L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 11 maggio 2019

10 maggio 2019 - Oggi siamo a Ponsacco (Pisa) per l'Avanti Tutti Tour!

Gioia Tauro - Diego Fusaro è candidato sindaco

Gioia Tauro, Fusaro apre la campagna elettorale e punta sulla cultura

Il filosofo marxista candidato a sindaco: «Ho accettato di candidarmi perché crediamo che la rinascenza dell'Italia debba ripartire dal paese che è più in difficoltà»
di Francesco Altomonte 

sabato 11 maggio 2019 11:47


A sentirlo parlare in piazza dell’Incontro sarà apparso a molti come un alieno. Diego Fusaro, candidato a sindaco di Gioia Tauro, ha dato il via ufficialmente alla campagna elettorale. Il filosofo marxista è stato accompagnato, così come avviene in tutte le sue apparizioni in città, da Francesco Toscano, animatore della lista Risorgimento meridionale per l’Italia e maggiore sponsor di Fusaro nella corsa a palazzo Sant’Ippolito. Ma su quali presupposti il filosofo ha accettato la candidatura a Gioia Tauro?

«Ho deciso di accettare la candidatura – ha dichiarato Fusaro – in primo luogo per l’amicizia e il rapporto di collaborazione politica e culturale che mi lega a Francesco Toscano; e poi perché noi crediamo che la rinascenza dell’Italia debba ripartire dal paese che è più in difficoltà». 

Gioia Tauro è una realtà difficile da amministrare, complessa e piena di contraddizioni. Fusaro, però, pare avere idee chiare sui problemi della città. «Questa città ha dalla sua – ha aggiunto il candidato a sindaco – la natura e lo splendore del territorio, ma al tempo stesso è una terra in difficoltà: pensiamo al porto che potrebbe fare da traino all’economia e che invece è in perenne affanno, la microimprenditorialità che non riesce a decollare».

La connessione tra locale e nazionale e la cultura sono, quindi, per Fusaro, le basi su cui fondare la rinascita di Gioia Tauro.

«Io mi occuperò principalmente di cultura – ha concluso Fusaro – sulle questioni più strettamente amministrative avrà un ruolo centrale Francesco Toscano che è di Gioia Tauro e più addentro di me a certe tematiche. Credo, però, che occorra partire da una solida cultura del locale, che non è il municipalismo che emarginerebbe la città, ma la connessione tra il locale e il nazionale. Inoltre, mi piacerebbe potenziare l’area della biblioteca, o le attività culturali che non mi piace chiamare festival, perché la logica del festival è intrinsecamente non culturale, ma attività culturali che promuovano la nostra storia».

Gli ebrei in Palestina sono invasori, un cancro da estirpare

Israele promette di eliminare gli S-300 consegnati dalla Russia, se la Siria li usa contro la sua aviazione


Israele ha tutto l'arsenale necessario per attaccare Hezbollah in Libano ed eliminare la minaccia iraniana in Siria, si è vantato il capo uscente del forze armate del regime israeliano, avvertendo Damasco di non usare gli S-300 per proteggere la sua sovranità.

"Se la nostra libertà di movimento è minacciata, rimuoveremo la minaccia. Sappiamo come farlo ", ha dichiarato il generale, capo uscente del Comando nord delle forze armate del regime israeliano, IDF, Yoel Strick a Ynet News, aggiungendo che Israele introdurrà presto "sistemi d'arma avanzati "per garantire che possa continuare a violare lo spazio aereo degli Stati limitrofi e colpire con impunità gli obiettivi in ??Siria.

Se i siriani impiegano gli S-300 russi contro i nostri aerei e li eliminiamo, sarà vista come una mossa legittima da parte nostra, ha avvertito Strick. 

Pur riconoscendo che una mossa così drastica potrebbe danneggiare i rapporti di Tel Aviv con Mosca, Strick ha espresso la speranza che non si verifichino.

Mosca aveva rifornito la Repubblica araba di sistemi di difesa aerea S-300 dopo l'abbattimento di un aereo da ricognizione russo Il-20 con a bordo 15 aviatori a metà settembre del 2018, durante un raid israeliano.

Mosca ha anche avvertito Israele che sopprimerà tutti i sistemi di navigazione satellitare, i radar e i sistemi di comunicazione degli aerei da combattimento sul Mar Mediterraneo se le sue manovre minacciano le forze russe.

Da allora, Israele ha messo in scena le sue incursioni attraverso il Libano, dove lo Stato ebraico sta cercando di tenere sotto controllo Hezbollah. 

Hezbollah è inseparabile dal Libano come paese, a causa della forte presenza politica del gruppo militante, ha affermato il generale israeliano.

Così, ha affermato, "se dipendesse da me, consiglierei di dichiarare guerra al Libano e ad Hezbollah" - non per sete di sangue ma solo per contrastare il presunto complotto del gruppo di "invadere" Israele.

Fonte: Ynet
Notizia del: 11/05/2019

Criminali


Siria - gli statunitensi ed ebrei non contenti di aver scatenato i mercenari tagliagola hanno messo in ginocchio il paese imponendo sanzioni, piegando la popolazione alle distruzioni, morti e alla mancanza di merci, continuano imperterriti a perpetuare crimini contro l'umanità

L'Iran consegna segretamente 1 milione di barili di petrolio alla Siria


Nel bel mezzo delle tensioni con gli Stati Uniti, l'Iran sta gestendo la scommessa ad alto rischio di riavviare i suoi grezzi trasferimenti in Siria.

Un nuovo rapporto rivela che l'Iran, nonostante le forti tensioni con gli USA, abbia consegnato un milione di barili di petrolio attraverso il porto siriano di Baniyas all'inizio di maggio, il primo dalla fine del 2018, secondo TankerTrackers.com e ClipperData, citati sempre nell'articolo della CNBC. 

Negli ultimi mesi Washington ha aumentato le sanzioni mirate contro le importazioni di petrolio siriano, causando la peggiore crisi petrolifera della storia moderna della Siria, determinando un'economia "senza vita" e "decimata" con code chilometriche di auto, a volte in attesa di giorni per un semplice pieno di gas, come recentemente descritto da un rapporto di Bloomberg sul posto.

Ironia della sorte, dopo sette anni di massacri, mentre il governo è emerso vittorioso, adesso che vive una relativa stabilità e conseguente calma su gran parte del paese, deve affrontare un "assedio economico" che ha colpito la popolazione con tutta la sua forza.

Anche durante alcuni dei peggiori anni di guerra, Damasco era sempre un centro economico pieno di traffico per i suoi sei milioni di abitanti, ma come abbiamo notato in precedenza il paese è stato immerso in una crisi di carburante che è il risultato di nuove sanzioni petrolifere guidate dagli Stati Uniti prendendo di mira Damasco e Teheran. Come un recente rapporto WSJ ha evidenziato, le forniture di petrolio iraniane alla Siria sono “precipitate” dallo scorso gennaio.

Dato che l'Iran, come di recente ha annunciato, pensa di non rispettare le parti chiave dell'accordo del 2015, sostenendo che sta esaurendo la pazienza con i firmatari europei del JCPOA mentre la sua economia deve affrontare la decimazione delle sanzioni statunitensi, il suo stretto alleato sarà la Siria punto di partenza chiave per il greggio iraniano, insieme al vicino iraniano dell'Iraq, visto che Teheran ha anche dichiarato la sua intenzione di far cadere le sanzioni statunitensi.

Di recente, Washington ha promesso di tagliare con la forza sia le esportazioni iraniane sia tutte le importazioni siriane di greggio. “Gli analisti hanno ampiamente previsto che l'Iran intensificherà gli sforzi per il passaggio di petrolio in Siria e al vicino Iraq con gli Stati Uniti che renderanno più difficile per Teheran spedirlo ai suoi pochi clienti rimasti, tra cui Cina, India e Turchia”, come spiega in un articolo la CNBC .

Sembra che l'ultima consegna iraniana della Siria sia stata compiuta grazie all'effetto "ghosting" - il che implica che le petroliere spengono i loro transponder.

Rapporti regionali hanno notato che negli ultimi giorni la crisi del carburante in Siria ha trovato sollievo a causa delle spedizioni segrete iraniane in arrivo la settimana scorsa.

Nel frattempo, il WSJ ha riferito in precedenza che il petrolio iraniano era stato consegnato di routine in Siria per gran parte della guerra, ma ora "le sanzioni statunitensi hanno tagliato le spedizioni petrolifere iraniane verso la Siria, portando un tributo senza precedenti a un flusso di greggio che era persistito in faccia delle restrizioni internazionali a lungo termine e ha contribuito a sostenere il regime di Assad in anni di guerra civile ".

