L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 5 gennaio 2019

Quando è l'ideologia a far parlare si va contro i numeri che puntualmente si riprendono la loro rivincita

Verità e bufale su debito pubblico italiano e spread

5 gennaio 2019


Sta aumentando o no il costo medio del debito pubblico italiano? Ecco che cosa si rileva dal rapporto sulla Stabilità finanziaria curato dalla Banca d’Italia. L’analisi di Fabio Dragoni e Antonio Maria Rinaldi

“Lo spread a 320 significa che il prossimo anno avremo 6 miliardi in più di interessi sul debito. Farà danno alle famiglie, alle imprese, ai risparmiatori, alle banche,agli artigiani” Così parlò Zaratustra anzi Matteo Renzi il 20 novembre 2018.

Ma la galleria di dichiarazioni apocalittiche sui danni inferti alle finanze pubbliche dall’aumento dello spread (il differenziale di rendimento fra i nostri Btp a 10 anni e gli omologhi bund tedeschi) non si esaurisce certo qui.

Fermiamoci soltanto all’altro ex premier Gentiloni che in piena estate dichiarava perentorio: “L’aumento dello spread ha già fatto perdere all’Italia 5 miliardi”.

Al netto della propaganda politica la domanda è più che legittima. In questi mesi di accentuata volatilità nei prezzi dei nostri bond tale da determinare un aumento dei loro rendimenti qual è stato l’impatto negativo effettivo sul bilancio dello Stato? Di quanto è aumentato il costo del nostro debito pubblico?

La risposta è sorprendente. Il costo del nostro debito in questi mesi caratterizzati da forte rialzo dei tassi di interesse dei nostri titoli di stato non solo non è aumentato ma è addirittura diminuito. Ed a certificarlo è la Banca d’Italia nel suo rapporto sulla stabilità finanziaria pubblicato lo scorso 23 novembre e tutt’ora scaricabile dalla prima pagina del suo sito web.

Un documento di circa 70 pagine pieno di grafici e tabelle in cui si mette in guardia il lettore. “I rischi per la stabilità finanziaria derivanti dall’evoluzione dell’economia mondiale sono in aumento… In Italia i maggiori rischi per la stabilità finanziaria derivano dalla bassa crescita e dall’alto debito pubblico… Le condizioni di liquidità del mercato secondario dei titoli di Stato sono più tese rispetto ai primi mesi dell’anno ed è aumentata la volatilità infragiornaliera delle quotazioni”. Sono solo alcune delle tante raccomandazioni che vi si leggono.

Eppure a pagina 22 viene pubblicato un sorprendente grafico (numero 2.4) i cui dati di riferimento (così come quelli di tutti gli altri grafici) sono messi comodamente a disposizione del lettore in un foglio di lavoro anch’esso scaricabile da chiunque. Nei mesi che vanno da maggio a novembre del 2018 il costo dei nuovi titoli di stato emessi dal Tesoro è sicuramente aumentato. La diminuzione dei prezzi dei titoli già emessi e scambiati sul cosiddetto mercato secondario è stata significativa. Tanto più il prezzo diminuisce tanto più aumenta il rendimento.

Chi detiene il Btp vedrà oscillare il valore del proprio investimento. Ad una diminuzione del prezzo si accompagna un aumento del rendimento per chi vorrà investire su quei titoli. E viceversa. Il ribasso dei prezzi è stato così dirompente che il rendimento di un Btp a 10 anni è passato dall’1,7% al 2,9% attuale dopo aver toccato punte del 3,7%. Tutto questo ovviamente si ripercuote sul costo delle emissioni nel frattempo effettuate dal Tesoro che dovranno ovviamente adeguarsi alle mutate condizioni di mercato pur di trovare investitori disponibili a sottoscrivere i titoli.

Queste forte tensioni sono state alimentate oltreché da improvvide dichiarazioni rese a mercati aperti dai vertici della Commissioni Ue (che hanno talvolta impunemente paragonato l’Italia alla Grecia) anche da un graduale disimpegno della Banca Centrale Europea che sta progressivamente terminando lo shopping di titoli di stato dell’eurozona iniziato nel 2015 con il Quantitative Easing. Si pensi che se nel triennio 2015-2017 gli acquisti mensili di Btp da parte di Francoforte ammontavano mediamente a 10 miliardi mensili, nel 2018 si sono ridotti a poco più di 3 per quindi azzerarsi nel 2019 come annunciato la scorsa settimana da Mario Draghi.

Nonostante tutto questo, il costo medio del debito pubblico italiano in essere non è comunque aumentato per un motivo aritmeticamente banale. Pur essendo infatti cresciuto significativamente, il rendimento medio dei nuovi titoli di stato emessi in questi mesi rimane comunque inferiore al costo medio di tutti i titoli di stato in circolazione. Di conseguenza quest’ultimo non aumenterà bensì continuerà gradualmente a diminuire sebbene ad un ritmo decrescente. Sostenere che il costo del nostro debito stia quindi aumentando a seguito dell’aumento dello spread è semplicemente una bugia.

Ad ottobre 2018 il rendimento medio dei titoli di stato emessi è salito al 2% ma il costo medio complessivo del debito in essere risultava pari al 2,70%. Non occorre avere un master in matematica per capire che il costo medio del nostro debito stia quindi continuando a decrescere. Addirittura a partire dal 2008 (da qui inizia la base dati messa a disposizione da Bankitalia) il costo medio delle nuove emissioni è sempre stato inferiore al costo medio complessivo del nostro debito ad eccezione di tre precisi frangenti storici:

a) da maggio a settembre 2008 nel pieno dello scoppio della crisi finanziaria causata dai mutui subprime e dal conseguente crack di Lehman Brothers;

b) da settembre a dicembre 2011 nel pieno dello scoppio della crisi dei debiti sovrani dell’eurozona con il conseguente avvicendamento di Mario Monti al posto di Silvio Berlusconi;

c) nel giugno del 2012 nonostante le manovre lacrime e sangue imposte da Mario Monti ed Elsa Fornero. Tanto che di lì a pochi giorni Mario Draghi avrebbe pronunciato l’ormai leggendario discorso: “Per salvare l’euro faremo tutto quanto necessario e credetemi sarà abbastanza”.

Soltanto in questi tre brevi e sporadici momenti della nostra storia recente il costo dei nuovi titoli emessi ha superato il costo medio del nostro debito determinandone un effettivo aumento. In tutti gli altri 108 mesi il costo medio delle emissioni è sempre stato inferiore al costo medio del debito che infatti è passato dal 4,14% del gennaio 2008 al già citato 2,70% dell’ottobre 2018. Ed in novembre e dicembre i rendimenti delle nuove emissioni sono nuovamente tornati a diminuire. Ad esempio il Btp quinquennale portato in asta a novembre aveva un rendimento lordo dell’1,34% inferiore dello 0,23% rispetto all’asta del 30 ottobre. Lo scorso 12 dicembre il Tesoro ha ad esempio assegnato tutti i 5,5 miliardi di Bot ad un anno con tassi in deciso calo. Il rendimento è sceso allo 0,37% dallo 0,63%.

Il costo medio del debito pubblico ha quindi continuato a diminuire anche in questi mesi di forte turbolenza e volatilità nonostante lo spread e la progressiva chiusura dei rubinetti della Bce. Parola di Via Nazionale.

(articolo tratto da Scenari economici)

La strategia della Fed è quella di creare crisi, negli stati nelle aziende. La Banca Centrale cinese si muove con la giusta strategia pro-ciclica, con intelligenza sagacia prudenza. D'altra parte cosa aspettarsi dagli Stati Uniti che non fa nulla per i suoi 50 milioni di poveri

Perché la Banca centrale cinese allenterà le briglie monetarie agli istituti di credito

5 gennaio 2019


La People’s Bank of China pompa riserve fresche nell’economia per rilanciare la locomotiva cinese. Ecco tutti i dettagli e gli effetti.

La Banca centrale cinese ha deciso di tagliare le riserve obbligatorie degli istituti di credito commerciali. Questo permetterà alle banche di liberare liquidità netta per circa 800 miliardi di yuan, pari a 116,5 miliardi di dollari. Una mossa per cercare di invertire la tendenza a una frenata dell’economia cinese, come si evince anche dal mercato delle auto, con riflessi indiretti macroeconomici anche sull’Europa come ha sottolineato l’economista Giorgio La Malfa su Start Magazine.

CHE COSA HA DECISO LA BANCA CENTRALE CINESE

Con il quinto e più esteso taglio del Reserve Ratio (la liquidità che le banche devono mantenere) nel giro di un anno, nell’ordine di un punto percentuale in due fasi ravvicinate: uno 0,5% il 15 gennaio e un altro 0,5% il 25 gennaio, più altre misure tecniche di tenore espansivo, varate anche per evitare uno “squeeze” in vista del Capodanno cinese (con la sua alta domanda stagionale di liquidità).

GLI OBIETTIVI DELLA BANCA CENTRALE DI PECHINO

Un incoraggiamento pratico alle banche a incrementare i prestiti, insomma, in parallelo all’appello “politico” lanciato del premier, accompagnato però da un ribadito impegno della banca centrale ad attuare una politica monetaria «prudente», senza stimoli massicci e con tassi di interesse che saranno mantenuto stabili.

L’EFFETTO DELLA RIDUZIONE DELLE RISERVE OBBLIGATORIE

Nonostante il loro allarme per lo stato dell’economia, le autorità cinesi mostrano di voler evitare il ricorso a misure estreme come una riduzione dei tassi, che finirebbe per indebolire lo yuan e alimentare ulteriormente i rischi sistemici nel sistema finanziario, sottolinea il Sole 24 Ore.

IL REPORT DI CAPITAL ECONOMICS

Una nota di Capital Economics fa rilevare che «nei prossimi mesi dovrebbero esserci ulteriori allentamenti»: le preoccupazioni sull’outlook economico del Paese dovrebbero infatti «persistere per parecchi mesi», anche perché «l’espansione del credito sta ancora rallentando e occorre tempo, di solito circa un semestre, perché ogni svolta creditizia incida sull’economia reale».

IL COMMENTO DI MAY

Per Ben May, director Global Macro Research di Oxford Economics, i “policymakers” cinesi mostrano di «potere e volere supportare la crescita, pur cercando di farlo senza strafare»: la sua previsione è quella di una stabilizzazione della crescita cinese nel secondo trimestre dopo un nuovo rallentamento nei primi tre mesi dell’anno. Più in generale, a suo parere, i «brutali movimenti» sui mercati finanziari nell’ultimo mese sarebbero una reazione eccessiva a dati non incoraggianti che hanno diffuso ampiamente i timori di un forte rallentamento economico generalizzato.

