L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 27 ottobre 2018

Tranquilli, gli euroimbecilli della Commissione danno i numeri. Savona l'ha già detto in Parlamento è da imbecilli fare la disputa sui modelli econometrici, ciò non porta da nessuna parte

Tutte le bizzarrie econometriche di Bruxelles sull’Italia



L’editoriale di Marcello Minenna pubblicato il 23 ottobre 2018 sul ”Wall Street Journal” e tradotto da vocidallestero.it

La resa dei conti tra Roma e Bruxelles occupa da settimane i media europei e gli investitori. Il nuovo governo italiano, composto da partiti politici particolarmente ribelli, ha proposto un deficit di bilancio pari al 2,4 percento del PIL per il prossimo anno. Martedì la Commissione Europea ha dichiarato che questa cifra è troppo elevata e ha dato all'Italia tre settimane di tempo per proporre una revisione della bozza di bilancio. Tuttavia, il 2,4 percento è ben sotto il limite del 3 per cento stabilito dal Trattato di Maastricht. Perché Bruxelles impone a Roma un limite così stretto?

La risposta è che i burocrati dell’Unione Europea hanno cambiato il modo in cui valutano i bilanci degli stati membri, e la nuova formula è fortemente fuorviante.

La crisi dei debiti sovrani iniziata nel 2010 ha spinto Bruxelles a rivedere i criteri di Maastricht, in base all’idea che un limite fisso di deficit al 3 per cento e di debito al 60 per cento possa permettere un eccessivo margine di manovra durante i boom economici e uno troppo esiguo durante le recessioni. Dal 2011 la Commissione ha considerato invece il budget di bilancio “strutturale”, che esclude le voci “uniche” come le politiche per reagire ai disastri naturali e le cosiddette componenti cicliche del bilancio pubblico – questo include sia la tendenza all'aumento della spesa sociale durante le recessioni che gli aumenti del gettito fiscale durante i boom.

Bruxelles può allora stabilire obiettivi specifici per i singoli paesi e imporre piani che i governi nazionali sono tenuti a seguire. Per l’Italia, quest’anno la Commissione ha chiesto una riduzione della parte di deficit strutturale pari allo 0,6 percento del Pil. Il bilancio consegnato dal governo italiano riporta invece un aumento (anziché una riduzione) del deficit strutturale pari allo 0,8 percento del PIL. Questa differenza – “una deviazione significativa dal percorso di aggiustamento”, come viene definita nel gergo degli eurocrati – è la fonte dell’attuale controversia.

Quello che la Commissione non vuole ammettere è che l’intero metodo poggia su congetture. Per calcolare il deficit “strutturale”, si deve prima definire quanta parte del deficit dipende da fattori ciclici. E per capire in che punto del ciclo economico si trovi un paese, nella pratica, è necessario stimare l’“output gap”, cioè la differenza tra il Pil effettivo e quello potenziale. Quest’ultimo è una stima del prodotto che un’economia potrebbe raggiungere in condizioni di piena occupazione, di pieno utilizzo dei capitali, ma senza provocare pressioni inflazionistiche. L’entità dell’output gap è una stima piuttosto importante nel momento in cui la Commissione stabilisce degli obiettivi fiscali.

La stima di questo output gap è la vera fonte della divergenza tra Roma e Bruxelles, e sono le stime di Bruxelles ad avere poco senso. La previsione fatta dalla Commissione prevede un output gap positivo dello 0,5 percento per il 2019. In altre parole, Bruxelles ritiene che l’Italia il prossimo anno avrà una produzione dello 0,5 percento più elevata rispetto a quanto possibile in una condizione di piena occupazione e pieno utilizzo dei capitali [ma senza pressioni inflazionistiche, NdT]. Pertanto, la Commissione ritiene che Roma oggi debba ridurre il deficit.

Tutto questo è ottimistico, per usare un eufemismo. Bruxelles ritiene che l’Italia produrrà al di sopra del suo potenziale, nonostante il suo tasso di disoccupazione sia a doppia cifra da anni. La stima fatta dalla Commissione su un output gap positivo dell’Italia il prossimo anno è quasi pari alla stessa stima fatta per la Germania (0,6 percento), ma la Germania sta avendo un tasso di crescita economica annuale attorno al 2 per cento e un tasso di disoccupazione inferiore al 4 per cento.

Roma ritiene che il Pil del prossimo anno sarà invece dell’1,2 percento inferiore (anziché superiore) alla sua produzione potenziale. Altri economisti ritengono che l’output gap sia addirittura più vicino a un valore negativo del 4 o 5 per cento.

Il problema sta nel metodo che la Commissione usa per stimare variabili cruciali per il calcolo dell’output gap, come la produttività e, soprattutto, il “tasso di disoccupazione a salari stabili” [“non accelerating wage rate of unemployment”], o Nawru. Questo è il presunto tasso di disoccupazione di equilibrio, tale da non generare pressioni al rialzo sui salari. Maggiore è il divario tra il tasso di disoccupazione effettivo e il Nawru, maggiore sarà l’output gap.

Bruxelles sta stimando una crescita economica potenziale quasi certamente troppo bassa, quando stima il suo Nawru. La stima del Nawru per l’Italia nel 2018 è di una disoccupazione al 9,9 percento, ovvero neanche l’1 per cento inferiore al tasso di disoccupazione effettivo – il che suggerirebbe che l’Italia non abbia alcuna speranza di ridurre il tasso di disoccupazione al di sotto di quel livello (comunque elevato) senza andare incontro a un significativo aumento di inflazione.

Roma usa stime diverse per calcolare l’output gap, più in linea con le caratteristiche particolari del mercato del lavoro italiano. Sebbene non abbia divulgato pubblicamente la sua stima del Nawru, essa è probabilmente attorno all’8,5 percento. Bruxelles in passato ha ammesso che le stime fatte dall’Italia sul proprio output gap potrebbero essere più precise, il che sarebbe un buon argomento per concedere a Roma una maggiore flessibilità fiscale, anche sotto le regole di bilancio della stessa Commissione Europea.

La grande questione è che nessuno di questi modelli tiene adeguatamente conto della carenza di investimenti, dei ritardi nella produttività, e di un insieme di altri fattori che influenzano la salute economica complessiva dell’Italia, salute economica che a sua volta determina il gettito e il bilancio fiscale. Non è chiaro se il nuovo governo italiano abbia dei piani efficaci per migliorare tutti questi fattori, e se aumentare la spesa in recessione sarà davvero di aiuto. Ma è sicuro che la lotta che si prepara sul deficit di bilancio si riduce alla fine a una spettacolare disputa su modelli econometrici di dubbia esattezza.

Guido Salerno Aletta - bilancia dei pagamenti positiva, buono l'andamento dei risparmi privati, debito delle famiglie e delle imprese minore, risparmio primario del bilancio pubblico, MA l'Euroimbecillità non sa ne vuole ragionare, mette il pilota automatico è ha deciso di andare contro un muro a velocità folle

Vi spiego perché l’Italia è in salute (e l’Ue vaneggia). L’analisi di Salerno Aletta



L’analisi dell’editorialista Guido Salerno Aletta

Non è il replay del 2011, per l’Italia. La situazione del nostro Paese non è mai stata così solida strutturalmente dal punto di vista delle relazioni economiche e finanziarie internazionali, anche se viene taciuta.

Nessuno si prende la briga di leggere i dati, neppure quelli riassuntivi della bilancia dei pagamenti e della posizione finanziaria netta sull’estero. E neppure si guarda alla enorme formazione di risparmio interno, cui fa da contraltare il crollo del credito. Si cresce poco, ma si è sempre meno indebitati, imprese e famiglie. Si investe poco. Il risparmio primario del bilancio pubblico, poi, drena risorse dall’economia reale, ininterrottamente dal 1992 e con la sola eccezione del biennio nero 2009-2010: solo tra il 2017 e quest’anno sono stati 56,4 miliardi di euro.

Sono questi i nodi su cui la politica economica deve finalmente intervenire.

LA BILANCIA DEI PAGAMENTI

La bilancia dei pagamenti correnti dell’Italia è in strutturalmente attivo. La Banca d’Italia ha appena rilevato che, nei dodici mesi terminanti in agosto, il surplus di conto corrente è stato pari a 48,3 miliardi di euro (2,8% del pil), rispetto ai 45,7 miliardi nel corrispondente periodo del 2017. L’aumento è stato determinato dal miglioramento dei saldi dei servizi (-2,5 miliardi, invece che -3,0) e dei redditi primari e secondari (rispettivamente: 11,5 miliardi, da 10,9; e -14,5 miliardi, da -16,7). L’avanzo delle merci si è invece lievemente ridotto (53,7 miliardi, da 54,5). Il saldo attivo di parte corrente è cresciuto costantemente, passando dai 24,4 miliardi del 2015 ai 42,8 del 2016, ai 48,3 del 2017. Alla fine di quest’anno supererà 1 50 miliardi di euro.

