L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 27 luglio 2019

Il Sistema massonico mafioso politico vuole mungere soldi dallo stato e il M5S gli lo permette

TAV in Val Susa: dal tavolo dei bari se ne esce solo con le ossa rotte

26.07.2019 - Il Cambiamento

(Foto di Il Cambiamento)

E così anche la TAV in Val Susa, come era prevedibilissimo, finisce nelle fauci dei bari di professione senza se e senza ma. Siamo di fronte a uno spreco di soldi pubblici colossale. La TAV si farà in barba a qualsiasi senso economico, ambientale e sanitario.

Quando ci si siede al tavolo con i bari, è chiaro che si verrà spennati; pensare di spuntarla con gente con materassi di pelo sullo stomaco, messa in Parlamento da comitati di affari con potenze di soldi inimmaginabili, è qualcosa che va oltre la pia illusione. E così anche la TAV in Val Susa, come era prevedibilissimo, finisce nelle fauci dei bari di professione senza se e senza ma.

La TAV è uno spreco di denaro pubblico tra i più impressionanti che la storia italiana ricordi, un’Italia che piange miseria ma poi ha sempre soldi per qualsiasi grande e piccola opera inutile, così come quando da militare si fanno le buche e poi si riempiono, con la differenza che nella TAV si buttano miliardi di euro. Pensando che per la TAV la logica, i numeri, i dati inconfutabili potessero contare qualcosa, si è pure istituita una commissione ad hoc che ha decretato quello che chiunque che non ha interessi in gioco sa perfettamente da anni e che è emerso già da molti altri studi commissionati ad esperti, istituti di analisi e quant’altro. E cioè che siamo di fronte a uno spreco di soldi pubblici colossale.

Ma niente serve, perché la partita è truccata e i bari fanno quello che vogliono anche di fronte alle evidenze, ai fatti, ai numeri che dicono che l’opera non ha nessuna convenienza e solo costi. E quanto sia grande lo sprezzo per le persone e l’ambiente lo dimostra il fatto che tutto il balletto di cifre, pareri e contropareri verteva solo ed esclusivamente sulla convenienza o meno di questa opera. Che poi devasti l’ambiente e danneggi la popolazione è irrilevante, contano solo i soldi. Ma anche di fronte all’evidenza che sul lato soldi non c’è alcuna convenienza, la TAV si fa lo stesso perché non è un discorso di convenienza per lo Stato ma per chi con i soldi dello Stato mangerà. E visto che quelli che ci mangeranno sono potenti e hanno i partiti degli affari come loro referenti, la TAV si farà in barba a qualsiasi senso economico, ambientale e sanitario. Per i comitati di affari e i loro servitori che siedono in parlamento le persone sono solo cavie e l’ambiente una cloaca dove scaricare tutta la immondizia possibile, meglio se altamente inquinante. Business as usual e via andare.

Così la casta del partito degli affari ottiene due grandi risultati: un altro colpo decisivo sferrato al Movimento 5 Stelle (da sempre contrario alla TAV in Val Susa) con il capolavoro/beffa che è lo stesso Presidente del Consiglio Conte, vicino al M5S, a dire che la TAV si deve fare, e la creazione del prossimo nemico di turno che potrà egregiamente alternarsi agli immigrati a cui dare addosso. Così il popolo della val di Susa, che non si adegua ai diktat di chi lo vuole asfaltare e che è vittima di una lunga occupazione militare, sarà ancora più criminalizzato e represso. Ogni protesta, ogni voce contraria sarà tacciata di essere contro il “progresso” ovvero contro l’ingrasso del conto in banca dei soliti noti. Verrà creato il nemico pubblico su cui si concentrerà ad arte tutta l’attenzione e così di nemico in nemico si costruisce un paese in preda all’odio e alla paura.

A tutto ciò si aggiunge un ulteriore elemento che rende ancora più ridicola e farsesca la seppur tragica faccenda e cioè che le scuse per dire che la TAV si deve fare sono fantomatici finanziamenti europei (che ammesso mai ci fossero, comporterebbero comunque uno spreco di miliardi di euro pubblici) e che il presidente francese Macron la vuole fare.

Ma come? Ma l’Europa non era il mostro terribile da abbattere? Non era la causa di tutti i nostri mali? E la Francia di Macron? Non era Belzebù in terra? Il nemico numero uno, quello che non si vuole prendere gli immigrati, quello per cui la sua politica coloniale in Africa fa sì che gli immigrati vengano nel nostro paese? Improvvisamente tutto dimenticato.

Ci si inginocchia ai voleri di Macron e dell’Europa da veri guerrieri cuor di topo “padroni a casa nostra”. E anche questo dimostra ancora una volta che la casta del partito degli affari prospera solo ed unicamente grazie a una propaganda che può far credere qualsiasi cosa alla gente e dove si può dire e fare tutto e il contrario di tutto anche dalla mattina alla sera, al cui confronto le teorie di Orwell sulla manipolazione mediatica erano scherzetti per bambini.

Pensare che la casta del partito degli affari possa giocare pulito e credere a una impossibile mutazione genetica di chi è nato, lavora e vive esclusivamente per servire precisi interessi calpestando tutto e tutti, è un mistero a cui ancora non è data risposta. E se ci si crede, non si può poi piangere sulla malafede altrui visto che al tavolo dei bari c’è un solo e unico risultato: uscirne con le ossa rotte.


Diritto internazionale fottiti - Turchia e Stati Uniti si vogliono rubare un pezzo di Siria

Damasco condanna l'accordo di frontiera USA-Turchia nel nord della Siria


Damasco condanna fermamente qualsiasi accordo Turchia-USA per creare una "zona sicura" nel nord della Siria definendola una "violazione della sua sovranità".

"La Siria esprime la sua ferma condanna delle continue e distruttive interferenze degli Stati Uniti nei suoi affari (interni), poiché mira a prolungare e complicare la crisi", ha riferito una fonte del ministero degli Esteri siriano all'agenzia di stampa ufficiale SANA.

Il funzionario, citato in forma anonima, ha riaffermato il rifiuto categorico di qualsiasi patto siglato tra Ankara e Washington per creare una zona cuscinetto nel nord della Siria, un fatto che rappresenta una "sfacciata aggressione contro l'integrità territoriale e l'unità nazionale della Siria ".


L'accordo è in effetti "una flagrante violazione dei principi del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite (Organizzazione delle Nazioni Unite)", ha sottolineato.

La reazione siriana arriva dopo che la Turchia ha continuato a discutere della creazione di una zona di smilitarizzazione lungo il confine turco-siriano dopo aver minacciato di lanciare un'altra offensiva transfrontaliera contro le milizie curde-siriane, elencate come "terroristi" da Ankara.

La stessa fonte diplomatica siriana aggiunge che il pretesto della lotta antiterroristica sollevata da Ankara contraddice le manovre politiche della Turchia, che è stata un "fondamentale" supporto al terrorismo dallo scoppio del conflitto siriano nel 2011.

"La Siria, che ha affrontato tutte le forme di terrorismo per otto anni, continuerà i suoi sforzi per perseguire i resti del terrorismo fino a quando non sarà completamente sradicato da tutto il suo territorio", ha avvertito.

Fonte: SANA
Notizia del: 26/07/2019

Cassa depositi e prestiti. Una volta che ti sei arruolato in un partito si perde la capacità propulsiva che si ha e ci si accoda alle peggio nefandezze. Bagnai Borghi Paragone...

Cdp, spinte su Sapelli e mal di pancia dei sindacati

Per sostituire il consigliere Grant, eletto con la Lega al parlamento Ue, Salvini spinge per il professore ipotizzando per lui un futuro da presidente. Mentre la trattativa con Salini per il polo delle costruzione è in salita.

Redazione
26 Luglio 2019 09.52

Non c’è pace per Cdp. In ballo, da un lato, ci sono gli assetti di vertice, ora scossi – dopo i lunghi tira e molla sulle eventuali dimissioni del presidente Massimo Tononi, in forte e continuo contrasto con l’ad Fabrizio Palermo – dalla necessità di sostituire il consigliere d’amministrazione Valentino Grant, che è stato eletto al parlamento europeo nelle file della Lega, ed è dunque costretto a lasciare. Dall’altro c’è un una forte presa di posizione sindacale che critica la gestione del personale.

LEGGI ANCHE: Per la presidenza Cdp Profumo pensa a Iacovone

LE PRESSIONI LEGHISTE SU CDP

Nel primo caso assisteremo all’ennesima forzatura del governo su Cdp. Finora Palermo inizialmente riveveva messaggi messaggi da Stefano Buffagni, il sottosegretario pentastellato che per lungo tempo è andato dicendo in giro di essere il padrone della Cassa – ma dalle elezioni europee in poi ha virato sulla Lega, cercando contatti con Giancarlo Giorgetti e Matteo Salvini. Ed è da quest’ultimo che arriva il diktat sulla sostituzione di Grant, che a suo tempo era stato lo stesso vicepremier a pescare, su suggerimento del senatore Raffaele Volpi, che tira le fila della Lega al Sud, dalla presidenza della Banca di credito cooperativo di Casagiove, nove filiali nel Casertano.

Il professore Giulio Sapelli.
SALVINI PUNTA SU SAPELLI

Salvini vuole a tutti i costi Giulio Sapelli, l’eccentrico e incontrollabile economista che a suo tempo era stato in ballo persino per Palazzo Chigi. Una scelta fatta con l’idea che se Tononi se ne dovesse davvero andare, potrebbe essere lui il presidente (ma cosa direbbero le Fondazioni, cui spetta indicarne il nome?). E anche per arginare il vicepresidente Luigi Paganetto, amico personale del ministro Giovanni Tria, che Palermo ha messo sul banco degli imputati dal collegio sindacale e dall’organismo di vigilanza per una improvvida intervista in cui riapriva il dossier Alitalia.

