L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 7 settembre 2019

Saudi Aramco offre petrolio e la Cina accetta


7 SETTEMBRE 2019

Continua l’espansione di Saudi Aramco verso la Cina. La compagnia nazionale di idrocarburi dell’Arabia Saudita ha firmato un protocollo d’intesa con la Zhejiang Free Trade Zone con l’obiettivo di espandere i suoi investimenti oltre Muraglia. E magari da qui rafforzarsi ulteriormente nel resto dell’Asia. Lo scorso febbraio, infatti, Aramco aveva acquistato una quota del 9% di un impianto di raffinazione da 800.000 barili di petrolio al giorno costruito da Zhejiang Petrochemical, di proprietà della società privata Zhejiang Rongsheng Holding Group. L’affare prevede una fornitura a lungo termine di petrolio greggio e la possibilità di usare la struttura di stoccaggio di Zhejiang Petrochemical per servire i clienti di Aramco in Asia. Ma l’accordo permetterà alle parti di valutare opportunità di investimento saudite nella zona di libero scambio cinese in alcuni settori strategici: raffinazione, produzione petrolchimica, stoccaggio petrolifero, vendita al dettaglio e commercio di petrolio e gas naturali.

Il piano di Aramco

L’Arabia Saudita ha intenzione di coccolare la Cina con la sua arma migliore: il petrolio. Usando il greggio, Riyad cerca di sostituire i rapporti diplomatici, troppo fluttuanti, con i più stabili e duraturi rapporti commerciali. Pechino non oppone alcuna resistenza perché stringere affari è il pane quotidiano del governo cinese. Aramco, tra l’altro, è un vero e proprio colosso, e averlo dalla propria parte non può che essere un vantaggio. La compagnia saudita ha una produzione che supera i 10 milioni di barili al giorno, è posseduta al 100% dal governo dell’Arabia Saudita e, secondo alcuni dati, sarebbe la società più profittevole al mondo con un utile netto incamerato nei primi sei mesi del 2017 pari a 33,8 miliardi di dollari. Aramco sta attraversando settimane di rivoluzione interna. Yasser al Ramian è diventato il nuovo presidente della compagnia, nominato lo scorso 3 settembre dal re saudita Salman. Ramian ha subito dichiarando di voler lavorare “con i vari ministeri locali e organismi internazionali competenti per preparare l’offerta pubblica della società e ottenere i risultati di Vision 2030”. Quest’ultimo è il progetto presentato da bin Salman per sviluppare e differenziare l’economia dell’Arabia Saudita, e rendere così il paese una potenza a livello globale.

La strategia della Cina

La Cina ha fatto i suoi conti prima di aprire le sue porte ad Aramco. Pechino ha ben presente i venti di tensione che stanno soffiando nel Golfo Persico, e sa anche che l’Iran è sommerso da sanzioni economiche che gli impediscono di esportare petrolio liberamente. C’è poi il rischio – remoto ma pur sempre plausibile – che Trump possa da un momento all’altro dichiarare guerra a Teheran, che negli anni passati è stato uno dei più importanti fornitori cinesi di greggio. Per evitare catastrofi economiche, la Cina si è avvantaggiata rafforzando i propri rapporti diplomatici con l’Arabia Saudita, teoricamente uno dei principali alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente. La visione di bin Salman è tuttavia più orientata agli affari che non all’ideologia politica, e il Dragone cinese rappresenta un partner troppo ghiotto per essere sacrificato in nome della vecchia amicizia con Washington. La Cina è poi un hub perfetto da cui espandere i propri tentacoli nel resto dell’Asia, dove c’è una discreta fame di petrolio.

Pensare che si possa cambiare il Progetto Criminale dell'Euro è da veri euroimbecilli. Il M5S è un falso ideologico altro che post ideologico

Tutte le contraddizioni del governo Conte 2 sulle spalle del Pd. Il commento di Polillo

7 settembre 2019


L’analisi di Gianfranco Polillo

L’ideologia come falsa coscienza: questa la giustificazione nobile avanzata per avallare il cambio di regime. I 5 stelle che teorizzano il loro stato post-ideologico: una sorta di passe-partout per garantirsi le mani libere, nella gestione del potere. Parole. Come quelle del “governo del cambiamento”, che doveva incendiare Roma, ed invece si è risolto nella continuazione di una vecchia politica: prona di fronte al volere di Bruxelles. Potere che poteva e può essere contestato, ma solo accettando la sfida di un rinnovamento profondo di regole ormai obsolete. Scavando nel pozzo di una legislazione complessa e farraginosa, ma che al suo interno nasconde porte di sicurezza che consentono via di fuga. Basta saperle individuare e possedere le chiavi opportune. Altro che vecchi proclami dal balcone di Palazzo Chigi.

Comunque il grimaldello politico ha funzionato. Ed ora Giuseppe Conte passerà alla storia come l’unico presidente del Consiglio che, nelle convulse vicende italiane, è riuscito a guidare due maggioranze di segno contrario. Con buona pace di tutti coloro che avevano riposto, nel sistema elettorale di tipo maggioritario, le speranze di una maggiore trasparenza. Un governo diretta espressione del voto popolare e non dell’opacità dei giochi di Palazzo. Tuttavia un prezzo si paga. Le distanze tra “Paese legale” e “Paese reale” sono aumentate. La nuova maggioranza spera in un recupero di consenso grazie alla sua azione. Ma questa resta l’incognita di un’equazione al momento senza soluzioni.

Due sono le talpe che hanno contribuito, in modo prevalente, a creare quel fossato: la massiccia immigrazione dai Paesi extra Ue e la fiacchezza di un’economia che non riesce a garantire quei livelli minimi di benessere, che pure sarebbero necessari. Il rovello della futura azione governativa. Passare per la cruna dell’ago di Bruxelles sarà determinante in entrambi i casi. E il Pd ne porterà le maggiori responsabilità.

Appartengono a questa formazione politica i principali ministri che dovranno occuparsi dei relativi dossier. Sul fronte dell’immigrazione si tratta soprattutto del ministero dell’Economia (Guardia di finanza), di quello della Difesa (Marina e apparati di sicurezza) e delle Infrastrutture (gestione dei porti). C’è naturalmente il ministro dell’Interno, ma ad un Prefetto, prestato alla politica, non si può chiedere l’impossibile.

Come reagirà l’Europa? Si farà effettivamente carico del problema o rinvierà tutto alle calende greche della modifica del Trattato di Dublino? Rinegoziazione necessaria, ma con tempi che mal si conciliano con l’urgenza del momento. E quale sarà l’atteggiamento delle Ong? Continueranno a fornire la logistica pesante ai traffici internazionali o si asterranno? Se si prescinde da interessate richieste di analisi del sangue, alla ricerca di fantomatiche cellule razziste, non si può non riconoscere la logica che ha ispirato Matteo Salvini. Solo chiudendo i porti, è riuscito a smuovere il distratto moloc europeo, altrimenti insensibile ad ogni grido di dolore.