Rubano in Croce Rossa ma il silenzio è tombale. Questa organizzazione è parte integrante del Sistema massonico mafioso politico che impedisce all'Italia di emanciparsi. Questo governo deve ancora dimostrare da che parte sta

Croce Rossa Italiana in rosso. Dove sono finiti i soldi? Che fine fa la valanga di denaro che ogni anno sommerge l’organizzazione? Non potremmo, per esempio, chiedere spiegazioni ai nababbi della classe dirigente, magari proprio al Presidente, che guadagna 400.000 Euro al mese…?

Maurizio Blondet 5 Gennaio 2019 

Incredibile. C’è un’emergenza umanitaria in corso e nessuno ne parla. Una crisi grande come il campo profughi di Daadab in Kenia, (la più grande tendopoli-dormitorio del mondo) e nessuno dice niente. Ma proprio nessuno, da destra a sinistra. Come nessun giornale, dalla Verità, all’Avvenire (noto quotidiano della CEI) a Topolino. Solo qualche isolata voce fuori dal coro nel deserto dell’informazione (i pochi che ancora osano andare controcorrente).

Ma non stiamo parlando di un genocidio nel Sud Sudan o delle migliaia di persone in fuga dalle guerre che insanguinano il continente africano. Nemmeno dell’emergenza profughi sulle Navi che attraccano nei porti o i centri di accoglienza stracolmi di migranti. Stiamo parlando della colossale voragine nei conti della Croce Rossa Italiana che versa in una situazione economica disastrosa che rischia seriamente di condannare a morte una delle più nobili istituzioni assistenziali a livello mondiale.

La Prestigiosa organizzazione italiana che ha lottato a tutte le latitudini per combattere povertà e fame è in croce. Ed è in rosso. L’organizzazione che è sempre stata in prima fila nei paesi più poveri per alleviare denutrizione e carestie sta morendo di stenti. Una prodigiosa realtà in rapido disfacimento. Oltre 150.000 ‘volontari’ (molti dei quali veri e propri dipendenti mascherati da volontari), con all’attivo 5000 dipendenti e 3000 unità in mobilità coatta, senza risposte e TFR.

Un’eccellenza italiana ridotta a colabrodo, tanto è vero che piu’ volte negli ultimi trent’anni e’ stata sottoposta a commissariamento nell’utopica ipotesi d’un risanamento. Non sorprende che siano spuntati fuori qua e là come funghi comitati spontanei di aficionados indignati per la decadenza della nobile istituzione.

Eppure, non più tardi di quest’estate, la Croce Rossa Italiana ha sottoscritto un’intesa con la Ong maltese Moas–Migrant Offshore Aid Station, scucendo sull’unghia 400.000 euro (al mese), sfrattando Emergency dalle operazioni di salvataggio in mare. L’organizzazione fondata da Gino Strada ora purtroppo non è più presente nel Mediterraneo per soccorrere i migranti (cosa che faceva egregiamente). Non si capisce bene se quì la missione è quella di salvare vite umane o fare fare a gara per scialacquare quattrini.

I soldi a pioggia comunque di per sé non possono spiegare il perché di un dissesto così imponente. Forse neanche gli stipendi da nababbi della classe dirigente della Croce Rossa Italiana (da 100.000 in su i top managers mentre migliaia di volontari non prendono il becco d’un quattrino). Il Presidente, l’Avv. Francesco Rocca s’intasca la bellezza di 263.995 Euro più 126.525 euro per spesucce varie, totale 390.520 euro. Circa 32.000 euro al mese più o meno (quasi sotto la soglia di sopravvivenza).

Guglielmo Stagno D’Alcontres (ex Presidente di CRI Sicilia) percepiva il più modesto compenso di 260.000 euro all’anno (120.000 euro di indennità da Presidente, 120.000 Euro indennità di Amministratore Delegato più altri 20.000 Euro come indennità di Consigliere + lauti indennizzi per spese personali con rimborsi a piè di lista). Da reddito di cittadinanza.

Forse la spiegazione può arrivare dagli sprechi pazzeschi, le ruberie, gli sperperi e le consulenze d’oro? Non si sa bene. Come si sia arrivati a questa grave crisi è difficile da riassumere in poche parole ed è comunque la storia di uno sfacelo che parte da molto lontano. Per non andar tanto distante potremo tentare di risalire agli anni più recenti. Ad esempio dal 2016 in poi.

Proprio da quando l’INPS (l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) è andato a bussare alla porta della Croce Rossa Italiana reclamando oltre 90 milioni di euro tra TFR ed altre indennità non versate. €116.647.835,59 per l’esattezza. Soldi che, si scoprirà poi, la Croce Rossa Italiana non ha mai corrisposto all’ente previdenziale come avrebbe dovuto. Cosa davvero molto strana. Perchè il Trattamento di Fine Rapporto (il TFR) è un tributo che dovrebbe esser subito accantonato in attesa della fine del rapporto di lavoro dipendente.

Eppure, strano a dirsi, la C.R.I., da sempre, ha ricevuto ingenti contributi sia dallo Stato italiano che da privati. Basti pensare che solo quest’anno dal Governo centrale ha in budget d’introitare 74 milioni di euro più altri 21 milioni di euro (senza calcolare gli ingenti proventi di Asl, Ministeri, Comuni, Province, il 5 x 1000 etc etc.). Non abbiamo contato le donazioni e i lasciti che ha accumulato in 150 anni, nonché le varie agevolazioni e i comodati gratuiti. Inoltre tenete ben presente che negli anni passati la Croce Rossa Italiana ha regolarmente percepito per il suo funzionamento una media di 150-200 milioni di euro l’anno dallo Stato. Mancando all’appello questi capitali, sorge spontanea la domanda: ma che fine han fatto tutti sti soldi?

Se dovessimo applicare il parametro delle normali società commerciali (con i bilanci in rosso spinto) la C.R.I. dovrebbe portare immediatamente i libri in Tribunale dichiarando fallimento. Chiudere bottega insomma come son obbligate a fare migliaia di aziende che non ce la fanno più o le normali Associazioni di volontariato che non godono di queste generose provvidenze e devono far quadrare i conti.

Giusto in nome della “Par condicio creditorum“. Invece che avviene? Per la C.R.I. (che non è quasi soggetta alle rigorose ispezioni e/o controlli come tutte le imprese gestite da noi poveri mortali) , si studia invece una via di fuga sul modello Alitalia. La si privatizza. Da Ente Governativo a controllo pubblico diventa Ente privato, una sorta di Federazione con tanti Comitati Locali autonomi in ogni provincia, ognuno dotato di propria partita iva, molti dei quali con fatturati da capogiro.

Vedi gli appalti milionari per il numero di emergenza 118, i Centri di Accoglienza, la gestione dei primi soccorsi nelle zone terremotate e post-calamità naturali, i CIE etc etc. (una bella pensata, così il default di un’ entità non può coinvolgere tutte le altre). Tanto per farvi un esempio che renda l’idea, uno dei CIE più noti, quello di Cara di Mineo ha costi base di gestione che superano i 16 milioni di euro l’anno per un totale di quasi 100 milioni di euro in un triennio (96.907.500 euro per la precisione).

Curiosità: il bando di gara di Cara di Mineo del 2014, per l’aggiudicazione prevedeva dei requisiti minimi tassativi (pena l’esclusione) come l’iscrizione alla Camera di Commercio. La locale C.R.I. Comitato di Catania non era iscritta alla CCIAA (come si evince dalla visura camerale si è iscritta solo il 31 ottobre 2017) eppure ha vinto ugualmente la gara! Uno dei tanti Misteri. Invece nel 2018, mentre i 150 disperati erano “sequestrati” sulla nave Diciotti ammorbati dalla scabbia, presso la Prefettura di Catania si perfezionava l’appaltuccio da 41 milioni di euro per il Centro di Prima accoglienza di CARA di Mineo, dove probabilmente sarebbero andati a finire i palestratissimi naufraghi. Come diceva il gran visir delle Coop Rosse Salvatore Buzzi in un’intercettazione: “gli immigrati rendono più della droga“. Giusto per farvi capire cos’è il Business dell’accoglienza.

Ma attenzione, nel caso della Croce Rossa Italiana si privatizzeranno solo gli attivi. I debiti no, quelli se li accollerà poi qualcun’altro (Voi che siete dotati di fantasia indovinate chi?) Beh, che discorsi, sarà ovviamente lo Stato a farsi carico del problema. Ossia tutti noi e voi. Tanto esiste il solito escamotage, come si dice in gergo legalese delle “Bad company” e delle “Newco” che ha sempre hanno funzionato con le privatizzazioni di Stato. Si portano gli attivi e gli assets monetizzabili in seno alla “New Company” e la spazzatura, le sofferenze e le passività si tengono in pancia alla società decotta.

Tra l’altro la C.R.I. ha un grande patrimonio immobiliare, che potrebbe valorizzare (migliaia tra appartamenti, uffici, locali commerciali, terreni, garages, magazzini etc etc), volendo potrebbe tranquillamente scorporare le attività costituendo una sua società di “Real Estate“). Solo che i suoi immobili non li ha voluti manco l’INPS (neppure a parziale conguaglio del debito). In compenso il patrimonio abitativo è stato apprezzato da un fortunato acquirente di Correggio (Reggio Emilia) che s’è aggiudicato un bell’appartamento della C.R.I. per la stratosferica cifra di 5.000 euro!! Diconsi cinquemilaeuro (è già partita la corsa alla s-vendita?).

Questo sì che è business altro che corsa all’oro del Klondike. Inoltre tra mezzi di soccorso, autobus, automezzi, auto blu ed ambulanze la Croce ha oltre 10.000 veicoli in dote; roba da far concorrenza e far impallidire le più grandi aziende di trasporti. E non abbiam ancora parlato delle macchine speciali (per ogni tipo di emergenza), dei moduli abitativi da utilizzare per il sistema sanitario, interi ospedali da campo, gruppi elettrogeni, sale operatorie e chirurgiche motorizzate, laboratori mobili, ambienti per la decontaminazione campale, cucine industriali da campo, torrette di illuminazione, idrovore, potabilizzatori, ruspe, motoslitte, Gru, macchine per il movimento terra, SUV e chi più ne ha più ne metta.

Questo il quadro. Un dato positivo però (di questa fallimentare privatizzazione) è che nelle more della procedura è saltato fuori questo primo grosso “buco nero” di 90 milioni che manca all’appello (se no non ci saremo mai accorti di niente), facendo emergere un ritratto della C.R.I. ch’era per certi versi sin’oggi inedito. L’esperienza c’insegna che queste disgrazie poi non viaggiano mai da sole, chissà quali altri ammanchi dovranno ancora venir fuori.