IL MAL DI PANCIA DEI SINDACATI

In questo bailamme è piombato come un fulmine, fatto senza precedenti, un lungo comunicato di Fabi First-Cisl, Fisac-Cgil e Uilca, ospitato da qualche giorno sulla intranet di Cdp. Che poi del classico comunicato sindacale ha ben poco, a cominciare dall’esordio: «Capita a chiunque di noi, completamente assorbiti dalle quotidiane attività lavorative…». Ma il seguito è durissimo: una pesante quanto corporativa requisitoria nei confronti della gestione di Cdp. Non esistono piani di carriera e non si investe nella formazione, lamentano i sindacati. Nel codice etico di Cdp si garantiscono pari opportunità a tutti i dipendenti senza distinzione di genere, appartenenza, razza, religione eccetera, ma «stiamo assistendo a una sistematica mortificazione professionale ai danni dei colleghi con riconosciuta esperienza e serietà, ma che hanno più di 40 anni». Largo ai vecchi, insomma.

Read more at https://www.lettera43.it/cdp-sapelli-tononi-sindacati-fabrizio-palermo/#pa6yOd5v4TX48c6J.99

e sul Tav è morto il M5S, il loro essere nulla è stato smascherato, niente più scusanti


5 stelle nel buco nero NUN TE REAGGAE PIU’ La Storia in farsa: Di Maio, l’Occhetto del MoVimento, Conte, il suo Napolitano

Davide 25 Luglio 2019 , 22:00 

DI FULVIO GRIMALDI


Quos vult Iupiter perdere, dementat prius (A coloro che vuole rovinare, Giove toglie prima la ragione)

“Come può un movimento proseguire nella sua azione di cambiamento della Cosa Pubblica? Necessariamente attraverso un continuo attacco al pericolo numero uno della collettività: il pensiero dominante, la forma di fascismo più pericolosa del XXI secolo”. (Alessandro Di Battista, “Politicamente Scorretto”, edizioni Paper First)

Prima del diluvio

Si stava al fresco, iniziando, con l’aiuto di Speck, succhi di mela, automobilisti rispettosi, gerani ai balconi, gente senza cellulari sui sentieri, abeti rossi e praterie di trifoglio, l’adattamento al salto dai consuetudinari 380 metri ai quasi 2000. Arrivavano, dalla bottega alimentare che mi consegnava la mazzetta dei giornali, le solite notizie appassionanti confezionate dalle eccellenze del giornalismo nostrano traendone i materiali da territori tra il deserto, la palude e i letamai. Grazie alle ottime condizioni ambientali, spirito e corpo riuscivano a tenergli testa.

Statunitensi, ammattiti per gli scacchi di Venezuela e Siria, che sbattevano furiose sciabole su tonitruanti scudi in mezzo al Golfo; Elisabetta Due che, in ansia competitiva con l’omonima numero Uno, rilanciava pirati alla Drake contro petroliere da razziare; eletti europei che, in cambio di guiderdoni, cavolini di Bruxelles e foie gras di Strasburgo (da oche inchiodate quanto loro al patibolo della libertà), si prestavano a formare un “parlamento” che era tale come Salvini è Bismarck; l’inestinguibile flusso di zozzerie, volgarità, malandrinate e imbecillità Lega e PD che continuava a scorrere ai piedi degli italiani fermi e impassibili sulla sponda del fiume (mai un cadavere); i tg nazionali che al confronto di quelli tedeschi, francesi, russi, nigeriani (pure disponibili nel maso) parevano Sfera Ebbasta contro Aretha Franklin, tanto che ci si riprendeva solo alla vista del canale provinciale con i suoi jodel e i suoi caduti dalla bicicletta.

Il masso di Sisifo

Più arduo sostenere l’accanimento alla Sisifo con cui dovevamo riportare in alto la nostra fiducia nella capacità del fiorettista Di Maio di reggere al clavista Salvini, man mano che il punteggio nel masso che irrimediabilmente tornava a rotolare giù: la cacciata a Torino di un’eccellenza di vicesindaco per aver voluto scongiurare, nel solco della tradizione 5 Stelle, l’offesa di rombanti ferraglie automobilistiche alla strisciolina di alberi, malmenati dallo smog 365 giorni all’anno, che lassù chiamano Parco del Valentino; l’atteggiamento del topino in fuga dal gatto sulla questione dello sfasciaitalia dei patrioti leghisti che, alla vista della demolizione controllata della casa, si accontenta di portarsi via il suo pezzetto di formaggio (la scuola); il plauso prossenetico all’ectoplasma tardo-DC, Sassoli, presidente dell’Europarlamento e il voto autocastrante al pitbull da guerra Ursula von der Leyen… e via incorporando cetrioli.

Ci si aggrappava al dato che, a parte il pupazzo acchiappavoti anti-migranti, i 5 Stelle erano stati gli unici a non dare dell’Antigone alla torpedine anti-italiana infilata nel Mediterraneo da Merkel e Soros, brava figlia nel nome del padre Ekkehart. Ekkehart Rackete di lei dichiaratosi orgogliosissimo, nonché ex-colonello della Bundeswehr e attivo nei settori Sicurezza e Investigazioni (leggi Intelligence) per la Dr.FehrGmbH, e produzione ed export di armamenti per la Mehler Engineered Defence. Intelligence e armamenti che sicuramente avranno contribuito a far arrivare qualche africano sui gommoni “salvati” da Carola.

La famigliola Rackete

Ripartiamo. S’era finito di stare al fresco e al verde relativamente incontaminato, ambientale e comportamentale e si era tornati tra le pietraie arroventate del nostro perenne malessere, ambientale e comportamentale. La combinazione tra trauma da rientro e la costellazione dei cinque corpi celesti, che per un po’ aveva illuminato le nostre oscurità, precipitato in un buco nero, è stata la mazzata finale.

Hanno fatto tutto da soli

Gli sbruffi anti-M5S dello sbruffone rignanese con le braghe alle caviglie sono passati come tuoni lontani che sembrano ronfi, senza lampi e senza pioggia. Quelli del fratello sfortunato del commissario Montalbano stanno alle esternazioni dei suoi avversari come Antonio Razzi sta a Cicerone. La guerra termonucleare dei media e dei sinistridestri a edicole, schermi e partiti unificati (l’unica Grande Destra) contro i 5 Stelle, se ha avuto qualche effetto tra la gente, ne ha conservato e rafforzato il consenso. Così come l’accanimento dei vignettisti satirici, da Vauro a Natangelo a Mannelli a Biani, eccetera, passati dal graffiare i potenti a sfottere chi ai veri potenti si oppone. La morte è sopravvenuta per suicidio. Il sì al TAV, un coacervo di infamie politiche, economiche, ambientali, infrastrutturali, morali, legali, da ridurre Tangentopoli, anche con le porte spalancate sul malaffare che consacra per i secoli a venire, a un furto di polli. Un assist a Salvini e a tutto ciò che il magliaro delle magliette ad hoc rappresenta in termini di distruzione dell’Italia, legale, morale, ambientale, culturale, civile, nazionale. O questo bubbone viene rimosso, a partire dai resistenti No Tav e di quanto rimane di luce nelle 5 Stelle, o siamo alla “fine della storia” di Fukuyama, almeno per l’Italia. Ciao Dante.

Una nuova cravatta per Di Maio

Il male si mangia il bene

Il parecchio buono fatto, a dispetto di sinistri in trance e al soldo imperial-liberista, alla faccia di sindacalisti da Opera dei Pupi, spazzato via da un Conte azzeccagarbugli e da un ragazzotto rampichino, brillante scalatore, esperto di traguardi volanti, ma sconoscente di territorio, morfologia, storia, percorso e momenti cruciali che fanno vincere il giro. Reddito di cittadinanza, decreto dignità, salario minimo, legge spazzacorrotti, integrità collettiva assoluta e senza uguali e precedenti nella storia patria… Tutto finito nel buco nero con cui la classe dirigente più corrotta di per sé e nelle istituzioni in cui s’infila, dalla magistratura all’imprenditoria, dal sindacato ai media, sta sventrando il paese. A partire da Val di Susa, dal TAP, Terzo Valico, Muos amerikano, vaccini obbligatori, tutta roba che ieri andava disfatta e che ora risulta irreversibile, salvo penali da mandarci in default non una, ma tre volte. Menzogna sesquipedale, dato che le illegalità, la mafiosità, le violazioni di norme ambientali, la corruzione e, nel caso del Tav, la clausola anti-penali negli accordi, avrebbero resa vano qualsiasi tentativo di rivalsa.

Cos’è successo? E’ successo che, come Landini ha buttato la maschera del Capitan Fracassa e non si è rivelato null’altro che il feudatario della marca sindacale sotto controllo dell’Impero confindustriale, così il Di Maio del cambiamento, già sospetto per cravattino e giacchetta di antica ordinanza, se ne è uscito democristiano intrecciato al paradigma dell’esistente. Più Occhetto che Renzi, della coppia dei demolitori del proprio esercito ha assunto, nella ripetizione farsesca, ma non per questo meno tragica per noi, l’ostinato rifiuto di andarsene, dopo aver quasi dimezzato in appena un anno le fila di quell’esercito. Cose che succedono e vengono tollerate solo da noi.