Sul fronte dell’economia, le considerazioni sono in parte analoghe. Il ciclo negativo sta diventando sempre più soffocante. Né basterà la concessione di una piccola aspirina, sotto forma di un pizzico in più di flessibilità. É giunto il momento di un ripensamento generale, che ponga al centro della riflessione gli undici indici che connotano gli squilibri macroeconomici dei singoli Paesi, codificati nella procedura dell’Alert mechanism, prevista dagli stessi Trattati. Difficile dire se l’Europa sia pronta per questo salto di qualità. Ben più certo il fatto che l’Italia debba comunque provarci. E fare la sua battaglia per cambiare non solo sé stessa, ma indicare una strada che non passi necessariamente per le strettoie di Berlino.

Anche in questo caso le maggiori responsabilità ricadranno sul Pd, vista la titolarità dei due ministeri chiave: Affari europei ed Economia. Dalla loro azione dipenderà se l’economia italiana si rimetterà in moto. Le difficoltà non mancheranno, vista la composizione dell’intera compagine governativa. Nella vecchio “contratto di governo” la semplice prospettiva della pura ridistribuzione sociale era contrastata dall’impegno, più volte proclamato, per la ripresa dello sviluppo. Linee politiche divergenti. Ma soprattutto blocchi sociali di riferimento contrapposti: il nord produttivo da un lato, un Mezzogiorno, per molti versi rassegnato, dall’altro.

Nel nuovo governo, la spinta eventuale per politiche di sviluppo può essere solo il frutto di un ardire intellettuale. Il nord nella compagine governativa non solo è sotto rappresentato, ma escluso dai dicasteri chiave (unica eccezione le infrastrutture). Il discorso ritorna pertanto al punto di partenza: non tanto l’ideologia, di cui i 5 stelle hanno celebrato il funerale. Ma la teoria, figlia della conoscenza, strumento indispensabile per organizzare i dati del presente, al fine di trovare le soluzioni più adeguate. L’esatto opposto di un empirismo senza principi.

Queste contraddizioni peseranno soprattutto sulle spalle del Pd. Il ministro per l’Economia, forte della sua esperienza all’Istituto Gramsci, non avrà dimenticato la lezione del vecchio Marx. Il suo continuo riferirsi alla necessità di garantire lo sviluppo delle forze produttive come condizione per creare le basi di una società superiore. Avrà quindi il suo daffare per convincere i suoi riottosi colleghi. Ma la partita è fin troppo importante per non essere giocata.

1 - Gli euroimbecilli al potere, fino a quando?

Vi spiego le tribolazioni politiche in Francia, Germania e Spagna. L’analisi di Salerno Aletta

7 settembre 2019


L’analisi dell’editorialista Guido Salerno Aletta

“Ce lo chiede l’Europa”. Matteo Salvini ed il sovranismo incarnato dalla Lega di cui ha conquistato la leadership, andavano sbarcati dal governo, ad ogni costo: rappresentavano un corpo estraneo per la stabilità dell’Unione e soprattutto rispetto alle prospettive di un suo rafforzamento. La apertura della crisi da parte della lega ha solo abbreviato i tempi di una lunga agonia.

Siamo ad una svolta drammatica del progetto europeo, in cui la crisi italiana si inserisce a pieno: non basta estromettere la Lega o differire la data della Brexit. di tre mesi in tre mesi. C’è la Spagna che è senza governo stabile da non si sa più quanto tempo, mentre in Germania si va consolidando la Grande Sostituzione, con l’AfD ed i Verdi che erodono senza soste la dominanza della coppia Cdu-Csu/Spd unita in una asfittica coalizione. Intanto, l’Spd e la Linke perdono il ruolo di forze potenzialmente alternative. In Francia, il sistema si regge ancora, ma solo sfruttando una architettura presidenziale ed legge elettorale fortemente manipolative, che tagliano le estreme privandole di rappresentanza: un assetto che si fonda su un consenso minoritario è destinato ad implodere, non importa quando. L’attivismo geopolitico e l’ambientalismo ostentato non servono a suturare il rapporto tra popolo e potere; né basta avviare un Débat Nationale per riconciliarli, mentre le riforme strutturali, dalle pensioni al pubblico impiego, hanno trovato finora resistenze sociali insuperabili.

In Italia, avrà pure la maggioranza in Parlamento, il nuovo governo, ma di certo nasce monco: non rappresenta Il Nord. Basta vedere le maggioranze in quelle Regioni e l’estrazione politica dei rispettivi Governatori. Si apre una inedita “questione Settentrionale”, che non è fatta solo di numeri e di consenso popolare che latitano, ma dell’annichilimento prospettico dell’articolazione produttiva che fa da spina dorsale all’Italia. E non dipende neppure dai luoghi di nascita dei ministri, da una banale ricognizione anagrafica che ridurrebbe il divario a favore del Centro e del Meridione ad uno striminzito, rugbistico, 11 a 10.. Certa finanza settentrionale, che si rappresenta da sé, ha incitato per tempo al ribaltone: sa di navigar bene con il Pd, ancora ben insediato nei luoghi del potere. È questa la faglia ancor più profonda che divide l’Italia, che conferma la autoreferenzialità dell’accordo: il popolo conta ben poco.

Sono considerazioni di pessimo auspicio, dunque, specie se si considerano i risultati delle recenti elezioni europee, svoltesi appena a maggio scorso. Nelle due circoscrizioni settentrionali, la nuova maggioranza, composta da M5S, PD e Leu, è stata addirittura doppiata dalla sola Lega. In quella Nord Occidentale, la lega ha conquistato 9 seggi con il 40,6% dei voti, il Pd ha avuto 5 seggi con il 23,5% dei voti ed il M5S appena 2 seggi con l’11,1% dei consensi. Leu, in quanto tale, non ha neppure presentato una propria lista. Nella circoscrizione Nord Orientale, che comprende anche l’Emilia Romagna, la Lega ha ottenuto 7 seggi con il 40,1% dei voti, il Pd 4 seggi con il 23,8% dei voti ed il M5S 2 seggi con il 10,3% dei voti. Si è arrivati invece al pareggio nella circoscrizione dell’Italia Centrale, che comprende la Toscana e le Marche in cui il Pd ha sempre avuto grande presa: 6 seggi per la Lega, 4 per il Pd e 2 per il M5S. I risultati elettorali si sono ribaltati al Sud, dove il M5S ed il Pd hanno doppiato i consensi ottenuti dalla Lega. Nella circoscrizione Meridionale, il M5S ha conquistato 6 seggi, il Pd 4 e la Lega 5. Nella circoscrizione Insulare, il M5S, la Lega ed il Pd hanno ottenuto 2 seggi ciascuno: in questo caso, però, la ripartizione proporzionale dei seggi nasconde la percentuale dei voti raccolti: 28,9% per il M5S, 22,5% la Lega, 18,5% il Pd.