La Casa Bianca attribuisce ancora fondamentalmente priorità all'indebolimento della Siria come cruciale nel suo obiettivo ultimo del cambio di governo a Teheran. In questo senso, la "lunga guerra" per la Siria potrebbe essere semplicemente nella sua fase intermedia, con il riscaldamento delle acque del Mediterraneo orientale e del Golfo Persico.

Notizia del: 11/05/2019

Il Poliscriba una razza in estinzione - Cicciolina piange

L’uso improprio di Pito Pito ... l’uso appropriato di Cicciolina [Il Poliscriba]


[Il Poliscriba]
9 maggio 2019

“La signora Staller non ha mai avuto nessun rapporto sessuale con cavalli o altri equini come per anni si è voluto far credere”

Lorenzo Croce, nota gola profonda del porno all’italiana

Azz! … la liberazione sessuale.
Odio le statistiche sull’attività sessuale degli umani.
L’uomo è l’unico mammifero che conteggia i propri accoppiamenti, l’unica bestia che li suddivide in base agli orientamenti contro la sua stessa natura, santificando quelli più perversi, demonizzando quelli etologicamente normali che, contro la verginità e la castrazione morale, riempiono le culle e svuotano il paradiso.
L’uomo è un edema sulla crosta terrestre, un’eccezione animale che conosce la via della distorsione sensoriale, lastricandola di cattive intenzioni, cattivi pensieri, farneticando di uguaglianze laddove si ravvisano solo differenze, riscontrando omogeneità nel ricolmo fiorire di diversità biologiche, mentali, sociali, genetiche che definire razziali sarebbe uso corretto dell’intelletto e del sano osservare incontaminato da propaganda politica o scientifica.

Cicciolina si dimenava sui palchi e i maschi si masturbavano.

Moana Pozzi si offriva a mezzo Parlamento, scopata dai potenti, mentre gli ominicchi nel girone degli impotenti si smanettavano ancora, silloge di un’ erezione collettiva previagra.
Le pornostar italiane sculettavano davanti agli ultimi fuochi d’artificio virile, segnanti la prossima fine del maschio latino; mentre le colleghe importate d’Ungheria, l’imminente crollo dell’URSS e la nascita della pornomafia balcanica che, antisemiti seminatori d’odio imputavano essere un obiettivo dello ZOG ebraico, viste le ascendenze giudaiche della Henger e la storia “sentimentale” con il noto filonazista, poi ritornato all’Islam, Dagoberto Husayn Bellucci … e le contraddizioni incalzano.
La testa di ca ... ops! di ponte di questo affare miliardario, dai risvolti fortemente orientati verso la decostruzione del maschio occidentale, di cui si è largamente parlato in questo blog, sarebbe stato lo smunto anemico Schicchi, quello della massima erotica: “La pornografia è lo specchio della società”, il frontman rivoluzionario della band a luci rosse, il Larry Flynt de' noantri, il Casaleggio della vulva, aureolato da tutti i santi liberatori d’Italia dal giogo clericale, bacchettone e sessuofobo presessantottino.
Che tristezza; se interrogati, quasi nessuno dei segaioli che lo ha reso ricco e con lui schiere di acrobati del kamasutra più maniacale, lo ricorda se non per l’appena citata signora Fottemberg, della parodia dell’Ispettore Derrick, triturata dal sarcasmo pecoreccio a doppio senso dei due Max, Tortora e Giusti: “Harry, chi è meglio: io o il tenente Colombo? Sempre lei, ispettore. Bravo, Harry! Si vede il tupè? No, ispettore”. Madame, che oggi si è riciclata, come altre sue note colleghe, nei format per meteore spente, ricollocate per motivi di portafoglio e per evitare alienazioni di beni immobili duramente conquistati a colpi di marchette, minacciati da esproprio fiscale, attraverso il sapiente riciclo che i loro pasciuti agenti sanno spremere dai vecchi fasti, in ossequio alle rimembranze ormonali degli onanisti tutti che, dopo anni di inveterate prugne, hanno imboccato le strade solite dei mariti comuni, collocandosi sui vari gradini della decadente, frustrata società occidentale: divorzista, abortista, genderista, sessualmente liberata e sterilmente iperattiva.
È di poche settimane fa l’ingresso della Ilona radicale, ex deputata vantante il triste primato di prima pornodiva al mondo ad entrare in un Parlamento, che non poteva che essere quello italiano, nel gossip per sciacquette vegane radicalanimaliste, scandalizzate per la brutta fine del boa constrictor Pito Pito che ella usava per i suoi spettacoli rompitabù, al limite della zoofilia o zoerestia che dir si voglia.
Un’entrée evidentemente studiata che io condivido, perché la Staller ha ragione da vendere a voler indietro il suo vitalizio “sudato” sugli scranni della democrazia; obolo per obolo, non vedo perché la sua rivendicazione dovrebbe essere meno forte di quella di una Iervolino.
Biondissima paladina dell’ossitocina, idealista gaudente, amante incondizionata del puro atto benefico del coito, pulzella di Budapest, ebete femen antelitteram, non ha dovuto impegnarsi cerebralmente in un distinguo filosofico tra prostituzione mediatica e politica, tra offerta di corpo e di prebende: il mestiere non cambia, mutano solo tariffe e clienti.
Piena di debiti e non più di liquidi seminali o scaglie d’ofide, per non divenire preda del fisco o dell’ufficiale giudiziario, ingegnandosi di salvare dal sequestro il suo attico sulla Cassia, oggi è disposta a incontrare a cena, face to face, ciò che rimane dei suoi sfatti adoratori, decisa a mettere all’asta una collezione di mutandine usate.
Lo scandalo fa notizia, o semplicemente letame improduttivo; Cicciolina fa quello che sa fare meglio: si vende, vende tutto, fa uso appropriato della fine di se stessa come sempre ha fatto.
La signora Staller, imborghesita dal vecchio successo, sodomizzata dalla vita fuori dal set, è rimasta senza mutande, e di dar via il didietro, chissà perché, non ha più nessuna fregola.
Sfama chi deve sfamare, arricchisce ancora un pochino chi si nutre delle carcasse dello showbiz.
Resta pur vero il detto che, se la merda fosse oro, i poveri non avrebbero le chiappe.

10 maggio 2019 - DIEGO FUSARO: Interventi a "Tagadà" (La7)

Svezia - mettete i risparmi sotto i materassi


Guerra ai contanti addio, Svezia: “Nascondete soldi sotto il letto”

10 Maggio 2019, di Alessandra Caparello

Accumulare “contanti in piccoli tagli” per le emergenze anche sotto il materasso: Sembra una prassi di altri tempi e invece è quella che la moderna Svezia consiglia suoi cittadini.

L’Agenzia nazionale per le emergenze civili ha pubblicato una guida per ogni famiglia su cosa fare in caso di emergenze. Il timore più grande per le autorità è che le reti informatiche possano essere interrotte da attacchi terroristici o dalla guerra informatica e hanno espresso la forte preoccupazione che gli svedesi possano vedersi negato l’accesso informatico alle banche del paese.

I pagamenti cashless sono molto in voga visto che offrono convenienza sia per gli acquirenti che per i venditori. In base alle cifre riportate dal governo, il 15% dei cittadini della nazione avrebbe difficoltà vitali se non potesse accedere e spendere immediatamente i suoi soldi.

Ma l’avvertimento che lancia oggi l’Agenzia svedese per le emergenze civili potrebbe far scattare l’allarme in tutto il mondo, visto che le nazioni sviluppate stanno attuando il passaggio ad una società senza contanti. Quali sono queste situazioni di emergenza individuate dal governo svedese?

C’è un po’ di tutto, dalle interruzioni di corrente elettrica, al black out delle reti informatiche, fino al terrorismo e alla guerra informatica. Da qui il governo svedese raccomanda che ogni cittadino tenga i soldi sotto il letto.