L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE

L’interscambio commerciale dell’Italia con l’estero, secondo quanto riportato dall’Osservatorio del Ministero per lo sviluppo economico, è passato dai 751 miliardi del 2008 agli 849 miliardi del 2017 (+13%). L’import è cresciuto da 382 a 401 miliardi (+5%) mentre l’export da 369 a 448 miliardi (+21%).

I DATI AL SECONDO TRIMESTRE

Per quanto riguarda la posizione finanziaria dell’Italia verso l’estero, alla fine del secondo trimestre 2018 risultava un saldo debitore di soli 59 miliardi di euro (-3,4% del pil) ridottosi di circa 65 miliardi (quasi 4% del pil) rispetto alla fine del primo trimestre dell’anno. Il miglioramento è stato determinato dall’avanzo di conto corrente e dagli aggiustamenti di valutazione: a seguito del rialzo dei rendimenti, il valore delle passività in titoli di portafoglio, in particolare dei titoli di Stato, è sceso complessivamente di circa 55 miliardi.

CAPITOLO INVESTIMENTI

Per altro verso, nel Bollettino economico di ottobre, la Banca d’Italia ha rilevato che “gli investimenti dei non residenti in titoli di portafoglio italiani sono tornati positivi in luglio, mentre ad agosto si sono registrate vendite nette. In questo periodo, a differenza dei due mesi precedenti, l’andamento degli acquisti dall’estero di titoli pubblici ha in gran parte rispecchiato il profilo delle emissioni nette da parte del Tesoro (positive in luglio, negative in agosto), con il quale ha storicamente una forte correlazione”.

LA POSIZIONE FINANZIARIA NETTA

Anche la posizione finanziaria netta dell’Italia registra dunque un miglioramento strutturale, visto che ancora nel 2014 era passiva per il 25% del pil. Mentre si va riducendo il passivo per i servizi, anche il flusso di interessi e dividendi dall’estero supera ormai costantemente gli esborsi: siamo diventati dei rentier, che finanziano le economie straniere, spesso nostre concorrenti.

LA FORMAZIONE DEL RISPARMIO

C’è poi il tema altrettanto fondamentale della formazione del risparmio, della raccolta bancaria e del credito. I dati forniti dall’Abi nel suo Monthly Rewiew di ottobre non lasciano adito ad equivoci: la raccolta complessiva dalla clientela residente cresce continuamente, passando dai 1.693 miliardi del settembre 2016 ai 1.724 miliardi del settembre scorso (+31 miliardi), con un incremento impressionante dei depositi a vista (+128 miliardi) ed un crollo delle sottoscrizioni in obbligazioni (-97 miliardi): questo è il frutto marcio della normativa sul bail-in, che sta rendendo sempre più complessa la trasformazione delle scadenze.

LO STOCK DEI CREDITI

Come se non bastasse, nello stesso biennio è sceso drasticamente lo stock dei crediti erogati al settore privato, che comprende le famiglie e le società non finanziarie: è passato da 1.406 a 1.329 miliardi di euro (-77 miliardi, pari al 5% del pil).

LA PROPENSIONE AL RISPARMIO

Le famiglie stanno aumentando nuovamente la propensione al risparmio, arrivata all’8% del reddito disponibile lordo. Lo stock del loro debito si è mantenuto stazionario al 61,4% del reddito, una percentuale enormemente inferiore a quella che si registra nella restante area dell’euro, pari al 94,9%: se esistono delle cicale, non sono di certo italiane. Anche in rapporto al pil, il debito delle famiglie italiane è molto più contenuto rispetto al resto dell’Eurozona: è pari al 41,1%, rispetto al 57,8%. Il servizio del debito (interessi + rimborso delle quote di capitale) si è intanto stabilizzato attorno al 10% del reddito.


Se dunque il risparmio delle famiglie italiane tende ad aumentare, mentre il loro indebitamento è stabile, inevitabilmente a patirne sono i consumi: ed infatti, nonostante quest’anno il loro reddito disponibile stia salendo molto più che nel 2017 (rispettivamente +1,19% e +0,53%), l’andamento della spesa per consumi si sta dimezzando (da +1,51% a +0,66%). Le famiglie italiane sono attanagliate dalla preoccupazione per il futuro: d’altra parte, l’indice del reddito disponibile, che era pari a 102,6 nel 2009, ancora nel secondo trimestre di quest’anno era inchiodato a quota 98,7.


L’andamento del debito delle imprese italiane è assai più deprimente: considerando le diverse forme di finanziamento (titoli, prestiti bancari a breve ed a medio e lungo termine, altri prestiti). è ormai pari solo al 71% del pil. C’è stato dunque un calo di oltre 10 punti rispetto all’82% registrato in media nell’intero periodo 2009-2013. Hanno pesato soprattutto la contrazione dei prestiti bancari a breve (-7 punti) e quella dei prestiti a medio-lungo (-4 punti).


C’è tanto da ragionare, dunque. Sulle politiche di bilancio adottate in Italia dal 1992 in avanti, con l’intento di tagliare il debito pubblico attraverso l’avanzo primario, per capire se siano state davvero utili, ovvero se non abbiano mortificato inutilmente la crescita rallentando quindi il raggiungimento dell’obiettivo cui erano preordinate.

LA DEFLAZIONE SALARIALE

C’è il tema della deflazione salariale e della flessibilità del mercato del lavoro, su cui si è fondato in tutta Europa il processo di recupero della competitività, per ampliare i margini di profitto tagliando i costi del personale senza procedere agli investimenti su prodotti, processi e competenze dei lavoratori, fattori indispensabili per migliorare la produttività. La moderazione salariale era già stata un mantra dai tempi della concertazione tra governo e parti sociali, ed aveva determinato ritardi nella crescita.

CHE COSA E’ SUCCESSO CON IL QE

Si sono chiusi gli occhi, di recente, anche davanti ad una politica monetaria eccezionalmente accomodante, il Qe, che avrebbe dovuto portare l’inflazione ad un livello vicino ma non superiore al 2%, ma che invece ha portato risorse solo ai mercati finanziari che ora si trovano in debito di ossigeno. Non è un caso che di fronte alla politica di riduzione di liquidità condotta dalla Fed insieme al rialzo degli interessi su dollaro, cui ora si aggiunge la fine del Qe, l’economia globale rallenta mentre le Borse danno segni di profonda incertezza.

GLI ERRORI EUROPEI SULLE BANCHE

Si è fatta, in Europa, una politica bancaria tutta fondata sui pilastri di capitale, sui buffer di liquidità, sulle regole per ammortizzare i crediti in sofferenza e quelli che potrebbero non essere ripagati, forzando i tempi ed i costi per lo smaltimento degli Npl, determinando un pericolo deleveraging.

LE REAZIONI PAVLOVIANE

Si assiste a reazioni pavloviane: il maggior deficit pubblico previsto nella Nota di Aggiornamento del Def, invero di entità modestissima, sarebbe foriero di una destabilizzazione catastrofica. Ci si accusa di rimettere in pericolo la costruzione europea, sfidando platealmente le sue regole e soprattutto minandone la legittimazione sociopolitica.

LA SORDITA’ DI BRUXELLES

D’altra parte, a Bruxelles, la sordità è di casa: le regole non possono essere messe in discussione, né direttamente né indirettamente. Prova ne è il fatto che è caduta in un lago di silenzio la proposta del governo italiano, contenuta nel documento predisposto dal Ministro per le politiche europee Paolo Savona, intitolato “Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa”, in cui si chiede la costituzione di un Gruppo di riflessione ad alto livello su tutta una serie di questioni, ivi comprese quelle relative alla definizione dinamica del deficit massimo ammissibile ed all'abbattimento del debito eccedente il rapporto del 60% sul pil.

LO SCONTRO ROMA-BRUXELLES

Lo scontro, violentissimo, che sta caratterizzando in questi giorni i rapporti tra il governo italiano e la Commissione Europea in ordine alla politica di bilancio, per via della consistente deviazione rispetto all’obiettivo del pareggio strutturale previsto dal Fiscal Compact, con le conseguenti tensioni sullo spread sui titoli italiani ed il downgrading già deciso da parte di una agenzia di rating, ha un carattere politico ed ideologico.