(1- continua; la seconda parte sarà pubblicata domani)

Il fanfulla e la profonda ignoranza culturale, un politico non dovrebbe parlare per sentito dire, dare giudizi basandosi su luoghi comuni stratificati da una propaganda fatta su fake news

Un altro mojito? Ennesima fake news di Salvini contro il Venezuela


di Fabrizio Verde

Il leader della Lega nonché ormai ex ministro degli Interni Matteo Salvini non perde occasione per tacere e fare sfoggio della sua palese ignoranza politica. 

Nel cercare di giustificare la sua goffa invocazione di pieni poteri, Salvini, ospite di un programma televisivo in onda su l’emittente la7 afferma di non avere come modello Maduro «che in Venezuela governa da solo». Lasciando intendere che il presidente della Repubblica Bolivariana sia una sorta di autocrate che governa il paese in base ai propri capricci personali. 

Evidentemente Matteo Salvini ignora che in Venezuela vi è addirittura un ministero dedicato alle ‘Comunas’ e la ‘Protezione Sociale’ che ha l’obiettivo di dare attuazione a politiche sociali tipiche dell’esercizio democratico e vitali per lo Stato venezuelano in materia di promozione, assistenza e sviluppo sociale integrale e partecipativo, attraverso comitati, piani, programmi e progetti del sistema di protezione sociale. 

Il dicastero ha l’obiettivo di consolidare le linee guida e le politiche nel campo della protezione sociale, rivolte a persone, comunità e gruppi sociali vulnerabili. Vuole stabilire un modello umanistico incentrato su uomini e donne, svolgendo attività locali e sostenibili volte alla prevenzione e alla cura in modo corresponsabile con il potere popolare, che trasferisce gradualmente il potere al popolo e deve decidere sugli aspetti immediati della loro vita, in termini di cultura, credenze, sport, salute, istruzione, sicurezza della nazione, tra gli altri campi sociali, con l'obiettivo di approfondire il sistema politico sociale della riconosciuta traiettoria nazionale e internazionale.

«Le Comunas devono essere lo spazio su cui costruire il socialismo», così il presidente Hugo Chavez definiva quelle che possiamo definire le istituzioni del potere popolare attive in Venezuela. 

Nella concezione profondamente democratica dell’ex presidente del Venezuela le ‘comunas’ rappresentano uno spazio socialista che in quanto entità locale, è definito dall'integrazione di comunità riconosciute nel territorio che occupano e nelle attività produttive che le sostengono, e dove il popolo esercita i principi di sovranità e partecipazione come espressione del potere popolare. 

«Durante 14 anni di rivoluzione, il processo ha acquisito esperienza.

Abbiamo nuovi codici, abbiamo una nuova architettura legale, giuridica, la Costituzione, le leggi sulle comunas, l'economia comunale, ma ignoriamo una qualsiasi di quelle leggi. Spero che mi presentiate qualcosa dopo questa autocritica pubblica che sto facendo», affermava Chavez nel 2012.

«Questo è un governo di rivoluzionari e ratificato da un popolo. Ma anche molto criticato e con ragione, mancanza di efficienza», continuava Chavez. 

Vi sembra questa una realtà autocratica dove un uomo solo al comando decide e governa in maniera autocratica?

Salvini e i conduttori della trasmissione di approfondimento politico (sic!) evitino di lanciarsi in arditi giudizi su una nazione che non conoscono affatto come il Venezuela. 

Perché leggere le cronache viziate dal pregiudizio anti-bolivariano della stampa nordamericana significa non conoscere affatto la realtà venezuelana. 

Un’annotazione finale: Salvini lamenta che è stato impedito al popolo italiano di esprimersi sul governo nazionale attraverso la convocazione di nuove elezioni. Nel paese dove afferma che vi sia un solo uomo al comando che fa il bello e cattivo tempo a suo piacimento si sono svolte 25 tornate elettorali dal 1999 ad oggi. Ben 23 sono state vinte dal chavismo. Con un sistema elettorale che la Fondazione Carter - capeggiata dall’ex presidente degli Stati Uniti - ha definito il migliore al mondo. 

Notizia del: 06/09/2019

4 settembre 2019 - Lite Marco Rizzo (PC) vs Gualtieri (PD): "Fuori da qui ti gonfiavo gli o...

Perchè no? con il Partito Comunista di Rizzo

POLITICA
Mercoledì, 4 settembre 2019 - 19:17:00

"Questo è il governo delle banche". Comunisti in piazza contro M5S-Pd

Marco Rizzo ad Affari: "La prima opposizione siamo noi"

di Alberto Maggi


Appena pubblicato l’esito del voto su Rousseau, Marco Rizzo ha subito chiamato a raccolta i comunisti per scendere in piazza contro il nuovo governo. Il segretario del PC si chiama fuori dal sostegno al governo giallo-rosso, definizione che contesta con sdegno. E lancia la proposta di un fronte ampio, con sindacati e forze politiche a sinistra del nuovo governo per non lasciare come unica opposizione la destra di Salvini. Ecco le sue parole per Affaritaliani.it.

Rizzo, che giudizio avete sul nuovo esecutivo giallo-rosso?

Guardi, di rosso mi sembra non ci sia proprio niente. Il partito democratico da tempo non è più un partito di sinistra, se con questa espressione intendiamo chi ha a cuore la difesa dei diritti dei lavoratori e delle classi popolari. Anzi è il partito delle banche, dell’Unione Europea, della fedeltà alla Nato, delle peggiori politiche antipopolari. Quindi nessuna illusione: questo governo parte con i peggiori auspici, sostenuto e voluto dai poteri forti. I margini di manovra delle forze politiche italiane in questo sistema sono ridottissimi. Non sarà un governo amico dei lavoratori, dobbiamo avere la forza di contrastare la narrazione di un governo “di sinistra” altrimenti tra qualche anno il paese sarà tutto nelle mani di Salvini. Per questo da subito scendiamo in piazza.

Eppure il popolo di sinistra ha accolto bene l’uscita di Salvini al governo e il fatto che si sia scongiurato il rischio elezioni. Per voi non è così? 

Ormai le forze di sinistra moderata hanno abituato i loro elettori a fare solamente tifoseria contro qualcuno. Prima c’era Berlusconi, oggi Salvini, il copione è lo stesso. Sia chiaro, anche noi comunisti abbiamo guardato con preoccupazione e contestato i provvedimenti razzisti, reazionari e repressivi dell’ex ministro dell’Interno, e siamo contenti che non sia più al governo. Ma se in nome di evitare che la destra torni al governo si giustificheranno le solite politiche di attacco ai diritti dei lavoratori e delle classi popolari, se opporsi a Salvini significa cadere nelle braccia delle cancellerie europee, ho il timore che la Lega raccoglierà consensi a valanghe in questi mesi. 

La sinistra presente in Parlamento ha scelto di sostenere l’esecutivo, voi invece chiamate una piazza contro?