Gli statunitensi ingenui vogliono eliminare la Mosler economics vigente in Cina. Possono rallentare gli effetti della MMT ma non arrestarla. Incapaci a capire che la cultura e la società determinano le scelte politiche

SCONTRO USA-CINA/ “Pechino ha lasciato il tavolo per salvare lo Stato”

11.05.2019 - int. Francesco Sisci

Niente accordo per ora tra Cina e Usa sui dazi. Xi abbandonando il tavolo obbliga Trump a dire al mondo che America vuole

Donald Trump con Xi Jinping (Lapresse)

Niente accordo. Con il via alla “protezione” americana, ossia dazi su beni cinesi per 200 miliardi di dollari – e le contromisure cinesi, che non tarderanno ad arrivare -, ora si teme una frenata dell’economia mondiale. Trump vuole i dazi per beneficiare l’economia Usa, Xi Jinping ha l’obiettivo di eliminarli del tutto, e in questo modo le due posizioni restano distanti; ma c’è anche la lettera di Xi a Trump che pone le premesse per una ripresa del dialogo. In realtà la partita strategica è ancora più ampia e riguarda l’ordine globale, dice da Pechino Francesco Sisci, giornalista e docente alla Renmin University of China.

Sisci, è sorpreso dall’esito del confronto tra le due delegazioni?

No, tutte le persone bene informate in Cina e Usa sapevano che le trattative sarebbero saltate e che il vicepremier Liu He era venuto a Washington come gesto di cortesia e per non rompere con gli Usa.

Eppure non sembra una rottura definitiva.

Infatti non lo è. C’è spazio per ripensamenti, ma prima di questo bisogna fare un passo indietro e chiedersi perché la Cina si è ritirata quasi all’ultimo minuto, sostenendo che l’accordo implicava il cambiamento di leggi cinesi e che questo non poteva avvenire.

Lei cosa dice?

La mia impressione è che nelle ultime due-tre settimane la Cina abbia cominciato a riconsiderare l’accordo per le sue implicazioni sistemiche. A Pechino sembra che si siano accorti che l’apertura di mercato concordata con gli Usa implicava la ristrutturazione profonda delle imprese di Stato, scheletro della società e del potere cinese, e che una liberalizzazione e apertura del mercato dei capitali avrebbe in teoria sottoposto la Cina a crisi tipo quelle di 20 anni fa in Asia.

Questo cosa significherebbe per la Cina?

Allora crisi finanziarie crearono crisi sociali e poi politiche che distrussero i regimi dittatoriali in Indonesia o nelle Filippine. Se quindi Pechino vuole aprire il mercato deve riformare le imprese di Stato e passare a una riforma politica che metta il paese in grado di subire un’eventuale crisi finanziaria e soprattutto aumenti un po’ di più il credito e la fiducia internazionale nella Cina. Ma tutte queste riforme hanno bisogno di più tempo di quello attuale.

Questo a livello strategico. Ma sembra che il rinvio imposto dalla Cina abbia anche altre ragioni.

Sì perché non è credibile che la Cina cerchi di sviluppare un suo ambito commerciale economico “separato” dall’America. La vicenda di Huawei è illuminante. L’America sta rendendo la vita difficile a Huawei in tutto il mondo e il benessere dell’azienda che solo un anno fa sembrava dovesse dominare il 5G oggi è molto più a rischio.

E per quanto riguarda gli Stati Uniti?

D’altro canto l’America deve chiarire cosa è essa e anche inquadrare il problema Cina in una prospettiva diversa. L’America è un paese fra tanti paesi oppure è più di un paese, un “impero”, un sistema internazionale di relazioni? Se è un paese, la Cina si confronta con un altro paese. Ma se l’America è un sistema globale di relazioni, allora la Cina o si adatta o rimane isolata.

Cosa dice il fatto che la Cina abbia abbandonato il tavolo con una lettera di Xi Jinping che Trump ha definito molto bella?

Vuol dire che gli accordi sono saltati in maniera “dolce”, senza sceneggiate e questo dà speranza. Probabilmente le discussioni continueranno e forse si arriverà a una soluzione. Ma di certo la soluzione non è oggi e dobbiamo prepararci probabilmente a un periodo di turbolenze di mercati. Gli Usa applicheranno tariffe ai beni cinesi per il 25% e la Cina ha annunciato ritorsioni “adeguate”. Tensioni di altro tipo potranno aumentare, ma forse anche la Cina si è resa finalmente conto delle conseguenze sistemiche che la liberalizzazione dei mercati comporta.

E l’America?

Come dicevo, gli Usa si devono rendere conto che la questione cinese non è semplicemente bilaterale, ma comporta un chiarimento della sua posizione in ambito globale. Se l’America si ritira da “impero” globale ha già perso.

(Marco Tedesco)

Gaza è Auschwitz - gli ebrei aprono e chiudono le porte delle prigioni a secondo delle loro convenienze

Gaza: Israele ripristina zona pesca a 12 miglia nautiche 

Gaza: Israele ripristina zona pesca a 12 miglia nautiche
Riaperti anche valichi, dopo tregua di domenica scorsa

10 MAGGIO, 09:45


(ANSAmed) - TEL AVIV, 10 MAG - Da oggi Israele ripristinerà la zona di pesca al largo della costa di Gaza a 12 miglia nautiche come era prima del sanguinoso confronto con Hamas della scorsa settimana con la pioggia di razzi caduta sullo Stato ebraico e gli attacchi in risposta sulla Striscia. Lo ha annunciato il Cogat, l'ente israeliano di governo dei Territori, secondo cui la decisione è stata presa come "parte della politica civile di prevenzione del deterioramento elle condizioni umanitarie a Gaza ed è coerente con la politica di distinzione tra terroristi e popolazione".

Riaperti anche il passaggio pedonale di Erez e quello merci di Kerem Shalom con la Striscia. Entrambi provvedimenti fanno parte degli accordi di cessate il fuoco raggiunto domenica passata tra le parte in trattative indirette grazie alla mediazione dell'Onu e dell'Egitto. (ANSAmed).

Roma - L'appalto di manutenzione delle scale mobili che riparava con fascette del ferramenta era stato, niente è un caso dalle precedenti amministrazioni. La magistratura sblocchi il sequestro della fermata di Barberini, cosa aspetta?

LAZIO 09 maggio 2019

Roma, Virginia Raggi: "Impianti fermata metro Repubblica da rifare"

La sindaca ha risposto ai cittadini durante la diretta Facebook tenuta sul suo profilo: "La sicurezza prima di tutto". La ditta costruttrice delle scale mobili ha terminato le ispezioni

Alla stazione metro di piazza della Repubblica "inizieranno a breve i lavori". La ditta costruttrice delle scale mobili Otis "ha finito le ispezioni, e anche in questo caso ha rilevato che la ditta incaricata della manutenzione aveva lavorato male, e ci sarà da rifare completamente l'impianto. La sicurezza prima di tutto". Queste le parole della sindaca di Roma Virginia Raggi, che oggi, giovedì 9 maggio, è tornata a tenere la diretta su Facebook, in cui risponde alle domande dei cittadini.

Le altre stazioni

"È stata riaperta Spagna. Siamo molto dispiaciuti per i disagi e anche molto arrabbiati - ha proseguito Raggi - perché abbiamo visto che i lavori di manutenzione fatti dalla ditta incaricata da Atac, ce lo ha confermato il Tribunale, erano fatti male: riparazioni con fascette del ferramenta, ponti elettrici fatti male. Questo ha determinato che Otis ha rifatto tutto. Su Repubblica stiamo ancora lavorando; Barberini è ancora sotto sequestro della magistratura e non possiamo ancora intervenire". La prima cittadina ha spiegato che il Campidoglio punta a riaprire il prima possibile le stazioni chiuse delle metro in sicurezza. 



Data ultima modifica 09 maggio 2019 ore 19:38

venerdì 10 maggio 2019

Venezuela - Gli Stati Uniti senza cultura, visione sanno solo usare la forza bruta quella militare, ma anche questa si riduce ...

La Spagna contro Trump che si comporta come un «cowboy» con il Venezuela


Il ministro spagnolo degli Esteri, Josep Borrell, ha criticato il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, per comportarsi come un "cowboy" pronto "a estrarre la pistola” contro il Venezuela.

"L'amministrazione americana è come il cowboy del Far West che dice: Guarda, estraggo la pistola!”, Ha affermato Borrell in un'intervista con la radio e la televisione spagnola.

Durante l'intervista, il ministro degli Esteri spagnolo ha insistito sul fatto che Madrid respinge "le pressioni che chiamano all’intervento militare” perché "quella non è la soluzione per il Venezuela".

In questo senso, ha spiegato che il gruppo di contatto di cui fa parte la Spagna, "non è sulla stessa lunghezza d'onda dell'Amministrazione americana", che continua a lasciare la porta aperta all'intervento militare.

