L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

giovedì 22 agosto 2019

Siria - Idlib, i terroristi mercenari taglliagola fuggono davanti alle forze militari siriane, non possono ne vogliono combattere per loro sarebbe la fine della loro esistenza


20 ago 2019
by Redazione

La battaglia tra governo e opposizioni islamiste si allarga al loro sponsor regionale, la Turchia: colpito un convoglio di sette carri armati e 25 veicoli che trasportavano truppe. Secondo Damasco dirette a dar man forte agli islamisti

Un convoglio militare turco verso Idlib (Foto: Dha)

di Chiara Cruciati – Il Manifesto

Roma, 20 agosto 2019, Nena News – Non c’è tregua che regga a Idlib. Ieri nella provincia nord-occidentale siriana si è ripetuto quanto accaduto esattamente due mesi fa, il 19 giugno, quando un missile siriano aveva colpito una base militare turca nel nord del paese.

Stavolta a essere colpito da un bombardamento aereo delle forze governative (alzando l’asticella della contraddizione politico-militare che è Idlib) è stato un convoglio di Ankara lungo l’autostrada che collega Aleppo a Damasco. Tre morti e dodici feriti, secondo il governo turco in quello che definisce un atto di aggressione (i militari turchi si trovano nelle terre siriane, non invitati, e affermano di essere aggrediti, diritto internazionale fottiti).

Identica la versione damascena ma ribaltata: ad aver violato la sovranità siriana è stata la Turchia che ha fatto entrare dal valico di Bab al-Hawa, profondo nord-ovest siriano, un corposo convoglio militare scortato da una delle fazioni armate sponsorizzate da Ankara.

Un camion, sette carri armati e 25 veicoli con soldati e attrezzature militari e logistiche diretti a dare man forte – secondo la versione governativa – ai gruppi islamisti di opposizione a sud di Idlib, a Khan Sheikhoun, oggetto in questi giorni della controffensiva russo-siriana: ieri, per la prima volta dal 2014, le truppe di Damasco sono entrate nella città in mano a Hayat Tahrir al-Sham (l’ex al-Nusra) e ne hanno assunto il controllo, costringendo i qaedisti alla fuga.

Secondo Ankara, invece, i suoi soldati si stavano muovendo verso il posto di osservazione numero 9 a nord di Idlib, uno dei 12 impiantati dalla Turchia dopo l’invasione via terra del nord della Siria, nell’agosto 2016, e l’accordo stipulato lo scorso anno ad Astana con Russia e Iran sulle cosiddette «zone di de-escalation», mai realmente entrate in vigore.

Prosegue così la controffensiva lanciata a fine aprile da Mosca e Damasco contro l’ultimo pezzo di territorio ancora in mano alle opposizioni. Un’operazione che, secondo l’Onu, avrebbe provocato 500 morti tra i civili (oltre a 1.400 miliziani e 1.200 soldati governativi) e 400mila sfollati. Tra cui buona parte della popolazione di Khan Sheikhun: dei 100mila abitanti, molti dei quali sfollati da altre zone del paese, ne restano pochissimi.

Si fugge, per l’ennesima volta, verso nord per evitare la battaglia finale tra Damasco e islamisti, fatta di raid aerei da una parte e dall’altra di missili e kamikaze.

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