Quanto a Conte Giuseppe, novello largointesista alla Napolitano, illustre avvocato che l’omino dell’uno vale me e che non dice mai “noi”, ma sempre e solo “io, io, io”, aveva messo lì in nome del suo movimento, aveva già fornito garanzie decisive, sia a Washington che al Quirinale. Prevarica la dichiarata neutralità del suo governo precipitandosi ad accreditare Guaidò legittimo presidente del Venezuela, si pone al seguito dell’intervento colonialista sub-Nato dell’UE nel Golfo, fatto passare per “missione di sicurezza” e, poi, frigge di soddisfazione all’elezione di una Juncker femmina, blù di sangue, nera di austerity, dal tasso alcolico minore e dalle zanne più affilate. Assolutamente inconcepibile l’approvazione data da lui e Di Maio all’ennesimo colpo di mano autocratico e privo delle più elementari foglie di fico democratiche della nomina dei quattro bonzi UE imposta dal duo carolingio al comando delle nostre vite. Di cui veramente significativi solo la pregiudicata (poi in virtù di Macron assolta) Lagarde, cara in particolare ai greci e a chi ne è debitore, e la ministra della guerra von der Leyen. A noi è rimasta la ciliegina sulla torta: presidente del Parlamento il mio ex-collega al TG3, Davide Sassoli, che poco faceva, ma molto irrideva dal suo scranno di raccomandato DC. Ma, si sa, quest’anno le ciliegie sono venute male.

Prima dichiarazione di Von der Leyden, dopo l’elezione a capo della Commissione, vinta grazie solo agli “euroscettici” 5 Stelle, più o meno così: “Merkel sarà pure la mia madrina, ma che si guardi bene dall’irritare Trump, Washington, la Nato e il mio rottweiler e compiacere Putin insistendo sul Nord Stream II”. A Conte , già bistrattato da buffo fantaccino agli ordini dei generali Salvini e Di Maio, il riconoscimento più prestigioso è venuto dal noto selezionatore di centrattacchi per la Nazionale: da Berlinguer, attraverso Renzi e Berlusconi, a Conte. Per Eugenio Scalfari, dall’altro ieri, Conte è “il nuovo Moro”, come lui salvatore del paese attraverso la ricomposizione degli opposti. All’avvocato sono arrivati i capponi di Renzo, pardon, di Eugenio.

Conte e Di Maio intercettati

Abbiamo anche noi i nostri trojan, cosa credete. E abbiamo intercettato il dialogo tra Di Maio e Conte alla vigilia del patatrac del 25 luglio (data di rivolgimenti storicamente collaudata).

Perseverare diabolicum

Ciao Gigi, ciao Beppe. Beppe, qua ci giochiamo il governo. Tranquillo, Giggino, è tutto sotto controllo, ce la caviamo. Magari tu, che ormai piaci anche a Scalfari e a Boccia, ma io rischio di finire sotto il treno. Guarda, si fa così: io mi prendo la responsabilità di farlo partire quel treno, ma me la cavo inventandomi gigantesche penali da pagare e giurando che UE e Parigi tireranno fuori un mucchio di soldi mentre noi non metteremo che pochi spiccioli. Ma non è vero niente, né le penali, né i soldi! Lo dice anche l’analisi costi-benefici! E poi, lo capisci o no che noi sul NO TAV ci abbiamo costruito fiducia, voti, governo e fortune varie! E ve li manterrete, oddio, magari con qualche piccolo contraccolpo. Domani vado al Senato e dò una passata di amuchina ai foruncoli russi di Salvini. Voi fate gli indignati e uscite dall’aula. Poi ci si vede tutti da Giolitti. Ma, Pippo, il treno, il treno…! Tranquillo, Giggino, intanto abbozzi, ma ti rifai alla grande promettendo che quel treno dovrà passare per il parlamento dove, a votare no contro tutti, farai un figurone. E il governo andrà, il treno pure e anche voi, seppure con qualche stella appena appannata. Sei sicuro, Giuse? Ma poi c’è la questione delle autonomie differenziate e lì addio altre stelle, resteremo al buio? Qualcosa ci inventeremo anche per quelle. Ad agosto, si sa, in Italia passa tutto, altro che treni, interi modelli di sviluppo. Io mi vedo con Ursula e Christine che ci devono ricambiare i pasticcini. Tu intanto vai a cena con Matteo, omnia munda mundis! Cosa? Vado. Ciao Giuse.

C’eravamo tanto amati

Ho letto l’ultimo libro di Alessandro Di Battista, felicemente, eversivamente, titolato “Politicamente scorretto”. A mettere l’uno accanto all’altro, i due dioscuri del MoVimento, con le rispettive facce, parole, non ci si riesce a capacitare che si chiamino vicendevolmente “fratelli”. Per quanto fossero tali anche i figli di Adamo. A me pare che si debba smettere di pensare, come pensa lui, che il M5S sia tutto Di Maio. Fin da quando ho condiviso la battaglia, di valle, regione, nazione, Europa, mondo, dei No Tav, dei suoi combattenti, della sua immensa comunità, dei suoi protagonisti come Alberto Perino (vedi il docufilm “Fronte Italia, partigiani del Duemila”), e poi le altre lotte che scorrono come vene per tutto il corpo del paese, gli attivisti, il popolo dei 5 Stelle, i suoi elettori, dimostravano di essere il più forte antidoto ai tumori innestati da fuori e sviluppati da dentro. Non possono tutti essersi spenti. Si diano una mossa.

Se rinnoviamo la salutare pratica costi-benefici del benemerito e mai smentito ingegner Marco Ponti e l’applichiamo al governo detto gialloverde, otteniamo uno zero benefici e costi altissimi per la componente verde e una bilancia in precario equilibrio per quella gialla. Questo, fino a l’altro giorno. Quando Mattarella avrebbe avuto ancora qualche esitazione a proclamare “o UE, o USA, o Nato o niente”. Con il voto a Ursula von der Leyen e il passi al TAV, questo governo e quello che noi tutti abbiamo pensato fossero i 5 Stelle sono diventati incompatibili.

Un saluto ad Alessandro Di Battista, Nicola Morra, Paola Taverna, Alberto Airola, Roberta Lombardi, Gianluigi Paragone, tanti altri e, speriamo bene, Virginia Raggi.

“E’ proprio quando non si ha più nulla da perdere che si ricomincia a vincere” (Alessandro Di Battista, “Politicamente scorretto”)

Fulvio Grimaldi



25.07.2019

NoTav - un'opera inutile costosa dannosa. Dove è caduto in maniera irreversibile il M5S

Sondaggio: sei favorevole alla costruzione della Tav?

26 Luglio 2019 - 11:18 

Un sondaggio per chiedere ai lettori se sono favorevoli o contrari alla Tav, con la linea ad alta velocità Torino-Lione che è tornata al centro delle polemiche politiche dopo il via libera da parte di Conte e le proteste dei 5 Stelle.


Sondaggio: sei favorevole alla costruzione della Tav? Dopo la presa di posizione da parte del premier Giuseppe Conte, che ha dato il suo disco verde visti i nuovi finanziamenti europei che ridurrebbero i costi a carico del nostro paese, il progetto della Torino-Lione sembrerebbe ormai essere destinato ad andare verso il via libera definitivo. Chi però continua a difendere le tesi dei contrari all’opera è il Movimento 5 Stelle, pronto a chiedere un voto Parlamentare che rappresenta ormai l’unico modo con cui si può bloccare un iter già avviato.


Con questo sondaggio, che non ha valore scientifico non essendo stato realizzato a campione ma soltanto indicativo, vogliamo chiedere direttamente ai nostri lettori se sono favorevoli o contrari alla Tav.

Da anni i vari governi non fanno altro che rimandare la decisione definitiva sulla linea ad alta velocità che andrebbe a collegare Torino a Lione, con il percorso totale di 270 km quasi del tutto in galleria (l’89% del totale) che per 189 km interessa il territorio francese mentre per i restanti 81 km quello italiano.

Adesso però non è più possibile temporeggiare ancora, con il governo che per non perdere i fondi europei ha dato via libera a Telt (l’azienda italo-francese che gestisce il tunnel dell’alta velocità) di pubblicare le manifestazioni di interesse per i bandi di gara dei vari appalti. Soltanto una legge ad hoc votata dal Parlamento entro l’autunno può fermare il via ai lavori, visto che in ballo ci sarebbero dei trattati internazionali da dover annullare.

Leggi anche Quanto costa la Tav
Il sondaggio sulla Tav

Difficile trovare nella storia del nostro paese un’opera pubblica che così tanto abbia diviso l’Italia. Fin dalla presentazione del progetto, nel lontano 1990, subito infatti si sono formati vari comitati di protesta, poi confluiti in un unico movimento denominato No Tav, contrari alla Torino-Lione.


Per capire meglio i motivi di questa disputa che ormai va avanti da quasi trent’anni, abbiamo così sintetizzato le tesi portate avanti dai favorevoli e dai contrari alla Tav.

Perché sì
  • Dimezzamento tempi di percorrenza: per raggiungere Parigi da Torino serviranno poco più di 3 ore di viaggio invece delle attuali 6 ore e mezza.
  • Maggiore connettività con l’Europa: Londra, Parigi, Madrid, Milano e Barcellona sarebbero tutte collegate tra di loro con l’alta velocità.
  • Incremento trasporto merci su ferrovia: l’attuale linea in funzione ha una pendenza troppo elevata e una capacità di traino non adeguata al trasporto moderno.
  • Diminuzione dei camion in strada: drastico calo dei 3 milioni di mezzi pesanti che ogni anno attraversano il confine Italia-Francia, con il trasporto che passerebbe su ferro.
  • Posti di lavoro: i cantieri dovrebbero occupare 6.000 persone tra lavoratori diretti e indiretti, una volta in funzione la Tav invece andrebbe a creare 500 posti di lavoro.
Perché no
  • Costi: la relazione tecnica sul rapporto costi-benefici per la Tav ha stimato una possibile perdita tra i 5,7 e gli 8 miliardi per lo Stato.
  • Impatto ambientale: presenza di uranio, radon e amianto nelle aree dove si dovrà realizzare il tunnel di base del Moncenisio lungo 57,5 km.
  • Opera inutile: il trasporto merci nel traforo ferroviario del Frejus è calato da 9 milioni di tonnellate del 2000 ai 2,9 milioni del 2016.
  • Risorse da utilizzare altrove: con i soldi preventivati si potrebbe sistemare la rete nazionale e locale invece che finanziare un singolo progetto.
  • Lavori non iniziati: per il tunnel di base sono stati scavati 25 km di gallerie tecniche, di cui solo 6 km riadattabili per far transitare la linea.
Adesso però anche questa annosa vicenda sarebbe vicina al suo epilogo: il governo gialloverde con varie lettere ha confermato la propria volontà di andare avanti con l’opera, con l’iter per l’avvio dei lavori, a meno di uno stop nei prossimi mesi tramite una legge parlamentare, che andrà avanti regolarmente.