Non stiamo parlando d’un deficit fisiologico, ma di una vera e propria voragine debitoria. E si badi ben, che lo scenario è ben peggiore di quello quì delineato (non è giusto “sparare sulla Croce Rossa“). Perchè se dovessimo scendere nei dettagli dovremmo parlare anche di Mafia Capitale, (ennesima prova di come politica e malavita vanno a braccetto alla luce del “sole”), dell’ex Sindaco di Roma Gianni Allemanno, dell’inchiesta “Mondo di Mezzo“, di Angelo Scozzafava, del sig. Paolo Pizzonia (ex terrorista dei NAR Nuclei Armati Rivoluzionari nonché segretario particolare e braccio destro del Presidente CRI Avv. Francesco Rocca), dovremmo parlare del patrimonio immobiliare sommerso della CRI (mai dichiarato fiscalmente), delle compravendite immobiliari fantasma e tante porcherie che non abbiam il tempo (e sinceramente neanche la voglia) di elencare.

Dovremmo scendere anche in una rispettosa e garbata polemica con il Presidente di C.R.I. Avv. Francesco Rocca per i suoi conflitti d’interesse (gestisce l’immenso patrimonio immobiliare della C.R.I. e contemporaneamente è proprietario della società immobiliare Ciak Servizi … “capisci ammè“…), nonché accennare a qualche suo vecchio precedente penale (una passata condanna a 3 anni di reclusione per detenzione spaccio di eroina in conbutta con una banda di nigeriani).

Un “EX” trafficante di droga (sottolineo “ex” a scanso di querele) alla guida della Croce Rossa Italiana non è certo un bel biglietto da visita, anche se è pentito degli errori commessi nel passato e ha cambiato vita (chapeau). Beninteso lo dico davvero senza intento polemico e/o denigratorio alcuno. Chi scrive ha un vastissimo “background criminale” io però non sono stato chiamato a dirigere l’UNICEF.

Ma l‘ Avv. Francesco Rocca avrà certamente tutti i requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza richiesti agli Amministratori di società (v. art. 2387 del Codice Civile e cause di ineleggibilità) sennò, oltre a Presidente della Croce Rossa Italiana, non sarebbe stato promosso a Presidente della Federazione Internazionale delle Società della Croce Rossa (il più grande network globale umanitario del mondo) e della Mezzaluna Rossa.

Mi rendo conto che il tema delle modalità con cui andrebbero scelte le figure che ricoprono determinate cariche di vertice è molto complesso e non si può esaurire in poche righe. Possiamo però avere dei termini di paragone se guardiamo analoghi soggetti che operano nel sociale. Ad es. in Save The Children c’è un validissimo avvocato come Presidente, l’Avv. Claudio Tesauro. Curiculum chilometrico e un background con i controfiocchi, (partner come avvocato d’affari nel prestigioso studio legale Bonelli-Erede-Pappalardo), fedina penale immacolata, neanche una multa per eccesso di velocità. Mentre dirige un’altra benemerita ong (Medici Senza Frontiere) la dott.ssa Claudia Lodesani, valente medico infettivologo, incensurata.

Tornando ai conti della Croce Rossa Italiana, il merito di questo stato di cose và a chi ha sponsorizzato questa geniale privatizzazione (che stando al Tar del Lazio sarebbe pure incostituzionale), dando avvio a questa de-statalizzazione priva di logica del buon senso (e forse dell’onesta buona fede), che doveva prevedere anzitutto che prima di una qualunque riforma si conoscesse esattamente la situazione economico/patrimoniale, focalizzando obiettivi e strategie da mettere in atto per il loro raggiungimento (per inquadrare bene la situazione patrimoniale sarebbe bastata una banale “Due Diligence” contabile che nessuno ha mai pensato di fare).

Come pure merito dei vari decreti legge ad personam, i decreti “salva Croce Rossa“, il “Decreto Milleproroghe” etc etc. Il merito è tutto dei Governi che vanno da Berlusconi in poi (ma anche prima). In primis il Governo Monti, a seguire il Governo Renzi e dulcis in fundo il Governo Gentiloni (casualmente noto una preponderante area di sinistra), che hanno sostituito il vecchio “carrozzone” della C.R.I. con una carretta sgangherata che perde pezzi di giorno in giorno. Un carrozzone decrepito che è il perfetto specchio della politica che l’ha sostenuto. L’ennesimo caso di come anche stavolta la cura si è rivelata molto peggiore del male. Per un pelo è quasi caduto nel tranello anche il nuovo governo pentaleghista. Ricordate l‘articolo fantasma “pro Croce Rossa” del Decreto Fisco all’insaputa di tutti? (altri 84 milioni di euro ch’erano pronti a volatilizzarsi per continuare a foraggiare la gestione liquidatoria del “carrozzone”).

Domanda dell’uomo della strada che forse potrebbe condividere anche Gino Strada: visto che stiamo parlando di una montagna di soldi pubblici (ed ora finalmente c’è il “nuovo che avanza“), una bella Commissione d’inchiesta la mettiamo su?

So già la risposta.

Difficile che la Fed cambi rotta sugli aumenti dei tassi d'interessi è stata, è la sua strategia per ottenere questa volatilità del Dio Mercato, del fallimento dell'Argentina che ha dovuto chiedere prestiti, pagati anche a suon di "riforme" peggiorative del popolo argentino, difficile che voglia fermarsi e che gli basta aver mandato a quarantotto solo uno stato

Per il credito inizia una nuova era

4 Gennaio 2019 - 12:40 

Secondo Sander Bus e Victor Verberk, co-responsabili del team sul credito di Robeco, l’attività economica statunitense sta subendo un rallentamento. Il rischio più grosso secondo gli esperti è però da attribuirsi all’economia cinese


Il 2018 si è chiuso piuttosto bruscamente, con i principali listini americani che hanno sofferto delle tensioni a livello globale che preoccupano gli investitori.

Secondo Sander Bus e Victor Verberk, co-responsabili del team sul credito di Robeco, sul mercato a stelle e strisce ci sono delle “perplessità rispetto all’indebitamento delle aziende” oltre ad un’eccessiva propensione al rischio. “La caduta di General Electric e la moltitudine di società investment grade BBB sopravvalutate in termini di rating sono segnali della misallocazione di capitale che, negli ultimi anni, ha caratterizzato i mercati” sostengono gli esperti.

Secondo gli analisti però, il 2019 segnerà una sostanziale svolta, con gli operatori che saranno più concentrati sugli elementi fondamentali che su quelli tecnici. A causa del restringimento monetario di Fed e BCE le condizioni creditizie si sono inasprite. Questo fatto potrebbe portare ad una pausa del ciclo dell’aumento dei tassi.

In America, si osservano diverse indicazioni negative, in quanto “il momentum dell’attività economica è fortemente calato dai massimi dei mesi estivi e, visto che il resto del mondo è già in fase di rallentamento, i mercati iniziano a preoccuparsi”.

In questo quadrò però, la forte crescita dell’indebitamento societario non ha avuto ricadute nel rating di credito. In caso di una recessione, vi è il rischio che molte società con rating BBB vengano declassate a “high yield”: “il totale nominale di debito a rischio taglio del rating e di passaggio all’alto rendimento è pari quasi all’intero universo high yield attuale”.

Per i co-responsabili del team sul credito di Robeco però, esistono due differenze tra Europa e Stati Uniti: la prima e di tipo politico, in questo caso il rischio Italia è già stato scontato dai mercati. La seconda invece riguarda le aziende europee, che sono molto più conservatrici e meno debiti rispetto a quelle americane.

Bus e Verberk sostengono che il vero problema sia dato dall’economia cinese, che non accelera nonostante gli incentivi monetari. “Il principale fattore di rischio resta il renminbi. La svalutazione della moneta provocherebbe una forte spinta deflazionistica globale. I mercati continuano a riporre troppe speranze nella solidità dei fondamentali economici statunitensi”, affermano gli analisti.

I due esperti non si aspettano però una crisi finanziaria durante il 2019, ma un aumento della volatilità, privilegiando alcuni titoli finanziari europei e il debito dei mercati emergenti asiatici.

“Saremo sottopesati sul credito USA, continuando a prediligere il più possibile la qualità sul fronte dell’high yield. Preferiamo le emissioni a più breve termine, visto che la curva USA del credito a lunga scadenza ci appare vulnerabile. La nostra preferenza va all’Europa rispetto agli USA, in particolare all’high yield dove, a parità di rating, i livelli degli spread sono più elevati”, chiosano gli esperti.

L'anima della identità sale dal profondo della terra e non ammette concessioni, netta pulita chiara


Cooperazione Rebelde Napoli | 4 Gennaio 2019 



Messico – 25° anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio

La Realidad – Chiapas, Mexico 31 dicembre 2018 / 1 gennaio 2019.


Dopo le giornate dell’incontro, che si è svolto nelle terre recuperate vicino a Guadalupe Tepeyac all’arrivo nel Caracol de La Realidad, si capisce subito che sono migliaia gli uomini e le donne zapatiste arrivati per festeggiare il venticinquesimo anniversario dell’apparizione dell’EZLN, in quel 1 gennaio 1994.

È tardo pomeriggio quando il portone di entrata del Caracol si apre e inizia il “desfile”. Prima in motocicletta, poi a cavallo, poi a piedi ritmando il passo con i bastoni: sono migliaia i “milicianos y milicianas” che entrano nel Caracol. La marcia sembra interminabile.

Quando ormai l’intero Caracol è stracolmo, prende la parola il SubComandante Moises. È un discorso chiaro e determinato rivolto al presente, all’attuale fase del Messico, con il nuovo governo di Andres Manuel Lopez Obrador. Non usa mezzi termini il portavoce dell’Ezln nel denunciare cosa sta dietro la “quarta trasformazione”, in particolare, nell’attacco ai popoli indigeni.

“Quello che abbiamo raggiunto, lo abbiamo costruito con il nostro lavoro, il nostro sforzo … E stiamo dimostrando che è possibile fare anche quello che sembra impossibile. Quello che diciamo, che stiamo dimostrando è qui, l’abbiamo di fronte: il popolo qui è quello che comanda, ha la sua politica, la propria ideologia, la propria cultura, sta creando, migliorando, correggendo, immaginando e mettendo in pratica. Questo è quello che siamo”.

Il discorso continua dicendo che da parte degli zapatisti è da anni che si sottolinea come, in Messico e nel mondo, sia in arrivo qualcosa di molto peggio.

“Nelle varie lingue è stato definito collasso, idra, muro. Abbiamo cercato di usare le parole di quelli di fuori, ma anche così non ci hanno dato ascolto. Credono che stiamo mentendo, perché danno retta a quello di cui non voglio neanche dire il nome, meglio definirlo imbroglione e scaltro, quello che è al potere”.


Via via il discorso si fa sempre più incisivo.