L’UNIONE EUROPEA ROBOTIZZATA

Si doveva ragionare: partire dalla analisi di quanto è successo in questi anni, e riconoscere con onestà gli sforzi straordinari di consolidamento compiuti dall’Italia nonostante una messe di normative penalizzanti e di vincoli apodittici. Serve maggiore crescita. Ed invece, ancora una volta ci troviamo di fronte ad una Unione robotizzata, incapace di riflettere sui risultati derivanti dalle regole che ha adottato, e sugli errori compiuti. È questo il vero baratro in cui sta precipitando, il vuoto della ragione.

(Pubblicato su Mf/Milano Finanza)

Il combinato disposto tra gli aumenti d'interessi della Fed e i dazi di Trump schianteranno il Dio Mercato azionario. Gli euroimbecilli stanno sottovalutando la Brexit e la ferma volontà dell'Italia

El-Erian: la festa non è ancora finita

Rossana Prezioso
Trend Online26 ottobre 2018


Crollo sui mercati? Non è la fine del mondo. O almeno secondo Mohamed El-Erian, principale consulente economico di Allianz (Swiss: ALV-EUR.SW - notizie) che non si sorprende di quanto sta accadendo (ed è accaduto) in questi giorni tra Wall Street e l'Europa.

Fed "insistente"

Volatilità molto forte e soprattutto inevitabile in considerazione non solo delle politiche della Fed da lui giudicata "molto insistente" con il suo piano di normalizzazione dei tassi di interesse ma soprattutto del silenzio da parte i membri della banca centrale. Nessuno di loro, infatti, si è pronunciato sul recente sell off, nemmeno in considerazione delle paure che stanno serpeggiando su un possibile surriscaldamento dell'economia Usa, in ottima forma. Ma le vendite registrate in questi giorni non saranno sufficienti a far cambiare idea al governatore della banca centrale Usa, Jerome Powell e al resto del board. Anche per questo otivo non bisogna sorprendersi per il picco registrato nella volatilità del mercato.

Un panorama complicato

Indubbio che alla base di tutto non ci sia solo la Fed ma anche la guerra commerciale USA-Cina, una disfatta nelle valute dei mercati emergenti, l'aumento dei costi di finanziamento, i rendimenti obbligazionari e le preoccupazioni economiche in Italia. Ma stando alle dichiarazioni di El-Erian

“Non credo che la festa sia finita, penso che quello che stiamo vedendo sia una transizione”. In altre parole si sta passando da un orizzonte perennemente confortato da una liquidità ampia e prevedibile ad un altro in cui sarà necessario tener conto di fondamentali potenzialmente divergenti nelle varie asset class.

Alla domanda su quali indicatori di mercato lo tenessero preoccupato, El-Erian ha risposto indicando prima di tutto i differenziali dei tassi di interesse tra Germania e Stati Uniti visti a livelli elevati e in secondo luogo la pressione sul cambio. Il problema, però, risiede in Europa e nella sua capacità di gestire oltre alla sua politica monetaria, anche quella che potrebbe esser una crisi sottovalutata tra la Brexit e la tensione con il governo italiano. Da parte sua la Bce (Toronto: BCE-PRA.TO - notizie) ha confermato proprio ieri lo status quo sui tassi di interesse, la fine degli acquisti sui mercati per dicembre e, salvo sorprese, interventi sui tassi dopo l'estate del 2019. Ma al di là di questo un altro rischio su cui, secondo El-Erian gli investitori dovrebbero riflettere, è quello del drenaggio della liquidità, un problema che secondo le sue previsioni potrebbe essere stato sottovalutato.

Lo stregone maledetto sa che l'inflazione dipende dalla montagna di circolante e da una carenza di offerta che non è oggi dove le fabbriche chiudono per mancanza di domanda e quelle che lavorano lo fanno al 60-65% del loro potenziale. Quindi dice menzogne consapevole di dirle. Puah, nessun rispetto per la intelligenza altrui

ACCUSE DA DI MAIO
Draghi risponde alle critiche: «Senza banche centrali indipendenti si torna all’inflazione anni 70»
26 ottobre 2018

(Ansa/Giuseppe Lami)

«Se le banche centrali fossero meno indipendenti e il pubblico percepisse che la politica monetaria potrebbe essere messa sotto pressione, le aspettative sull'inflazione non avrebbero più un’àncora e sarebbe messa a rischio la stabilità dei prezzi come negli anni 70». Lo ha detto il presidente della Bce Mario Draghi nel giorno in cui il vicepremier Di Maio lo ha attaccato affermando: «Siamo in un momento in cui bisogna tifare Italia e mi meraviglio che un italiano si metta in questo modo ad avvelenare il clima ulteriormente».

In un discorso alla Banca nazionale belga incentrato sulla difesa dell'autonomia delle banche centrali, Draghi non ha mai citato le contestazioni aperte provenienti dalle file del governo italiano dopo il messaggio di ieri sulla necessità che l'esecutivo Conte agisca in modo coerente applicando le regole Ue sui bilanci per far scendere lo spread. Ma la sua difesa dell'indipendenza della banca centrale dal potere politico e dalle sue esigenze di bilancio è stata ugualmente molto netta.

Le banche centrali, ha ricordato il presidente della Bce, «sono state in grado di mantenere un'inflazione stabile e bassa usando il solo strumento dei tassi di interesse negli anni '90 e duemila, che ha prodotto poche preoccupazioni».

Il tema posto da Draghi riguarda «gli incentivi delle autorità elette». Cioè della politica e dei governi. «Quando l'inflazione aumenta, le considerazioni politiche di breve termine possono creare incentivi per premere sulle banche centrali dando la priorità alla crescita economica ed evitare una restrizione monetaria. Quando l'inflazione cala, abbiamo visto che ci sono incentivi per dare la priorità al ‘moral hazard' e alle preoccupazioni del settore finanziario e a opporsi all'allentamento monetario, incentivi visibili durante la crisi nella zona euro».

È soprattutto il caso tedesco, con le critiche alla Bce per il superaccomodamento monetario da parte del mondo bancario, dei parlamentari della maggioranza, degli interessi nei Laender.

L'Ue boccia la manovra, occhio allo spread

Tra i fautori di un «rubinetto» Bce sempre aperto c'è anche il governo italiano (per il ministro degli affari europei Savona, la Bce dovrebbe ergersi a garante generale per le emissioni di debito pubblico). Queste pressioni «finora sono state limitate solo perché le banche centrali sono indipendenti e credibili». Se lo fossero meno si tornerebbe agli anni 70.

L’intervento di Draghi è arrivato dopo le nuove critiche giunte dal governo italiano. È «singolare», insiste ancora Di Maio, « che in questo momento vedo da alcuni ministri di altri Paesi, come quelli tedeschi, molto più rispetto per quello che stiamo facendo che dal capo della Bce che viene a dire che il clima di tensione in Italia è un problema». Poi conclude con una concessione solo apparente al ruolo del presidente della Bce: «Draghi può dire quello che vuole e non sono nessuno per censurare quello che dice».

Critiche dello stesso tenore erano arrivate anche dalle file della Lega, con Alberto Bagnai al quale «sembra improprio che il massimo responsabile della stabilità finanziaria in Europa emetta degli allarmi, seppur velati, circa la tenuta delle banche di un Paese che è sotto il controllo della sua vigilanza». Per il presidente della commissione Finanze del Senato, ospite di Radio anch'io, «se ascoltiamo tutte le dichiarazioni di Draghi di ieri vediamo che c’è anche un’apertura al fatto che le politiche non convenzionali possano proseguire se le condizioni lo richiederanno. E quali sono le condizioni? Per esempio quelle che la Bce si è data e non riesce ad ottenere e cioè che l'inflazione raggiunga stabilmente l'obiettivo del 2%».

25 ottobre 2018 - AAA Lavoro offresi

“ISOLATI”… CHI? - #LIGHTBLU 7

Gli ebrei nelle terre di Palestina sono un cancro da estirpare - bestie bestie bestie


26 ott 2018
by Redazione

Le autorità militari israeliane hanno ritirato i permessi di lavoro ai parenti di Aisha al Rabi, la donna palestinese morta per l’uscita di strada della sua automobile causata dai sassi lanciati dai coloni israeliani

Aisha al Rabi con il marito

di Alessandra Mincone
Roma, 26 ottobre 2017, Nena News – 

E’ stata vittima di una grave violenza eppure a pagare il conto, almeno per ora, è proprio la famiglia al Rabi. I media palestinesi riferiscono che lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno di Israele, ha revocato i permessi per lavorare nello Stato ebraico al marito e a un parente stretto di Aisha al Rabi, donna palestinese rimasta uccisa circa due settimane fa nell’incidente d’auto causato dai lanci di pietre dei coloni israeliani contro la sua automobile nei pressi di un posto di blocco militare a Nablus.