Di fronte a questa situazione il movimento No Tav è subito tornato sul piede di guerra, con la manifestazione in programma sabato a Chiomonte che dovrebbe mobilitare migliaia di persone.

Nonostante il parere contrario del Movimento 5 Stelle, sembrerebbe essere ormai quasi impossibile bloccare l’opera: anche in caso di un voto in Parlamento, il fronte dei favorevoli (Lega, PD, Forza Italia e Fratelli d’Italia) potrebbe contare su una netta maggioranza.

In politica però non si può dare mai nulla per scontato, con le prossime settimane che ci separano dalla pausa estiva delle Camere che saranno decisive per il definitivo via libera della Tav Torino-Lione.

venerdì 26 luglio 2019

NoTav - la festa inizia

agenda, post — 26 Luglio 2019 at 11:59


Dopo mesi di intensa preparazione è iniziato il Festival Alta Felicità. All’interno di un contesto politico che ci ha restituito la decisione del governo di proseguire con il Tav, ancora più forte è il senso di partecipazione collettiva e palpabile è la determinazione nel voler ribadire, una volta in più, che fermarlo tocca a Noi!

Siamo al quarto anno di edizione del festival e come e più di prima il coinvolgimento dei No Tav di tutta Italia si percepisce sin dal primo giorno. Cominciano a riempirsi le aree tende e in moltissimi sono già arrivati con i camper per trascorrere i 4 giorni di festa e di lotta che ci attendono con lo spirito No Tav che ci contraddistingue da sempre : determinazione, serenità e consapevolezza di essere dalla parte giusta. 

Durante il giorno si respira un’aria rilassata, chi monta la tenda, chi cerca riparo dal sole sotto i tendoni, chi ne approfitta per fare una gita al torrente o alle pozze.


Un’atmosfera di attesa ma anche di preparazione, in particolare per la marcia annunciata per sabato 27 luglio alle 13,30 dal campeggio di Venaus quando in tanti e tante si partirà dal campeggio per raggiungere il cantiere. Questa data vedrà tanti No Tav provenienti da ogni dove ribadire con orgoglio le parole d’ordine della nostra lotta, il fatto che “non ci sono governi amici” e che non accettiamo che qualcuno possa pretendere di distruggere il nostro territorio e le nostre vite per meri interessi economici. Sono quasi 30 anni che lottiamo con orgoglio e coraggio, consapevoli di avere molti nemici nelle istituzioni e nei luoghi di potere ed interesse, ma tanti compagni di viaggio che in questi anni hanno sognato un futuro diverso, non solo sul tema delle grandi opere, ma su ogni aspetto che riguarda la vita di ognuno di noi. Aspettiamo tutti sabato per marciare verso il cantiere!


Così al ritmo dei sound check, il pomeriggio volge al termine riempiendo i gazebo dei bar e gli stand gastronomici.

Ma è quando iniziano i concerti che veramente si sveglia il festival, con una line-up ricca e impossibile da riassumere. Con un inizio potente l’Orchestra di Piazza Vittorio e BandaKadabra da fuoco alle polveri, si susseguono sul palco decine di artisti tra cui Eugenio Finardi e Lo Stato sociale. Con l’arrivo degli afther show, ci si scatena sotto la guida di Ensi e dei The Sweet life Society che fino a notte inoltrata ci regalano rap, dancehall ed electro-swing.


la democrazia poggia sulla certezza del diritto e viene messo in pericolo quando la legge speciale prevale su quella generale

LE RAGIONI NON PERSONALI DELLE DIMISSIONI DI CANTONE DALL’AUTORITA’ ANTICORRUZIONE (di Nino Galloni)


Se l’attività dei cantieri viene bloccata dalla lotta contro la corruzione ovvero, senza bloccarli, la corruzione dilaga, allora non c’è speranza.

Ho assistito – per oltre sessant’anni – alla lotta contro la corruzione in Italia: fin da bambino, sentivo mio padre urlare “Questo non si può fare!” “E’ da galera!” oppure “Non dovete affidare senza una gara pubblica!”; diventato grandicello, ho cominciato ad occuparmi di politica e di economia e, già funzionario di ruolo ad un ministero finanziario, mi era fatto un’idea che – poi – ho mantenuto inalterata per decenni. La lotta alla corruzione si deve fare modificando la struttura del Paese: meno dipendenza dei cittadini, istituzioni e funzionari liberi da lacci e lacciuoli ma controllabili, separazione tra chi è responsabile della gestione e i politici (che devono indicare solo gli obiettivi generali ed osservare che si raggiungano).

In oltre trent’anni di alta dirigenza (sono in pensione da poco più di un anno) ho visto, invece: peggiorare le condizioni degli Italiani dopo gli anni ’80; aumentare il potere e l’ingerenza dei politici verso la fine degli anni ’90; intensificarsi e complicarsi la rete dei controlli fino al punto di massima inestricabilità; mandare a casa una classe dirigente politica che era corrotta, sì, ma che rubava su profitti, investimenti e creazione di posti di lavoro per venir sostituita da un sistema dove si rubava sulle perdite, sulle svendite delle nostre industrie all’estero, sui tagli occupazionali.

Il Paese cominciò ad impoverirsi quando gli investimenti pubblici produttivi vennero resi difficoltosi dagli alti tassi di interesse determinati dal divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia del 1981; dopo di che ebbi scontri con i più alti rappresentanti delle Istituzioni che un giorno mi dissero: ti bloccheremo perché non permetteremo ad un onesto come te di mettersi alla testa di un esercito di malfattori in nome di una strategia keynesiana opposta a quanto faremo anche per salvare il Paese dalla corruzione, ci dispiace anche perché abbiamo tanta stima verso quel grand’uomo di tuo padre…

Federico Caffè trovava sensata la mia strategia e mi spronava a continuare e, subito dopo “il divorzio” del 1981, mi disse: errore gravissimo, da matitone blu…speriamo che non buttino via il bambino con l’acqua sporca! Sei anni dopo, poco prima di scomparire, mi confidò: è finita, hanno buttato via il bambino con l’acqua sporca. A distanza di tempo posso affermare, invece, che l’acqua sporca (cioè la corruzione ) ce la siamo tenuta, mentre il bambino (lo sviluppo economico) l’abbiamo gettato via.

Servono le regole, le autority, ecc. contro la corruzione, ma è la mentalità che deve cambiare: se ciò non accade, si tratta solo di inutili proclami e misure che peggiorano – invece di migliorare – il quadro generale così come quello specifico.

Se sbloccare i cantieri significherà verificare un aumento della corruzione invece del suo contrario, allora vorrà dire che il Paese è così; che la lotta alla corruzione andrebbe impostata in modo diverso, ovvero una miscela equilibrata di investimenti produttivi necessari, responsabilizzazione dei tecnici, controlli dei politici che indichino gli obiettivi di sviluppo generale, ma poi si astengano dal voler gestire tutti i minimi dettagli.

In uno dei suoi ultimi discorsi come vicepresidente del CSM (avvenuto presso il Tribunale di Frosinone), mio padre disse che il prevalere della legge speciale su quella generale- non come situazione eccezionale, ma come regola – rappresentava il supremo pericolo per la democrazia che poggia le sue basi sulla certezza del diritto.

Mi pare che aver creduto di venire a capo del fenomeno semplicemente ricercando l’assonanza con regole europee, senza guardare alla situazione concreta, alla Storia del nostro Paese e, anche, al reale funzionamento delle amministrazioni più efficienti (ad esempio, quella USA, britannica e persino francese), sia stato un errore gravissimo; che potremo correggere solo a partire da una stagione di sviluppo economico, sociale e produttivo.