“Compagni, compagne, quello che sta al potere sta per distruggere il Messico, principalmente i popoli originari, viene contro di noi, specialmente noi, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Perché? Perché siamo qui a dirgli chiaramente che non abbiamo paura. Andremo contro tutto questo, non permetteremo che passi qui il suo progetto di distruzione, non abbiamo paura della sua Guardia nazionale (N.d.T. nuova compagine militare creata per “garantire la sicurezza”, rafforzando di fatto la militarizzazione del paese). Difenderemo quello che abbiamo costruito”.

Mentre le migliaia di donne e uomini zapatisti rispondono all’unisono alle domande che il Subcomandante Moises rivolge loro, il discorso si fa ancora più esplicito. Da un lato segnalando, come, anche con un certo dispiacere, l’Ezln abbia visto molti essere succubi della retorica di Amlo (Andrés Manuel López Obrador, il presidente messicano di sinistra eletto nel luglio 2018, ndr) e dall’altro denunciando quanta ipocrisia ci sia dietro all’uso della retorica indigenista, la falsa consultazione popolare e l’idea assurda di coniugare gli interessi dei potenti con quelli dei poveri.

Un chiaro esempio è sia il progetto di Treno Maya sia quello chiamato ProArbol, volto a piantare nuove coltivazioni in zone della Selva.

“Il cambiamento che vogliamo è che infine un giorno, il popolo, il mondo, donne e uomini decidano come vogliono vivere la loro vita, non che ci sia un gruppo che decide la vita di milioni di esseri umani, No. Diciamo solo due parole: il popolo comanda, il governo obbedisce. Questo è quello per cui dobbiamo lottare. Credono che continueremo ad essere ignoranti. Siamo qui disposti a difenderci. Per tutto quello che prima ho detto siamo disposti a quello che succederà. Per questo diciamo: Noi siamo qui, siamo l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale”.

Alla conclusione dell’intervento, iniziano le attività culturali con teatro, musica e poesia. 
Un unico filo conduttore lega tutte le opere preparate per l’occasione dagli zapatisti: ricordare e raccontare chi è stato, cosa ha fatto, il SubComandante Pedro, morto combattendo il 1° gennaio 1994 a Las Margaritas. È un ricordo nitido, un affetto forte per condividere non solo la storia ma anche i valori di una figura importante nella storia della nascita, dello sviluppo in clandestinità dell’Ezln fino al levantamiento.

A mezzanotte prendono la parola prima Berenice, che parla a nome della Giunta del Buon Governo “Hacia la Esperanza”, che conclude dicendo che il sistema capitalista, che fa si che la crisi in tutto il mondo sia sempre più difficile, è stato creato per distruggere l’umanità.

“… non gli importa che finisca l’universo, perché per loro tutto è merce, gli interessa solo il guadagno, l’essere sempre più ricchi. Questo sistema vuole convertire i paesi in una finca e i governi sono i capataces (N.d.T. caporali). Per noi i mal gobiernos non sono governi dei popoli, perché sono solo al servizio del loro padrone. Noi come Ezln non gli crediamo perché sono gli stessi ladroni e assassini vendepatria e diciamo loro che noi staremo qui con la nostra autonomia, resistenza e ribellione nel nostro territorio zapatista”.

Dopo di lei parla la Comandanta Everilda a nome del “Comité Clandestino Revolucionario Indígena – Comandancia General del Ejército Zapatista de Liberación Nacional – EZLN”. Scandisce chiaramente il suo discorso di denuncia e conclude:

“in queste terre di uomini e donne ribelli devono sapere che non ci arrenderemo, non ci venderemo e non tentenneremo, meno che meno tradiremo il sangue, la vita e la morte dei nostri compagni caduti nella nostra lotta. Anche se consulteranno milioni di persone, non ci arrenderemo… Dal 1492 a questo 2018, sono passati 525 anni di resistenza e ribellione contro le grandi umiliazioni straniere e messicane; non ci hanno mai potuto sterminare. Noi, quelli di sangue moreno, il colore della madre terra, ripetiamo che qui siamo e qui continueremo. Potranno passare mille milioni di anni, le zapatiste e gli zapatisti restaranno qui”.

Ad accompagnare gli slogan che chiudono gli interventi sono i fuochi d’artificio, che illuminano questo angolo sperduto di Selva Lacandona, illuminato dalla dignità di migliaia di donne e uomini zapatisti. Quando il sole inizia a far evaporare la “nieblina” dell’alba, nel Caracol si conclude la musica che ha accompagnato i balli durati tutta notte. Inizia un’altra giornata in terra zapatista …

Gli ebrei nelle terre di Palestina sono un cancro da estirpare - i killer sionisti uccidono uccidono uccidono. Popolo eletto puah

TERZO MILLENNIO

Dettagli Pubblicato: 04 Gennaio 2019


di Karim El Sadi
“Forze di occupazione incoraggiate dal silenzio della comunità internazionale”

“I soldati israeliani hanno ucciso 312 palestinesi, tra cui donne e bambini”. A denunciarlo nel rapporto di fine anno è il Raduno nazionale delle famiglie delle Vittime palestinesi. Nel rapporto si evince inoltre un dato ulteriormente preoccupante. Un palestinese è stato ucciso ogni 28 ore, il che significa che, rispetto al 2017, la media è quattro volte superiore, dato che Israele ne ha uccisi 74. La maggioranza delle vittime uccise per mano israeliana sono avvenute nella Striscia di Gaza, dove da marzo scorso è in corso la “Marcia per il ritorno” una manifestazione pacifica non armata nata spontaneamente per chiedere il ritorno dei profughi palestinesi in Terra Santa. Una manifestazione che è stata, già al suo principio, duramente soppressa dall’intervento delle forze militari di difesa di Israele poste aldilà della barriera di filo spinato che delimita e circoscrive la Striscia di Gaza. Mohammad Sbeihat, il Segretario generale del Raduno, ha riferito che Israele e le sue forze di occupazione sono incoraggiate dal silenzio della comunità internazionale e ha espresso il proprio sostegno alle richieste del presidente palestinese Mahmoud Abbas di perseguire Israele nei tribunali internazionali per la sua escalation di crimini e violazioni.
Sbeihat ha aggiunto che il Raduno ha documentato accuratamente le violazioni israeliane in tutti i governatorati durante l’anno, inclusi i rapporti di varie organizzazioni per i diritti umani.

Le documentazioni rivelano quanto segue:

- Il numero di Palestinesi uccisi dal fuoco dell’esercito israeliano nel 2018 ammonta a 312, di cui 310 uccisi con munizioni e due morti per i gravi effetti dell’inalazione del gas lacrimogeno.

- 271 Palestinesi sono stati uccisi in diverse parti della Striscia di Gaza.

- 42 Palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania.

- 6 dei Palestinesi uccisi sono donne.

- 306 dei Palestinesi uccisi sono uomini.

- La più giovane palestinese uccisa è Laila al-Ghandour, di soli otto mesi, e il più anziano è Ibrahim Ahmad al-‘Arrouqi, 74 anni.

- 57 dei Palestinesi uccisi nel 2018 sono minorenni.

- Il mese che ha visto il maggior numero di morti per mano israeliana è stato maggio, quando i soldati hanno ucciso 89 Palestinesi.

- L’età media dei Palestinesi uccisi è di 24 anni.

- Il numero di Palestinesi sposati uccisi dall’esercito ammonta a 107, 104 dei quali uomini e 3 donne.

- Israele detiene ancora le salme di 20 Palestinesi uccisi nel 2018. Questo numero si somma ai 38uccisi dall’esercito nel 2015 e ancora trattenuti.

- Il numero totale di salme di Palestinesi detenute da Israele a partire dall’anno 1965 ammonta a 284.

- Le forze israeliane hanno ucciso 145 Palestinesi nel 2015.

- Le forze israeliane hanno ucciso 127 Palestinesi nel 2016.

- Le forze israeliane hanno ucciso 74 Palestinesi nel 2017.

- Le forze israeliane hanno ucciso 312 Palestinesi nel 2018.

Fonte: infopal.it

Foto © عطية درويش (Atia Darwish)

4 gennaio 2019 - INTERVISTA LUCIANO GERARDIS PRESIDENTE CORTE D'APPELLO REGGIO CALABRIA

L'Euro è un Progetto Criminale con il suo cambio fisso. Solo dei veri euroimbecilli possono considerare il debito pubblico senza quello privato e giornalisti giornaloni Tv dimostrano tutta la loro malafede a scrivere e propagandare notizie economiche menzognere, parziali. Dimostrano solo la loro vera ideologia di essere servi fino in fondo della Finanza predatoria rapace capace solo di succhiare sangue ai popoli. Maggio elezioni europee è l'ultima carta in mano a questo governo che deve decidere se difende gli Interessi Nazionali o quelli stranieri

La manovra che c’è e quella che non c’è
Conversazione con Start Magazine

di Gustavo Piga
3 gennaio 2019

Prof, ha letto un breve passaggio dell’analisi del Corriere della Sera firmata da Federico Fubini ieri? Ha scritto Fubini: “L’area euro continua ad essere dominata dal totem del debito lordo iscritto nel Fiscal compact. Non importa quanto vale e quanto rende ciò che si produce con quel debito: conta solo ridurlo — si dice — «per non lasciarlo ai nostri figli». Poco importa se un debito investito bene a costo zero lascia un’economia con più conoscenza, migliori infrastrutture, scuole e università moderne, più edilizia sociale, più capacità di sostenere gli oneri in futuro”. Mi verrebbe da dire: alla buon’ora caro Corriere della Sera, perché non accorgersene prima? Perché non sostenere il referendum anti Fiscal Compact? O mi sbaglio?

Dice quel referendum con cui con Paolo De Ioanna ed altri cercammo di mobilitare l’Italia e che nell’estate del 2014 sfiorò le 500.000 firme necessarie per arrivare alla Corte Costituzionale? Guardi, più che dal Corriere, del quale mi avrebbe stupito all’epoca anche un solo articolo contro a fronte del silenzio più totale che adottò, ancora non riesco a digerire l’assurda mancanza di sostegno al referendum da parte del Pd di Renzi, un harakiri, l’ennesimo certo ma forse il più grave, di un partito che aveva l’opportunità di salvare l’Europa dell’euro dai sovranismi e guidare per i prossimi 20 anni il Paese. Comunque sia, felice che un corsivista come Fubini arrivi a Canossa, ma se devo dirgliela tutta…

Prego

Fubini continua a dire che tutti i Paesi dovrebbero smarcarsi dal Fiscal Compact facendo più investimenti pubblici meno…. l’Italia! E perché? Perché secondo lui da noi “il debito è così alto che un suo aumento ulteriore può far salire dolorosamente i tassi d’interesse”. Senza capire che l’abolizione del Fiscal Compact mica è utile per i Paesi come la Germania, l’Olanda, e nemmeno per la Francia: ma per Paesi proprio come l’Italia e la Grecia, cioè quei Paesi a basso PIL e dunque alto debito PIL! Paesi che non riescono a stimolare il PIL perché gli è proibito di farlo dalle regole europee attuali e dunque non riescono a rimettere a posto nemmeno le finanze pubbliche ed il rapporto debito PIL che con l’austerità (non con le spese folli che non abbiamo proprio fatto in questo decennio) è salito di venti, dico venti, punti percentuali! Le regole europee sono sbagliate perché non prevedono crisi profonde come quelle che hanno toccato il nostro Paese o la Grecia, che vengono trattati alla stregua di Paesi dove tutto va bene. Abolire il Fiscal Compact vuol dire proprio questo: permettere ai Paesi più in difficoltà di fare investimenti pubblici, tanti investimenti pubblici, per tirarsi fuori dalla crisi, non certo alla Germania!

