo, è rigettata rocciosamente dalla Germania, perché la costringerebbe a trasferire miliardi ai paesi del Mediterraneo (dai quali ha solo preso).
Berlino sta pensando davvero a un’euro del Nord?

Un articolo di Hans Werner Sinn, presidente dell’Ifo ( Institut für Wirtschaftsforschung) , istituto economico vicino al padronato tedesco e a consigliere del governo, sembra essere giunto alla conclusione: espellere l’Italia.

Hans Werner Sinn

“Non possiamo farci ricattare”, dice in una intervista allo Stuttgarten Nachrichten: o i mercati riescono ad abbattere quel governo, oppure ….


“Non sono favorevole all’uscita dell’Italia, ma non si può sempre essere ricattati. Pertanto, si deve scegliere una politica di solidità finanziaria e stabilità invece di questa politica di spesa eterna. L’Italia deve quindi decidere da sé ciò che fa.

Ma lasciare andare l’Italia potrebbe uccidere l’eurozona …, chiede terrorizzato il giornalista.

SINN: “La verità è che siamo arrivati ​​in un vicolo cieco, dove non ci sono vie d’uscita più convenienti. Un’unione di trasferimento non è una soluzione reale: porta a una certa stabilità, ma a una stabilità che può anche essere descritta come un assedio. Basta guardare il sud italiano, che è stato dipendente dalle rimesse dal nord per decenni. Un tale assedio non può permettersi l’Europa in concorrenza con i cinesi, con gli americani a tutti.

Il pericolo è che se l’Italia lascia, altri paesi saranno sotto attacco dei mercati e dovranno uscire, sicché alla fine si finirà con solo un euro del Nord, che apprezzerebbe fortemente?

“Il pericolo dell’apprezzamento mi lascia alquanto freddo”, risponde Sinn. “Una eurozona del Nord può facilmente reagire [alla rivalutazione] comprando titoli del resto del mondo con la propria valuta. Del resto è anche una opportunità: gli altri paesi stanno facendo i compiti a casa (le riforme alla tedesca) per paura di questo”.

Insomma Sinn, e quindi Berlino e la loro Confindustria, hanno già pensato a tutto e anche come affrontare l’euro forte del Nord, escludendo la schiuma dei bassi straccioni meridionali che (secondo loro) stendono la mano verso i loro salvadanai.

 .
Clemens Fuest (direttore dell’Ifo): “La zona euro deve essere schermata da default sovrano italiano il più possibile in modo da non essere ricattata” sic.

Sinn ovviamente ha anche letto Savona, perché spiega come avverrebbe la nostro uscita: “Introducendo una moneta parallela sotto forma di titoli pubblici, che sono piccoli pezzi e potrebbe essere utilizzato per le transazioni; quando questo è fatto, si dichiarerebbe il cambio immediato di tutti i conti, accordi di prestito, contratti di lavoro e leasing in lire”.

Il debito estero potrebbe essere rimborsato principalmente in lire, ma per il debito emesso dopo il 2012 che deve essere servito in euro, che sarebbe difficile “.

In realtà, l’Italia è poco indebitata con l’estero. Sinn però, debito dopo il 2012 indica quello che ci ha fatto fare Monti, perché è da quel governo che s’è ingigantito il Target 2, che Sinn e tutti i tedeschi vogliono considerare un credito vero: “il debito Target 2 (500 miliardi di euro) è sempre esigibile”, dice Sinn. Però aggiunge: “ E visto che la BCE non ha strumento giuridico per reclamare questo debito, la Bundesbank dovrà spartirsi le perdite [con le altre banche centrali], una perdita del 30%”.
Stanno per lasciarci liberi..

Attenzione, questa è un’occasione a nostro favore. Contrariamente ad altri paesi, ma soprattutto agli eurocrati e allo stesso Draghi che vogliono tenerci dentro l’euro (altrimenti la loro esistenza perderebbe senso), SINN sembra aderire al progetto di sbattere fuori noi (e probabilmente Spagna e Grecia, ma non la Francia: ha le bombe atomiche utili) e arroccarsi in un euro del Nord pulito e senza debiti, in purissima deflazione. Salvare la zona euro, per la Germania oggi è un costo e un esborso che non po’ far accettare al suo elettorato, dopo aver detto e ripetuto che “paghiamo noi per i loro debiti”, o (menzogna totale, ma a questo punto importa poco)

Ewald Nowotny, capo della banca centrale austriaca e membro della BCE: “L’economia ritardataria dell’Italia non deve rallentare la fine dello stimolo monetario” (QE) da parte della BCE

European Central Bank policy maker Ewald Nowotny suggested that Italy’s laggard economy shouldn’t slow plans to end euro-area monetary stimulus and start raising interest rates.