La cooperazione internazionale si contrappone ai dazi e sanzioni, due modi di rapportarsi all'antipodi

'L'UE ha disperato bisogno della partnership cinese'

Think tank, 'Europa e Cina per multilateralismo e connettività'

Redazione ANSA
25 luglio 201919:38NEWS

(ANSA-XINHUA) - BRUXELLES, 25 LUG - L'Europa ha "disperatamente bisogno" della Cina per alcune importanti iniziative europee e la Cina rimarrà una massima priorità per la politica estera dell'Unione Europea. Ne è convinta Shada Islam, direttrice per l'Europa e la Geopolitica di Friends of Europe, importante think tank con sede a Bruxelles.
L'Ue ha "dichiarato diverse volte che su molti temi che hanno a che fare con le sfide globali e anche nella relazione bilaterale, la partnership (con la Cina) continuerà", ha detto Islam, intervistata da Xinhua.
L'esperta sostiene che i nuovi leader europei dovranno concentrare molte energie sui temi del cambiamento climatico e dell'Iran, temi "in cui la Cina è disperatamente necessaria come partner per tenere in vita l'accordo per il nucleare". Islam ha esortato i leader cinesi ed europei a tenere incontri a "livelli politici molto alti", quando entreranno in carica i novi vertici europei, a cominciare dalla presidente della Commissione, Ursyula von der Leyden: "Suggerirei che gli incontri non includano solamente il presidente della Commissione, ma anche altri leader dell'Ue che potrebbero incontrare le loro controparti cinesi", ha detto.
"Sia l'Ue che la Cina vogliono preservare l'ordine multilaterale basato sulle regole nel commercio e l'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Entrambe le parti hanno beneficiato molto e hanno interesse a evitare che questa importante istituzione sia indebolita o paralizzata", ha detto Islam. "Dobbiamo lavorare assieme per la riforma dell'organo di appello del WTO ma anche per tentare di risolvere alcune vecchie irritazioni che ancora creano problemi", ha detto l'esperta Ue. A una domanda sullo sviluppo futuro dei rapporti tra Cina e UE, Islam ha detto che sarà posta maggiore enfasi su questioni verdi e ambientali. "Su questo tema, la Cina sta facendo molto bene e alcuni esperti ritengono che la Cina sia un punto di riferimento sui temi ambientali", ha detto.
Islam ha sottolineato che durante il secondo Forum Belt and Road per la Cooperazione Internazionale tenuto ad aprile a Pechino, "siamo stati piuttosto rassicurati dal presidente cinese Xi Jinping, che ha risposto a molte delle preoccupazioni dell'Europa" riguardo la Belt and Road (BRI), come gli standard ambientali, la trasparenza e le implicazioni fiscali.
"È stato un messaggio direttamente in risposta all'Unione Europea e alla sua strategia sulla 'connettività'. Adesso i principi sono lì e mi auguro che l'Unione Europea e la Cina siedano assieme per la piattaforma della connettività e lavorino sui progetti", ha aggiunto. (ANSA-XINHUA).

NoTav - la morte politica del M5S è scritta

Cosa succederà nel M5s dopo il sì di Conte alla Tav?

Il Movimento non può cedere su quella che è una sua battaglia storica. E i numeri ballerini al Senato fanno temere per la tenuta della maggioranza

25 luglio 2019,09:05

SILVIA LORE / NURPHOTO
Di Maio, Toninelli

"Per anni siamo stati mandati a parlare con i No Tav... E ora? Cosa diciamo? È un suicidio politico". Alla Camera e al Senato si susseguono gli sfoghi di pentastellati che faticano a digerire l'intenzione del governo di andare avanti sulla Tav. "Tutti noi siamo nati con questa battaglia, tutti noi abbiamo una bandiera No Tav nei nostri uffici", e' il 'refrain'. A metterci la faccia per contestare la linea dell'esecutivo sono stati finora in pochi ma tra i malpancisti si prevede che altri usciranno allo scoperto, con possibili conseguenze non solo nei gruppi parlamentari ma anche per la tenuta del governo.

I fari sono puntati soprattutto al Senato. È a palazzo Madama che i numeri sono ballerini e le resistenze di Airola e di altri potrebbero pesare. Per esempio quando arriverà il voto di fiducia sul dl sicurezza bis. Sul taglio del numero dei parlamentari è stato decisivo l'apporto di Fratelli d'Italia ma su altri provvedimenti - come quello legato alla sicurezza - i distinguo potrebbero crescere.
"Così non reggiamo"

La richiesta sotto traccia è quella della convocazione di un'assemblea, perché anche l''exit strategy' - ovvero il voto in Parlamento - non è considerata da tutti come una mossa utile. Perfino tra i membri del governo vicini a Di Maio ci sono dubbi. "Va bene, così manifesteremmo la nostra distinzione. Ma poi? Così non reggiamo", spiega un sottosegretario.

La base già si è espressa e pure l'ala movimentista considera il voto parlamentare come una sorta di presa in giro. Il presidente della Camera Fico non si è pronunciato, così come Di Battista. "Siamo al governo. Non possiamo dire di rivendicare il nostro no, non saremmo credibili", sottolinea un esponente pentastellato. In pochi in realtà indicano Di Maio come l'unico 'colpevole', altri se la prendono direttamente con il presidente del Consiglio. "La verità - dice un altro malpancista - è che ci siamo infilati in un vicolo cieco. Stiamo vivendo un vero e proprio dramma"

Le prime ripercussioni potrebbero esserci in Piemonte, con la sindaca Appendino che ha appoggiato la strada scelta dal vicepremier M5s. Ma 'parlamentarizzare' il voto sulla Tav "potrebbe essere un booomerang", fa osservare anche chi è d'accordo sulla necessità di non opporsi alla Torino-Lione.

"Siamo al governo. Purtroppo dobbiamo prenderci le nostre responsabilità. Bisognerebbe prenderne atto, abbiamo dato un valore eccessivamente simbolico a questo tema", osserva il pentastellato Carelli che insiste però sulla necessità che M5s dia un segnale di cambiamento. Resta nel Movimento la volontà di proseguire nell'alleanza con la Lega. "Non possiamo permetterci di andare alle urne, ma non possiamo neanche assecondare Salvini in tutto", osserva anche un altro 'big'.
Un cammino accidentato

La tregua comunque tra Lega e M5s è siglata. Prevede che si portino avanti i provvedimenti ma alla Camera i lavori dovrebbero finire il 2 agosto mentre il Senato sarà chiamato a pronunciarsi sul dl sicurezza bis e quindi lavorerà qualche giorno in più. In realtà gli scogli non mancano: al momento non è fissato alcun Cdm per domani e, qualora arrivasse la convocazione, non dovrebbe esserci alcun via libera sull'autonomia. E in prospettiva c'è una legge di bilancio da scrivere. Con la nota di aggiornamento al Def che resta un'incognita.

L'Europa potrebbe dare all'Italia una flessibilità dello 0,2% ma in ogni caso occorrerà trovare altri miliardi - al di là di quelli 'risparmiati' su reddito di cittadinanza e 'Quota cento' - per sterilizzare la clausole di salvaguardia sull'Iva. E sia nella Lega che nel Movimento 5 stelle ci si interroga su come si potrà procedere in questo clima di 'guerriglia'.

giovedì 25 luglio 2019

NoTav - il tradimento del M5S decreta la sua morte, è stato necessario per toglierci qualsiasi alibi, adesso si gioca davvero

post — 24 Luglio 2019 at 11:33


Comunicato del Movimento Notav
Non c’erano e non ci sono governi amici, l’abbiamo sempre saputo!

Dopo la diretta Facebook del Presidente Conte c’è finalmente chiarezza e come abbiamo sempre sostenuto: amici dalle parti del governo non ne abbiamo mai avuti.
La manfrina di tutti questi mesi giunge alla parola fine e il cambiamento tanto promesso dal governo, getta anche l’ultima maschera, allineandosi a tutti i precedenti.
E’ dal 2001 che risentiamo le solite parole da parte dei vari presidenti del Consiglio, e quelle oggi di Conte, anche se condite dalla “responsabilità del padre di famiglia” , non sono altro che la solita dichiarazione di chi cambia tutto per non cambiare niente, tenendo in piedi un dibattito in questi mesi, che è sempre stato ambiguo negli atti concreti, e questo è il risultato.

Non farlo costerebbe più che farla?
E’ solo una scusa per mantenere in piedi il governo e le poltrone degli eletti, sacrificando ancora una volta sull’altare degli interessi politici di pochi, il futuro di molti.
Conte fino a poco tempo fa si era detto convinto che quest’opera non serviva all’Italia perchè troppo costosa per i benefici. Aveva letto bene l’analisi consegnatagli dalla commissione nominata, ed ora ha cambiato idea, fulminato sulla via di Damasco da promesse di finanziamenti europei o da equilibri politici da mantenere?

Abbiamo sempre definito il sistema Tav il bancomat della politica ed è solo di oggi la richiesta di arresto per il direttore della CMC che è il general contractor della Torino Lione. Un piccolo esempio di cosa abbia scelto il presidente Conte, altro che interessi degli Italiani!

Cosa cambia ora?
Per noi assolutamente nulla perché sono 30 anni che ogni governo fa esattamente come quello attuale: annuncia il si all’opera e aumenta il debito degli italiani facendo leva su un fantomatico interesse nazionale che non c’è e che nessuno dimostrerà mai.
Noi faremo quello che abbiamo sempre fatto, convinti di essere dalla parte del giusto, e dalla parte di quella maggioranza del Paese che dalla Torino Lione non trarrà nessun vantaggio, ma un danno economico e ambientale, che pagheremo tutti.

Conte e il governo che presiede saranno gli ennesimi responsabili di questo scempio ambientale, politico ed economico.

Ci chiediamo ora cosa faranno tutti quelli del Movimento 5 stelle che al parlamento si sono detti notav, ci chiediamo se avranno coraggio e coerenza o, come per altri punti politici tanto cari, che non si sono rivelati tali, faranno finta di niente tirando a campare.
Ma per coraggio e coerenza non intendiamo la sceneggiata già pronta da tempo, e che la mossa di Conte conferma, di portare il voto in un parlamento dove il voto è già scontato e dove il Movimento 5 stelle voterebbe contro, tentando di salvarsi la faccia dicendo “siamo coerenti, abbiamo fatto tutto il possibile”.

Noi invece sapremo sempre cosa fare, proseguendo la nostra lotta popolare per fermare quest’opera inutile ed imposta. Lo faremo come abbiamo sempre fatto mettendoci di traverso quando serve e portando le nostre ragioni in ogni luogo di questo Paese, che siamo convinti, sta con noi.

Dimostreremo fin da subito la nostra vitalità, con il festival Alta Felicità che prenderà il via giovedì portando migliaia di notav nella nostra Valle, e che porteremo tutti insieme a vedere il cantiere sabato pomeriggio!
Fermarlo è possibile, fermalo tocca a noi!