"Non vogliamo che nessuno estragga la pistola, chiediamo una soluzione pacifica e negoziata", ha insistito.

Alla domanda circa la rivolta militare guidata dal venezuelano Juan Guaidó, Borrell non si è sottratto nel descrivere ciò che è accaduto come un tentativo di "colpo di stato militare".

Il ministro degli Esteri spagnolo ha commentato anche le dichiarazioni dell'ex presidente del governo spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, che ha fortemente criticato l'atteggiamento del governo degli Stati Uniti verso il Venezuela.

Borrell ha detto di avere "rispetto" per le posizioni espresse da Zapatero, ma ha detto che “disconosce” la sua mediazione in Venezuela e ha anche sottolineato che le manifestazioni dell’ex presidente sono "a titolo personale" e non rappresentano il governo spagnolo.

Fonte: Sputnik
Notizia del: 08/05/2019

La Mosler economics ha superato la soglia e ora tutti ne parlano e devono farci i conti

Cos’è e come funziona la MMT in 7 punti


La Modern Monetary Theory (MMT) sta infiammato i dibattiti politici ed economici negli Stati Uniti. Ecco quali sono i 7 principi cardine su cui si fonda...

di Piero Cingari - 8 Maggio 2019 - 8'

La MMT (Modern Monetary Theory) è senz’altro uno dei temi più discussi nei dibattiti politici ed economici degli ultimi tempi.

Si tratta di un nuovo approccio alla macroeconomia che ribalta totalmente il modo di pensare comune alla moneta e al debito pubblico. Tutti noi infatti crediamo che uno stato debba necessariamente tassare prima di spendere. Per la MMT, il panico che si genera attorno al deficit e al debito pubblico è del tutto insensato. Ma pian piano ci arriveremo…

Le origini della MMT

La Teoria Monetaria Moderna (MMT) è una teoria economica che si sviluppa negli anni ’90 negli Stati Uniti ad opera dell’economista e investitore americano Warren Mosler.

Warren Mosler.

Dopo aver fondato una società di investimenti finanziari, Mosler decide di dedicarsi alla ricerca accademica. Sin da subito, stringe rapporti con famosi economisti come Arthur Laffer, l’inventore della “Curva di Laffer” che mette in relazione la pressione fiscale con il gettito. Laffer avvicina Mosler ad un gruppo di economisti cartalisti e post-keynesiani, tra cui la docente di economia politica Stephanie Kelton. Grazie al contributo offerto di Mosler nasce così una nuova teoria economica chiamata MMT.

Cos’è la MMT?

Il punto chiave su cui si fonda la MMT è che uno stato che emette una propria valuta non presenta vincoli finanziari di bilancio.

In particolare, non è necessario che il governo imponga le tasse prima di spendere, poiché la spesa può essere finanziata facendo ricorso al denaro stampato dalla banca centrale.
In altre parole, la spesa pubblica non è più vincolata dalle entrate fiscali.
La banca centrale non è più un’istituzione separata e indipendente, come invece lo è oggigiorno la Bce in Europa, ma torna a servizio della politica fiscale del governo.

Un momento…

La MMT sostiene che non occorre fissare le imposte per sostenere qualsivoglia livello di spesa poiché la banca centrale può sempre stampare tutto il denaro necessario per finanziare il deficit pubblico.
E fin qui, potremmo dire che non c’è nulla di nuovo rispetto al celebre gioco del “Monopoli”. Ma se prendiamo come esempio gli Stati Uniti, la MMT può avere implicazioni molto interessanti.

Ma se il governo non ha bisogno delle nostre tasse, a cosa servono allora le imposte?

Secondo la MMT, le tasse hanno una duplice funzione.
  • In primo luogo, creano la domanda di moneta da parte di imprese e famiglie che sono costrette appunto ad ottenere denaro per pagare le tasse.
  • Le tasse inoltre riducono il potere di spesa all’interno dell’economia controllando l’inflazione, come spiegheremo più avanti.

A proposito di tasse...


La MMT dalla teoria alla pratica

La banconota da 1 dollaro, che tutti i cittadini americani tengono in tasca, rappresenta un credito da loro vantato nei confronti del governo federale. I dollari infatti non sono altro che una passività emessa dal governo federale degli Stati Uniti, sotto la promessa di accettarli nuovamente come pagamento delle tasse.


[...] Supponiamo per un attimo di trovarci in una casa in cui vive un padre con i suoi figli. Un giorno, il padre annuncia che i figli possono guadagnare banconote dopo aver compiuto varie faccende domestiche. Le banconote, di per sé, non hanno alcun valore e pertanto i bambini non trovano senso a lavorare per accumulare dei semplici biglietti di carta. Ma quando il genitore annuncia anche che per mangiare e vivere in casa si devono pagare, diciamo, 200 banconote ogni mese, le carte assumono immediatamente valore e i bambini iniziano a compiere le faccende di casa [...]
Tratto da Soft Economics, Warren Mosler


Forte vero?
Qual è l’obiettivo della MMT?

L’obiettivo che si pone di raggiungere la MMT è ben diverso da quello adottato oggi dalle principali banche centrali mondiali che puntano esclusivamente a contenere l’inflazione.
Secondo la MMT, l’obiettivo del governo (e della banca centrale a suo servizio) dovrebbe essere quello di garantire la piena occupazione dei fattori produttivi (capitale e lavoro). Negli Stati Uniti, la piena occupazione equivale ad un tasso di disoccupazione pari all’incirca al 3% o giù di lì. Inoltre, se un’economia si trova al di sotto del suo massimo potenziale non si sono rischi inflazionistici derivanti dall’espansione del deficit di bilancio.

Non si tratterebbe quindi di una “monetizzazione del debito”?

Si parla di monetizzazione del debito quando un governo prende in prestito denaro dalla banca centrale per ripagare i suoi creditori. Quando questo processo è fuori controllo, la monetizzazione del debito può portare ad una massiccia svalutazione monetaria e episodi di iper-inflazione (inflazione è dovuta ad una forte massa monetaria e alla mancanza di merci, nello specifico all'embargo di merci che gli Stati Uniti hanno imposto al mondo verso questo paese), come quello accaduto in Venezuela.

Le proteste del 2017 in Venezuela (fonte: Wikipedia)

Come si difende la MMT?

Monetizzare significa convertire in denaro. La monetizzazione del debito si verifica 
quando un governo si indebita in valuta estera 
che è costretto a convertire, o monetizzare, in valuta nazionale. In un senso generale, il debito di uno stato è il denaro, e la spesa in deficit è il processo per monetizzare qualunque cosa acquisti il governo. Se quest’ultimo è in grado di stabilire il tasso di interesse che regola l’economia, la dimensione degli acquisti e delle vendite del debito pubblico non sono discrezionali.

Che ne è infine del debito pubblico?

Torniamo all’esempio del genitore e dei figli.

Supponiamo che il genitore conceda ai figli dei biglietti di carta aggiuntivi (cioè interessi) sul deposito delle banconote. I bambini potrebbero voler tenere in mano alcune banconote, da utilizzare magari tra loro per comodità.
Le banconote non necessarie per le transazioni tra fratelli possono essere depositate presso il padre e costituiscono il debito in capo al genitore.
Più alta è la promessa di banconote aggiuntive (tasso di interesse) da parte del genitore, maggiore sarà il risparmio all’interno della casa.
Si noti inoltre che il genitore non prende a prestito dai figli per finanziare i lavori domestici e l’offerta di pagare interessi (finanziare il deficit) non riduce la ricchezza (misurata dal numero di banconote) di ciascun bambino.

Un concetto molto importante sostenuto dalla MMT è che il genitore (lo stato) che emette proprie banconote non può mai fallire nel ripagare gli interessi ai propri figli (creditori). In sostanza, le nazioni completamente sovrane dal punto di vista monetario possono sempre emettere cartamoneta per effettuare qualsiasi pagamento dovuto nella loro valuta.

Riepilogando, dunque, ecco i 7 principi cardine su cui si fonda la Modern Monetary Theory (MMT):
  1. Lo stato è l’emittente monopolista della moneta
  2. La banca centrale non è un organo indipendente, ma opera a servizio del governo
  3. I governi non hanno bisogno di ricevere le tasse prima di spendere
  4. Le tasse alimentano la domanda di moneta e servono da stabilizzatore per l’inflazione
  5. L’obiettivo primario del governo è la piena occupazione
  6. Debito pubblico = credito privato
  7. Il governo non può mai fallire nel ripagare un debito espresso con la propria valuta

Roberto Pecchioli - Il corrotto euroimbecille Pd composto da un coacervo di mafie massonerie clientele famigli clan consorterie cordate si uniscono per imporre il Politicamente Corretto nonostante i pezzi che lo stesso perde applicando censure ma continua il loro precipizio nel burrone, si schianteranno

Salone del libro. La democrazia totalitaria.