Non mi stupisce. Un po’ di spirito di autoconservazione, ma soprattutto una scelta di campo ormai chiara. Questo è il governo dell’Unione Europea e quella sinistra presente in Parlamento è la forza più europeista. In questo contesto la sinistra che va al governo non otterrà alcun risultato politico, se non quello di compromettersi ulteriormente agli occhi dei lavoratori, perché non c’è più spazio per battaglie progressiste nei vincoli imposti da Bruxelles e nella attuale congiuntura globale. O si rompe con questo sistema, o si fanno le politiche che vogliono le banche e la Confindustria, non c’è una terza via.

Non vi disturba sapere che in piazza scenderete voi prima e poi fratelli d’Italia e Lega? 

No, vogliamo sia chiaro che la prima opposizione a questo governo sarà dei comunisti, perché se lasciamo che passi l’idea che la destra è l’opposizione a questo governo la crescita di quelle forze sarà inevitabile. Vogliamo rompere questa finta alternativa tra sovranisti e europeisti, che in realtà per la maggior parte seguono gli stessi interessi. Bisogna creare uno spazio autonomo in grado di dare voce agli interessi dei lavoratori e delle classi popolari.

Che però in larga parte hanno votato cinque stelle…

Appunto, oggi è il momento di riconquistarli. Sono sicuro che buona parte di quell’elettorato che aveva votato cinque stelle perchè cercava una alternativa ed era deluso dal centrosinistra non sia contento del governo con la Lega e neanche di questa nuova svolta con il PD. Questo è il nostro obiettivo oggi, e per questo abbiamo fatto un appello alle forze sindacali e politiche di classe, che condividono con noi l’idea della costruzione di un altro modello di società dell’uscita da Unione Europea, euro e Nato come suo presupposto. Con chi oggi a sinistra non cede alle sirene del governo Conte è nostro dovere dare battaglia insieme. Costruire insieme un fronte di opposizione sociale fatto di lotte, è l’unica soluzione che può sconfiggere tanto la destra, quanto questa finta sinistra inconcludente e succube dei poteri forti.

Yemen la guerra alimentata dalle armi degli euroimbecilli

ECCO COME UN’EUROPA CINICA ARMA I SAUD E GLI EMIRATI

Pubblicato 06/09/2019
ALBERTO NEGRI

Nel 2017, secondo i dati della Ue, i Paesi europei hanno esportato 22 miliardi di euro di armi in Arabia Saudita ed Emirati per fare la guerra in Yemen. Non solo: per aggirare l’embargo all’export verso i Paesi in guerra, i grandi gruppi di armamenti europei aprono fabbriche a Riad e Abu Dhabi. Questo è il volto cinico dell’Europa, un incolmabile “spread” tra la retorica sui diritti umani e i fatti.

venerdì 6 settembre 2019

Il falso ideologico del M5S risplende, sapevamo che sarebbe giunto il momento, lo stiamo vivendo

L’ex del gruppo comunicazione: “Addio al M5S”. La lettera struggente di Debora Billi

4 settembre 2019


di Debora Billi (*)

E’ ora. Per quei 4 gatti che forse hanno voglia di leggere, racconto la mia storia. Serve più che altro a me, confesso.

Oggi mi allineo a tanti altri amici e dico addio al MoVimento 5 Stelle. Devo spiegare perché? Direi che è talmente scontato ed evidente da non doverci sprecare parole: l’obbrobrio che si è consumato nel Palazzo ha superato in nefandezza il golpe del 2011, e la mano che ha riconsegnato il mio Paese ai carnefici della Grecia stavolta porta il nome di MoVimento 5 Stelle. Ho dato il mio ultimo Oxi a Rousseau.

Ma nel giorno in cui il mio Paese è vinto, io sono finalmente libera. Una magra consolazione.

Come molti amici sanno, ho lavorato per 5 anni nell’ormai mitico “gruppo comunicazione” m5s alla Camera, che la stampa considerava onnipotente (ci ridevamo molto). Ho partecipato a cerchi magici, a vertici, ho vissuto momenti storici per il MoVimento. Ho scritto decine di post per il blog di Beppe, nessuno dei quali a mio nome, e alcuni dei quali finiti sulle prime pagine. Ho fatto campagne web e social, nel periodo dell’assai discusso divieto TV, che hanno coinvolto e trascinato l’intero MoVimento. Esisteva ancora a quell’epoca il MoVimento, sapete? Mi piaceva lavorare nell’ombra, e ho avuto i miei 15 minuti di celebrità solo per un tweet del venerdì notte che mi ha fatto finire nei titoli di apertura del TG1, tra Obama e il Papa. Per i media, d’altronde, ogni scusa era buona per attaccare il m5s. Gianroberto mi disse “Chiudi tutto per 48 ore, e passerà”. Un ottimo consiglio.

E’ passato, come è passato Gianroberto: era malato, aveva i giorni contati, e fu così che nel m5s partì la prima Foresta dei Pugnali Volanti. In quella guerra sanguinosa e tutta interna, tanti furono i morti lasciati a terra. In primis i meetup, quelli litigiosi ma anche quelli “scomodi”; poi singoli attivisti, scomunicati di botto; e poi la gente nel Palazzo, dai parlamentari agli umili lavoratori della vigna m5s come ero io o come era Messora. La strage dei casaleggini, di cui quello che avete visto nei giorni scorsi è stato solo l’atto finale.

Chi è il colpevole? Non lo so. Nel mio caso, a rendermi la vita impossibile e poi a buttarmi fuori nel 2018 furono alcune mezze figure di capacità nulle, e qualche arrampicatore che ha poi fatto carriera spinto da chissà chi. Ci sono sempre, in politica. I parlamentari? Mi piacevano tutti, erano bravi, lavoravano tanto, si impuntavano per sciocchezze e a volte ci facevano ammattire. Ora ho visto moltissimi di loro fare appelli per il governo con il PD: sì, sei su scherzi a parte.

Ho sempre combattuto, malgrado tutto. Sono riuscita a togliermi soddisfazioni a dispetto di molti: la campagna di Luigi sui “taxi del mare” è stata un’idea mia, e ha aperto gli occhi al Paese sui trafficanti di uomini. E’ questo ciò che fa un giornalista, specialmente se “al servizio” di un partito che è (era) nato per aprire gli occhi ai cittadini.

Gianroberto, dicevamo. Eravamo amici, gli volevo bene e so che anche lui me ne ha voluto: “Ti ha difeso tanto”, mi hanno detto due big del m5s il giorno della sua morte. Chissà da chi, chissà da che, anche se posso immaginarlo. Non dirò nulla di ciò che pensava davvero, non andrò in giro a vendermi la sua fiducia: posso solo garantire che le scempiaggini sul “governo globale massonico” che girano sul suo conto sono tutte fesserie.

Questa, molto in breve (come merita) è la mia storia nel m5s. Che è durata fino a pochi giorni fa, quando ancora ricevevo chiamate e chat dal Palazzo, o scrivevo sui social sotto falso nome sempre per non creare problemi al m5s. Mi sono annullata per anni, ho cancellato la mia stessa esistenza, non ho mai fiatato e ho servito il m5s (e il Paese) fino all’ultimo. Non facile, per una giornalista.