Prof, veniamo all’attualità. Sbaglio o l’intervento della Commissione Ue sulla manovra ha avuto un effetto recessivo con più tasse e meno investimenti pubblici? Il rigore austero trionfa ancora dunque?

E’ una domanda complessa e importante. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio correttamente oggi indica come la manovra sia diventata, rispetto a quella presentata a ottobre dallo stesso Governo, meno espansiva nel 2019 e più restrittiva nel 2020 e 2021. Il che conferma due cose: a) che la manovra per il 2019 era e rimane complessivamente espansiva; b) che dal 2020 il meccanismo europeo continua a chiedere a questo Paese di fare riduzioni di deficit via aumento dell’IVA, oggi (dicembre) ancor più di ieri (ottobre). Ma l’intervento dell’UPB in parte confonde le acque perché si limita a paragonare una manovra che non è mai esistita (quella di ottobre) con quella attuale. Mentre un paragone ben più preciso lo dovremmo fare tra la manovra che verrà approvata sabato e due altre manovre.

Quali due manovre, prof?

La prima, quella prevista dal governo Gentiloni-Padoan di aprile 2018. Rispetto a quella manovra (che includeva addirittura anche l’aumento dell’IVA per il 2019!) il Governo ha spuntato una manovra finale molto più espansiva, di quasi 70 miliardi in tre anni, in più per fortuna contravvenendo per la prima volta alle assurde pretese del Fiscal Compact di far convergere un Paese malato come l’Italia al bilancio in pareggio in 3 anni, come promesso anche da Gentiloni e Padoan ed i governi precedenti. Un passo direi molto coraggioso; e che il deficit si chiuda al 2% per il 2019 come si chiuderà o che si fosse chiuso al 2,4% come si diceva a ottobre l’apprezzamento non muta.

E l’altro paragone, qual è?

Beh, con la manovra che non c’è.

Cioè? Che cosa è la manovra che non c’è?

La manovra che sarebbe stata ideale per il Paese, quella che questo Governo non ha avuto il coraggio di fare. Quella manovra che avrebbe messo tutte le risorse create rispetto a Gentiloni-Padoan in investimenti pubblici (torniamo dunque a Fubini, ma ricordando che sto parlando dell’Italia, di cui lui non vuole nemmeno sentir parlare, ma vedrà che tra un paio di anni si convincerà anche lui) invece che in reddito di cittadinanza e quota 100. Questa manovra sì che avrebbe generato una vera crescita del 2% nel 2019. E quindi valgono anche per loro le parole di Fubini, molto belle: “La domanda alla quale è ancora più difficile rispondere è perché i leader “italiani” (e non solo gli altri europei, dico io) soffrano di questa incredibile mancanza di fantasia”. E’ una mancanza di fantasia che rischiano di pagare caro Di Maio e Salvini. Perché se loro mi dicono che questo Paese aveva bisogno di redistribuzione verso i più deboli, ed io sono d’accordo, ma dico anche che non ha senso farla, questa redistribuzione, a scapito della crescita.

Facile a dirsi…

No, si potevano avere tutte e due, redistribuzione e crescita, tramite una semplice e coraggiosa focalizzazione solo sugli investimenti pubblici. E sa cosa avrebbero ottenuto?

Che cosa?

Un sacco ma un sacco di voti in più. Come Renzi nel 2014, hanno perso proprio un’occasione immensa di chiudere la partita politica per i prossimi venti anni, salvando anche l’Europa dall’incubo della sua dissoluzione per mancanza di popolarità.

Pensa davvero come M5S e Lega che le prossime europee saranno decisive per ribaltare equilibri e impostazioni della Commissione europea?

Forse. Ma chiariamoci: il tavolo era già pronto a essere ribaltato. Se non l’hanno fatto stavolta, dubito che lo facciano dopo le elezioni, anche in caso di successo. E quando sbagli, prima e poi il conto lo paghi. Quindi sarà, se lo sarà, un successo effimero e non duraturo.

L'Euro è un Progetto Criminale con il suo cambio fisso. Il governo ha guadagnato tempo, ha arretrato per non arretrare. Finalmente le sorgente delle prebende che permettevano al corrotto euroimbecille Pd di mantenere il potere si stanno disseccando una a una

La partita tra governo italiano ed Unione Europea, più politica che economica

di redazione - Guido Salerno Aletta

“Il governo doveva assolutamente evitare che l’Italia diventasse il detonatore di una crisi finanziaria: non siamo noi a dover fare da fusibile, visto che tra le banche tedesche con prospettive fallimentari, la Brexit e le guerre commerciali ci sono focolai assai più pericolosi di un miserrimo aumento del deficit pubblico italiano”.

Sta in questo passaggio una chiave di lettura estremamente interessante su quella che è stata (e che rimane) la partita in corso tra il governo gialloverde italiano e la Commissione Europea. Una partita che si è rivelata più politica che economica. A conferma che l’Unione Europea, diversamente da quanto lamentano gli europeisti di sinistra e di destra, la politica la fa eccome e non si occupa solo di economia. E la fa anche sulla base di valutazioni strettamente politiche, ragione per cui alla Francia di Macron, alle prese con una vasto conflitto sociale, viene consentito di sforare il deficit per farvi fronte, mentre lo si nega all’Italia di Conte, Salvini, Di Maio. Una analisi interessante, anche perché l’autore è Guido Salerno Aletta, editorialista di Milano Finanza, giornale della borghesia finanziaria del Nord.

* * * *

Qui di seguito il testo dell’articolo pubblicato su Milano Finanza del 22/12/2018.

Si sta avviando a conclusione l’approvazione parlamentare della manovra di bilancio per il 2019, il cui iter è stato assai contrastato per via delle due lettere di censura con cui la Commissione Europea aveva preannunciato l’apertura di una procedura di infrazione anche per debito eccessivo.

Avrebbe riaperto l’esame che era stato sospeso in precedenza in considerazione degli orientamenti correttivi espressi nel Quadro pluriennale a legislazione vigente definito dal governo Gentiloni nell’ambito del Def presentato ad aprile.

Il Quadro programmatico, definito a settembre nella Nota di aggiornamento di settembre da parte dell’attuale governo, aveva individuato un percorso assai divergente in termini di deficit, portato al 2,4% del pil, e soprattutto di deviazione rispetto alla correzione strutturale, con un peggioramento dello 0,8% del saldo.

L’impianto concordato con Bruxelles ha azzerato il peggioramento del saldo strutturale portando il deficit al 2%. La crescita del prossimo anno è stata ridotta all’1%. E’ stato concesso uno sforamento pari allo 0,2% per pil in applicazione della clausola di flessibilità per investimenti pubblici.

Il conflitto con Bruxelles è stato eminentemente politico, prima ancora che tecnico, in ordine alle due principali promesse elettorali del M5S e della Lega: istituire il reddito di cittadinanza ed abrogare la legge Fornero sulle pensioni sostituendola con la “quota 100”. Una proposta tacciata di assistenzialismo la prima, per via dei contorni mai esattamente definiti quanto a condizioni di accesso, importi e platea dei beneficiari. Una vera e propria controriforma, la seconda, che mette a repentaglio gli equilibri previdenziali di lungo periodo. Rimaneva invece in ombra l’impostazione decisamente keynesiana di un grande piano per le infrastrutture volto a compensare con queste spese di investimenti l’eccesso di risparmio derivante dal saldo corrente estero, pari al 3% del pil. In pratica, tutto il maggior deficit e la deviazione rispetto al saldo strutturale veniva assorbito da un aumento della spesa corrente.

Non vi è dubbio alcuno che la posta politica in gioco è alta, in Italia ed a Bruxelles, anche perché vede la polverizzazione dei due partiti che hanno dominato la Seconda Repubblica, entrambi oggi all’opposizione, e l’emergere di una inedita coalizione sovranista-populista decisamente euroscettica. I tentativi di abbattere subito il governo a colpi di spread non sono riusciti e la partita si è spostata sul piano della trattative istituzionale.

Dal punto di vista strategico, il governo doveva assolutamente evitare che l’Italia diventasse il detonatore di una crisi finanziaria: non siamo noi a dover fare da fusibile, visto che tra le banche tedesche con prospettive fallimentari, la Brexit e le guerre commerciali ci sono focolai assai più pericolosi di un miserrimo aumento del deficit pubblico italiano.

Nel gestire le trattative con Bruxelles, l’obiettivo del governo è stato quindi solo tattico: rastremare quantitativamente le due proposte politiche irrinunciabili, reddito di cittadinanza e riforma delle pensioni, al fine di evitare la procedura di infrazione che sarebbe diventata il cavallo di battaglia della campagna elettorale delle opposizioni fino alle elezioni europee di maggio. Il risultato è stato ottenuto, con buona pace anche dei mercati: lo spread si è placato. E’ una manovra per nulla rivoluzionaria, con il reddito di cittadinanza che si colloca tra l’estensione del reddito di inclusione voluto dal governo Gentiloni ed il prolungamento della Social Card di tremontiana memoria; le modifiche alla riforma delle pensioni si realizzano attraverso una temporanea riapertura dei termini per gli esodati, con la proroga dell’Ape social e dell’opzione donna.

Dal punto di vista politico ed economico, è una soluzione parziale e provvisoria. Si compra tempo in vista del rinnovo del Parlamento europeo a fine maggio e soprattutto di un peggioramento della congiuntura. Spetterà al prossimo Parlamento europeo ed alla prossima Commissione affrontare una revisione profonda degli assetti dell’Unione.

Non essendo stato possibile compiere in modo solitario una azione anticiclica consistente, perché il sistema europeo è inchiodato sul consolidamento dei conti pubblici come presupposto per lo sviluppo, anziché sullo sviluppo come condizione essenziale per la stabilità, si è badato al sodo, che in politica significa una sola cosa: mantenere il potere ed intanto svellere le posizioni degli avversari politici.