In questo momento decisivo, sarebbe incredibilmente idiota e criminale se i due partiti di governo si dividessero di fronte al Nemico principale, per interessi locali di corto respiro.

L’alternativa è finire definitivamente e sconfitti, sotto quel tallone e applicare la ricetta delle austerità più feroci, della svalutazione dei salòari e della disoccupazione di massa. Quando sia spietato quel tallone lo ha rivelato lo stesso Schauble, oggi capo del parlamento europeo, in una intervista. Dove ha ricordato il suo colloqui con Claude Trichet allora governatore della BCE:

Schaeuble : <Quando decidemmo di fare il taglio del debito nel settore privato [PSI] (mi impegnai molto per ottenerlo), Trichet mi disse “Wolfgang, sarà la peggiore crisi dal ‘29”. Risposi “Jean-Claude, anche la 2a guerra mondiale è stata brutta”


La Rai censura e ti costringe ad andartene

“Chi mi ha costretto a lasciare la Rai”: l'amara confessione di Giletti

L'attuale conduttore di 'Non è l'Arena', su La7, ha svelato al programma radiofonico 'Un Giorno da Pecora' un retroscena sul suo chiacchierato addio alla tv di Stato

Redazione
19 ottobre 2018 18:06


L'intervista, Massimo Giletti senza filtri sull'addio alla Rai: "Ecco a chi ho dato fastidio" 28 settembre 2018

Da quando Massimo Giletti ha lasciato la Rai se ne sono dette tante sulle possibili motivazioni del suo addio. Adesso l'attuale conduttore di 'Non è l'Arena', su La7, ha svelato la sua verità ai microfoni di 'Un Giorno da Pecora', su Rai Radio1: "E' la prima volta che torno in uno studio Rai dopo la fine de l'Arena. Mi ha costretto ad andare via il direttore generale Orfeo, nella sua libertà assoluta. Poi mi sarebbe piaciuto che si fosse assunto la responsabilità di quel che è successo dopo".

E ai conduttori che gli chiedono se quella di Orfeo fu una scelta editoriale o politica, risponde netto: "Quando chiedi a Giletti di dedicarsi al varietà vuol dire che la scelta è chiaramente politica. Sarebbe interessante fare un incontro pubblico ascoltando le verità - prosegue Giletti - perché il Dg di una tv ha il diritto di scegliere ma dovrebbe anche spiegare perché si allontana uno che fa un programma da 4 milioni col 22% di share. Una spiegazione bisognerebbe darla senza camuffare la scelta con la spiegazione che Giletti non fa il varietà: io sono un giornalista e voglio fare quel che so fare".

E alla domanda se tornerà a lavorare in viale Mazzini, o se lascerebbe il patron di La7 Urbano Cairo, il giornalista risponde: "Del doman non v'è certezza...'', sottolineando che, con Cairo, "ho un rapporto personale che va oltre la tv. Ci incontreremo entro la fine dell'anno e vedremo che succederà. Certamente finiremo la stagione, ci mancherebbe, con tutti il successo che abbiamo perché dovrei andare via?''.

Ritorno in Rai?


Ai conduttori che lo incalzano chiedendo se nel suo contratto ci sia qualche clausola che consente il ritorno in Rai, Giletti replica: "Ora possiamo svelarlo, c'era un accordo al 30 giugno, una stretta di mano, per cui se avessi voluto tornare in Rai avrei potuto farlo. Ma io penso che la stretta di mano di una persona che ti ha aiutato in un momento complicato abbia un valore più alto, e per questo non mi sono nemmeno posto il problema. Vi assicuro che c'era più di uno a chiamare...''.