Il M5S ha esaurito il suo ruolo, la Lega è parte integrante del Sistema massonico mafioso politico. Dobbiamo rimboccarci le maniche e ricominciare dal Partito Comunista di Rizzo, adesso non abbiamo più scusanti, non possiamo più nasconderci

Il ruolo politico del Movimento 5 Stelle

di Lorenzo Ferrazzano

«Vivo una crisi di fiducia anche personale, io avevo creduto in questo rapporto, mi sono fidato per mesi e mesi, per questo parlo di fiducia rotta». Sono le parole che ieri pomeriggio, ad Helsinki, in seguito al vertice dei ministri degli interni europei, Matteo Salvini ha rivolto a Luigi Di Maio, dopo che il Movimento 5 Stelle ha fornito un contributo decisivo alla nomina di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione Europea.

I toni sono poi scesi ma queste parole rappresentano comunque il segnale evidente – e annunciato – di uno strappo profondo tra Lega e M5S. A poco più di un anno dall’insediamento del governo, abbiamo visto ribaltarsi tutte le carte in tavola. Un rovesciamento dei rapporti di forza tra Salvini e Di Maio, considerati a torto o a ragione le due anime dell’Italia: quella che guardava agli imprenditori del Nord e quella che prometteva il riscatto del Sud.

Si trattava di una scommessa. Bisognava capire se le esigenze radicalmente diverse delle due «Italie» potessero convergere coerentemente in un unico contratto di governo, senza che le une scavalcassero le altre. Sperare che la Lega potesse rimarginare le ferite del Nord e il Movimento rappresentare una speranza per il Sud.

Le contraddizioni strutturali di questa alleanza, del tutto evidenti in due forze politiche così lontane per storia e identità, minavano le basi stesse del governo già dal momento della sua nascita. Durante questa legislatura, Lega e M5S sono stati poi in disaccordo su tutto.

Dal Tav – simbolo delle grandi opere in cui crede il Carroccio ma emblema dello sperpero secondo i pentastellati -, agli episodi di corruzione. Dall’autonomia differenziata, di fatto una secessione mascherata, pretesa dalla Lega, al reddito di cittadinanza su cui il Movimento ha puntato tutto.

Ogni punto del contratto di governo è stato travolto da contrasti ferocissimi che hanno rivelato da subito che quelli su cui correvano i due partiti erano binari radicalmente opposti. A questi contrasti vanno aggiunti anche i disaccordi sulle questioni che non erano state inserite nel contratto.

Di Maio e Salvini hanno avuto posizioni conflittuali su tutte le problematiche sugli esteri, dando vita di fatto a due filoni distinti interni alla nostra politica estera, non complementari ma – al contrario – disarmonici. Salvini, che pure ha giocato incautamente su più fronti, ha giurato fedeltà incondizionata a Washington. Di Maio e Conte hanno invece mostrato apertura verso la Cina, pur non mettendo in discussione la posizione dell’Italia nella Nato e nell’Unione Europea.

Di conseguenza, su tutte le questioni geopolitiche fondamentali – Iran, Venezuela, Via della Seta – le posizioni del governo sono state estremamente contraddittorie. Fino allo scontro finale sulla nomina della fanatica dell’austerità, Ursula von der Leyen, alla presidenza della Commissione Europea. Una nomina che verosimilmente costerà il posto al sottosegretario leghista Giorgetti come commissario della concorrenza e che ha avvicinato il M5S alla maggioranza ultraliberista del Parlamento Europeo.

Salvini ha accusato i suoi alleati di aver tradito l’esecutivo e di aver «votato come la Merkel, Macron e Renzi», acerrimi nemici del governo gialloverde.

E adesso parla di nuove elezioni. Una prospettiva pericolosa per il M5S, che in questo primo anno di governo si è fatto letteralmente travolgere dal fenomeno Salvini, subendo una sconfitta la cui gravità è stata impressa sulle macerie delle europee del 26 maggio.

Guai se il governo dovesse cadere. Se da una parte è vero che il Movimento ha disatteso troppe promesse e che quelle che ha realizzato si sono rivelate efficienti solo in parte, dall’altra è altrettanto vero che l’ala pentastellata del governo ha rappresentato un contraltare all’inclinazione neoconservatrice, atlantista e nordista della Lega.

In un momento di tale difficoltà per il Movimento, il suo compito politico non può che essere questo: limitare i danni che può recare il Carroccio, con il suo seguito di proclami e trasformismi, e che può vantare come unica costante quella di portare avanti una politica di esclusione sociale. Non soltanto nei confronti degli extracomunitari, ma di tutti i settori improduttivi del Paese.

Un atteggiamento, quello leghista, particolarmente grave nei confronti del Sud, accusato esplicitamente – anche se senza i toni aggressivi di cui la Lega era capace fino a pochissimi anni fa -, di essere colpevole della sua stessa incapacità di crescere sotto il profilo economico e sociale. Poco importa che al Sud è del tutto impossibile crescere, soprattutto a causa di una distribuzione diseguale delle risorse economiche che impedisce la realizzazione degli investimenti necessari in infrastrutture, sanità e istruzione.

Tuttavia la sorte del M5S resta appesa ad un filo, se continuerà ancora a contraddire i suoi proclami identitari. I quali – pur non rappresentando nulla di preciso – nella loro vaghezza si richiamano a valori, come la lotta alla corruzione e la vicinanza agli strati più deboli della popolazione, che sono fondamentali, sebbene clamorosamente insufficienti.

Bene la legge anticorruzione ma, com’è noto, i pentastellati stanno pagando amaramente il blocco dell’autorizzazione a procedere sul caso della Diciotti – un tradimento per l’elettorato profondo -, per il Tav, per decine di altre problematiche locali, ma soprattutto per l’Ilva, il loro più grande fallimento.

Il M5S non può che riorganizzarsi in fretta e tenersi pronto per affrontare nuove eventuali elezioni. Pena una imbarazzante scomparsa precoce che sarebbe tragica per gli equilibri politici e sociali del Paese, avendo i pentastellati, piaccia o non piaccia, incarnato le speranze di una parte cruciale della popolazione.

Quando si è costituito il governo, la speranza che questo potesse reggere si basava sul fatto che, a dispetto delle loro infinite differenze, Lega e M5S erano considerati entrambi dei partiti «antisistema». Il problema è che, essendo sbagliato questo assunto di fondo, non resta più niente a cui appigliarsi. E adesso si rischia una drammatica spaccatura sociale, con una crisi epocale che da otto anni grava sulle spalle curve del Paese.

NoTav - la furbizia del M5S è palese, possono tranquillamente andare a farsi fottere


Quanto costa la Tav? Pro e contro del progetto che divide M5S e Lega

25 Luglio 2019 - 09:52 

Dopo il via libera del premier Conte che ha parlato di costi superiori in caso di uno stop visti i nuovi finanziamenti europei: la Tav ora ha la strada spianata, ma l’ultima parola stando ai 5 Stelle spetterà ora al Parlamento.


Il progetto Tav della linea Torino-Lione continua a dividere il governo gialloverde, ma la presa di posizione del premier Giuseppe Conte in favore dell’opera sembrerebbe spianare la strada al definitivo via libera per il progetto.

Questa volta la Lega, da sempre favorevole alla Tav, ha trovato la sponda decisiva di Conte che ha parlato di “nuovi finanziamenti, adesso non farla costerebbe più che realizzarla”, ribaltando così l’esito della relazione tecnica sui costi-benefici.

Una svolta questa del premier che non è piaciuta al Movimento 5 Stelle, con Luigi Di Maio che ha dichiarato come a questo punto l’ultima parola sul progetto spetterà al Parlamento.

Ma chi ha ragione tra Lega e Movimento 5 Stelle? La relazione tecnica, inizialmente spedita soltanto a Parigi, darebbe ragione ai pentastellati sui maggiori costi per il progetto rispetto a un suo stop, ma adesso dopo le parole di Conte sarà il Parlamento a decidere e a questo punto il disco verde appare scontato. 
Analisi costi-beneficiLa relazione della commissione tecnica sull’analisi costi-beneficiRelazione tecnico-giuridicaLa relazione tecnico-giuridica sulla Torino-Lione

TAV Torino-Lione
Il progetto Tav

Può sembrare strano ma il progetto della Torino-Lione nasce quasi trent’anni fa, per l’esattezza nel 1990. Quattro anni più tardi l’Unione Europea inserisce l’opera nell’elenco dei 14 progetti prioritari nel settore dei trasporti e dell’energia.

In teoria i lavori sarebbero dovuti iniziare nel 1996, ma soltanto nel 2001 Italia e Francia trovano un sostanziale accordo. Nel dettaglio quindi il progetto, per un totale di 270 km, viene diviso in tre parti.

La parte principale è quella della tratta internazionale, ovvero il tunnel di base dalla lunghezza di 57 km tra Susa e Saint Jean de Maurienne, con i costi in parte rimborsati dall’Unione Europea. Le altre due sezioni poi sono quelle relative alle tratte nazionali, con i costi a carico dei rispettivi paesi.

Fonte Agi.it

In generale il percorso della linea, che per l’89% è in galleria, si snoda per 189 km (il 70% del totale) nel territorio francese, mentre per i restanti 81 km in quello italiano. In Piemonte, fin da subito sono nati comunque dei comitati di protesta (NO Tav) per denunciare i rischi ambientali dell’opera.


Lo scopo strategico della Torino-Lione è quello del dimezzamento dei tempi di percorrenza della linea, favorendo anche l’aumento del trasporto mercisu ferro riducendo così di molto il passaggio dei camion nell’area interessata.

Da anni esiste già una linea storica che unisce le due città, che verrebbe nel caso utilizzata per la viabilità dei treni regionali. La nuova linea rispetto a quella vecchia sarebbe più breve e pianeggiante, cosa che dovrebbe incentivare il trasporto merci.