Una punizione che da un lato grava sulla famiglia dove ora otto bambini sono orfani di madre e fa di Aisha la seconda persona uccisa nella stessa casa, e dall’altro lascia impuniti i responsabili, i coloni israeliani, ossia la rappresentazione più compiuta del sistema di occupazione della Cisgiordania palestinese.

Lo Shin Bet prova a tutelare la propria immagine assicurando che le indagini sono tutt’ora aperte e che “non verrà esclusa la pista di un atto di terrore portato avanti dai coloni israeliani dell’area”. E giustifica il ritiro dei permessi di lavoro ai familiari informandoli che sono dinieghi “temporanei” vincolati alle leggi di Israele.

Il ritiro dei documenti per il marito di Aisha al Rabi, tra l’altro anch’egli rimasto ferito e privo di coscienza nella sassaiola dei coloni contro la sua auto, rappresenta una forma di derisione da parte delle autorità israeliane e una legittimazione degli episodi quotidiani di abuso di potere contro i palestinesi.

Nickolay Mladenov, coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente, ha condannato l’attacco alla donna e al marito affermando che “i responsabili devono essere subito assicurati alla giustizia. Urge smetterla con il terrore e la violenza”. Invece secondo il ministro del turismo d’Israele, Yariv Levin, che ha commentato l’accaduto in un’intervista radiofonica, le ragioni del decesso della donna non sarebbero ancora comprovabili, data l’assenza di una perizia del veicolo. Mettendo in dubbio la pista di un’aggressione da parte dei coloni, il ministro ha ipotizzato un semplice incidente d’auto poi strumentalizzato dalla famiglia descritta come “tipi di persone vicine agli ambienti di sinistra che in maniera ipocrita non fanno che incolpare lo Stato Ebraico”.

Ma quello che oggi risulta realmente ipocrita alla luce dei fatti, è che dal 2015 la Knesset, il parlamento israeliano, condanni uomini, donne e bambini palestinesi fino a 20 anni di carcere per il lancio di pietre “finalizzato all’aggressione contro civili e forze dell’ordine”, additando di terrorismo adulti e minori palestinesi in maniera indiscriminata, mentre i coloni israeliani sembrano poter utilizzare quella stessa violenza in maniera legittima nelle aree di forte tensione. Inoltre se un palestinese volesse dimostrare la sua innocenza dall’accusa di aver lanciato sassi con l’intento voler ledere cose o persone incorrerebbe comunque in una pena lunga fino a 10 anni di prigione.

Dal 2018, nel periodo compreso tra gennaio e aprile, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari ha registrato più di 80 casi di violenze subite dai palestinesi dovute al lancio di pietre ad opera dei coloni israeliani. Nel 25% dei casi viene documentato che prendono di mira le persone in case e automobili, quando appaiono indifese. Invece non sono verificabili i procedimenti penali in corso dove i coloni sono imputati per il lancio di pietre, per una evidente mancanza di uguaglianza delle condanne per israeliani e palestinesi nei tribunali israeliani. Al contrario è da notare ch dal 1° ottobre 2015, quindi allo scoppio dell’Intifada di Gerusalemme, ad oggi più di 2500 minori palestinesi sono stati imprigionati e il capo d’accusa più comune nei loro confronti è il lancio di pietre.

E intanto l’esercito israeliano sperimenta quotidianamente contro i palestinesi i prodotti dell’industria bellica nazionale eletta come la più fruttuosa ed efficiente al mondo. Nena News

http://nena-news.it/morta-per-le-sassate-dei-coloni-ma-viene-punita-la-sua-famiglia/

Adesso Fico ha stufato, vive nel paese dei balocchi

CHI BOICOTTA IL GOVERNO
Desirée, Roberto Fico attacca Matteo Salvini: "Non ci vogliono ruspe, ma amore". L'ultimo affronto

26 Ottobre 2018


"Non ci vogliono le ruspe, ma più amore". Parola di Roberto Fico, il grillino ribelle contro la linea del governo. "La coesione sociale è il mezzo fondamentale per costruire tutto il resto della comunità solidale e un'economia sana e forte - ha detto in Campidoglio -. Anche nei momenti difficili non ci vogliono ruspe ma più amore e fatica nelle idee e nella partecipazione. Essere costantemente nei quartieri difficili senza lasciare mai nessuno solo. I problemi complessi non si risolvono con la forza ma con la forza dell'intelligenza. Programmando e integrando scuola, cittadini e forze dell'ordine. Non possiamo dare risposte sempre uguali a problemi diversi". 

La filippica è palesemente rivolta a Matteo Salvini: il ministro dell'Interno ha infatti promesso di "tornare con le ruspe" nel quel quartiere degradato di San Lorenzo (Roma), dove la giovane Desirée Mariottini ha trovato la morte. Insomma, sembra che l'ala "ortodossa" del Movimento 5 Stelle voglia mettere i bastoni fra le ruote all'esecutivo gialloverde, nato da un connubio di due pensieri politici parecchio diversi.

Mattarella Mattarella gli euroimbecilli della Commissione un giorno si e l'altro pure ci insultano e tu non fiati

IL PALLOTTOLIERE
Europa, quanto paga l'Italia per farsi riempire di insulti da tizi come Jean-Claude Juncker

26 Ottobre 2018


Quasi trentotto miliardi in sette anni. Più di cinque miliardi l’anno. Oltre 14 milioni al giorno. Se pensavate che l’Europa ci insultasse per divertimento o perché ci odia, siete lontani dalla verità. Non si tratta di antipatia o di paternalismo. E neanche di una distorta visione dei valori e degli ideali che dovrebbero unire i popoli del Vecchio Continente. La realtà è che le continue bordate di Bruxelles non sono gratis. Le paghiamo. E anche profumatamente. Un po’ come quegli amanti della tortura che sborsano quattrini per farsi frustare da un improvvisato aguzzino. Scelta discutibile, ma consapevole. E soprattutto libera. I contribuenti italiani, invece, non hanno alternativa. Per quante legnate arrivino, i soldi alla Ue vanno versati lo stesso.

Pierre Moscovici dà del fascista ad un nostro eurodeputato che si è tolto una scarpa per protestare? Il ministro Giovanni Tria viene rimandato a casa a fare i compiti perché si è presentato all’Ecofin senza carte? Valdis Dombrovskis ci dice che non sappiamo far di conto? Gunter Oettinger si augura che i mercati ci puniscano per non aver votato nel modo giusto?

PALATE DI FANGO
Qualunque palata di fango possa essere riversata sul nostro Paese, alla fine dell’anno il ministero dell’Economia deve comunque fare un bel bonifico alla tesoreria di Bruxelles. Con tanti ringraziamenti.

Il conto è salatissimo. Basta scorrere le colonne del dare ed avere per farsene un’idea. Dal 2010 al 2016, secondo i calcoli effettuati dal Centro studi ImpresaLavoro, l’Italia ha contribuito mediamente con 15/16 miliardi al bilancio europeo e ha ricevuto indietro, sotto forma di aiuti attraverso i vari fondi, tra i 10 e i 12 miliardi l’anno. Tra le due cifre ballano 4/5 miliardi ogni dodici mesi. Complessivamente, sui sette anni presi in esame, si tratta di 37,7 miliardi di euro spariti nei rivoli dell’euroburocrazia. All’incirca il valore della finanziaria che la Commissione europea, creando un precedente finora inedito, ci ha chiesto di riscrivere.

Quel bottino finito nelle casse dell’Europa fa dell’Italia un contributore netto. Ovvero uno dei Paesi che versa più di quello che prende. Status nobile che dovrebbe implicare una buona dose di rispetto. Anche di fronte a chi, come il governo gialloverde, si muove in maniera un po’ azzardata sul fronte della finanza pubblica.

CONTRIBUTORI NETTI
Per avere ben chiaro come è e come, invece, dovrebbe essere, è utile ricordare che il nostro Paese non è l’unico a trovarsi in tale condizione. Nella veste di contributori netti siamo in compagnia delle altre grandi economie del continente. Al primo posto, manco a dirlo, c’è la Germania, che ha un credito con l’Europa, sempre in sette anni, di 104 miliardi. Al secondo c’è il Regno Unito, che non a caso ha deciso di tagliare la corda, con 66 miliardi. E poi la Francia, con 57 miliardi.