L’”ultimo” però è arrivato. Il m5s oggi governa col PD, facendo credere che lo cambierà “dall’interno”. Ma il PD è come l’Europa: per cambiarlo dall’interno prima devi starci dentro, e quando vuoi uscire è peggio dell’Hotel California. Nella scatoletta di tonno ci abbiamo trovato la piovra, ed è stato più facile lasciarci abbracciare che combatterla.

Addio m5s, torno ad essere libera. Non devo più fedeltà a nessuno: Gianroberto è morto, ma mi piace pensare che avrebbe approvato.

E al mio disgraziato Paese, buonanotte e buona fortuna.

La Svezia è il prototipo dell'Immigrazione di Rimpiazzo in cui la Sharia sarà ben posizionata

Paesino svedese a rischio default, gli immigrati non pagano le tasse e vivono di sussidi
© REUTERS / Adam Ihse/TT News Agency
11:56 31.08.2019

Il comune di Filipstad sta affrontando una crisi economica a causa di un afflusso di immigrati scarsamente qualificati, che fanno affidamento sui sussidi statali, aggravata dall’esodo di svedesi qualificati. Secondo il comune, almeno l'80% dei migranti extraeuropei è disoccupato e vive di welfare.

A seguito della crisi migratoria del 2015, il comune svedese di Filipstad affronta una situazione lavorativa "sempre più disperata" e ha oltre 31 milioni di corone svedesi (3,2 milioni di dollari) da versare in vari sussidi solo quest'anno, secondo quanto riportato dall'emittente nazionale svedese SVT.

Tra il 2012 e il 2018, il numero di residenti nati nel comune è diminuito di 640 persone, mentre il numero di residenti nati all'estero è aumentato di 963 persone. "Le statistiche mostrano anche che i nati locali in età lavorativa (20-64 anni), che rappresentano le maggiori entrate fiscali per il comune, scelgono di andarsene", afferma SVT.

“Siamo in procinto di assistere a un cambiamento nella popolazione. Si può pensare quello che si vuole, dipende dal tuo punto di vista, ma è solo un dato di fatto a cui dobbiamo fare riferimento ”, ha affermato Jim Frölander, responsabile dell'integrazione di Filipstad.

Mentre i locali in età lavorativa lasciano il comune a frotte, la disoccupazione tra gli immigrati sta aumentando vertiginosamente, poiché si rivelano scarsamente qualificati per i lavori esistenti. Il comune stima che almeno l'80% dei migranti extraeuropei siano disoccupati e vivano di sussidi.

“Circa 750 adulti provenienti da Siria, Somalia, Eritrea, Afghanistan e Iraq vivono a Filipstad. <...> In questo gruppo, la disoccupazione e la dipendenza dagli aiuti sono molto alte, mentre i livelli d'istruzione sono molto bassi. Questo gruppo corre il rischio di un'alienazione eterna che sta già gravando pesantemente sull'economia comunale”, ha affermato il capo del comune Claes Hultgren.

Secondo Hultgren, molti dei nuovi arrivati ​​non hanno i requisiti per entrare nel mercato del lavoro svedese.

“Alcuni sono troppo vecchi forse e persino analfabeti o hanno un livello d'istruzione molto basso. Dobbiamo quindi accettare che ci saranno alcune persone che avranno bisogno del sostegno della società per i loro mezzi di sussistenza ”, ha spiegato Hultgren.

Il consiglio comunale Per Gruvberger del partito socialdemocratico al potere ha richiesto che lo stato intervenga e si assuma la sua responsabilità per la crisi causata.

"Sono necessarie risorse e una iniziativa nazionale per compiere questa missione, nata dal modo in cui abbiamo organizzato il nostro sistema di richiesta d’asilo in un determinato periodo", ha spiegato Gruvberger.

Il ministro della Pubblica Amministrazione Ardalan Shekarabi ha promesso sostegno statale a Filipstad.

"La Svezia non ha problemi che non possiamo risolvere se aiutiamo", ha detto Shekarabi.
La crisi migratoria in Svezia

La Svezia ha attualmente una delle politiche d'immigrazione più generose degli Stati membri dell'UE, avendo accolto oltre 200.000 richiedenti asilo dalla sola crisi dei migranti del 2015.

A oggi, circa un quarto della popolazione svedese di 10 milioni ha origini immigrate. Le più grandi comunità di origine non svedese includono persone provenienti dall'ex Jugoslavia, Siria, Finlandia, Iraq, Somalia, Iraq e Polonia.

Secondo varie previsioni, gli svedesi etnici diventeranno una minoranza nel loro paese durante questo secolo.

Gli avvoltoi Arabia Saudita ed Emirati Arabi si contendono le spoglie del paese attraverso i mercenari

Più truppe saudite nello Yemen ma contro i secessionisti di Aden

5 settembre 2019 
di Redazione in News


L’Arabia Saudita ha schierato negli ultimi giorni nuovi contingenti militari nello Yemen meridionale per cercare di contenere gli scontri interni all’alleanza araba anti-Houthi a guida saudita che rischiano di frammentare ulteriormente il paese.


La lotta per il sud del paese ha aperto infatti un nuovo conflitto, concentrato attorno al porto di Aden, in mano a forze indipendentiste (nella foto qui sopra) sostenute dagli Emirati Arabi Uniti.

Soldati e veicoli armati sauditi sono arrivati nello scorso fine settimana nella capitale della provincia di Shabwa, produttrice di petrolio, dove i separatisti sostenuti dagli emiratini hanno combattuto le forze del governo yemenita, come hanno riferito a Reuters due funzionari locali.

Le due fazioni in lotta, governativi filo sauditi (nella foto sotto) e separatisti filo-emiratini, fanno parte della coalizione sunnita guidata da Riad e da Abu Dhabi intervenuta nello Yemen nel marzo 2015 contro le milizie scite Houthi appoggiate dall’Iran che aveva espulso il governo di Abd-Rabbu Mansour Hadi dal potere nella capitale Sanaa nel 2014.


I separatisti di Aden, che puntano a restaurare la Rrepubblica dello Yemen del Sud, si sono rivolti al governo all’inizio di agosto e hanno preso il controllo di Aden, sede provvisoria del governo di Hadi.
Da allora hanno cercato di estendere la loro portata alle province vicine di Abyan e Shabwa, scontrandosi ripetutamente con le forze governative.

L’Arabia Saudita ha rafforzato le sue posizioni a Shabwa e Aden, mentre Riyadh ha chiesto colloqui per risolvere la crisi e riorientare la coalizione appoggiata dall’Occidente nella lotta contro gli Houti, che hanno intensificato missili e attacchi di droni contro le città saudite e sfruttano sul campo di battaglia le divisioni tra i loro nemici.


Il leader separatista del Consiglio di transizione meridionale (STC), appoggiato dagli Emirati Arabi Uniti, Aidarous al-Zubaidi, è arrivato martedì a Gedda, città saudita sul Mar Rosso, per incontrare funzionari yemeniti e sauditi, ha detto un portavoce del movimento.