Le norme della manovra vanno lette una ad una, con cura: smantellano posizioni di vantaggio precostituito per legge da decenni. In altri casi, il taglio delle risorse serve solo a ripulire le campagne elettorali regionali, per evitare che si facciano accordi spartitori. Verranno reintegrate dopo, a giochi fatti.

Non potendo dedicarsi al nuovo da erigere, perché senza soldi non si canta Messa, ci si diletta a demolire per l’intanto i fortini della opposizione. La politica è anche questo.

Immigrazione di Rimpiazzo - Il fanfulla Salvini ha vinto la grande battaglia, ha sconfitto sul campo gli ideologi del Pensiero Unico del Politicamente Corretto

Immigrati, meno sbarchi, meno morti in mare

Maurizio Blondet 4 Gennaio 2019 


Fake news numero 1: «Senza l’accordo dell’Europa non si possono ridurre gli sbarchi». L’Italia sta riuscendo a limitare in maniera significativa gli sbarchi di immigrati clandestini provenienti dal Mar Mediterraneo.

Fino a qualche mese fa, politici e analisti amavano ripetere che, senza una politica europea comune, non ci sarebbe stato modo di governare un fenomeno epocale come quello migratorio e in particolare di contrastare gli sbarchi.

I numeri stanno smentendo questa credenza: la politica europea dell’immigrazione è ancora una chimera, ma nel 2018 in Italia sono sbarcati 23.370 immigrati via mare, mentre nel 2017 furono cinque volte di più, 119.369, e nel 2016 addirittura otto volte di più, 181.436.

Non c’è stata alcuna decisione operativa da parte di Bruxelles nel frattempo; a cambiare sono state invece le politiche dei governi italiani: nel 2017, perlomeno fino all’estate, il governo Gentiloni non ritenne che l’immigrazione via mare dovesse essere limitata; poi il ministro dell’Interno Marco Minniti mutò atteggiamento, rafforzò la guardia costiera libica, ordinò una stretta sulle attività delle Ong e gli sbarchi iniziarono a calare; dallo scorso 1° giugno il nuovo ministro dell’Interno Matteo Salvini ha aumentato ulteriormente la deterrenza, con un ulteriore effetto di diminuzione degli arrivi.

Dal 1° gennaio al 1° giugno 2018 (5 mesi di governo Gentiloni), gli sbarchi sono stati 13.430; dal 1° giugno al 31 dicembre 2018 (7 mesi di governo Conte), gli sbarchi sono stati 9.940. Addirittura, lo scorso dicembre, con 359 sbarchi, si è raggiunto il numero più basso di arrivi da oltre tre anni a questa parte.

Fake news numero 2: «Diminuiscono gli sbarchi ma aumentano i morti in mare». Falsificata la prima fake news, che fino a tutto il 2017 era merce comune in ogni editoriale di giornale che si rispettasse, da più parti si è passati a criticare la stretta anti sbarchi, ricordiamo: prima di Minniti e poi di Salvini, con l’argomento che i viaggi nel Mediterraneo sarebbero diventati più pericolosi e più mortali per i migranti.

Falso, anche questo, come confermano i dati ufficiali. Morti e dispersi nel Mediterraneo furono 5.143 nel 2016, secondo l’Oim, Organizzazione mondiale delle migrazioni; poi sono scesi a 3.139 nel 2017 e quindi a 2.242 nel 2018.

Con la diminuzione degli sbarchi e dei viaggi della speranza, dunque, i morti in mare sono più che dimezzati.

Nel solo Mediterraneo centrale, rotta che riguarda principalmente l’Italia, morti e dispersi erano 4.582 nel 2016 e sono scesi di molto, a 1.306, nel 2018. Disincentivare le traversate impedendo gli sbarchi funziona, se l’obiettivo di un Paese come l’Italia è anche quello di salvare vite umane.

Fake news numero 3: «Saranno pure diminuiti i morti in mare, ma è aumentata la mortalità dei viaggi». I dati hanno la testa dura, ma anche l’ideologia non scherza.

Per attaccare il ministro Salvini e la sua gestione degli sbarchi, e più in generale per dimostrare che le politiche di deterrenza non funzionano gettando fumo negli occhi dell’opinione pubblica, l’organizzazione internazionale Unhcr e il think tank Ispi, negli scorsi mesi hanno provato a utilizzare un’altra argomentazione ancora, anch’essa rilanciata spesso acriticamente da quotidiani e telegiornali: «Migranti, aumenta la mortalità nel Mediterraneo».

Attenzione, non «i morti», ma «la mortalità», calcolata come percentuale di immigrati morti sul complesso di quelli partiti dalle coste africane. Dire che il Mediterraneo è diventato «più mortale» è un’affermazione quasi insignificante e mediaticamente fuorviante: una collisione frontale tra due motorini in cui siano morti tutti e due i guidatori in sella (tasso di mortalità: 100%), avvenuta per ipotesi nel 1946, secondo questo criterio sarebbe «più mortale» della Seconda guerra mondiale che si era conclusa l’anno prima con milioni di morti ma – fortunatamente – con alcuni sopravvissuti (tasso di mortalità quindi inferiore al 100%).

Dopo che ItaliaOggi fece notare questo non sequitur logico, tra l’altro fondato sull’osservazione di un periodo troppo breve di tempo per essere statisticamente significativo, l’Ispi almeno ha corretto il tiro, definendo «non dirimente» l’analisi del «rischio di morte».

Fake news numero 4: «Da quando c’è Salvini, è aumentato il numero quotidiano di morti nel Mediterraneo». Lo scorso ottobre sempre l’Ispi ha pubblicato un altro report che calcolava stavolta il numero quotidiano di morti e dispersi nel Mediterraneo. Conclusione: i morti quotidiani sarebbero aumentati da quando a gestire il Viminale è arrivato Salvini. Si sarebbe passati dagli 11,7 morti tra il luglio 2016 e il luglio 2017 (governo Gentiloni, ministri Alfano-Minniti), ai 3,2 morti al giorno dal luglio 2017 al maggio 2018 (governo Gentiloni, ministro Minniti) per arrivare agli 8,0 morti al giorno col governo Conte e il ministro Salvini.

A chiunque non abbia come obiettivo quello di mostrare che Salvini è in torto a prescindere, balza agli occhi che il periodo considerato per la gestione di Minniti (dal 16 luglio 2017 al maggio 2018) non è omogeneo a quello considerato per la gestione Salvini (dal giugno al settembre 2018), e soprattutto che il periodo considerato per la gestione Salvini è decisamente breve.

Non solo: quel calcolo dell’Ispi fu effettuato all’indomani di pochi gravi incidenti avvenuti la scorsa estate, episodi che hanno alzato il numero di morti giornaliere senza per questo dire nulla di significativo sulle scelte del nuovo governo italiano. Il risultato, comunque, funzionava «mediaticamente»: per colpa delle scelte di Salvini – si disse – il numero di morti quotidiano in mare era più alto rispetto ai tempi del duro Minniti. Da allora l’Ispi non ha più aggiornato quel calcolo.

Proviamo a farlo noi: nei sette mesi che vanno dal giugno al dicembre 2017, quando al Viminale c’era Minniti, morti e dispersi nel Mediterraneo centrale furono 1.211 (dati Oim), quindi 5,7 al giorno, sempre troppi ma comunque meno numerosi rispetto alla gestione lassista precedente dello stesso Governo Gentiloni; nello stesso periodo del 2018, con Salvini al Viminale, i morti nel Mediterraneo centrale sono stati 916, quindi 4,3 al giorno, quindi meno di quanti non siano mai stati dall’inizio della crisi migratoria. È un buon risultato raggiunto per l’Italia e per l’Europa, anche se ovviamente la politica migratoria non è fatta di sola gestione degli sbarchi. Ma non riconoscere tutto questo è semplicemente una fake news, anche se viene propalata da giornaloni, think tank blasonati ed europeisti doc.

Il decadentismo degli Stati Uniti è nei fatti. Quando hai 50 milioni di poveri non vai da nessuna parte. L'Hollywoodismo non basta più, allora daranno stura alla guerra atomica

THE SAKER: tutte le volte che l’impero ha vacillato nel 2018

Maurizio Blondet 4 Gennaio 2019 

Dal 2018 al 2019: una rapida rassegna di alcune tendenze


L’anno 2018 passerà alla storia come punto di svolta nell’evoluzione dell’ambiente geostrategico del nostro pianeta. Ecco i fatti più importanti:

Questo è probabilmente il singolo sviluppo più importante dell’anno: l’Impero anglo-sionista ha emesso ogni sorta di minacce spaventose e ha preso alcuni passi ancora più spaventosi, ma alla fine ha dovuto arrendersi. In effetti, l’Impero è in ritirata su molti fronti, ma ne elencherò solo alcuni cruciali:

La Corea del Nord: ricorda tutte le grandiose minacce fatte da Trump e dai suoi gestori r Neocon? L’amministrazione arrivò addirittura ad annunciare che avrebbe inviato un numero di gruppi di tre (3) aerei nucleari alle acque al largo della repubblica democratica e Trump minacciò di “distruggere totalmente” la Corea del Nord . Alla fine, i sudcoreani decisero di prendere le cose nelle loro mani, aprirono un canale diretto di comunicazioni con il Nord, e tutti i tintinnii di sciabole degli Stati Uniti finirono in loffie.

La Siria ad aprile: il periodo in cui Stati Uniti, Francia e Regno Unito hanno deciso di attaccare la Siria con missili cruise per “punire” i siriani per le presunte armi chimiche (una teoria troppo stupida per essere persino degna di essere discussa). Dei 103 missili rilevati, 71 sono stati abbattuti . La Casa Bianca e il Pentagono, insieme ai loro fidati Ziomedia, dichiararono l’attacco un grande successo, come del resto hanno fatto anche per l’invasione di Grenada (una delle peggiori operazioni d’assalto nella storia militare) o dopo l’umiliante sconfitta di Israele da parte di Hezbollah nel 2006, sicché questo significa davvero molto poco. La verità è che questa operazione è stata un totale fallimento militare e che non è stato seguito da nulla (almeno per ora).

L‘Ucraina: abbiamo passato quasi tutto il 2018 in attesa di un attacco Ukronazi nel Donbass che non è mai accaduto. Ora, magari qualcuno sosterrà che la giunta nazista a Kiev non ha mai avuto tali intenzioni, ma chiunque abbia anche una conoscenza di base di ciò che è accaduto in Ucraina quest’anno sa che questo è puro menzogna: la giunta ha fatto praticamente tutto per eseguire un attacco – tranne l’ultimo passaggio: ordinarlo davvero. La aperta minaccia di Putin secondo cui ogni attacco di questo tipo avrebbe ” gravi conseguenze per l’Ucraina in quanto Stato ” ha probabilmente svolto un ruolo chiave nel dissuadere l’Impero. Oh, certo, gli Ukronazis potrebbero attaccare a gennaio o in qualsiasi momento, ma il fatto è che nel 2018 non hanno osato farlo. Ancora una volta, l’Impero (ei suoi seguaci) si sono arresi.

