L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

venerdì 23 agosto 2019

Gli ebrei nelle terre di Palestina sono un cancro da estirpare - Dal 2012 che invadono le terre siriane con bombardamenti umanitari

L'INEFFICACIA DELLA STRATEGIA ISRAELIANA IN SIRIA


(di Andrea Gaspardo)
22/08/19 

Uno degli eventi che hanno influenzato maggiormente lo svolgimento della "Guerra Civile Siriana" è stato il coinvolgimento incrociato di Israele e dell'Iran, che ha trasformato il territorio della Siria in uno dei molti teatri nei quali i due paesi sono impegnati nella loro guerra asimmetrica senza esclusione di colpi. Tuttavia, mentre l'intervento iraniano si è subito caratterizzato come un'operazione strutturale dagli orizzonti temporali di lungo durata, quello israeliano si è invece distinto per scostanza e mancanza di qualsivoglia obiettivo politico e strategico chiaro. Diversi analisti infatti hanno cercato di trovare parallelismi con la "Guerra d'Attrito" del 1967-70 che oppose Israele all'Egitto lungo il fronte del Canale di Suez, oppure con le due "Intifade" del 1987-93 e del 2000-5 nel corso delle quali Israele represse le insurrezioni popolari palestinesi. Al contrario, mentre nei casi sopra citati per lo meno il governo e l'alto comando delle forze armate israeliane avevano dei piani sia tattici che strategici ben precisi e modellavano di volta in volta le operazioni militari in virtù degli obiettivi prefissati avendo ben chiaro quello che avrebbe dovuto essere il risultato finale per giungere ad una vittoria, nel caso del coinvolgimento militare in Siria le cose sono sinora andate in maniera assai diversa.

Le prime azioni di fuoco israeline in terra siriana iniziarono ufficialmente il 25 settembre del 2012, ma si trattava unicamente di inconcludenti scambi di armi di piccolo calibro lungo la frontiera, puntellati qua e là da duelli d'artiglieria. Il salto di qualità avvenne il 30 gennaio del 2013 quando l'aviazione israeliana mise a segno il primo bombardamento aereo avente come obiettivo una colonna armata di Hezbollah e dei consiglieri militari iraniani dispiegati nel paese degli Assad. Da allora ad oggi, l'andamento delle operazioni militari israeliane (soprattutto aeree) in Siria ha avuto un incremento di natura peggiorativa. Tuttavia, nonostante il fatto che l'aeronautica israeliana abbia effettuto migliaia di azioni di bombardamento adoperando anche le più recenti aggiunte ai suoi arsenali, come lo UCAV "IAI Harop" ed i missili "SkySniper" e "MARS" (quest'ultimo noto anche come "Rampage"), i risultati sono stati veramente modesti, tanto che diverse fonti parlano della perdita da parte del cosiddetto "Asse di Resistenza" di meno del 5% dei propri arsenali. Pare addirittura che, grazie ad una ripresa sostenuta delle forniture iraniane, l'arsenale missilistico di Hezbollah sia arrivato a toccare nel 2017 la "fantastica" cifra di 150.000 razzi di tutti i tipi e dimensioni che, alla luce dei danni causati nella guerra del 2006, svolgono un eficacissimo ruolo di "dissuasione". La conferma è data dal fatto che, nonostante l'incremento degli attacchi aerei, Israele si sia sempre limitato a colpire (ad anche qui lo ha fatto sempre in maniera alquanto "delicata") obiettivi iraniani, siriani e di Hezbollah solamente nel territorio siriano ma ha evitato di attaccare il movimento sciita nel suo territorio di dominio sociale ed elettorale: il Libano del Sud. Addirittura molto spesso i raid israeliani vengono eseguiti su "più tempi" con relativi "colpi di avvertimento" in modo da minimizzare il rischio di perdite umane e mantenere il profilo generale del confronto a livello basso.

Ma tale tattica può essere risolutiva? La risposta in questo caso non può che essere "no". Già nel corso della "Guerra del Vietnam" divenne palese che campagne di bombardamenti intensi ma caratterizzate da obiettivi scelti a casaccio e colpiti in maniera episodica e non sistematica, finiscono per ringalluzzire la parte attaccata e spingerla a dotarsi di mezzi sempre migliori per affrontare al minaccia da pari a pari. Anche nel caso della "Guerra Civile Siriana", tanto gli Iraniani quanto i loro alleati in loco hanno continuato ad accrescere la presenza di uomini ed armamenti per rendere la loro influenza sul terreno in Siria un fatto compiuto e duraturo, con buona pace degli strateghi di Gerusalemme.

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