Ai due conduttori che gli chiedono se è più libero a La7 o se lo era di più alla Rai, Giletti risponde: "Il fatto che io sia stato costretto a scegliere un'altra strada vuol dire che tutta questa libertà in Rai, su di me, alla fine non c'è stata. Basta che cambi un Dg e decide lui quel che succede''

I conduttori sollecitano il giornalista anche sui motivi del suo allontanamento. Alla domanda se è vero che è stato determinato dal fatto che il suo programma era troppo 'grillino', Giletti replica: "'Il Foglio' faceva una campagna sistematica: Grillo e Giletti...'' aggiungendo che la ragione "è che quando tu dai fastidio ad un certo tipo di volontà di non cambiare da parte di chi ha il potere dai trasversalmente fastidio". “

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Derivati - solo 453.000 miliardi, in giro per l'Unione europea, ma per Milano Finanza sono 660.000 miliardi. A questi livelli 200.000 miliardi in più o in meno non fanno nessuna differenza

Derivati, il mercato Ue vale 453 trilioni

–Andrea Franceschi 
Venerdí 20 Ottobre 2017

Il mercato dei derivati nell’Unione europea vale 453mila miliardi di euro. Il dato emerge dal primo studio dell’Esma, l’autorità europea che monitora i mercati finanziari, sul tema. Un lavoro che si propone a integrazione delle ricerche fatte periodicamente dalla Banca dei regolamenti internazionali (Bis) e dall’Isda (l’associazione degli operatori del mercato dei derivati). Con una differenza sostanziale: se Bis e Isda fanno le loro stime con i sondaggi tra gli addetti ai lavori il rapporto Esma si basa, per la prima volta, su transazioni realmente avvenute. La fonte è infatti l’immensa mole di dati che, da febbraio 2014, una serie di istituzioni autorizzate dall’Unione europea raccoglie in ossequio alle norme introdotte con la regolamentazione Emir. Questo acronimo sta per European market infrastructure regulation ed è il risultato dello sforzo della commissione per rendere più trasparente possibile un mercato, quello dei derivati, i cui eccessi e opacità furono determinanti nello scatenare la crisi finanziaria del 2008. Come? Tracciando in maniera puntuale ogni nuovo contratto e ogni modificazione avvenuta tra le controparti. Dopo oltre tre anni dall’entrata a regime di questo corpo regolatorio l’Esma ha così deciso di utilizzare i dati raccolti finora per elaborare il primo spaccato sul mercato dei derivati nell’Unione europea.

Ciò che emerge dallo studio è che i derivati continuano ad essere uno strumento molto utilizzato dagli operatori. Soprattutto attraverso i canali non regolamentati. Il dato più eclatante riguarda la tipoligia di derivati in assoluto più utilizzata in termine di controvalore dei contratti: quella sui tassi di interesse. Su un controvalore nozionale lordo pari a 282mila miliardi di euro censito dall’Esma ben il 94% risulta negozato su circuiti non regolamentati o “over the counter” come si dice in gergo. Questa quota sale addirittura al 99% se prendiamo in considerazione un’altra tipologia di derivati molto utilizzata: quelli sul mercato valutario. Il controvalore dei foreign exchange derivatives rilevato dall’Esma è pari 112mila miliardi, cifra che ne fa la seconda tipologia di derivati per valore di mercato in Europa. Seguono gli “equity derivatives” sulle azioni (36mila miliardi), quelli sul mercato obbligazionario (13mila e 800) e delle commodities (9,1). La quota dei derivati “over the counter” è decisamente rilevante (97%) nel caso del reddito fisso, categoria dentro cui rientrano i credit default swap che vengono usati come polizza di assicurazione sull’insolvenza di chi ha emesso il bond mentre si riduce allo 80% nel segmento equity per arrivare al 46% nel caso dei derivati sul mercato delle materie prime.

Moscovici, un euroimbecille francese alla corte di Roma produce più danni che benefici

Vi racconto le mosse (tutte politiche e anti M5s-Lega) del commissario Moscovici

19 ottobre 2018

Pierre Moscovici, commissario Ue agli Affari economici

Il commento dell’analista Francesco Galietti, fondatore di Policy Sonar, sulla due giorni del francese Moscovici a Roma

Il commissario UE all’Economia, Pierre Moscovici, è stato a Roma per una due giorni di dibattiti a porte chiuse organizzata da un pensatoio internazionale e dedicata ai rapporti Italia-Francia. E ieri sera si è fatto intervistare in tv da Corrado Formigli su La7. L’arrivo di Moscovici a Roma non ha mancato di creare qualche grattacapo. Ecco perché.

