PER LA RUSSIA, PRONTO UN “PIANO KIVUNIM”
“Gestire la dissoluzione della Russia” (Managing Russia’s Dissolution) è il titolo di uno studio apparso su The Hill. A firma di Janusz Bugajski, propugna il progetto di “perseguire attivamente lo smembramento della Russia”.
Il signore esordisce ammettendo che le sanzioni alla Russia, in quanto “limitate”, hanno solo rafforzato nel Cremlino la convinzione “che l’Occidente è debole e ripetitivo”. Occorre dunque una nuova strategia: “rendere più nutrito il declino della Russia e gestire le conseguenze internazionali della sua dissoluzione.
Janusz Bugajski
Si può approfittare della “frammentazione etnica e regionale” di cui è composto questa federazione, deplorevole moralmente e fragile in quanto “costruzione imperiale”, e “nutrirla” (seminando zizzania) grazie alla “mancanza di dinamismo economico” di cui soffre. Aggravando il “deterioramento delle condizioni economiche” e “senza democratizzazione all’orizzonte”, “la struttura federale diventerà sempre più ingovernabile”.

Date le 106 componenti etniche e religiose della Russia, il gioco sarà facile. Palesemente il Bugajski propone l’applicazione alla Russia del Piano “Kivunim”, dal nome della rivista ebraica che nel dal 1982 propugnato la spaccatura di di tutti gli stati di religione islamica “secondo le loro linee di frattura etniche e religiose”. Come nella rivista Kivunim (“Direttive” in ebraico) l’autore Oded Yinon passava in rassegno uno per uno Irak, Siria, Libia, Iran, e le minoranze etnico-religios sulla cui insoddisfazione far leva per provocarne la dissoluzione in staterelli nazionalisticamente omogenei”, così Bugajski mette in rilievo che “l’ingombrante federazione è composta di 85 ‘soggetti federali’, di cui 22 repubbliche che rappresentano etnia non russe, tra cui il Caucaso settentrionale e il Volga medio, e numerose regioni con identità distinte che si sentono sempre più estraniate da Mosca. In estremo oriente, regioni come Sakha e Magadan e in Siberia, con la loro notevole ricchezza di minerali, potrebbero essere Stati di successo senza lo sfruttamento di Mosca”. Lì, dove cresce il malcontento per i governatori russi e la”russificazione” dettata da Putin, le infrastrutture fatiscenti fanno sì “che i residenti della Siberia e della Russia dell’Estremo Oriente saranno ancora più separati dal centro, incoraggiando così le richieste di secessione e sovranità”.
Infatti, “la Russia non è riuscita a diventare uno stato nazionale con una forte identità etnica o civica. Rimane una costruzione imperiale a causa della sua eredità zarista e sovietica”.
Per Janusz si tratta di rendere pan per focaccia: Putin, sostiene, “cerca di dividere l’Occidente e di frantumare l’Unione Europea e la NATO sostenendo partiti nazionalisti e separatisti in Europa”; altrettanto “ Washington ha bisogno di tornare ai principi fondamentali che hanno accompagnato il crollo dell’Unione Sovietica sostenendo la democratizzazione, il pluralismo, i diritti delle minoranze, il decentramento e l’autodeterminazione regionale” onde seminare la discordia fra le minoranze e creare movimenti separatisti.
“Alcune repubbliche nel Caucaso del Nord, nel Medio Volga, in Siberia e nel lontano oriente potrebbero diventare stati completamente indipendenti e stringere relazioni con Cina, Giappone, Stati Uniti ed Europa”.
Alla fine, altre [di queste] “regioni potrebbero “ricongiungersi a paesi come Finlandia, Ucraina, Cina- e il Giappone, di cui Mosca in passato s’è appropriata di territori con la forza”. Insomma non tanto “autodeterminazione” quanto smembramento ed annessione agli Stati vicini. Nessuna speciale riflessione è dedicata alla distribuzione fra questi staterelli nuovi e con conti da regolare, gestiti da nazionalisti accesi, delle 6800 testate atomiche oggi centralizzate nelle mani di Mosca. Evidentemente per Janusz ci sono nazionalismi buoni, da distinguere dai sovranismi cattivi, gestiti da nazionalisti malvagi, quelli dei sovranisti europei, che esistono solo perché istigati da Putin.
Solo, “per evitare improvvisi sobbalzi geopolitici e possibili scontri militari, Washington deve monitorare e incoraggiare una rottura pacifica e stabilire collegamenti con entità emergenti”.
Il rinnovato apparato neocon incistato nel governo USA
Bugajski non parla di privato opinionista che esprime una personale veduta. Egli è dirigente del
Center for European Policy Analysis, che non è uno dei tanti think-tanks (pensatoi) di Washington dove le varie lobbies elaborano proposte politiche con cui influenzare il governo, per così dire da fuori. Il Center (CEPA) è finanziato direttamente da sostenitori che sono il Dipartimento di Stato, il Pentagono, il National Endowment for Democracy che diffonde il verbo della “democrazia” (sovversione) in Europa dell’Est e finanzia i “democratici” separatisti, ed è un braccio del governo Usa; altri amici “privati” del CEPA sono la “US Mission to NATO” e Raytheon, Bell Helicopter, Lockheed , Textron, BAE Systems, praticamente tutto il complesso militare-industriale.
Aaron Wess Mitchell
Quanto al presidente-direttore generale, che si chiama Aaron Weiss Mitchell, attualmente è nel governo Trump. Vi è stato nominato (Da Rex Tillerson) “Assistente segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici” ossia “responsabile delle relazioni diplomatiche con 50 paesi “ Europa ed Eurasia, e con la NATO, l’UE e l’OSCE”.
E’ esattamente la posizione che ha tenuto Victoria Nuland (Nudelman) sposata Kagan, e nella quale la signora ha finanziato con 5 miliardi di dollari la rottura di Kiev dalla federazione russa, con gli eccidi di Maidan e dei russofoni di Crimea, con il noto impiego di sniper professionisti georgiani addestrati dalla Polonia, come rivelato qui dai reporter italiani:
La Nuland non fece che estendere il Piano Kivunim, originariamente pensato per gli stati musulmani, all’Ucraina, infiammando anche qui la linea di faglia etnica, contro gli abitanti della Crimea e del Donetsk parlanti russo. Ferita tuttora aperta e sanguinante con episodi bellici di Kiev per rendere miserabile e pericolosa la vita delle popolazioni “secessioniste” del Don.
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