Le forze degli Emirati Arabi Uniti sono intervenute in armi a sostegno dei separatisti la scorsa settimana bombardando le forze governative che cercavano di riprendere il controllo di Aden e costringendole a ritirarsi.

Le forze della STC hanno anch’esse fatto confluire rinforzi ad Aden richiamando combattenti che erano stati schierati nella periferia del porto di Hodeidah, nell’ovest dello Yemen, ancora in mano agli Houti.


I miliziani separatisti hanno scavato gallerie e costruito trincee intorno ad Aden e bloccato le strade principali che conducono fuori città per impedire alle forze governative di riconquistarla.

Lo STC, che accusa il governo di Hadi di cattiva gestione, ha assunto l’iniziativa ad Aden dopo che a giugno gli Emirati Arabi Uniti hanno ridotto la presenza militare nello Yemen sotto la pressione occidentale per porre fine alla guerra.

L’escalation della violenza in tutto lo Yemen e l’evidente spaccatura tra Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti potrebbe complicare gli sforzi delle Nazioni Unite di riavviare i colloqui di pace per porre fine al conflitto, da molti considerato una guerra per procura tra Arabia Saudita e Iran.

All’inizio di questa settimana, aerei da guerra della Coalizione hanno bombardato un complesso carcerario nel sud-ovest dello Yemen, uccidendo a quanto sembra più di 100 persone.

(con fonte Reuters

Foto: Reuters, BBC e EPA

Non tutti nel M5S sono diventati dei falsi ideologici. Cominciamo a distinguere il loglio dal grano

6/9/2019 'Non si governa con chi ha tradito il Paese!'. Clamoroso a Monte Compatri, Elio Masi all'attacco dell'intesa M5S - Pd: 'Mai con quelli di Mafia Capit... 

‘Non si governa con chi ha tradito il Paese!’. Clamoroso a Monte Compatri, Elio Masi all’attacco dell’intesa M5S – Pd: ‘Mai con quelli di Mafia Capitale e Bibbiano 

Quei poteri che hanno disastrato il Paese nel corso degli ultimi 30 anni e distrutto sistematicamente il tessuto sociale e produttivo del Paese per aderire alle politiche scellerate dell’UE, che hanno portato povertà e morte (imprenditori abbandonati) sottaciuti per diverso tempo”. 

“Nel corso dei primi anni – continua Elio Masi – ancor prima di entrare nelle Istituzioni (Parlamento) il M5S ha avuto a disposizioni le migliori menti nel campo dell’economia, della tecnologia, tecnici nei più variati campi che avrebbe dato un serio contributo a far riemergere il Paese da quelle sabbie mobili dell’UE. Si parlava attraverso seminari, incontri e convegni di Economia, Infrastrutture, Multimedialità, Resilienza etc..
Ma come spesso accade anche con i migliori presupposti qualcosa è cambiato e abbiamo permesso che fossero allontanati, non considerati disperdendo un patrimonio di conoscenze e professionalità”. 

“Chi mi conosce – continua Elio Masi, che ha ricevuto numerosi attestati di stima, tra cui quello del sindaco D’Acuti – sa bene che ho dismesso la casacca da tifoso da tempo.Il mio unico obiettivo è quello di lottare per rimettere al centro l’Interesse Nazionale attraverso una politica economica socialista fondata dai fondamenti di Keynes e di Caffè e come stella polare la Carta Costituzionale che i Padri Costituenti hanno redatto nel 1948, nella quale c’è scritto tutto ciò che il Paese ha bisogno e tutti i cittadini hanno bisogno. 

Per questo motivo non posso appoggiare nessuna formazione politica, neanche il M5S che è a favore della UE, del Mondialismo, della Globalizzazione, della distruzione di Principi e dei Valori, dell’autodeterminazione che ogni Nazione è portatrice. 

L’ho sempre affermato che sono pronto con il peggior nemico/avversario politico ad allearmi pur di liberare il Paese da questa Dittatura/Invasione. Una volta liberato, sono pronto a discutere, argomento per argomento, con tutta la forza possibile, su tutti gli argomenti che la sana politica dovrà affrontare. 

La diversità è la ricchezza in qualsiasi ambito possa essere declinata, per questo in quanto Italiano la Nazione/Patria è una sola ed Indivisibile e la politica la deve decidere esclusivamente il popolo che si esprime e nessun altro che possa attraverso il vituperato “vincolo esterno” dettare legge o prendere decisioni per conto nostro. 

Non si può fare un Governo con chi ha:

  •  Cancellato l’Art.18;
  •  Scandalo CSM;
  •  Scandalo affidi Bibbiano; 
  •  Smantellato l’IRI;
  •  Le Privatizzazioni selvagge;
  •  Banca Etruria;
  •  Distrutto la domanda interna attraverso il Governo eterodiretto da Monti dopo aver fatto cedere il Governo legittimamente eletto.
  •  MafiaCapitale;
  •  JobAct;
  • Votato il Pareggio di Bilancio in Costituzione di fatto violandone un principio fondamentale di uno Stato Sovrano;
  • Voleva cancellare il Senato;
  • Votato il Fiscal Compact;
  • Trattato di Maastricht;
  • Trattato di Lisbona; 
Pensare di governare insieme con coloro che hanno tradito il Paese è irricevibile e tanto meno impossibile dato che non ci saranno le condizioni per poter affrontare concretamente la situazione economica con una Finanziaria alle porte che sarà scritta da Bruxelles e da un Ministro (Gualtieri), benvoluto dai Mercati ed Europeista, voluto da loro e comporterà ennesime lacrime e sangue al Paese. 

Per questi motivi dissento fortemente e mi dissocio dalla decisione presa perché non voglio essere ricordato tra coloro che svendono il proprio Paese al Cartello Finanziario Europeo a guida franco-tedesca, insieme al partito che ci ha tolto tutto, per fare la fine della Grecia. 

Amo il mio Paese – conclude Elio Masi -. L’Italia è un grande Nazione e ha il diritto di risollevarsi”.

Il M5S non è post ideologico ma un falso ideologico, la maschera è caduta

ESAURITA LA “SPINTA PROPULSIVA”DEL M5S

Pubblicato 05/09/2019
DI GIULIETTO CHIESA


Non intendo, come si suol dire, “menare scandalo”. Per quanto mi riguarda ne ero convinto da tempo. Solo che adesso è ufficiale. Che il M5S fosse uno strano partito interclassista non c’erano dubbi. Il marchio di fabbrica della coppia Grillo-Casaleggio era inequivocabile. La fisionomia era quella dell’incazzato generico di ogni schieramento, che confluiva nella forma più plateale (e, in fondo inoffensiva) della repulsione alla “Casta”.