Ed ecco allora che il paragone sorge spontaneo: avete mai sentito un commissario europeo insultare la Merkel o deridere Macron? C’è stata mai un’occasione in cui da Bruxelles si siano fatti beffe della Germania o della Francia? Per non parlare dell’Inghilterra, che viene trattata con dignità anche dopo aver deciso di dare un calcio alla Ue.

Certo, noi ci mettiamo del nostro. Pasticci, improvvisazioni, trucchetti. Ma la sostanza cambia poco: pagare 14 milioni al giorno per essere presi a pesci in faccia, sempre e comunque, resta un prezzo dannatamente esagerato.

di Sandro Iacometti

Lo stregone maledetto ha dimenticato che compito precipuo di ogni banca centrale è quello di prestatore di ultima istanza, eppure fu lui a dirlo nel luglio del 2012


Di Maio attacca Draghi: «Avvelena il clima». La replica: «Banche centrali autonome»

Nicola Lillo

Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi

Roma - Non bastava l’attacco alla Bce del ministro degli Affari europei Paolo Savona. Ora anche il vicepremier Luigi Di Maio si scaglia contro Mario Draghi: «Siamo in un un momento in cui bisogna tifare Italia e mi meraviglio che un italiano si metta in questo modo ad avvelenare il clima ulteriormente», dice il leader dei Cinque Stelle dopo che nella giornata di ieri il presidente della Bce aveva lanciato un allarme per la situazione italiana. Lo spread così alto - questo il messaggio di Draghi - rischia infatti di mettere in difficoltà famiglie, imprese e banche.

Si tratta di un attacco inedito e scomposto contro l’istituzione con base a Francoforte. Tanto che, in occasione di un discorso tenuto alla Banca nazionale belga incentrato sulla difesa dell’autonomia delle banche centrali, il presidente Draghi risponde indirettamente agli attacchi, difendendo l’indipendenza della Bce che è «essenziale, perché la sua azione sia credibile e dunque la politica monetaria sia efficace». La credibilità dipende dunque dall’indipendenza e una banca centrale non deve essere soggetta a vincoli politici e «deve essere libera di scegliere gli strumenti più appropriati per assolvere il suo mandato».

Il governo al contrario chiede da giorni un intervento della Bce per abbassare lo spread, che resta pericolosamente sopra ai 300 punti base. Ma l’istituto di Francoforte non ha per statuto strumenti, se non l’Omt (Outright Monetary Transactions), l’acquisto diretto di titoli di Stato, che comporta di fatto un commissariamento. «I legislatori dovrebbero proteggere l’indipendenza delle banche centrali - spiega Draghi - perché è essenziale per l’adempimento del mandato che essi stessi hanno definito».

È più cauto invece il leader della Lega, Matteo Salvini: «Non commento gli altri - dice riferendosi al collega vicepremier Di Maio - Sono convinto della bontà delle scelte di questo governo. Se qualcuno pensa di speculare con lo spread o usando altro, sappia che c’è un Paese pronto a rispondere. Non torneremo indietro di mezzo millimetro» rispetto alla manovra, che è già stata bocciata da Bruxelles. E sulle banche assicura che «nessuna salterà. Se qualcuno pensa di speculare sulla pelle dei risparmiatori e degli italiani, sappia che c’è un governo e c’è un paese pronto a difendere le sue imprese, le sue banche e la sua economia, costi quel che costi».

Giulio Sapelli - ora che c'è un governo che tenta di spingere sulla domanda interna, il contrario di quello che si è fatto in questi anni dove ci siamo impoveriti e distrutto, per fortuna le medie e piccole industrie hanno resistito, il sistema industriale, gli euroimbecilli di tutte le razze si fanno venire il coccolone, i più accaniti sono quelli italiani, Stregone maledetto Mattarella Mattarella giornaloni Tv professoroni espertoni tuttologi. Tutti tutti contro gli Interessi Nazionali

J'ACCUSE/ Sapelli: in Italia c'è chi tifa per la troika e il default

L'Ue chiede ottusamente all'Italia di cambiare la manovra. E il Paese si divide, anche perché c'è chi spera che la Troika arrivi a Roma o che ci sia un default. GIULIO SAPELLI

26 OTTOBRE 2018 GIULIO SAPELLI

Lapresse

L'Unione Europea è fondata su un continuo alternarsi di onde di marea: quando il ciclo economico mondiale sale, tutte le tracce che la vita di ogni giorno deposita sulla sabbia scompaiono; quando il ciclo economico scende quelle tracce emergono e costruiscono un paesaggio composito come composite sono la vita sociale e la storia. La storia europea è fondata sulle sue nazioni e sulle sue differenze culturali, sul suo pluralismo che ne ha costituito la forza. Questo pluralismo può altresì configurarsi come debolezza se non si compone, venendone invece esaltato, con istituzioni rappresentative e decisionali che sappiano unire policentrismo e decisionismo, contemperando la rappresentanza territoriale con quella priva di legittimità democratica, se non in seconda istanza, com'è nel caso delle burocrazie economiche europee centralizzate a Bruxelles.

Tutto il disagio europeo di oggi, quando la marea è scesa, deriva da questo malcomposto costrutto istituzionale. Esso non ha una forma organica tipicamente democratica, ma si configurata invece come vettore che scaturisce dal parallelogramma delle forze degli stati nazionali come potenze economico-burocratiche. Di qui gli squilibri europei che si riflettono nelle politiche economiche fondate dell'austerità e sulla politica dell'offerta con la deflazione, i bassi tassi di profitto delle imprese industriali, i bassi salari, gli scarsi consumi.

La reprimenda dell'Ue alla politica economica delineata nel progetto governativo italiano (la "manovra", come si usa dire) risente di questo costrutto istituzionale squilibrato. Le forze nazionali dominanti in Europa non comprendono che il problema italiano non risiede nel suo eccesso di debito misurato in centesimi di punto, quanto invece nell'assenza di politiche vigorose rivolte alla crescita industriale e manifatturiera, crescita che è alla base della domanda interna e della possibilità di una spesa pubblica sempre più necessaria (quest'ultima in Italia è la più bassa d'Europa).

Di qui la debolezza organica della proposta governativa: essa va nel senso giusto, ma difetta nella strumentazione tecnica necessaria per inverarla, quella crescita. Soprattutto in un contesto mondiale che è quello che è ben riassunto dal titolo della copertina dell'Economist: "The next recession. How bad will it be?". E qui si disvela la contraddizione europea: l'Ue avrebbe dovuto rimproverare all'Italia di non aver fatto abbastanza per indurla, quella crescita, e non, invece, di aver superato di qualche virgola quel tetto del deficit! Il tutto mentre l'Italia vanta un avanzo primario e la famiglie meno indebitate del mondo. E inoltre quella crescita avrebbe dovuto inverarla la stessa Commissione europea: dov'è finito il piano Juncker degli investimenti, dov'e finito il progetto di separare dal deficit le spese per gli investimenti medesimi?

Gli errori della cuspide che ora comanda in Europa enfatizzano le debolezze governative balbettando sul fronte infrastrutturale con le terribili indecisioni in merito, per esempio, all'arrivo del gas naturale in Puglia e a tutte le altre opere pubbliche da cantierizzare quanto prima. Una serie di errori e uno sforzo troppo debole per non compierli più. Tutto questo in una nazione che, a differenza di Francia, Spagna, Portogallo, anch'esse nazioni sottoposte alle reprimenda Ue, si divide drammaticamente sulle politiche economiche e in cui le opposizioni e l'intellighenzia mainstream tifano per la Troika e per il default e non vedono l'ora che i cavalieri dell'Apocalisse (si guardi alla Grecia e a com'è stata ridotta) giungano a Roma come Petain faceva a Vichy.

Già, la storia… ma chi si cura, oggi, tra coloro che hanno abbandonato la vita dello spirito, di ciò che rimane sulla sabbia nella bassa marea?

Riscoprire i valori dell'uomo attraverso la religione, elemento fondante della società

Michel Houellebecq, uno Spengler ottimista in cerca di una via di scampo per l’Occidente

Maurizio Blondet 26 ottobre 2018 

Posted on ottobre 24, 2018, 9:25 am

Una cosa è certa: la maggior parte della letteratura europea – e quella italiana come nessun’altra – non si occupa della realtà. Oggi come oggi più che mai si potrebbe dire si realizza il principio dell’arte per l’arte, ovvero di una messa al bando dei contenuti privilegiando il gioco creativo. Il che non sarebbe per forza negativo, se non fosse che manca la base di tutto, ossia l’arte.