Al momento sono stati realizzati dei lavori di potenziamento tecnologico su tracciati già esistenti sia nel tratto francese che in quello italiano. Per quanto riguarda il tunnel di base, al 31 ottobre 2017 risultavano scavati 25 km di gallerie tecniche, di cui 6 km riadattabili per far transitare la linea.

Per quanto riguarda i costi, il progetto iniziale prevedeva un esborso complessivo di 24,7 miliardi: 10,5 per la tratta internazionale, 9,8 miliardi per quella francese e infine 4,6 per quella italiana.

Adesso però l’Europa parrebbe essere intenzionata a dare una mano all’Italia per i costi da sostenere, proponendo un finanziamento da parte dell’Unione che andrebbe a coprire il 55% dei costi della tratta nostrana.

I pro e i contro

Fin dalla nascita del progetto, subito si è creato un ampio fronte di contrari all’opera soprattutto tra gli abitanti della Val Susa. Ecco le ragioni di chi è favorevole alla Torino-Lione e quelle di chi invece si oppone alla linea.

Perché sì
  • Dimezzamento tempi di percorrenza: per raggiungere Parigi da Torino serviranno poco più di 3 ore di viaggio invece delle attuali 6 ore e mezza.
  • Maggiore connettività con l’Europa: Londra, Parigi, Madrid, Milano e Barcellona sarebbero tutte collegate tra di loro con l’alta velocità.
  • Incremento trasporto merci su ferrovia: l’attuale linea in funzione ha una pendenza troppo elevata e una capacità di traino non adeguata al trasporto moderno.
  • Diminuzione dei camion in strada: drastico calo dei 3 milioni di mezzi pesanti che ogni anno attraversano il confine Italia-Francia, con il trasporto che passerebbe su ferro.
  • Posti di lavoro: i cantieri dovrebbero occupare 6.000 persone tra lavoratori diretti e indiretti, una volta in funzione la Tav invece andrebbe a creare 500 posti di lavoro.

Perché no
  • Costi: la relazione tecnica sul rapporto costi-benefici per la Tav ha stimato una possibile perdita tra i 5,7 e gli 8 miliardi per lo Stato.
  • Impatto ambientale: presenza di uranio, radon e amianto nelle aree dove si dovrà realizzare il tunnel di base del Moncenisio lungo 57,5 km.
  • Opera inutile: il trasporto merci nel traforo ferroviario del Frejus è calato da 9 milioni di tonnellate del 2000 ai 2,9 milioni del 2016.
  • Risorse da utilizzare altrove: con i soldi preventivati si potrebbe sistemare la rete nazionale e locale invece che finanziare un singolo progetto.
  • Lavori non iniziati: per il tunnel di base sono stati scavati 25 km di gallerie tecniche, di cui solo 6 km riadattabili per far transitare la linea.
I costi secondo il Movimento 5 Stelle

Da sempre il Movimento 5 Stelle si è schierato con i NO TAV, bollando il progetto come inutile e dannoso per il territorio. Con i pentastellati al governo insieme alla Lega, come abbiamo visto nel programma di governo è stata inserita una “ridiscussione del progetto”, ma adesso i gialloverdi devono prendere una decisione.

Per poter avere un quadro completo e dettagliato dei costi, il governo ha così deciso dare vita a una Commissione tecnica, guidata dal professore Marco Ponti, incaricata di realizzare un dossier contenente l’analisi dei costi-benefici dell’opera.

Questa relazione adesso è stata ultimata e le sue cifre rese note. Il responso non sembrerebbe lasciare adito a dubbi: il rapporto costi/benefici in caso di via libera ai lavori porterebbe a un rosso per le casse statali di un minimo di 5,7 miliardi fino a un massimo di 8 miliardi.

Nei giorni precedenti alla pubblicazione delle stime della commissione tecnica, sia Danilo Toninelli che Luigi Di Maio avevano parlato riguarda il Tav “un’opera che costa più di 20 miliardi”.

I costi secondo la Lega

Dopo aver tergiversato sull’argomento per alcuni mesi, alla fine la Lega ha rotto gli indugi dichiarandosi favorevole alla Torino-Lione con tanto di visita di Matteo Salvini ai cantieri Tav in Piemonte.

Una stima fatta dal carroccio sembrerebbe prevedere costi molto differenti rispetto a quelli ipotizzati dai 5 Stelle. La Lega infatti per la parte transfrontaliera ribadisce l’esborso di 2,9 miliardi da parte dell’Italia.

Rinunciare all’opera però avrebbe costi tra i 2,8 e i 4 miliardi, quindi sicuramente maggiori. Oltre alla restituzione di 600 milioni di fondi comunitari e le penali da dover pagare, fino a 1 miliardo, ci sono poi i soldi da spendere per il ripristino dei luoghi, dai 200 ai 500 milioni, e per il potenziamento della linea storica a quel punto inevitabile per motivi di sicurezza, tra 1,5 e 1,7 miliardi. Altri 1,7 miliardi servirebbero poi per realizzare la seconda canna del Frejus, opera alternativa secondo i pentastellati.

“Chi ha letto la relazione - ha commentato Matteo Salvini dopo la pubblicazione della relazione - mi dice che ci sono dati un po’ strani che ci confermano l’idea di andare avanti, continuo a essere convinto del Sì”.

Il dossier della commissione tecnica viene contestata dai favorevoli in quanto, per i costi della realizzazione dell’opera, sarebbero conteggiati a carico dell’Italia anche le spese spettanti a Francia e Unione Europea.

Per loro la cifra che l’Italia dovrebbe spendere complessivamente per l’opera è di 4,6 miliardi, mentre in caso di stop ci sarebbero tra penali e costi di ripristino da spendere 3,8 miliardi. Il saldo negativo quindi sarebbe di 800 milioni e non “tra i 5,7 e gli 8 miliardi”.

La decisione del governo

Come si può vedere, le posizioni di Lega e Movimento 5 Stelle sono molto distanti tra di loro. Adesso però la presa di posizione del premier Conte, alla luce dei possibili nuovi finanziamenti europei, ha isolato i pentastellati.

La scorsa primavera quando il governo si trovava di fronte al bivio del dover scegliare tra il sì o il no, la soluzione alla fine è stata quella scontata con la maggioranza carioca che rifugiandosi nel politichese ha scelto di mandare la palla in calcio d’angolo, guadagnando altri sei mesi di tempo per mettersi così le elezioni europee di fine maggio alle spalle.

Il premier Giuseppe Conte ha comunque dato il via libera a Telt, la società paritaria italo-francese incaricata di realizzare la linea, di pubblicare gli avvisi di manifestazione di interesse, per un totale di 2,3 miliardi per i lavori di realizzazione del tunnel di base.

In questi sei mesi quindi stanno arrivando le auto candidature che precederanno i bandi ma, grazie alle clausole di dissolvenza, sia il governo francese che quello italiano potranno annullare tutto.

In sostanza si può dire che l’iter par la Tav sia già sbloccato, con i fondi europei al momento salvi, ma l’Italia fino all’autunno potrà comunque tirarsi indietro anche se, visto che si tratta di trattati internazionali, per bloccare definitivamente l’opera occorrerà il voto del Parlamento.

A breve quindi il Movimento 5 Stelle stando alle parole di Di Maio chiederà lo stop al progetto alle Camere. Visto però il parere favorevole di tutti gli altri partiti presenti in Parlamento, l’esito appare scontato.

Più che al Parlamento quindi l’ultima parola sarà della Lega: se il Carroccio voterà contro l’annullamento del trattato insieme alle opposizioni, allora il progetto per la Tav potrà procedere secondo i piani e i tempi già stabiliti.

L'Euro è un Progetto Criminale e non capirlo equivale a un falso ideologico. E certo da moneta unica a moneta comune ma per far ciò bisogna imporre la Moneta Complementare (minibot ma il fanfulla non avrà mai il coraggio di introdurli, moneta a credito...)

Euro sì, euro no. Ma c’è una terza via: riformare la moneta unica

L'euro ha enormi difetti, ma uscirne sarebbe peggio. Bisognerebbe riformarlo, con nuovi meccanismi di funzionamento, strumenti cooperativi tra i Paesi e monete complementari, fatte beneDi Massimo Amato

L’uscita dall’euro continua, in modo strisciante, a circolare nel dibattito pubblico. Spesso veicolata anche da membri dell’attuale maggioranza di governo. Si può liquidare la cosa come una provocazione, certo, ma si può anche prendere sul serio la provocazione, e chiedersi se, per caso, essa non trovi alimento in effettive manchevolezze dell’attuale costruzione della moneta unica. E se, in alternativa alla polarizzazione fra un euro intoccabile e un euro irriformabile, non sia possibile pensare a una terza via: una sua riforma.

Lo sostiene Massimo Amato, docente della Bocconi. Spiega perché i minibot non sono monete complementari, né una soluzione efficace al problema dei debiti della PA

Una moneta nata male: niente convergenza economica

L’euro come lo conosciamo non era la sola opzione sul tavolo. Così come è stato concepito, è il frutto di una grave sottovalutazione della non convergenza delle economie dell’eurozona al momento dell’unione.

Alla sottovalutazione si è poi aggiunto da subito un eccessivo, e ideologico, ottimismo sulla possibilità di raggiungere la convergenza proprio grazie all’euro e ai mercati finanziari. Si è detto spesso che il peccato originale dell’euro è di essere una moneta unica che non poteva poggiare su una reale unificazione politica. Ma in effetti è andata peggio di così: il processo di convergenza economica, visto a sua volta come condizione per l’unificazione politica, è stato, per così dire, “subappaltato” ai mercati finanziari.