Siria a settembre: questa volta, è stata l’appendice israeliana dell’Impero che ha innescato una gravissima crisi quando gli israeliani hanno lanciato un attacco “coprendo” i .loro caccia dietro un aereo a turboelica russo Il-20 con conseguente perdita dell’aeromobile e dell’equipaggio. Dopo aver dato agli israeliani la possibilità di tornare in sé (cosa che, prevedibilmente, non fecero – sono, dopo tutto, israeliani), i russi si sono stufati ed hanno consegnato ai siriani sistemi avanzati di difesa aerea, guerra elettronica e sistemi di gestione delle battaglie. In risposta gli israeliani (che avevano lanciato molte minacce di distruggere immediatamente qualsiasi S-300 consegnato ai siriani) hanno dovuto sostanzialmente mettere fine ai loro attacchi aerei contro la Siria (beh, non proprio, hanno eseguito due di questi: uno totalmente inefficace e uno in cui i pazzi sionisti si nascondevano di nuovo dietro non uno, ma stavolta DUE aerei civili (di più su questo ultimo stunt ziocrazy più avanti). L’Impero fece marcia indietro di nuovo.

Siria a dicembre: stancatosi di tutte le lotte intestine tra i suoi consiglieri, Trump alla fine ha ordinato il completo ritiro americano dalla Siria. Ora, naturalmente, dato che si tratta degli Stati Uniti, dobbiamo aspettare e vedere cosa succede realmente. C’è anche un balletto kabuki molto complesso fra Russia, Turchia, Stati Uniti, Israele, Iran, Kurdi e Siriani per stabilizzare la situazione dopo un completo ritiro degli Stati Uniti. Dopo tutti gli anni di sbuffare e sbruffare su come “Assad The Monster deve andare”, è abbastanza divertente vedere come i poteri occidentali stanno gettando la spugna uno dopo l’altro. Ciò pone anche l’ovvia domanda: se “l’unica superpotenza rimasta sul pianeta, il capo del mondo libero e la nazione indifesa” non riesce a liquidare nemmeno un governo e di un esercito siriani indeboliti da anni di guerra, cosa sa fare questa forza armata strapotente, a parte ispirare film di Hollywood per l’ingenuo pubblico? ,

Varie piccole sconfitte: troppe da contare, ma includono il fiasco Khashoggi, il fallimento della guerra in Yemen, il fallimento della guerra in Afghanistan, il fallimento della guerra in Iraq, l’incapacità di rimuovere Maduro dal potere in Venezuela (?!?!), e la graduale perdita di controllo su un numero crescente di paesi dell’UE (Italia), le buffonate ridicole di Nikki Haley al Consiglio di sicurezza dell’ONU, l’incapacità di raccogliere le risorse intellettuali necessarie per avere un incontro reale, produttivo, con Vladimir Putin, la disastrosa guerra commerciale con la Cina, ecc. Ciò che tutti questi eventi hanno in comune è che sono il risultato dell’incapacità degli Stati Uniti di agire concludendo realmente qualcosa. Lungi dall’essere una vera superpotenza, gli Stati Uniti sono in declino a tutto campo e la cosa principale che gli mantiene ancora il suo status di superpotenza sono le sue armi nucleari, proprio come la Russia negli anni ’90.

Tutti i problemi interni derivanti dalle lotte intestine delle élite statunitensi ( tipo la Banda di Clinton contro Trump e i suoi Deplorabili) peggiorano solo le cose. La sequenza apparentemente interminabile di dimissioni e / o licenziamenti dall’Amministrazione Trump è di per sé un segno molto importante dello stato avanzato di collasso della politica statunitense. Le élite non si combattono quando tutto va bene, lo fanno quando tutto va male. Il detto “la vittoria ha molti padri ma la sconfitta è orfana ” ci ricorda che quando una banda di teppisti comincia a perdere il controllo di una situazione, si trasforma rapidamente in un “ogni uomo per sé”, tutti incolpano tutti per i problemi e nessuno vuole mostrarsi a fianco di quelli che passeranno alla storia come i patetici perdenti che hanno rovinato tutto.

Per quanto riguarda le forze armate statunitensi, hanno avuto un enorme successo nell’uccidere una grande quantità di persone, come sempre per lo più civili, ma non sono riuscite a ottenere nulla, almeno non se si comprende che lo scopo della guerra non è solo uccidere la gente, ma è la ” continuazione della politica con altri mezzi “. Confrontiamo e contrapponiamo ciò che hanno fatto la Russia e gli Stati Uniti in Siria.

In data 11 ottobre ° , Putin ha dichiarato quanto segue in un’intervista con Vladimir Soloviev sul canale televisivo Russia 1 : “ Il nostro obiettivo è quello di stabilizzare l’autorità legittima e creare le condizioni per un compromesso politico “. Questo è tutto. Non ha detto che la Russia cambierà da sola il corso della guerra, tanto meno vincerà la guerra. La ( molto piccola !) Task force russa in Siria ha raggiunto questi obiettivi originali in pochi mesi, qualcosa che l’Asse della Bontà non ha saputo ottenere in anni (e che i russi hanno fatto con una piccola parte delle capacità militari disponibili per gli Stati Uniti : NATO / UE / CENTCOM / Israele nella regione). I russi hanno creato rapidamente un sistema di rifornimento che – si tenga conto – non avevano a causa della postura militare puramente difensiva (la proiezione del potere russo è per lo più limitata a 500-1000 km dal confine russo).

In confronto, gli Stati Uniti hanno combattuto una cosiddetta GWOT (Global War on Terror) dal 2001 e tutto ciò che può mostrare è che i terroristi (di varie dimostrazioni) sono diventati più forti, hanno preso il controllo di più terra, hanno ucciso più persone e generalmente sembrava mostrare una notevole capacità di sopravvivere e persino crescere nonostante (o grazie a) il GWOT. Come direbbe Putin, cosa ti aspetteresti da ” persone che non conoscono la differenza tra Austria e Australia “?
Personalmente, mi aspettavo che si vantassero di aver ottenuto la piena vittoria e se ne andassero. Che è esattamente quello che hanno fatto gli Stati Uniti.

Almeno questo è quello che stanno dicendo ora. S’intende, questo può cambiare di nuovo di 180 gradi.

Per quanto riguarda l’Afghanistan, gli Stati Uniti ci hanno trascorso più tempo che i sovietici. Questo non fa sospettare fortemente che i leader statunitensi siano * ancora più * incompetenti dei gerontocrati sovietici dell’epoca della “stagnazione” ?

L’incapacità di sottomettere o addirittura contenere la Russia

Il discorso di Putin del 1 marzo all’Assemblea Federale Russa è stato davvero un momento storico: per la prima volta da quando l’Impero ha deciso di fare guerra alla Russia (una guerra che è per circa l’85% mediatica, il 15% economica e solo il 5% cinetica ma che può trasformarsi per il 95% in cinetica in un’ora o giù di lì!) i russi hanno deciso di avvertire apertamente gli Stati Uniti che la loro strategia è stata completamente sconfitta. Pensate che questa sia un’iperbole? Guardate meglio. Su cosa si basa il potere militare statunitense? Quali sono i suoi componenti principali?

  • Forza aerea (supremazia aerea)
  • Armi di stazionamento a lungo raggio (balistico e respiratorio)
  • Vettori aerei
  • Difesa anti-missilistica (almeno in teoria 800-1000 basi in tutto il mondo

Mosca ha risposto col dispiegamento di ciò che è senza dubbio il più sofisticato sistema di difesa aerea nel mondo, sostenuto quelle che sono probabilmente anche le più formidabili capacità di guerra elettronica (EW) attualmente esistenti sicché hanno ora creato ciò che i comandanti USA / NATO chiamano “la capacità della Russia di negare l’accesso / area (A2 / AD)” : capacità che, così dicono questi comandanti USA / NATO, possono spuntare sul Mar Baltico, nel Mediterraneo orientale, in Ucraina, in Siria e altrove (ed anche sull’isola di La Orchila in Venezuela nel 2019). Inoltre, in termini qualitativi, l’aeronautica tattica russa è più recente e almeno uguale, se non superiore, a qualsiasi dei velivoli tattici USA o NATO. Mentre l’Occidente in generale, e specialmente gli Stati Uniti, hanno un numero molto maggiore di velivoli, sono per lo più delle generazioni più vecchie, e vari incontri tra aerei russi e multiruolo americani nei cieli siriani hanno dimostrato che i piloti statunitensi preferiscono andar via quando compare il russo Su-35S .Lo spiegamento (già nel 2018!) Del missile ipersonico Kinzhal ha praticamente reso inutile l’intera flotta di superficie degli Stati Uniti per un attacco contro la Russia . Che si tratti delle portaerei o anche di vari cacciatorpediniere, incrociatori, navi d’assalto anfibie, navi da combattimento litoranee (per lo più sfortunate), navi da trasporto, ecc. – ora sono tutte anatre zoppe che i russi possono far saltare indipendentemente da qualsiasi apparato o scorta difensiva abbiano.
Allo stesso modo, il dispiegamento del super-pesante balistico intercontinentale armato termonucleare come il Sarmat e il veicolo di planata ipersonico Avangard hanno reso completamente inutili tutti gli sforzi dei missili anti-balistici statunitensi. Lasciatemelo ripetere: TUTTI gli sforzi degli ABM statunitensi, inclusi i miliardi spesi per la ricerca e lo sviluppo, sono stati resi completamente inutili.

[NOTA: qui è importante chiarire : nessuno dei nuovi sistemi d’arma russi fornisce alcun mezzo per proteggere il territorio russo da un attacco nucleare (o convenzionale) statunitense. “Tutto ciò che fanno è fare in modo che i leader statunitensi non siano mai sotto l’illusione che stanno ripetendo lo ” Star Wars “di Reagan, cioè che potrebbero in qualche modo sfuggire a una capacità di rappresaglia del 2 ° strike russo. In verità, anche senza il Sarmato l’ Avanguard, La Russia aveva già missili più che sufficienti (terra, aria e mare) per spazzare via gli Stati Uniti in caso di contrattacco di rappresaglia, ma i politici e gli strateghi statunitensi han cominciato a perseguire questo sogno da Stranamore, di difesa dai missili balistici nonostante il fatto che fosse piuttosto chiaro che un tale sistema non può funzionare. Quindi potresti dire che queste nuove capacità russe (inclusi i missili tattici Iskander a corto raggio) sono un tipo di “delusion destroyer” o un “reality reminder” che farà scoppiare la bolla delle illusioni statunitensi sui rischi di una guerra contro Russia. Spero che non abbiano mai alcun altro uso.]