In alternativa, esistono una narrativa e una poesia senza qualità volte ossessivamente, per ordine di partito, a restituirci la giusta immagine del migrante – a quanto pare noi, autonomamente, non saremmo in grado, perché affetti da una percezione distorta che ci porta a decuplicarne il numero e a vederli tutti sporchi e cattivi.

Per grazia divina, a questo ridicolo coro di Saviani, Baricchi, e altri PIRLAndelliani personaggi vari, si contrappone l’unico scrittore europeo attuale che davvero meriti di passare alla storia, Michel Houellebecq.

Pochi giorni fa, il francese ha ricevuto a Bruxelles il Premio Oswald Spengler, ovvero un riconoscimento che prende il nome dal grandissimo filosofo che scrisse quella pietra miliare il cui titolo è oramai parte dell’immaginario collettivo: Il tramonto dell’Occidente. Il Foglio, con Giulio Meotti, ne ha dato conto in esclusiva.

Che Houellebecq fosse un figlio di Spengler nessuno dei suoi lettori più accorti l’ha mai dubitato. Lui, però, con la sua consueta ironia che non si accontenta mai di riaprire semplicemente la ferita – deve pure metterci il dito nella piaga –, ha tenuto a sottolineare che “il termine declino nel mio caso è ancora troppo delicato […] il mondo occidentale nel suo insieme si sta suicidando”.

Come dargli torto! Inutile precisare, pertanto, che questo premio è meritatissimo.

Qual è il problema europeo? Con estrema lucidità e insolita dote schematica per un francese, l’autore precisa che i nodi cruciali sono demografia e secolarizzazione.

In sostanza, non si fanno più figli e non si crede più in niente.

La religione è diventata da retrogradi, quando invece “è l’unica cosa […] in grado di cambiare il comportamento di un essere umano”. Date queste premesse, dice lui, “è chiaro che arrivo alle conclusioni che sono identiche a quelle di Oswald Spengler”.

In tutto ciò, e pur ribadendo il motivo fondante dei suoi romanzi, ovvero l’irreversibilità dei processi di decadenza, lo scrittore apre alla possibilità di una svolta positiva per il futuro e lo fa proprio partendo dalla questione del disastro demografico.

Contrariamente a quanto si crede, infatti, il calo delle nascite non è legato alla crisi, ma al “progredire della civiltà e della cultura, con l’accrescersi dei consumi e della ricchezza”.

Anche se il buonsenso porterebbe a pensare che si facciano più figli in una situazione di ottimismo rispetto al futuro, in verità, dice Houellebecq con una semplice quanto efficacissima immagine, “le persone fanno figli, come lanciare i dadi l’ultima volta e giocare un’ultima carta, quando in realtà sono convinti di aver perso la partita”.

L’unico auspicio, dal suo punto di vista, è che succeda per il Cristianesimo quello che è accaduto per l’Islam quando le élite vi stavano prendendo le distanze, ma le masse sono rimaste fedeli e, infatti, la demografia oggi è dalla loro parte.

I cattolici francesi, per esempio, a quanto pare, si stanno riscoprendo come forza e mettono al mondo più bambini. Secondo lui, il loro numero aumenterà.

Dulcis in fundo, alla richiesta di fare un parallelo tra islam e comunismo, il Maestro ha risposto che il primo resisterà perché

“la religione ha un ruolo chiave nella società e nella sua coesione, è un motore nella costruzione della comunità”.

Il comunismo, al contrario, “era una specie di falsa religione, un cattivo sostituto, non una vera fede, sebbene avesse la propria liturgia”. Inutile precisare che, su questo punto, l’autore diLanzarote è il solo a pensarla in tal modo. Gli altri, quelli che a una certa tessera devono la carriera, non possono permettersi tanta libertà.

Matteo Fais

l'Euro ha fatto arrichire il Capitale tedesco - solo degli imbecilli possono pensare che la Germania dia la possibilità all'Italia di fargli concorrenza ricreando il tessuto industriale che gli stessi imbecilli hanno concorso a distruggere

Secondo la stampa tedesca Berlino vuole la “guerra” contro l’Italia (e pretende anche l’atomica in veste EU)

Maurizio Blondet 26 ottobre 2018 

Mitt Dolcino – Qelsi

Lo stimato sito www.german-foreign-policy, normalmente informatissimo sulla politica estera tedesca, presenta un articolo in prima pagina che a definire clamoroso è davvero poco. Ossia, per il tramite di una fonte privilegiata tedesca, articolo per altro solo in tedesco, vengono espressi concetti che devono suonare come una sirena d’allarme per l’Italia e per tutti i paesi dell’eurozona, soprattutto se periferici: Berlino per difendere l’euro – da cui trae enormi e spesso impropri ed asimmetrici vantaggi (come viene candidamente dichiarato nell’articolo) – è disposta a tutto, contro i paesi che sfidano la sopravvivenza della moneta unica.

Il tono è precisamente quello indicato, austero, duro, formale, quasi marziale, per altro già anticipato nell’indirizzo generale (…) alcune settimane or sono su queste colonne da chi scrive (quando si annunciava che l’EU era pronta ad istigare in golpe per impedire al governo gialloverde di restare al potere in Italia, ndr vedasi LINK ). Ossia, da una parte Berlino riconosce che l’euro è la vera ed unica fonte del suo attuale potere economico e dunque geostrategico (grazie ad enormi surplus commerciali, per altro impuniti lato EU); dall’altra parimenti dichiara la sua volontà di impedire la fine della moneta unica. Costi quel che costi.

In tale contesto gli sfidanti degli interessi teutonici in EU sono tre, in ordine cronologico: Polonia, Ungheria e soprattutto Italia gialloverde. L’ultimo è l’avversario più temibile, per la stazza ed il supporto interno ed esterno (ossia, anche per “qualcosa” che nemmeno lo stimato sito tedesco ha osato citare, la vicinanza storica di Roma a Washington). Va per altro notato come Roma oggi stia dando la stura al malcontento EUropeo contro i tedeschi, malessere che a ben vedere da anni serpeggia in tutta l’Unione, …

Or dunque anche i dettagli dell’attivismo di matrice germanica per far cadere il governo gialloverde vengono candidamente dichiarati nel pezzo: nel dinamitare i gialloverdi è necessario “nascondere” Berlino e far fare il lavoro sporco ai cooptati EU se non direttamente alle istituzioni EUropee, siano essi – magari – Moscovici, Juncker o lo stesso Mario Draghi per la BCE (il governatore è in forte odore di tradimento, pronto a tornare al dominus anglosassone non appena sarà evidente il potere oggi ancora tratteggiato della corazzata Trump).

Quello che viene con cura taciuto è che i tedeschi hanno potuto sdoganare tale piano pro EU assolutamente contrario agli interessi italiani negli ultimi sei anni solo grazie ad inevitabili corruttele verso i governanti che si sono succeduti a Palazzo Chigi dal 2011: evidentemente i cooptati – ossia i pagati, quelli al soldo, i tangentati – rischiano di essere molti.

D’ogni modo il problema non sta nemmeno qui – fino ad ora abbiamo scoperto giusto l’acqua calda -; infatti quello che il sito tedesco sopra citato vuole comunicare è che prima di tutto l’EU tedesca è indirizzata verso il riarmo militare, verso un esercito EU dove Berlino possa avere il comando come lineare conseguenza del suo potere economico, che poi è la carta geostrategica che oltre Gottardo si stanno giocando da almeno dieci anni. Effettivamente ad inizio 2019 c’è in programma un importante incontro pubblico di Macron a nome della Francia con la Germania: molti ritengono che in tale vertice (…) di inizio anno prossimo verrà dichiarata la volontà francese di condividere la force de frappe con Berlino.

Se tale indirizzo si tradurrà in realtà significherà che tutti gli sforzi di Bohr, Oppenheimer, Enrico Fermi et al. sono stati vani: Berlino avrà la sua tanto bramata arma nucleare sebbene in veste EU. Che uso ne farà è tutto da vedere, dubitando che si possa escludere a priori un uso estremo anche contro chi eventualmente dovesse sforare il bilancio comunitario “reiteratamente”.

In questo senso forse il più grande campanello d’allarme arriva proprio dalla saggia ed amica Svizzera la quale, dopo lustri di negoziazione, dopo essere stata tra i promotori dell’iniziativa, si è ritirata nottetempo dalla firma del trattato di non proliferazione nucleare. Il motivo? Tipicamente e pragmaticamente svizzero: in un mondo in cui NON esiste la volontà condivisa di eliminare tali armi di distruzione di massa sarebbe stupido precludersi tale arma in ambito di difesa nucleare, se ad esempio paesi importanti (ho detto vicini?) dovessero fare il contrario….