Maurizio Blondet 9 Maggio 2019 

di Roberto PECCHIOLI

I dittatori dello Stato libero di Bananas hanno colpito ancora. L’editrice Altaforte è stata espulsa dal Salone del libro di Torino. La democrazia è salva, molto meno la libertà. Dieci metri quadrati di esposizione dei libri editi da un esponente di Casapound mettevano in pericolo la gloriosa dittatura del politicamente corretto, del pensiero unico, del razzismo antropologico, dell’egemonia culturale. Grazie a Dio e agli indomiti partigiani della democrazia, no pasaràn! Il grido della pasionaria Dolores Ibàrruri deve aver risuonato nei riflessivi, colti, democratici cervelli dell’intelligencija nostrana, per l’occasione unita alle istituzioni torinesi e piemontesi. La consueta arma di distrazione di massa.

Ragioniamoci sopra, tentando, con la mente più fredda e razionale possibile, di capire. Innanzitutto, definiamoci per sottrazione. Guardiamo chi ci sta di fronte, comprendendo ciò che ci rende irrevocabilmente diversi. E’ un modo semplice di riconoscersi: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Noi non avremmo mai neppure immaginato di impedire la presenza fisica di un editore di tendenza opposta alla nostra a una pubblica manifestazione commerciale e culturale. Quelli che lorsinistri continuano a chiamare “fascisti”, con l’odio che torce lo sguardo, tranne poche eccezioni hanno imparato a loro spese l’amore per la libertà. Non puoi attraversare un’intera vita da emarginato per pregiudizi politici, antropologici, esistenziali, senza affezionarti al gusto della libertà, distinguendola dalla procedura, la sedicente democrazia di chi decide a priori chi può aprir bocca e chi deve tacere.

Solo chi ha sperimentato sulla pelle – sì, proprio la mia e la tua che mi leggi e pensi alla tua vita– l’odio altrui può essere immune da comportamenti dello stesso tipo. Per questo ringraziamo i censori di Altaforte e del giovane editore Polacchi. Grazie, perché ci avete ricordato che abbiamo l’obbligo di distinguerci da voi, opposti in tutto al vostro modo di essere. Grazie perché ci date la forza e lo stimolo per non cedere. Non possiamo lasciarvi campo libero, nonostante la voglia di smettere di lottare controvento.

Ringraziamo anche un esponente editoriale di ultrasinistra che ha detto la verità fino in fondo. “Non posso andare a pisciare e incontrarli.” Classe e democrazia, bon ton e tolleranza, ma soprattutto un’ammissione “animale”. Alcune specie segnano il territorio con l’urina. Nulla di diverso: il valente compagno “antifa” ha pronunciato parole di sincerità. L’Italia, la cultura, il dibattito, lo spazio pubblico sono cosa loro, proprietà indivisibile e indiscutibile. Negano un piccolo spazio a libri che neppure degnano di uno sguardo, temono la contaminazione, razzisti dell’anima, rifiutano ogni dignità alle idee perché tutto gli appartiene, il bene, il giusto, il vero. Non vogliono neppure vedere il volto di chi è altro da loro, la stessa esistenza di un “diverso” li perturba e fa scattare i riflessi peggiori.

Proibire libri, poi, avvicina ai nazisti, agli odiati preti dell’Indice e anche allo sceicco Rahman, un altro senza peli sulla lingua. Ordinando il rogo della biblioteca di Alessandria, disse che i testi in linea con il Corano erano inutili e quelli contrari dannosi, dunque andavano distrutti. Questi, evidentemente, sono i modelli di riferimento di lorsignori.

Esilarante, nella sua incoerenza, è un editoriale di Mattia Feltri sul quotidiano della Real Casa automobilistica torinese. Il fiero liberale si dice tentato di difendere i diritti di Altaforte, ma, dinanzi alle dichiarazioni di Francesco Polacchi, afferma di aver cambiato idea. E’ la solita storia: ostentano in astratto tolleranza e liberalità, salvo negarla in concreto, con le più speciose argomentazioni. E’ l’ora di riprendere un elementare concetto enunciato da Massimo Fini: in democrazia si colpiscono i comportamenti violenti, non le idee difformi. Ma qui sta la differenza tra l’idea di libertà e quella di democrazia.

Ha ragione Marco Della Luna, insisteranno sempre più, perché questa democrazia ha bisogno di affermarsi non come il bene, ma come unicum, dunque deve nascondere sfruttamento, violenza, indottrinamento, ineguaglianza sociale, creando un nemico contro cui scatenare, riunificandola artificialmente, la comunità. Ricordate René Girard e la sua teoria del capro espiatorio? Oggi tocca a Polacchi e ai suoi libri, tanto che nei suoi confronti è stato decretato l’interdetto massimo, la richiesta dei vertici delle istituzioni torinesi, il sindaco Chiara Appendino e il governatore Chiamparino, di processarlo per apologia del fascismo.

E’ ben strana, ma in fondo parte integrante della medesima strategia di mantenimento del potere ad ogni costo, l’attitudine di alcuni sinistri personaggi, maestri e talora apologeti del disprezzo delle leggi, che diventano campioni di legalismo allorché si tratta di invocare per via giudiziaria la repressione delle idee sgradite. Non è difficile, le norme le fanno loro, l’Italia e l’Occidente democratici (oh, quanto) le sfornano senza arrossire, la legge Mancino contro le “discriminazioni”, adesso l’omofobia, il sessismo e chissà che altro. Naturalmente, è libera la bestemmia, gradita l’iconoclastia, applaudita l’oscenità pubblica, ribattezzata trasgressione. Giornalisti di grido non si vergognano di nascondere la morte per mancanza di cure dei bambini greci vittime dell’austerità finanziaria. Nessuno invoca l’intervento dell’ordine di categoria, vale la regola di Giovanni Giolitti, per gli amici le leggi si interpretano, per i nemici si applicano. Quelle che colpiscono il pensiero più delle altre, vaghe e plastiche secondo opportunità e volontà, si possono tirare a piacimento, simili a una certa parte del corpo maschile.

Ma infine, che vogliamo, l’Italia e l’occidente sono cosa loro. Non a caso, le leggi penali non colpiscono altro dissenso che quello catalogato “a destra”. Grazie anche per questo, ci avete promosso a nemici unici del sistema ben oltre gli scarsi meriti. Per far tacere il dissenso, dispongono, oltreché dei tribunali – extrema ratio – di un doppio clero. Quello regolare degli accademici, dei colti, dei tenutari del potere mediatico e culturale (la rassegna torinese li rappresenta bene) e il clero secolare, i mazzieri dell’estremismo politico perennemente mobilitati per riflesso condizionato contro qualunque attività pubblica sgradita.

Abbiamo assistito per qualche minuto, cambiando rapidamente canale, ad un’intervista televisiva a Salvini di Lilli Gruber. Ci ha urtato il tono bellicoso, lo sguardo duro, l’ostilità manifesta, il rancore a stento trattenuto della famosa giornalista. Ogni tanto, ci deliziano con la loro involontaria comicità, ad esempio quando citano virtuosi con la mano sul cuore e la fronte leggermente corrugata, la frase attribuita a Voltaire, “non approvo ciò che dici, ma mi batterò sino alla morte perché tu possa continuare a dirlo “. Balle, sono illiberali come e più dei loro nemici. Anzi, poiché i loro padroni possiedono tutto, pretendono di scegliersi gli oppositori di comodo, gli unici a cui graziosamente concedono il diritto di parola.

Quante volte abbiamo ascoltato la litania di chi depreca che “in Italia ci sia questa destra”. Che meraviglia potersi scegliere gli avversari, o, come negli allenamenti dei pugili, gli “sparring partner” pagati per non affondare il colpo e stare attenti a non ferire il campione. José Ortega y Gasset scrisse che il grande vanto della democrazia liberale era rispettare e proteggere le minoranze, specialmente le più deboli. Se Don José aveva ragione, dobbiamo concludere che quella in cui viviamo non è una democrazia liberale e probabilmente neppure democrazia. Il loro modello sono le liste di proscrizione a carico di giornalisti e intellettuali sgraditi, è il turno di Buttafuoco, Giuli, Borgonovo, Scianca, Giubilei. La pessima tradizione risale alle guerre civili romane, Mario e Silla. L’ostracismo dei greci prevedeva almeno una votazione, questi signori se la cantano e se la suonano e guai se la vittima si azzarda a aprire bocca, come l’agnello di Fedro.