Infine, il dispiegamento di una nuova generazione di missili di stazionamento avanzati e a lunghissima gittata da parte della Russia ha dato alla Russia l’enorme vantaggio di “raggiungere” in tutto il mondo qualsiasi obiettivo statunitense (sia esso una forza militare o una base), incluso nel Stati Uniti (che ora non è quasi mai menzionato nei media occidentali).

Ora date un’occhiata alla lista delle componenti chiave della potenza militare degli Stati Uniti e vedete che tutto è stato trasformato in, in sostanza, spazzatura .

Ciò che abbiamo qui è una situazione classica in cui, da un lato, i pianificatori di forza di un paese hanno commesso degli errori di calcolo fondamentali che hanno definito direttamente quale tipo di forza militare avrebbe avuto il paese per almeno due, forse tre decenni, mentre, dall’altra parte, i pianificatori della forza hanno preso le giuste decisioni che hanno permesso loro di sconfiggere una forza militare il cui budget militare è circa dieci volte più grande. La conseguenza più grave di questo stato di cose per gli Stati Uniti è che ora impiegherà almeno un decennio (o più!) Per riformulare una nuova strategia di pianificazione delle forze (a volte i sistemi di armi moderni impiegano decenni per progettare, sviluppare e dispiegare) . Lo

C’è una semplice ragione per cui gli Stati Uniti sono diventati una superpotenza nel 20 ° secolo: il territorio degli Stati Uniti è protetto da enormi oceani, e inoltre sia la prima che la seconda guerra mondiale sono state combattute lontano dagli USA: tutti i potenziali concorrenti degli Stati Uniti avevano la loro economie nazionali completamente distrutte mentre gli Stati Uniti non perdevano nemmeno una fabbrica o un laboratorio di ricerca / progettazione. Quindi gli Stati Uniti hanno potuto usare la loro immensa base industriale per fornire fondamentalmente un mercato mondiale con merci che solo gli Stati Uniti potrebbero costruire e consegnare. Eppure, nonostante tali enormi vantaggi, gli Stati Uniti passano quasi tutta la loro storia a battere un paese indifeso dopo l’altro per garantire la piena sottomissione e il rispetto delle richieste dello zio Shmuel (la variante anglo-ionista dello zio Sam). Tanto per essere “indispensabile” suppongo …

Orbene: grazie ai globalisti, la base industriale statunitense è sparita. Grazie ai Neocons Ziocon e alla loro arroganza, gli Stati Uniti sono in un conflitto o in un altro con la maggior parte dei paesi chiave del pianeta (specialmente se ignoriamo l’esistenza di élite compradoras supportate dagli USA e gestite ). La sottomissione incredibilmente stupida e autodistruttiva degli Stati Uniti a Israele ha ora portato a una situazione in cui gli Stati Uniti stanno perdendo il controllo del Medio Oriente ricco di petrolio che funzionava da decenni. Infine, scegliendo di cercare di sottomettere sia la Russia che la Cina alla volontà dell’Impero, i Neocon sono riusciti a spingere questi due paesi in un’alleanza di fatto (in realtà una relazione simbiotica) che, lungi dall’isolarli, isola gli Stati Uniti da “dove sta accadendo” in termini di sviluppi economici, sociali e politici (in primo luogo, la massa continentale euroasiatica e il progetto OBOR).

2019 prospettive per l’Impero: problemi, problemi e ancora più problemi

Bene, il 2018 è stato un anno eccezionalmente brutto e pericoloso, ma il 2019 potrebbe rivelarsi ancora più pericoloso per i seguenti motivi:

A meno che gli Stati Uniti non cambino rotta politica e rinuncino alla russofobia suicida di Obama e Trump, uno scontro militare tra Russia e USA è inevitabile. La Russia si è ritirata il più lontano possibile, non c’è nessun altro spazio in cui ritirarsi e quindi non lo farà. Non ho alcun dubbio che se gli Stati Uniti avessero effettivamente preso di mira le unità russe in Siria (che, a quanto pare, Bolton voleva, ma Mattis, apparentemente, categoricamente ha respinto), i russi avrebbero contrattaccato non solo contro i missili USA, ma anche contro i loro vettori (in particolare le navi). So da una fonte attendibile che nella notte dell’attacco, il MiG- 31K russo con il Kinzhali missili erano in volo pronti a colpire. Grazie a Dio (e, forse, grazie a Mattis) questo non è accaduto. Ma come ho detto nel mio articolo ” Ogni clic ci avvicina al botto! “Ogni volta che la terza guerra mondiale non accade dopo un attacco Usa in Siria questo incoraggia i Neocons a tentare ancora una volta, specialmente dal momento che” Assad The Monster Must Go “rimane al potere a Damasco mentre uno dopo l’altro ogni politico occidentale che decreta che Assad deve vai, va se stesso.

È abbastanza ovvio che Israele sia andato assolutamente, terminalmente e pazzamente suicidato. La loro piccola acrobazia con il russo Il-20 era già un disastro di proporzioni immense che, in un paese normale, avrebbe portato alle immediate dimissioni dell’intero Gabinetto. Ma non in Israele. Dopo essersi nascosti dietro un turboelica militare russo, hanno deciso di nascondersi dall’S-300 siriano nascondendosi dietro due aerei civili! 

Non penso che valga la pena di insistere qui sul fatto che Israele è l’ultimo stato apertamente razzista del pianeta, o che i leader israeliani sono pazzi, immorali, folli e generalmente maniaci. Ciò che è importante capire qui non è quanto malvagi siano gli israeliani, ma quanto sono stupidi e totalmente avventati. In poche parole, questo è il modo in cui funziona: gli israeliani sono malvagi, stupidi e completamente deliranti, ma possiedono tutti i politici degli Stati Uniti, il che significa che, indipendentemente da quanto folle e demenziale possa essere l’azione degli israeliani, la “nazione indispensabile” li coprirà sempre (ricordiamo l’11 Settembre ). Al momento non c’è nessuno nella classe politica statunitense che abbia qualche possibilità di essere eletto che oserebbe fare qualsiasi altra cosa di diverso dalla volontà israeliana (o ebrea, se è per questo). Il vero motto degli Stati Uniti non è ” In God we trust “, ma ” non c’è differenza tra Stati Uniti e Israele ” (ecco un altro motivo per cui gli USA non sono una vera superpotenza: non è nemmeno davvero sovrana!).

L’impero ha alcuni problemi importanti in Europa. In primo luogo, se i protetti degli Ukronazi degli Stati Uniti trovassero mai il coraggio (o la disperazione) di attaccare il Donbass o la Russia, il caos risultante inonderebbe l’UE di un numero ancora maggiore di rifugiati, molti dei quali saranno i personaggi più sgradevoli e assolutamente pericolosi. Inoltre, i sentimenti anti-UE stanno diventando molto forti in Italia, Ungheria e, per ragioni diverse, anche in Polonia. La Francia è ai margini di una guerra civile (non questa volta, la mia sensazione è che i Gilets Jaunes finiranno per perdere la calma, ma la prossima volta, che avverrà prima piuttosto che dopo, l’esplosione porterà probabilmente al rovesciamento del regime francese CRIF .

In America Latina, l’Impero ha avuto un enorme successo nel rovesciare una serie di leader patriottici e indipendenti. Ma ciò che manca ora è la capacità di rendere questi regimi filoamericani di successo essendo economicamente o politicamente fattibili. Sorprendentemente, e nonostante la massiccia campagna di sovversione degli Stati Uniti e i principali errori politici, l’amministrazione Maduro è rimasta al potere in Venezuela e sta lentamente ma risolutamente cercando di cambiare rotta e mantenere il Venezuela sovrano e indipendente dagli Stati Uniti. Il problema chiave degli Stati Uniti in America Latina è che gli Stati Uniti hanno sempre governato usando una locale elite compradora. Gli Stati Uniti hanno avuto molto successo in questo sforzo. Ma gli Stati Uniti non sono mai riusciti a convincere le masse latinoamericane della loro benevolenza e questo è il motivo per cui la parola “yankee” rimane un insulto in ogni paese latinoamericano.

In Asia, la Cina sta offrendo a ogni colonia statunitense un modello di civiltà alternativo che sta diventando sempre più attraente dal momento che la RPC sta diventando più potente economicamente ed economicamente vincente. Si scopre che il solito mix o arroganza, arroganza e ignoranza che ha permesso ai paesi anglo di dominare l’Asia sta perdendo il suo potere e che il popolo asiatico sta cercando alternative. A dire il vero, gli Stati Uniti non hanno assolutamente nulla da offrire

Conclusione: non solo gli Stati Uniti non sono in grado di imporre la propria volontà a paesi che sono considerati “alleati degli Stati Uniti” (se il NorthStream dovesse mai accadere – e penso che lo sarà – allora questo segnerà la prima volta che i leader europei hanno detto al presidente degli Stati Uniti di andare a farsi f.., se non in così tante parole), ma gli USA ovviamente non hanno alcun tipo di progetto da offrire ad altri paesi. Sì, “MAGA” è tutto bello, ma non ha molta trazione con gli altri paesi a cui non interessa davvero MAGA …

Conclusione sotto forma di un detto russo

C’è un detto in russo ” meglio una fine orribile che (dover vivere) un orrore senza fine ” (л учше ужасный конец чем ужас без конца ). Non c’è dubbio che il declino dell’impero anglo-sionista continuerà nel 2019. Ciò che non cambierà, tuttavia, è la capacità degli Stati Uniti di distruggere la Russia in un attacco nucleare. Perché, per non sbagliare, tutto ciò che le nuove armi russe forniscono è la capacità di punire (vendicarsi contro) gli Stati Uniti per un attacco alla Russia, ma non la capacità di negare (prevenire) un simile attacco. Se i neoconservatori decidono che un olocausto nucleare è preferibile a una perdita di potere negli Stati Uniti, allora non c’è nulla che nessuno possa fare per impedire loro di interpretare la loro versione sordida di Götterdämmerung

Recentemente ho dovuto trascorrere alcuni giorni a Boca Raton, dove alla nuova “aristocrazia” americana piace passare il tempo e posso dirti due cose: la vita è bella per loro, e sicuramente non vorranno rinunciare alle loro stato privilegiato come “leader del pianeta”. E se qualcuno cerca di portarglielo via, non ho il minimo dubbio che questa gente reagirà con uno sfogo vizioso di rabbia piena di disperazione simile a quella di Sansone. Quindi l’unica domanda rimane questa: noi (l’umanità) saremo in grado di togliere il bottone nucleare a questa classe di parassiti senza dare loro la possibilità di premerlo o no?

Non lo so. Quindi, sarà una fine orribile o un orrore senza fine? Lo ignoro

Ma quello che so è che l’Impero strappando tutte le sue cuciture e che il suo declino non farà che accelerare nel 2019.

Il Saker