Solo che, in un mondo senza riferimenti ideologici – ed essendo la Casta scambiata per “quelli che decidono”, cioè i “politici” – faceva pensare ai seguaci del verbo comico grillino che tutto quello significava essere “contro il sistema.”
Il fatto è, come sappiamo, che il “sistema” è tutt’altra cosa. Ma, poiché Grillo (e quelli come lui) avevano la testa piena di bollicine (oltre che un fiuto notevole a raccattare gli scontenti di ogni provenienza, e l’Italia ne è piena), ecco che adesso diviene chiaro perché fanno un governo con la Casta. Ovvero, come scrive applaudendo il giornale più elitario di Francia, cioè di sinistra, mettono in piedi il governo della carpa e del coniglio. Senza nemmeno rendersi conto (ma probabilmente lassù, nel Comitato Centrale Domestico, CCD, lo sanno benissimo) che questo significa allearsi proprio con quelli che comandano la Casta.

In questo senso non denuncio la loro (quella del CCD) incoerenza. Constato che è ora ufficiale che la spinta propulsiva composita, sopra descritta, dei milioni di elettori, si affloscerà nella delusione e nell’incertezza. E molti si accorgeranno abbastanza presto di qual è stato l’effetto coniugato e composto di cui essi sono stati strumento: presi nell’onda del “vaffa”, non sono stato in grado di distinguere tra le cose che contano e quelle che distraggono. Così, per esempio, sono corsi dietro alla lepre della riduzione del numero dei parlamentari (giusta in sé), mentre la crema dei “padroni universali” e dei loro soci italiani, li derubava e li espropriava a man bassa. Mentre l’Italia ribadiva la sua servitù totale, gli si faceva credere che erano sovranisti. Mentre l’Italia teneva bordone alle guerre, gli si faceva credere che erano pacifisti. Mentre i poveri crescevano a dismisura gli si faceva credere che il reddito di cittadinanza avrebbe risolto i problemi (“abbiamo abolito la povertà!”, gridava Di Maio). Che equivale a dimenticare e a far dimenticare che la Banca Centrale Europea è di proprietà delle banche private ed è indipendente da tutti i poteri politici. E che, dunque, è essa che “crea” la povertà.

Tutti atlantici. Tutti a cuccia. Certo ciascuno interpreta questo governo come gli piace. A molti non piace, ad esempio, riconoscere di essere stati presi per i fondelli. Altri, che non conoscono le leggi ferree del potere (infatti votano per il potere pensando di combatterlo) penseranno che “bisogna provarci” e che non si deve perdere l’occasione di convincere il PD a diventare “migliore”. Lo pensa anche Grillo, non è vero? Dunque perché non credere al Vate? In fondo li ha miracolati (sicuramente i parlamentari eletti nel 2018). Dunque si aspetta un altro miracolo. Che presumo non verrà.

Infine ci sono le coorti che sono convinte dell’incrollabile onesta dei deputati e senatori grillini. Che, certo, erano integerrimi. Ma oggi, di fronte al rischio di perdere la poltrona, sono velocemente diventati molto attenti alle prerogative della Casta, di cui sono diventati parte. Prima si vedeva meno, quasi niente. Adesso si vede a occhio nudo.

Comunque l’interclassismo svolge il suo ruolo: se non vedi il nemico (e non lo hai mai visto) è più inevitabile che facile che finirai per accompagnarti con il primo che capita. Carpa e Coniglio, appunto. E domani potrebbe essere peggio: magari leopardo e antilope. Indovina chi sarà il leopardo. Così fu per la Lega, così è per il PD fucsia. Gli elettori che resteranno hanno dato il loro responso a Rousseau. Ma saranno molto meno della metà di quelli che furono. Poi un terzo, e un quarto. E, in questo declino, molte teste cadranno.

4 settembre 2019 - LO SCONTRO COLOSSALE TRA POTERI INVISIBILI - Giulietto Chiesa - #Maraton...

giovedì 5 settembre 2019

Ricominciare dalle macerie e combattere il Progetto Criminale dell'Euro

Ecco come uscire dall'euro
di Programma 101

3 settembre 2019

Man mano che si avvicina la manifestazione LIBERIAMO L'ITALIA del 12 ottobre, la prima che rivendichi apertamente l'uscita dalla gabbia dell'euro, crescono, sia le adesioni sia coloro i quali si domandano: "Ma ce l'abbiamo le idee chiare su come rendere possibile l'uscita? Quali dovranno essere le misure politiche ed economiche affinché essa non sia un fiasco?". Domande legittime a cui questo documento, frutto di anni e anni di riflessioni e discussioni, offre la risposta


1. Riconquista della sovranità monetaria e controllo pubblico della Banca d'Italia

Il primo atto da compiere consiste nel ripristino del controllo pubblico della Banca d'Italia. Essa dovrà mettere in circolazione la nuova lira, sostenere la politica economica del governo, fungere da acquirente di ultima istanza dei titoli del debito pubblico ad un tasso d'interesse sostenibile. In questo modo lo Stato non avrà più bisogno di finanziarsi sui mercati internazionali. La Banca d'Italia - a differenza della Bce che ha come unico scopo la stabilità dei prezzi - dovrà dunque essere uno strumento decisivo di una Nuova Politica Economica volta alla lotta alla disoccupazione ed alla povertà, alla tutela dei risparmi, finalizzata al bene comune e non agli interessi di pochi.

2. Gestione dei nuovi cambi e dell'inflazione

Su questi temi il terrorismo del blocco eurista imperversa sui media. Si tratta di paure assolutamente infondate. L'Italia ha bisogno di svalutare rispetto alla Germania, ma questo non deve far pensare ad una svalutazione catastrofica rispetto alle altre monete. In caso di rottura completa dell'Eurozona, diversi studi prevedono anzi una sostanziale stabilità della nuova lira verso l'insieme delle monete dei singoli paesi, con svalutazioni (peraltro neppure troppo elevate) verso Germania, Olanda ed Austria ed addirittura rivalutazioni verso Francia, Spagna e Belgio. Le esagerazioni sono dunque fuori luogo, pura materia di propaganda, mentre la svalutazione con la Germania - che proprio grazie alla sua moneta svalutata ha un pazzesco surplus commerciale vicino al 10% del Pil - è assolutamente necessaria, ma non solo per l'Italia. 

L'alternativa a questa svalutazione monetaria non è l'assenza di svalutazioni, come vorrebbero farci credere, bensì la svalutazione interna già in atto da anni. E che cos'è la svalutazione interna? Essa consiste in una progressiva riduzione dei salari, delle pensioni, del welfare, dello stesso valore di beni materiali come le abitazioni. L'alternativa è dunque la semplice prosecuzione del disastroso scenario degli ultimi dieci anni per altri decenni ancora.

L'altra terroristica menzogna che ci viene propinata riguarda l'inflazione. I precedenti storici, sia in Italia (1992) che in altri paesi, smentiscono ogni scenario di inflazione alle stelle. E' tuttavia necessario difendere i redditi dei lavoratori attraverso alcune misure: l'applicazione universale dei contratti collettivi di lavoro, la reintroduzione di una nuova scala mobile a tutela di salari e pensioni, il ripristino del metodo di calcolo retributivo sulle pensioni.