Cultura, poi, dovrebbe essere confronto di posizioni diverse, battaglia delle idee, contrapposizione. In democrazia, ci insegnano, si sostituisce la guerra aperta, la ragione della forza, con procedure civili che regolano lo scontro. Dovrebbe essere un perimetro a cui hanno accesso tutti, tranne i violenti. La vicenda del salone del libro dimostra per l’ennesima volta che le cose non stanno così. Il dissenso può essere espresso solo se china la testa e non contesta i fondamenti del loro potere, del loro orizz1onte. Democrazia in quanto comandate voi, imponete le regole e decretate le espulsioni, decidete per tutti ciò che si può – ovvero si deve – pensare e ciò che è vietato. Mezzo secolo fa gridavate “vietato vietare”, adesso siete alla proibizione di pensare altrimenti. Gran bella evoluzione, magnifica democrazia molto distante dalla libertà.

Lo ripetiamo ancora: nessuno ama la libertà più di chi se la vede negare nella pratica quotidiana. Noi affermiamo che nessun libro deve essere vietato, nessuna idea sottoposta a censura preventiva. L’antifascismo furente assomiglia ogni giorno di più al suo nemico. Solo il controllo totalitario di tutti i canali di comunicazione può perpetuare questo paradosso. L’odio non costruisce, può solo scavare nuovi fossati. Chi subisce la prova bruciante del pregiudizio, dell’esclusione, della discriminazione ha tre strade davanti a sé. Una porta alla sindrome di Stoccolma, assumere, per paura, comodità o vigliaccheria, le opinioni del persecutore. La seconda è il rifugio nel privato, farsi, come si dice, i fatti propri, abbandonare il campo. E’ quello che consigliano a mezza voce con ipocrita premura. La terza, non si illudano i falsi democratici e veri totalitari, è stringere i denti e non cedere il passo.

Questa è la nostra scelta: il vostro comportamento ci rafforza nelle convinzioni, se aveste ragione non vi servirebbero divieti, esigereste il dibattito per confutare il torto altrui. Un drammaturgo comunista, Bertolt Brecht, diffuse un brano di un pastore protestante divenuto celebre. Lo riproduciamo affinché ne prendiate atto e magari ricordiate il precetto cristiano di non commettere verso gli altri ingiustizie uguali a quelle subite.

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”. Noi protestiamo ancora, a voce alta e forte.

31 gennaio 2017 - Uscita dall'euro e Target 2 •  FEF Academy

9 maggio 2019 - DIEGO FUSARO: Interventi a "Coffeebreak" (La7)

9 maggio 2019 - I finti problemi tirano sempre

La boria degli statunitensi straripa, la loro cultura è solo fiamme e fuoco, poi non piangono e assumano comportamenti da vitttime

IL GOLFO PERSICO (ANCORA UNA VOLTA) SI INFIAMMA: IL PENTAGONO INVIA UN GRUPPO DA BATTAGLIA

(di Tiziano Ciocchetti)
09/05/19

Teheran ha annunciato che non rispetterà alcuni termini dell’accordo sul nucleare, firmato nell’aprile del 2015 con i paesi del gruppo 5+1, ovvero i cinque paesi che hanno un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU (USA, Cina, Russia, Francia e Regno Unito) e la Germania (l’Italia, uno dei maggiori partner commerciali in Europa dell’Iran, ne venne esclusa).

Un anno dopo l’annuncio dell’Amministrazione Trump di ritiro degli Stati Uniti dell’accordo, il presidente iraniano Rouhani ha dichiarato che l’Iran interromperà la dismissione dell’uranio arricchito e dell’acqua pesante inoltre, se l’accordo non verrà rinegoziato in maniera più favorevole a Teheran, questi ricomincerà ad arricchire l’uranio, passaggio fondamentale per la produzione di armi nucleari.

Con la reintroduzione delle sanzioni economiche, in seguito al ritiro americano dall’accordo, l’Iran ha visto scendere ai minimi storici la propria valuta nazionale, il riyal, il tasso di inflazione è quadruplicato e i molti investitori stranieri hanno portato i loro capitali all’estero.


Nonostante l’impegno dell’Europa per cercare di salvare l’accordo e mitigare l’effetto delle sanzioni, gli Stati Uniti hanno applicato un principio di extraterritorialità: qualsiasi società, ovunque abbia la sede, deve rispettare le sanzioni americane, nel momento in cui vengono utilizzati i dollari come moneta di transazione e quando le stesse aziende hanno succursali negli Stati Uniti o sono comunque sotto il controllo americano. In più, il Pentagono ha spostato la portaerei a propulsione nucleare Lincoln nel Golfo Persico, con il suo gruppo da battaglia formato da due incrociatori lanciamissili classe Ticonderoga, due cacciatorpediniere Aegis classe Arleigh Burke, due sottomarini d’attacco SSN classe Los Angeles più una nave appoggio.

Il Consigliere per la Sicurezza Nazionale John Bolton ha dichiarato che l’invio del gruppo da battaglia Lincoln “è un messaggio chiaro e inconfondibile al regime iraniano, perché ogni attacco contro gli interessi degli Stati Uniti o quelli dei suoi alleati riceverà una risposta con forza inesorabile”.

Foto: U.S. Navy / U.S. Marine Corps

giovedì 9 maggio 2019

Il Fanfulla per coprire sempre di più il lavoro sottotraccia del Giorgetti che continua a creare trame di potere e non solo è costretto a rilanciare a vanvera senza strategia ma solo tattica

POLITICA
09/05/2019 13:57 CEST

Salvini attacca su migranti e cannabis, Di Maio: "Siete in paranoia per i sondaggi"
Il ministro del Lavoro: "Basta provocazioni dal Carroccio". La Lega apre più fronti dopo la revoca di Siri

HuffPost

TONY GENTILE / REUTERS

Nella Lega “evidentemente dopo aver visto gli ultimi sondaggi che davano in ripresa il Movimento sono andati in paranoia”. Lo scrive su Facebook il leader di M5s Luigi Di Maio. “Non a caso - sottolinea - hanno ricominciato a parlare di grembiulini, armi, province e ora arrivano persino ad inventarsi che siamo a favore della droga (che è folle solo pensarlo). E vedrete che fra poco inizieranno a buttare in mezzo altre provocazioni. Mi dispiace davvero che si arrivi a questo, ovvero a sparlare di tutto pur di riprendere qualche voto in più”.

Dopo la revoca dell’incarico di sottosegretario ai Trasporti ad Armando Siri, la Lega ha aperto diversi fronti con l’alleato di Governo M5S: “Sulla giustizia è chiaro che i 5stelle hanno un atteggiamento diverso a seconda delle città evidentemente”. Così Matteo Salvini al Gr Rai alla domanda sul fatto che Armando Siri è stato fatto dimettere e Virginia Raggi no. Salvini nega anche che il governo sia a trazione M5S: “Il superamento della legge Fornero, la legittima difesa, il blocco degli sbarchi, la flat tax per le partite iva, le telecamere negli asili nido, la pace fiscale con Equitalia per 2 milioni di persone, sono nel programma della Lega ed è ciò che interessa ai cittadini”.

Lo stesso Salvini ha poi chiesto ai grillini il ritiro della proposta di legge sulla cannabis: “Combattere la droga significa anche combattere la mafia come dimostrano gli arresti delle ultime ore contro il clan Casamonica”. Così il vicepremier Matteo Salvini risponde a Luigi Di Maio chiedendo che “il senatore dei 5 Stelle Mantero ritiri la proposta sulla droga libera”. “Non è nel contratto di governo - conclude il ministro dell’Interno - e non voglio lo Stato spacciatore”.