…e cresciuta anche peggio: gli squilibri si accumulano

Questo subappalto, politicamente dissennato, ha dato origine a cessioni di sovranità monetaria non compensate da una sovranità monetaria adeguata per la BCE (la Banca centrale europea). Ma anche alla fissazione di parametri di convergenza per le finanze pubblicheche sono lungi dall’avere una giustificazione economica cogente. Ciliegina sulla torta: l’assenza di ogni parametro di convergenza per i conti esteri, che ha aperto la porta all’accumulazione di squilibri commerciali, i quali a loro volta hanno aperto la strada al loro sistematico finanziamento attraverso i mercati finanziari. Questo dalla nascita dell’euro fino alla crisi del 2010.

Dopo la crisi divergenze, spread in aumento e austerità (ma neanche tanta)

Dopo la crisi, invece, i mercati finanziari hanno cominciato a alimentare le divergenze, nella forma di spread sempre più marcati. I quali attestano il fatto che la moneta unica non è già più così unica.

Insomma, l’euro è stato concepito senza meccanismi adeguati di prevenzione e gestione delle crisi, e la crisi dell’euro deriva proprio dal suo funzionamento e non da sue disfunzioni. E tuttavia la sola “ricetta” finora proposta è stata l’austerità.

Se i danni dell’austerità non sono stati peggiori è solo perché, almeno in parte, si è derogato ai principi di funzionamento fissati dai trattati: penso alle politiche “non convenzionali” di Mario Draghi, e al modo in cui la gestione dei saldi Target2 ha permesso di rendere meno brutale l’aggiustamento degli squilibri esteri in seguito all’interruzione dei flussi di capitale dal centro alla periferia scatenata dalla crisi.

A chi farebbe comodo uscire dall’euro?

Si dice che l’euro è irreversibile, ma si tratta di un’irreversibilità perversa, perché mentre non si vuole nemmeno mettere su tappeto una sua seria riforma, non si vuole nemmeno ammettere che la sua sopravvivenza è dovuta a una deroga sistematica ai suoi principi di funzionamento.

Ma la soluzione non è allora, proprio per questo, uscire dall’euro, a qualunque costo? La mia controdomanda è, però: per chi sarebbe una soluzione migliorativa? Se i Paesi del Sud non sono capaci, o anche solo non hanno voglia, di sottostare alla disciplina dell’euro, perché la Germania non esce da questa “gabbia di matti”?

E se fossero i Paesi “malati” ad andarsene, se per esempio uscisse l’Italia, che cosa resterebbe dell’euro?

Stiglitz l’ha detto in modo molto secco: se l’Italia resta nell’euro così com’è si distrugge, se esce dall’euro lo distrugge. Mi permetto di completare: lo distruggerebbe, molto probabilmente, ma senza per questo salvarsi.

La parte nobile della produzione, ad alta intensità tecnologica, è in mano alla Germania. Il che trasforma in sub-fornitori gran parte delle altre economie

Se l’Italia uscisse dall’euro…incertezza e danni certi

In Italia e altrove, esistono “sovranisti” che sostengono la necessità di un’uscita sulla base di argomenti “keynesiani”, e spesso anche legati alla Modern Monetary Theory (MMT). Le soluzioni proposte ondeggiano fra il “paramiracolistico” e il “parastatale”: il ritorno alla sovranità monetaria segnerebbe la fine di ogni problema economico e l’inizio di una stagione di rinnovata crescita.

Io invece continuo a credere che ci sia una bella differenza fra l’ammettere la necessità di un “ritorno dello stato”, come sostiene ormai, non solo Stiglitz, ma anche Blanchard, soprattutto se con forme nuove di intervento e finanziamento, e il ritenere che l’uscita unilaterale dall’euro abolirebbe ogni tensione.

Diciamolo chiaro: il primo problema dell’uscita unilaterale è proprio il regime di incertezza radicale in cui si troverebbe a svolgersi. Un’incertezza in grado di generare aspettative e comportamenti largamente imprevedibili prima dell’uscita, ma che sarebbe troppo tardi scoprire dopo. Detto questo, i danni sarebbero, senza dubbio, più dei benefici.

Dal debito ai dazi commerciali contro l’Italia

In primo luogo ci sarebbe il problema di un debito in gran parte emesso in moneta estera e non convertibile in moneta nazionale. I processi di svalutazione che ne seguirebbero potrebbero avere vantaggi in termini di competitività, ma che potrebbero essere annullati o addirittura invertiti di segno da una sistematica politica di dazi commerciali contro l’Italia.
Dalle fughe di capitali al collasso del sistema bancario

Poi c’è il problema dei movimenti di capitali. Se l’uscita si accompagnasse con controlli sui movimenti di capitali, il vantaggio di capitali esteri a entrare nel sistema italiano sarebbe molto ridotto, senza poter dare per scontato che la riguadagnata sovranità monetaria possa compensare i minori afflussi. Se viceversa l’uscita non prevedesse restrizioni, dovremmo aspettarci massicce fughe di capitali. Poiché a uscire non sarebbero solo capitali oziosi e speculativi, questo significherebbe anche meno investimenti. Avremmo uno shock negativo sul Pil e quindi sulla produttività, la cui durata sarebbe difficilmente prevedibile.

Non escluderei nemmeno un possibile collasso del sistema bancario. Certo, riavremmo una banca centrale “sovrana”. Che però non potrebbe monetizzare debito all’infinito. E il probabile downgrading del debito italiano priverebbe il sistema bancario di un asset sicuro per gestire i propri cicli di liquidità.

Infine, non sono affatto sicuro che un’Italia fuori dall’euro sarebbe in grado di ridurre con più efficacia il divario nord-sud, che dalla crisi non ha fatto che aumentare. E se guardo alle manovre attorno all’autonomia differenziata, vedo solo brutti segnali.

Allora, ci teniamo l’euro così com’è, facendo finta di non vedere i vincoli eccessivi che esso implica per l’economia italiana, e non solo?

Un euro nuovo

Se margini per una uscita unilaterale, ma ordinata, non ci sono per nessuno, resterebbe l’ipotesi di una uscita coordinata, in cui tutti si decida di “divorziare”. Ma se i Paesi dell’eurozona avessero la forza di coordinarsi per uscire avrebbero anche la forza e i mezzi per riformare l’euro.

Io credo che si possano e si debbano prendere in considerazione altre ipotesi di funzionamento. Per esempio, una BCE autorizzata, a determinate condizioni ed entro determinati limiti, a monetizzare i debiti di uno o più Paesi aderenti. Potremmo pensare a forme di “asset sicuri”, agli eurobond (equivalgono a euroimbecilli) insomma, che consentano di mutualizzare i rischi-Paese e quindi a ridurre sistematicamente il peso delle valutazioni erratiche dei mercati finanziari.

Ma è l’euro stesso che potrebbe e dovrebbe essere modificato nei suoi meccanismi di funzionamento. Oggi le bilance commerciali dei Paesi dell’eurozona sono complessivamente in pareggio, ma l’eurozona è in una situazione di depressione, stimata molto probabilmente per difetto, vista la disoccupazione che caratterizza la zona nel suo complesso. C’è stabilità, ma siamo in un equilibro stabile di sottoccupazione.

Dalla moneta unica a una moneta comune

Un meccanismo alternativo che consenta l’equilibrio delle bilance senza passare per la depressione della domanda interna, un meccanismo che riprenda l’esperienza positiva dell’Unione Europea dei pagamenti (1950-1958), è però pensabile.

Si tratterebbe di agire sul commercio intraeuropeo di beni e servizi con strumenti cooperativi, che riconoscano una responsabilità per l’aggiustamento dei conti anche ai paesi in surplus. Come in parte è già sancito dalla Procedura per i Disequilibri Macroeconomici.

Per usare una formula, si tratterebbe di passare dall’euro come moneta unica all’euro come moneta comune, non necessariamente con la reintroduzione delle monete nazionali, ma con il sostegno a forme monetarie legate all’euro, ma a circolazione locale (monete complementari, e anche fiscali, ma ben fatte).

Per stimolare la crescita, le monete complementari possono dare una mano. E senza dover abbandonare l'Euro. Ma vanno costruite bene, legandole a esigenze territoriali

Elementi su cui appoggiarsi esistono già nell’attuale assetto dei trattati. Ho accennato alla Procedura per i Disequilibri Macroeconomici, ma penso soprattutto al sistema target2, che è già tecnicamente una camera di compensazione, che potrebbe essere utilizzata per mettere in atto meccanismi alternativi di finanziamento e aggiustamento degli squilibri commerciali.

Inoltre, il circuito fra banca centrale e tesoro può essere rimesso in funzione anche in seno all’eurozona. Un’opzione forse più difficile, ma politicamente molto più interessante di un recupero di sovranità nazionale.

La crisi europea è dietro l’angolo e la Germania non la vede

Concludo segnalando un paradosso tutto politico, benché fondato sull’economia. Oggi lo stato economicamente egemone in Europa, la Germania, non esercita la sua egemonia nell’unico modo sensato, cioè per la conservazione dell’insieme degli Stati che compongono l’unione.

Può sembrare che lo faccia nel proprio interesse e con solide ragioni economiche e “morali”. Ma non è così da nessun punto di vista. A meno che la miopia non venga elevata al rango di visione del mondo. Gli Usa non esercitarono l’egemonia dopo la prima guerra mondiale, e si arrivò alla crisi degli anni trenta. L’esercitarono nel secondo dopoguerra e ci furono i trenta gloriosi.

La miopia tedesca potrebbe curarsi fin da ora con buoni occhiali teorici. Potrebbe essere più duramente curata domani con l’avvicinamento del pericolo e con l’aumento dei danni per la stessa Germania.

La prossima crisi europea, di cui si avvertono le prime avvisaglie, potrebbe costituire comunque uno scossone. A meno che la classe dirigente tedesca non sia affetta anche da presbiopia. In quel caso nulla cambierebbe, ma le cose si metterebbero davvero male.