In effetti l’articolo di german-foreign-policy.com riferisce precisamente quanto previamente indicato: Berlino vuole l’atomica in veste EUropea e come tale è disposta a difendere l’euro, a tutti i costi (notasi: non l’EU); essendo parimenti disposta a sacrificare molto per avere “la bomba”.

Si aprono dunque scenari inquietanti: gli alleati di 75 anni fa davvero volevano questo epilogo quando si fecero “corrompere” dai nazisti con il fine di non giustiziare le elites tedesche ossia coloro che più di tutti stavano alla base dei disastri dei nazionalsocialisti? Guarda caso trattasi degli stessi soggetti che furono anche inopinatamente salvati dagli anglosassoni dando come contropartita – in svariati casi – enormi tesori di guerra (…). E che dire degli accordi di scambio di tecnologia contratti con nazisti per la durata di 50 anni?

Mi viene da pensare che l’obiettivo sistemico degli alleati fosse originariamente molto diverso (leggasi piano Morgenthau); forse si sarebbe dovuti restare nel solco indicato da Churchill quando – con il bombardamento britannico delle città tedesche negli ultimi 6 mesi di guerra (quando le sorti erano ormai segnate ) – si voleva ritardare il più possibile il ripetersi degli scempi nazisti sul territorio europeo, dando per altro maggiore spazio di manovra geostrategico all’Impero Britannico. E’ una domanda la mia….

Oggi – stando al sito www.german-foreign-policy.com – viene da dire che siamo tornati al 1935 o giù di lì, quando Berlino si preparava alla guerra su più fronti.

Per l’Italia, ripeto, è una sirena d’allarme: effettivamente i tedeschi sembrano disposti a tutto pur di non rinunciare al loro vero, moderno strumento di conquista, l’euro. Strumento che ha reso servigi immensamente superiori ad una guerra vinta, visto che non si è sparato (fino ad ora) nemmeno un colpo di fucile. E’ chiaro dunque il motivo per cui le elites tedesche – circa le stesse dal periodo guglielmino – sono disposte a pagare qualsiasi prezzo ai politici locali che dovessero vendersi, oggi sembrano disposte addirittura ad aumentare il prezzo pagato ai governi italiani post 2011. E se non fosse sufficiente ritengo che possono essere pronte anche – come volevasi dimostrare – ad istigare un colpo di stato in Italia pur di far cadere il governo “nemico” gialloverde.

Ossia oltre gottardo temono l’Italia in quanto, se sommata all’armata USA ormai in allerta – visto che ha capito il gioco tedesco e cinese -, è l’unico soggetto davvero in grado di deragliare il progetto teutonico di egemonia necoloniale non solo europea, nei tempi dovuti addirittura globale. In tutto questo mi viene da dire che i nazisti non sono morti, si sono solo nascosti per 75 anni.

E' guerra vera all'Euroimbecillità - se la Bce non fa quello che qualsiasi banca centrale ha come compito precipuo, prestatore di ultima istanza, calmierare lo spread, l'Italia inizia la guerra assimetrica nel contesto che si viene a creare. Parole contenuti chiari e inequivocabili, gli euroimbecilli continueranno a nascondere la testa nella sabbia?


Savona: “manovra non cambia”. E sullo spread: “Bce dovrebbe intervenire”

26 ottobre 2018, di Mariangela Tessa

“Il governo non cambierà la manovra ma la rinvierà tale e quale a Bruxelles, su questo non c’è alcun dubbio”. Ad affermarlo con decisione è il ministro per gli Affari europei, Paolo Savona che, ieri, intervistato da Sky Tg24 ha spiegato che, se lo spread tra Btp e Bund tedeschi dovesse continuare a salire, “non riesamineremo la manovra, ma il contesto entro cui ci muoviamo”.

E proposito dello spread, il ministro Savona attacca la Bce, secondo cui, “tenerlo sotto controllo è compito della Banca centrale europea”. Per questo bisognerebbe “dare più poteri” all’istituto di Francoforte e “affrontare le incongruenze”.

L’input che Savona lancia sia alla Bce sia all’Unione europea è dunque quello risolvere il problema quanto prima.

Alla Bce – ha dichiarato il ministro a Sky Tg24 – dovrebbe spettare il compito di indicare soluzioni per evitare la crisi sistema bancario ed eventualmente intervenire. Se lo spread si innalza e nessuno interviene per calmierarlo – ha, poi, fatto notare – ed è un tipico compito delle banche centrali europee, inevitabilmente la caduta del valore dei titoli mette in difficoltà le banche. Avendo fatto l’unione bancaria chi è responsabile della stabilità delle banche? Dobbiamo risolvere problema: non possiamo avere un’istituzione che avoca a sé i poteri di controllo delle banche, avoca a sé i poteri monetari e non svolge quelle funzioni tipiche che una banca centrale compresa la Banca d’Italia, ha sempre svolto in Italia”.

venerdì 26 ottobre 2018

calmierare lo spread e tenerlo sotto controllo è compito della Banca centrale. Lo stregone maledetto lo sa perfettamente quindi fa chiacchiere al vento perchè succube dell'ideologia che deve schiantare l'Italia

Ecco come Di Maio, Savona, Bagnai e Borghi rimbeccano Draghi su spread e Bce

26 ottobre 2018


Le repliche sono state caute e dai toni moderati, ma nella sostanza gli economisti della Lega non si sono sottratti nel criticare garbatamente le parole di ieri di Mario Draghi.

Che cosa ha detto tra l’altro il presidente della Bce nel corso della conferenza stampa a Francoforte? (qui l’approfondimento di Start Magazine sulle parole di Draghi)

LE PAROLE DI DRAGHI

“Cosa si può fare per limitare l’allargamento dello spread? Penso che la prima risposta sia abbassare i toni e non mettere in discussione il framework costitutivo dell’Europa. Inoltre adottare politiche che riducano lo spread”, ha spiegato Draghi, al termine della riunione di politica monetaria rispondendo a una domanda sui rischi legati all’aumento dello spread per le banche e l’economia italiana.

LE CRITICHE INDIRETTE

Un riferimento indiretto – secondo molti osservatori – a chi nel governo e nella maggioranza, in primis i vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini non hanno esitato a criticare la risposta della Commissione europea al disegno di legge di Bilancio che il governo Conte ha inviato a Bruxelles.

RISPETTARE IL PATTO UE

“E’ fondamentale per i Paesi altamente indebitati rispettare le regole del Patto di Stabilità e Crescita” europeo, “in modo da assicurare una solida posizione di bilancio”, ha aggiunto il presidente della Bce sollecitando i governi dell’eurozona ad “accelerare con le riforme strutturali”.

SPREAD E BANCHE

“Se mi si chiede cosa si può fare riguardo alle banche, dato l’allargamento dello spread negli ultimi sei mesi, una prima risposta è ridurre lo spread e non mettere in dubbio la cornice istituzionale che sorregge l’euro”, ha concluso Draghi.

LA REPLICA DI SAVONA

Diverso il parere del ministro degli Affari europei, Paolo Savona. L’economista vicino alla Lega – su cui calò il veto della presidenza della Repubblica come titolare del dicastero dell’Economia – ha commentato: calmierare lo spread e tenerlo sotto controllo è compito della Banca centrale: bisogna dare più poteri alla Bce e affrontare le incongruenze.

CHE COSA HA DETTO A SKYTG24

Savona lo ha detto intervistato da Skytg24. Alla Bce – ha dichiarato – dovrebbe spettare il compito di indicare soluzioni per evitare la crisi sistema bancario ed eventualmente intervenire.

IL RAGIONAMENTO DEL MINISTRO

Se lo spread si innalza e nessuno interviene per calmierarlo – ha fatto notare Savona – ed è un tipico compito delle banche centrali europee, inevitabilmente la caduta del valore dei titoli mette in difficoltà le banche. Avendo fatto l’unione bancaria chi è responsabile della stabilità delle banche? Dobbiamo risolvere problema: non possiamo avere un’istituzione che avoca a sé i poteri di controllo delle banche, avoca a sé i poteri monetari e non svolge quelle funzioni tipiche che una banca centrale compresa la Banca d’Italia, ha sempre svolto in Italia. Quindi vi sono incongruenze che vanno affrontate”.