Poi ha attaccato la ministra della Difesa Trenta sui migranti: il vicepremier leghista sta seguendo “la vicenda di una nave della Marina militare che, in acque libiche, ha raccolto 40 immigrati” e ha confermato che non darà l’autorizzazione allo sbarco in porti italiani. Quindi, senza mai nominare la ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, si è chiesto: “Perchè in acque libiche, peraltro pattugliate dalla guardia costiera libica, che ieri in pieno Ramadan, ha soccorso, salvato e riportato indietro più di duecento immigrati?”. Il ministro ha, dunque riaperto un nuovo fronte con la collega del M5s, con la quale aveva polemizzato di recente sul controllo dei flussi migratori e ne fa un nuovo caso: “O si lavora tutti nella stessa direzione - ha spiegato -, oppure non può esserci il ministro dell’Interno che chiude i porti e qualcun altro che raccoglie immigrati”. “Quindi è vero che bisogna chiarire alcune vicende all’interno del governo”, ha concluso Salvini, che ha parlato con i giornalisti a margine di un suo comizio elettorale in Piazza del Popolo a Pesaro.

Mogherini e gli euroimbecilli di tutte le razze un silenzio tombale sugli Stati Uniti che ha rotto senza motivo gli accordi con l'Iran e gli altri firmatari

Mogherini: l'Iran rispetti gli impegni
Ue, Germania, Francia e Gb rigettano 'ogni ultimatum'

© ANSA/EPA

Redazione ANSABRUXELLES
09 maggio 201910:18NEWS

(ANSA) - BRUXELLES, 9 MAG - L'alto rappresentante dell'Ue Federica Mogherini e i ministri degli esteri di Francia, Germania e Regno Unito prendono nota con "grande preoccupazione" dell'annuncio dell'Iran sul piano d'azione congiunto sul nucleare, rigettano "ogni ultimatum" e chiedono al Paese di continuare ad implementare gli accordi: è quanto si legge in una nota congiunta. I quattro ribadiscono anche il loro "fermo impegno" sull'accordo che elimina le sanzioni, e si rammaricano per quelle reintrodotte dagli Usa.

Di Maio sbanda paurosamente sulla Raggi che dimostra, ancora una volta di avere un retroterra culturale per essere una leader, vera statista del M5S. CasaPound è funzionale al corrotto euroimbecille Pd, tant'è che Veltroni da furbachiotto gli regalò la prebenda di un palazzo a Roma. CasaPound si credono intelligenti e sono usati sapientemente


TOLLERANZA 09 maggio 2019
Caro Di Maio, dicci con chi stai a Casal Bruciato. E se non difendi la Raggi, l’ultradestra sei (anche) tu 
Silenzio o mezze parole pesanti da parte di Di Maio sulla questione Casal Bruciato. Virginia Raggi andava appoggiata. Perché sta semplicemente applicando il diritto, oltre che l’umanità. E perché farsi complici dell’ultradestra significa semplicemente essere l’ultradestra 


«Prima i romani, poi tutti gli altri». Non sappiamo se l’abbia detta davvero così, Luigi Di Maio, a Virginia Raggi. Non sappiamo, ma non è arrivata mezza smentita alla presunta irritazione del capo politico dei Cinque Stelle nei confronti dalla sindaca di Roma, rea di aver concesso un alloggio popolare a una famiglia rom con dodici figli che aveva fatto regolare domanda per ottenerla e che aveva tutte le carte in regola affinché ciò avvenisse. Soprattutto, di essere andata di persona a Casal Bruciato a rivendicare la sua scelta e esprimere la sua solidarietà alla famiglia Omerovic, dopo che i militanti di Casa Pound e alcuni abitanti del quartiere erano arrivata a minacciarne l’incolumità, circondando l’abitazione e “promettendo” bombe in casa e violenze sessuali.

Non sappiamo se l’abbia detta davvero così, ma di certo dal Movimento Cinque Stelle non è arrivata alcuna manifestazione di sostegno e stima nei confronti della sindaca di Roma, che ha coraggiosamente sfidato la canea parafascista del suo quinto municipio, affermando un principio di diritto che dovrebbe essere ovvio, in un Paese normale: che l’alloggio popolare è di chi ne ha diritto per legge, non per sangue. E che non deve esistere nemmeno il sospetto che vi sia un amministratrice di case popolari vicina a Casa Pound - tale pare sia Daniela Basio, amministratrice dello stabile della discordia di Casal Bruciato - che chiede di discriminare una famiglia straniera per “non generare una rivolta da parte degli inquilini”.

Può essere che Di Maio non volesse ulteriori grane con la Lega, dopo la revoca delle deleghe al sottosegretario indagato Armando Siri. Può essere che abbia davvero paura che a Roma esploda una specie di guerra civile tra ultimi e penultimi e che le destre, dalla Lega a Casa Pound, possano beneficiare politicamente dall’esasperazione del clima. Può essere tutto, ma in una situazione del genere anche il silenzio è grave e vergognoso: perché quello di Casal Bruciato è un caso politico in cui bisogna prendere posizione, se si teme una deriva di ultradestra, come lo stesso Di Maio ha dichiarato qualche giorno fa.

Se non dici niente, o se addirittura fai filtrare indignazione, caro Di Maio, la deriva di ultradestra sei tu. Sei tu, che rappresenti l’elettore mediano, quello né di destra né di sinistra, che tolleri le violenze verbali e fisiche di Casa Pound. Sei tu che giustifichi con l’esasperazione le minacce all’incolumità di una famiglia che, semplicemente, sta esercitando un suo diritto. Sei tu che avalli la discriminazione su base etnica, legittimando l’idea che - parafrasando Orwell - ci siano maiali più uguali degli altri, esattamente com’è accaduto per le mense a Lodi e con lo stesso reddito di cittadinanza, la cui erogazione agli stranieri è tuttora vincolata alla prova diabolica di dimostrare certificati alla mano di non avere alcuna proprietà all’estero. Sei tu, caro Di Maio, che per paura o per opportunità avalli la discriminazione, l’intimidazione e il razzismo perché non vuoi sfidare lo spirito dei tempi.

La speranza è che la notte abbia portato consiglio. Che il buonsenso prevalga sui timori. Che oggi Di Maio dimostri la sua vicinanza e la sua solidarietà a Virginia Raggi e alla famiglia Omerovic, così come ieri ha fatto papa Francesco. Che si chieda semmai a gran voce una ricognizione delle assegnazione degli alloggi popolari romani, per togliere di mezzo il sospetto che siano discrezionalmente precluse a stranieri per paura di disordini sociali.

Che si persegua, con più forza ancora, l’integrazione delle famiglie rom attraverso la smobilitazione dei campi e il sostegno alla stanzialità dentro le case e fuori dai ghetti. Dovrebbero essere banalità, per una forza politica che vuole dimostrare la sua alterità rispetto all’alleato leghista e alla sua deriva a destra. Attendiamo fiduciosi.

Il Fanfulla ha sempre saputo di avere i piedi d'argilla che si chiamano Giorgetti, e ora paga pegno. L'abuso d'ufficio non si nega a nessuno neanche a Fontana

SIRI E FONTANA09 maggio 2019
Lega sull’orlo di una crisi di nervi: e ora Salvini si sente sotto attacco di giudici e poteri forti
Prima le inchieste su SIri e la revoca del sottosegretario. Poi, l’inchiesta su Attilio Fontana, dove spunta (di nuovo) il nome di Giorgetti. Infine i primi sondaggi che danno la Lega sotto il 30%. Per il Carroccio, segnali che la guerra è iniziata

Miguel MEDINA / AFP

Si sentono accerchiati, presi di mira, convinti che a questo punto della scena «una manina giudiziaria» voglia interrompere la stagione dell’esecutivo gialloverde. Dalle parti di via Bellerio, sede della Lega di Matteo Salvini, da giorni non fanno altro che ripetere frasi di questo tenore: «Il combinato disposto Movimento CInque Stelle-procure vuole impedire la nostra affermazione». Ed ecco che un alto dirigente del Carroccio si ferma in Transatlantico e la mette così: «Sembra una nuova Tangentopoli. In questo paese non siamo mai usciti dalla stagione del ‘92-‘93».

Prima l’inchiesta che ha coinvolto il sottosegretario Armando Siri, indagato per corruzione dalla Procura di Roma e legato a quel Paolo Arata che rispondeva a Vito Nicastri, re dell’eolico, a sua volta vicino al boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. A ciò sono seguiti quasi venti giorni di polemiche, di bracci di ferro fra Salvini e Di Maio, sfociati nella presa di posizione del premier Giuseppe Conte che proprio ieri ha revocato l’incarico di Siri sposando il giustizialismo dei pentastellati.