LA COMMISTIONE DI RUOLI DI MOSCOVICI

Moscovici è indubbiamente un ospite di rilievo. Non è chiaro, tuttavia, a che titolo intervenga: come euro-commissario, come politico francese o come libero pensatore? Il tema della conferenza a cui ha aderito induce a prendere per buona la seconda ipotesi, ma la risposta non può dirsi certa né definitiva. Moscovici, infatti, si caratterizza per una commistione di ruoli. Ciò è a sua volta causa di significativi problemi a pochi giorni dall’invio del testo della finanziaria a parlamento e Commissione UE.

GLI ATTACCHI DI PARIGI

A funestare la discussione sulla manovra, fin dalla nota di aggiornamento del DEF e ieri con la lettera di Bruxelles, contribuiscono – e non poco – gli attacchi di Parigi. Attacchi portati avanti tanto per il tramite di politici in prestito a Bruxelles (Moscovici) o al Fondo Monetario Internazionale (Lagarde), quanto per il tramite di elementi parigini in servizio effettivo (Le Maire). Ambienti vicini a Moscovici, in particolare, non hanno esitato pochi giorni fa a far filtrare alla Reuters un giudizio particolarmente severo – “follia totale” – sul testo del nuovo DEF. Diversa appare invece la postura assunta dalle burocrazie alte, vale a dire dai funzionari-chiave di Commissione e Fondo.

LA PARTITA TUTTA POLITICA DI MOSCOVICI

Specie i primi si attengono a un rigido silenzio, segno che preferiscono restare sottotraccia in attesa di capire, l’anno prossimo, i contorni della nuova mappa politica europea. Per contro, la partita che gioca Moscovici appare tutta politica. Il politico, in lui, fa premio sull’eurocrate.

I RAPPORTI TOSTI CON SALVINI

Moscovici è infatti prima di tutto un francese, e solo in seconda o terza battuta un commissario di Bruxelles. Anche Moscovici, come Macron, ha tutto l’interesse a riprodurre su scala europea la dinamica binaria (Macron vs. Le Pen) che agevolò a Macron la scalata all’Eliseo nel 2017. Non si perita, pertanto, di arroventare lo scontro con Matteo Salvini.

LE RELAZIONI CON I PENTASTELLATI

Sui grillini la semantica è appena più sfumata. Non, si badi, per insospettabili simpatie grilline, bensì per il fatto che M5S non ha ancora scoperto le proprie carte sulle Europee, pur essendo ormai il flirt con Macron un’ipotesi da archiviare.

LA POSSIBILE TORSIONE ANTI-EUROPEISTA

Il gioco di Moscovici non è privo di rischi. Se i toni tra Bruxelles e Roma non rientrassero su livelli fisiologici e se il giro di vite sui mercati fosse troppo energico, un possibile effetto sarebbe infatti quello di determinare una torsione anti-europeista che finora né grillini né leghisti hanno avuto in agenda.

venerdì 19 ottobre 2018

5G - i francesi non sanno che prendere un anno di tempo per decidere significa perderlo. Come sempre abbiamo una Commissione europea di euroimbecilli che ci fanno solo perdere tempo soldi e competitività e non si riesce proprio a capire il perchè

SMART MOBILITY
Connected car, schiaffo al 5G: l’Europa punta sul wi-fi


La norme che regoleranno le comunicazioni tra veicoli in Europa potrebbero dare priorità allo standard ITS-G5 invece che al C-VX che viaggia sulle nuove reti mobili. Per le telco Bruxelles rischia di mettere il Vecchio Continente in posizione di svantaggio rispetto a Cina e Usa

19 Ott 2018
Patrizia Licata
giornalista

La Commissione europea sarebbe pronta a favorire il wifirispetto al 5G per le auto connesse: lo riporta Reuters citando una bozza della legislazione che l’esecutivo dell’Ue sta preparando e che sarà presentata il prossimo mese. La Commissione indicherà, secondo Reuters, le regole per l’utilizzo del wifi in auto scontentando così le aziende delle Tlc e alcuni costruttori (come Daimler) che hanno puntato sulle reti mobili di nuova generazione per la connected car.Assegnerebbe invece un vantaggio ai costruttori che puntano sul wifi, tra cui Volkswagen e Renault.