IL RUOLO DELLA BCE

“Se ci sfugge lo spread – ha precisato Savona – noi non riesamineremo la manovra, ma il contesto entro cui ci muoviamo. Se le responsabilità della stabilità del sistema bancario passano nelle mani della Banca centrale europea, dovrebbe essere la Bce a intervenire per evitare che il sistema bancario entri in crisi”.

I COMMENTI DI BAGNAI E BORGHI

Sulla stessa lunghezza d’onda i commenti di altri due economisti della Lega, Alberto Bagnai e Claudio Borghi, rispettivamente presidente della Commissione Finanze del Senato e presidente della Commissione Bilancio della Camera.

Ecco i tweet con i loro pensiero:


Mi sembra improprio che il massimo responsabile della stabilità finanziaria in #Europa emetta degli allarmi seppur velati circa la tenuta delle #banche di un paese che è sotto il controllo della sua vigilanza @AlbertoBagnai a #Radioanchio @Radio1Rai #Draghi


L’obbiettivo del 2% se l’è dato la #Bce e la cosa paradossale che rimprovero al dottor #Draghi è che lui non riesce a raggiungere un obbiettivo che si è dato e che quindi potrebbe anche cambiare @AlbertoBagnai a #Radioanchio @Radio1Rai


oggi non ho avuto tempo di commentare ma uno come Draghi che parla di "rischio banche" (di fatto creando allarme e quindi potenzialmente creando quel rischio che non esisterebbe), di "spread fra Italia e Grecia" (come se i due mercati fossero paragonabili) ecc ecc è molto triste.

LA CRITICA DI LUIGI DI MAIO

Ma anche dal Movimento 5 Stelle giungono parole, fors’anche più nette, sul presidente della Bce, Mario Draghi: “Secondo me siamo in un momento in cui bisogna tifare Italia e mi meraviglio che un italiano si metta in questo modo ad avvelenare il clima ulteriormente”, ha detto il vicepremier Luigi Di Maio durante la registrazione della prima puntata di Nemo, in onda stasera su Rai2

Total - il regalo dello zombi Renzi al fanfulla francese, veleno a lento rilascio del corrotto euroimbecille Pd

26 OTTOBRE 2018 / 16:02 / AGGIORNATO 6 ORE FA
Total pronta ad avviare produzione giacimento Tempa Rossa, in Basilicata - Cfo

26 ottobre (Reuters) - Total è tecnicamente pronta ad avviare la produzione nel giacimento petrolifero nel sito di Tempa Rossa, in Basilicata, in attesa dell’ultima autorizzazione regionale.

Lo ha detto il Cfo della major francese, Patrick de la Chevardiere.

Tempa Rossa è un giacimento che a regime avrà una capacità produttiva giornaliera di circa 50.000 barili/giorno.

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Le stronz.te della Lega. La sharia non deve entrare in Italia

Bergamo, l’Associazione musulmani vince all’asta ex chiesa cattolica

Immagine d'archivio (Getty Images)

Con un’offerta di 450mila euro, l’Associazione si è aggiudicata la ex cappella dei frati cappuccini. La comunità musulmana potrebbe ora trasformarla in una moschea

L’Associazione Musulmani di Bergamo si è aggiudicata, tramite asta pubblica indetta dalla Regione, una ex cappella dei frati cappuccini. Probabilmente l’edificio sarà adibito a luogo di culto per la comunità musulmana. La ex cappella è situata all’interno degli ex Ospedali Riuniti di Bergamo. Le buste contenenti le offerte sono state aperte in mattinata, e l’Associazione Musulmani si è aggiudicata l’edificio presentando una cifra di circa 450mila euro, con un rialzo dell’8% rispetto alla base d’asta, fissata a 418mila euro.

Nel giugno del 2015 la comunità ortodossa aveva raggiunto un accordo con la Regione, assicurandosi per i successivi tre anni la ex cappella come luogo adibito alle proprie funzioni religiose. Poi, nel settembre 2018, l’edificio è stato inserito tra i beni in vendita tramite asta pubblica, chiusasi questa mattina a favore dell’Associazione Musulmani di Bergamo. Giacomo Angeloni, assessore di Bergamo che si occupa dei rapporti con le varie comunità per la giunta di centrosinistra, ha commentato su Facebook: “Chi la fa l'aspetti... Un ente regionale (governato dalla Lega) vende un luogo di culto (chiesa ex riuniti) ad una comunità islamica... Lì si potrà pregare senza problemi legali". L’assessore fa riferimento alla legge regionale voluta da Roberto Maroni nel 2015, ribattezzata “anti-moschee”, che risulta piuttosto restrittiva sulle regole di edificazione dei luoghi di culto.

Le reazioni

"A Bergamo, nella regione che vuole impedire la costruzione di moschee regolari finisce che i musulmani comprano, dalla stessa Regione, una chiesa. Si tratta di un luogo destinato al culto, quindi non incorre nelle restrittive prescrizioni della legge regionale". Lo ha dichiarato il consigliere regionale del Pd Jacopo Scandella. "Per il governatore Fontana e per la Lega di Salvini è una specie di autogol da centrocampo. A dover sottostare alle assurde norme volute dalla Lega sarà, questa volta, la comunità dei cristiani ortodossi, che oggi utilizza la cappella messa in vendita insieme alla restante parte del vecchio ospedale", osserva ancora Scandella, che chiede di cambiare la legge regionale e "garantire a tutti la libertà di culto".

Anche l'assessore all'Urbanistica del Comune di Milano, Pierfrancesco Maran, ha commentato l'accaduto. "La Regione Lombardia vuole negare il diritto di culto a Milano e poi fa trasformare una chiesa in moschea a Bergamo. Fermatevi e sedetevi al tavolo del buon senso dove si vogliono dare diritti e far rispettare i doveri . A Milano - ha poi aggiunto - c'è un Comune che vuole aprire nuovi spazi regolari e sicuri, non far chiudere le chiese per farle diventare moschee. Altrimenti se le cose non si regolano finisce che non te ne accorgi e le chiese diventano moschee sotto la totale responsabilità di Regione Lombardia".

"La Lega che ogni giorno fa campagna elettorale contro l'Islam vende una chiesa alla comunità musulmana. Quando c'è da fare cassa vanno bene anche le moschee". Queste le parole del consigliere regionale del Movimento 5 Stelle Violi che ha aggiunto "è chiaro che la loro legge incostituzionale sui luoghi di culto e la loro propaganda sull'Islam sono assolutamente ridicole e inutili: si inventano regole farlocche e aumentano la burocrazia ottenendo il contrario di quello che vorrebbero", riferendosi alla legge lombarda, nota per le sue restrizioni come antimoschee.

Il Tap è il naturale approdo del Turkish Stream che è andato a sostituire il South Stream. Il gas non solo dall'Azerbargian ma anche dalla Russia

Speciale energia: Putin, partecipazione Italia a Turkish Stream è possibile

Mosca, 25 ott 14:00 - (Agenzia Nova) - 

La partecipazione dell’Italia al gasdotto Turkish Stream è possibile, e sono in fase di studio tutte le possibilità. Lo ha dichiarato il presidente russo, Vladimir Putin, in conferenza stampa congiunta con il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, a Mosca. Nelle parole del capo dello Stato russo, “le forniture di idrocarburi russi verso l’Europa sono in crescita, ci preoccupiamo di fonti alternative, e le compagnie russe e italiane partecipano allo sviluppo di reti intelligenti” sul territorio della Federazione Russa. Per quanto riguarda i problemi concreti per lo sviluppo dell’infrastruttura, “studiamo tutte le possibilità, o la partecipazione dell’Italia al Turkish Stream attraverso Bulgaria, o forse attraverso la Serbia, l’Ungheria, o la Grecia, e questa cooperazione potrebbe sorgere grazie alle forniture crescenti”, ha spiegato Putin. Il presidente russo ha poi rilevato come non ci sia stata discussione con Conte sul Nord Stream 2. Putin ha in ogni caso messo in luce il fatto che l’infrastruttura austriaca di Baumgarten, “attraverso cui dovrebbe arrivare il nostro gas fino all’Italia” è operata tramite una joint venture russo-italiana, motivo per cui Roma “dovrebbe essere interessata al progetto”. “Noi discutiamo tutte le possibilità, e questa cooperazione non è diretta verso paesi terzi, come l’Ucraina”, ma risponde al fabbisogno europeo idrocarburi, con la prospettiva di fornire circa 200 miliardi di metri cubi di gas naturale, “di cui abbiamo discusso”, ha concluso Putin. (Rum)