C’è un fil rouge che ha costretto i vertici della Lega ad aprire una riflessione. Entrambe le inchieste sfiorano il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, il deus ex machina del leghismo di rito salviniano

Poi l’altra indagine sulle tangenti in Lombardia che è arrivata fino al governatore leghista Attilio Fontana, oggi indagato per abuso di ufficio. Si tratta di un uno-due che scatena le ire del vicepremier Salvini al punto da fargli dire che «sono vergognosi gli attacchi all’uomo, all’avvocato, a un sindaco e a un governatore la cui onestà e trasparenza non sono mai state messe in discussione in tanti anni, né mai potranno esserlo oggi o in futuro. Confidando nel buon lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine milanesi - ha aggiunto il leader leghista - e evidenziando la necessità di punire eventuali singoli colpevoli, ribadisco con orgoglio i servizi che la Regione Lombardia offre da anni come modello europeo e mondiale ai suoi 10 milioni di cittadini, per efficienza e buona amministrazione».

Ma c’è un fil rouge che ha costretto i vertici della Lega ad aprire una riflessione. Entrambe le inchieste sfiorano il sottosegretario Giancarlo Giorgetti, il deus ex machina del leghismo di rito salviniano, il braccio destro del leader del Carroccio, l’uomo che più di ogni altro funge da anello di collegamento fra la Lega e le istituzione. In sintesi, è Giorgetti che dialoga con Mario Draghi, con Sergio Mattarella e con tutte le istituzioni che si definiscono tali. Va detto che Giorgetti non è indagato. Ma è stato lui ad assumere Federico Arata, figlio del re dell’eolico, alla presidenza del Consiglio. Ed è sempre lui che viene nominato due volte negli atti dell’inchiesta della Procura di Milano su un presunto sistema di corruzione.

A fare il suo nome sono il politico di Forza Italia, Gioacchino Caianiello, arrestato martedì, e Diego Sozzani, il deputato azzurro per il quale i pm hanno mandato al Parlamento una richiesta di arresto. Sono piccole scosse che destabilizzano la Lega di Salvini nei giorni, forse, più difficili del governo gialloverde. «Perché - mormora un leghista – se viene messo in discussione Giancarlo qui crolla tutto». L’impressione è qualcosa si stia muovendo. In quale direzione non è dato sapere. Certo è che il clima sta diventando irrespirabile a palazzo Chigi. I leghisti si sono sentono isolati e accerchiati. Anche perché per la prima volta girano sondaggi non positivi per via Bellerio che fotografano una Lega attorno al 29 per cento. Con un Pd in rimonta che sfiora il 23%. Da qui la preoccupazione, la sindrome del complotto. E la necessità di dover mutare l’azione politica. Se non addirittura l’esecutivo.

Antonio Socci - fino a che il fanfulla attaccava il M5S e questo lasciava correre tutto andava bene, quando dopo mesi per spirito di sopravvivenza (politica) si è rovesciato il rapporto, con discutibile buon gusto ci si lamenta


Posted: 08 May 2019 02:55 PM PDT


Sembra che il demone della divisione si sia impossessato dell’Italia politica (del resto il significato etimologico della parola “diavolo” è proprio “separare”, “opporre”, “produrre fratture”).

Tutti i giorni ci sono polemiche e nuovi contrasti fra le due forze al governo (soprattutto da parte del M5S contro la Lega, per recuperare voti). Poi divisioni a sinistra e nello stesso Pd dove la lotta intestina è un connotato strutturale, da sempre (in quanto coacervo di clan, mafie, massonerie, famigli, consorterie, clientele, cordate). Polemiche e contrapposizioni nel centrodestra per la spaccatura sul governo e su altro.

Forse dipende dalla campagna elettorale per le europee e pure dal fatto che in Italia si vota di continuo. O forse dipende da una grande fragilità di cultura politica e da una certa mancanza di lungimiranza che induce a pensare piuttosto al beneficio immediato di una polemica che non al bene futuro del Paese.

Un saggio (non è chiaro se sia stato l’americano James Freeman Clarke o il nostro Alcide de Gasperi ) diceva: “Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista guarda alla prossima generazione. Un politico pensa al successo del suo partito, lo statista a quello del suo paese”.

E’ utopico immaginare di mettere fine a questa guerra (in)civile permanente? Si può sperare almeno in una moratoria che sospenda le polemiche continue? La gente ne è stanca e questa potrebbe essere una ragione seria da considerare (anche per non perdere consenso).

Si dirà che è irrealistico sperarlo, specialmente durante una campagna elettorale che per sua natura getta benzina sul fuoco. Sembra un ragionamento sensato, ma a ben vedere non è del tutto vero.

Anzitutto perché questo voto europeo comunque non ha un’incidenza diretta sugli equilibri politici nazionali. In secondo luogo perché – nonostante la fumosità dei programmi di questo inizio di campagna elettorale, dove si parla di tutto fuorché di Europa – le posizioni dei vari partiti sono tutt’altro che lontane.

Sebbene il Giornale Unico del mainstream quotidianamente alimenti il (pre)giudizio universale e provi a incendiare le polveri del conflitto fra le due parti che il teatrino mediatico ha assegnato (sovranisti da una parte europeisti dall’altra), rappresentandolo come uno scontro apocalittico fra il Bene e il Male (e sappiamo che per i media il Male è il sovranismo), le cose stanno molto diversamente.

Intanto tutti, ma proprio tutti, ritengono e dicono che le istituzioni europee vadano cambiate e che c’è un grosso deficit di democrazia.

In secondo luogo è abbastanza generalizzato il giudizio negativo sull’attuale Commissione europea , al punto che perfino un candidato della lista Bonino, “Più Europa ”, la lista più oltranzista dell’eurismo , se n’è uscito con parole durissime sul presidente della Commissione europea Juncker.

Philippe Daverio (il candidato in questione) si è spinto fino a dichiarare che l’Europa è “una cosca franco-tedesca gestita da faccendieri lussemburghesi”. Poi, in altre interviste, ha spiegato che la Germania è “il vero problema dell’Europa” e che “lo strapotere tedesco uccide questo progetto. Esattamente come è accaduto nella seconda guerra mondiale”.

Al di là degli eccessi polemici di Daverio, è abbastanza condivisa l’idea che l’Italia non abbia finora difeso come doveva il suo interesse nazionale (a differenza degli altri paesi). Lo ha riconosciuto lealmente lo stesso Renzi per gli anni di governo del Pd (“abbiamo sbagliato a non difendere i nostri interessi nazionali”). 

Non sarebbe giusto e sensato che i leader dei diversi partiti italiani si accordassero almeno su questo? Potrebbe essere una sorta di patto nazionale : due o tre punti concreti da sostenere tutti insieme dopo il 26 maggio, in Europa , in difesa del nostro interesse nazionale.

Va detto che anche il giudizio negativo sulle dure politiche europee di austerità è abbastanza condiviso, perché i disastrosi risultati di queste scelte sono sotto gli occhi di tutti. Anzitutto nei dati economici che vedono l’eurozona in netto declino rispetto alle altre aree del pianeta. 

In secondo luogo c’è la controprova nei risultati eccezionali che la politica opposta (espansiva) di Trump sta conseguendo negli Stati Uniti.

Il drammatico caso, riportato all’attualità da Federico Fubini , dell’aumento della mortalità infantile in Grecia negli anni scorsi , dimostra che anche fra gli europeisti più entusiasti c’è una significativa riflessione critica sull’andamento delle cose.

Certo, non ci sarà l’accordo sul giudizio relativo all’euro , ma – cambiando il clima politico – anche la moneta unica domani potrebbe diventare un argomento su cui discutere laicamente, pacatamente, senza scomuniche e anatemi . Solo in base ai risultati (pessimi).

Del resto è noto che il giudizio negativo sull’euro non appartiene solo all’area della Lega (e a molti premi Nobel per l’economia), ma anche a una certa area della sinistra , italiana e non solo. 

Proprio l’altroieri, in un’intervista ad Agorà , anche l’economista francese Jean Paul Fitoussi , docente di economia all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi, ha ribadito il suo noto e argomentato euroscetticismo. E si tratta di un intellettuale molto stimato a sinistra. 

A dimostrazione del fatto che non ha senso una resa dei conti tra guelfi e ghibellini, perché l’analisi razionale della realtà avvicina e mischia le parti.

Potrà sembrare una spiazzante mossa del cavallo, ma se qualche leader politico lungimirante proporrà una sospensione delle polemiche e un patto nazionale per difendere, tutti insieme, l’interesse del nostro Paese in Europa troverà il consenso di moltissimi italiani, stanchi delle liti.