Le due tecnologie a confronto sono l’ITS-G5, che usa le reti wifi, e lo standard C-V2X, che sfrutta le reti cellulari 5G. Se Bruxelles favorirà la prima, il C-V2X sarebbe considerato in un secondo momento, allungando i tempi di regolamentazione.

Sul fronte di ITS-G5 si sono schierati Volkswagen, Renault, il chipmaker Nxp, Autotalks e Kapsch TrafficCom, che sostengono che lo standard ha il vantaggio di essere già stato testato e standardizzato in Europa. Inoltre, l’ITS-G5 è più focalizzato sulla comunicazione tra veicoli e sarebbe quindi più efficiente nelle comunicazioni tempestive, per esempio per permettere al veicolo di schivare un oggetto in strada o mandare chiamate di emergenza in caso di incidente.

Sul lato opposto Daimler, Ford, Psa Group, Deutsche Telekom, Ericsson, Huawei, Intel, Qualcomm e Samsung spingono per la scelta del C-V2X che, dicono, ha più ampie applicazioni ed è future-proof. In particolare, C-V2X può connettere non solo le auto ma anche i dispositivi nell’ambiente circostante e offrire applicazioni nell’ambito intrattenimento, monitoraggio del traffico e navigazione con una maggiore garanzia di velocità di trasmissione e affidabilità del segnale.

Le telco e molti costruttori hanno più volte perorato la causa del 5G presso l’esecutivo europeo. Lo scorso luglio Deutsche Telekom, Huawei, Nokia, Intel, Qualcomm, Ericsson, Samsung, Telefonica, Vodafone, Bmw, Daimler, Ford, PSA Groupe, SAIC Motor e Savarihanno inviato una lettera alla Commissione per sostenere il 5G in ambito automotive.

La tecnologia C-V2X, hanno scritto Deutsche Telekom, Ericsson, Daimler e le altre, è un’opzione preferibile alla ITS-G5 anche perché permetterà ai costruttori, ai vendor di attrezzature e alle telco europee di competere sul mercato globale. L’ITS-G5, al contrario, costringerebbe le case automobilistiche nel recinto di una tecnologia che, “nonostante il nome, non ha alcun legame con la tecnologia del 5G e sicuramente non rappresenta un’evoluzione verso la compatibilità con il 5G“. Scegliere l’ITS-G5 “metterebbe l’Europa in posizione di svantaggio economico rispetto alle altre regione del mondo”, in particolare la Cina e gli Stati Uniti, dove lo standard C-V2X sta emergendo come il “candidato forte” per realizzare i sistemi di trasporto intelligenti C-ITS (Cooperative Intelligent Transport Systems).

Le regole che l’Unione europea adotterà sulle comunicazioni tra veicoli sono cruciali perché dovranno spianare la strada all’industria della connected car, della mobilità intelligente e, potenzialmente della guida autonoma. Secondo molte case automobilistiche e telco attive in Ue i veicoli connessi potranno fare da traino alla diffusione delle reti mobili 5G in tutta l’Unione.

La posta in gioco è alta e alcuni paesi Ue (Spagna, Svezia, Finlandia e Norvegia) hanno chiesto di allungare i tempi dell’iter legislativo per esaminare meglio le tecnologie concorrenti. La Francia supporta l’adozione del wifi ma ha proposto un compromesso: una clausola che obbliga la Commissione a riconsiderare le regole entro 12 mesi, lasciando quindi uno spiraglio aperto per rimettere in ballo il 5G.

La lobby 5GAA, che sostiene l’adozione dello standard C-V2X, non è soddisfatta: “Una legge che si limita a comunicazioni basate su wifi manda un messaggio negativo sull’impegno dell’Europa sul 5G ed è contraria agli obiettivi dello stesso piano d’azione sul 5G della Commissione che mira a stimolare l’adozione del 5G nei trasporti”.