3. Ridenominazione del debito

Anche su questo il terrorismo mediatico impazza, volendo far credere che l'uscita dall'euro comporterebbe un forte aumento del debito verso l'estero. In realtà il governo non dovrà far altro che applicare il principio della Lex Monetae, peraltro già previsto dal nostro Codice civile, ridenominando il valore di ogni debito (dunque anche di quelli verso l'estero) nelle nuove lire, in base ad un rapporto con l'euro di uno a uno. I debiti (mutui inclusi) si ripagheranno perciò in nuove lire, non in euro come si dice per spaventare la gente.

In questo modo, il valore dei debiti italiani (pubblici e privati) calerà anziché aumentare. Certo, i possessori esteri di titoli italiani faranno il diavolo a quattro per non subire perdite. Ma l'esperienza insegna che i grandi creditori internazionali (banche e fondi di investimento) preferiscono in questi casi limitare le perdite piuttosto che perdere tutto. Uno Stato sovrano, con un governo deciso a difendere gli interessi del suo popolo, può obbligare i pescecani della finanza a più miti consigli.

4. Controllo del movimento dei capitali

L'operazione di fuoriuscita dall'euro va ovviamente accompagnata da un rigido controllo sul movimento dei capitali, impedendone la fuga verso l'estero. La fuga dei capitali non è però un problema del dopo Italexit, bensì della fase che la precede. Occorre dunque grande rapidità e fermezza nelle scelte che si renderanno necessarie. A chi ci dice che il controllo sui capitali è impossibile ricordiamo l'esperienza di Cipro nel 2013, quando pesanti misure sul movimento di capitali (un limite sulle transazioni verso l'estero, uno sulle spese di viaggio, un altro sugli assegni, eccetera) vennero imposte dalla stessa Unione Europea.

Non si vede proprio per quale motivo ciò che è stato fatto allora, non possa essere fatto oggi - nelle forme che saranno più opportune - da uno Stato come l'Italia. Mentre l'esportazione di capitali dovrà essere contrastata anche in seguito, misure emergenziali come quelle che abbiamo citato dovranno avere ovviamente solo natura transitoria, esaurendosi la loro necessità con il completamento del passaggio alla nuova moneta.

5. Nazionalizzazione del sistema bancario, a partire dalle banche sistemiche 

Il sistema bancario italiano è reso traballante dalle assurde regole dell'Eurozona. Da un lato, in assenza di una banca centrale che svolga questo compito, le banche italiane sono state costrette a riempirsi di Btp; dall'altro, la svalutazione di questi titoli prodotta dall'aumento dello spread rischia di portare al dissesto alcune banche di rilevanza nazionale. Tutto ciò anche a causa delle norme penalizzanti dell'Unione bancaria, anch'essa scritta di fatto sotto dettatura tedesca.

C'è un solo modo per uscire da questa trappola, per tutelare i risparmi, per far sì che le banche tornino ad essere un fattore propulsivo dell'economia nazionale: la loro nazionalizzazione, a partire dalle banche più importanti, quelle definite come "sistemiche". 

6. Ridurre, grazie e contestualmente all'uscita dall'euro, il debito pubblico 

Abbiamo già visto come la semplice uscita dalla moneta unica determini da sola un abbattimento del valore effettivo del debito pubblico. Ma questo non basta. Insieme a quella dell'euro, l'Italia ha bisogno di uscire anche dalla schiavitù del debito. Tre provvedimenti saranno assolutamente necessari: la sterilizzazione dei titoli posseduti dalla Bce, una ristrutturazione della quota estera del debito, l'introduzione di nuovi strumenti finanziari per la sua rinazionalizzazione.

Il primo provvedimento era scritto nella bozza originaria del cosiddetto "contratto" di governo. Si tratta di azzerare i 250 miliardi dei titoli detenuti dalla Bce. Miliardi creati dal nulla, che nel nulla possono tornare, riducendo così l'ammontare complessivo del debito di un 11%. Il secondo provvedimento, valido solo per i titoli con possessori esteri, che già troppo hanno guadagnato speculando sui disastri imposti all'Italia dall'austerità e dalle regole del sistema dell'euro, può concretizzarsi sia con un allungamento delle scadenze che con una drastica riduzione degli interessi, meglio se con un mix di entrambe queste misure. 

Il terzo provvedimento - quello della rinazionalizzazione del debito - dovrà consistere nell'emissione di nuovi strumenti finanziari rivolti alle famiglie. Una sorta di "Btp famiglia" o dei "Cir" che il governo ha già annunciato, titoli rivolti esclusivamente alle famiglie italiane, integralmente garantiti dallo Stato, vantaggiosi fiscalmente o nei tassi applicati purché detenuti fino alla scadenza.

Scopo di queste misure non è solo la riduzione del debito accumulato, ma soprattutto la sua sostenibilità futura, garantibile soltanto con la totale indipendenza dai meccanismi e dagli avvoltoi della finanza internazionale. Come dimostra il caso del Giappone (che ne ha uno pari al 220% del Pil), il debito non è un problema quando si dispone pienamente della sovranità monetaria e quando esso è posseduto da soggetti interni.

7. Un programma di uscita dalla crisi, abbattimento della disoccupazione e della povertà 

Ovviamente l'uscita dall'euro non è fine a se stessa. Essa è la condizione necessaria, non ancora quella sufficiente per venir fuori dalla crisi e per sganciarsi dal sistema neoliberista. Per raggiungere questi obiettivi occorre un Piano per la ricostruzione economica e per il lavoro. 

La ricostruzione economica, che non va intesa in maniera meramente produttivistica, bensì principalmente nella sua dimensione di rifacimento di un vivere civile improntato al benessere fisico e psichico delle persone ed a quello della comunità, dovrà basarsi su un piano di reindustrializzazione fondato sulla nazionalizzazione dei settori strategici dell'economia (energia, telecomunicazioni, acqua, trasporti), sulla difesa dell'ambiente, sull'eliminazione del precariato, sulla difesa dei redditi da lavoro dipendente ed autonomo, su un sistema tributario che unisca la riduzione della pressione fiscale al suo carattere progressivo, sulla garanzia del diritto allo studio, alla salute e ad una vecchiaia serena.

Tutti questi obiettivi dovranno vivere dentro un Piano per il lavoro finalizzato a debellare la disoccupazione e a dare risposta ad alcuni fondamentali bisogni. In concreto si tratta di lavorare su: a) deciso sostegno al sistema scolastico pubblico e alla ricerca scientifica, b) sviluppo delle energie alternative, c) interventi per la riduzione del rischio idrogeologico, d) riorganizzazione complessiva del sistema dei trasporti, e) recupero del patrimonio edilizio esistente e piano di ristrutturazione antisismica nelle zone a rischio, f) sostegno al turismo non speculativo, g) tutela del patrimonio artistico e culturale, h) piano per un'assistenza dignitosa a tutti gli anziani i) riforma del sistema agrario a tutela delle piccole e medie imprese agricole, favorendo forme non intensive e sostenibili, l) creazione di servizi e network pubblici a sostegno dell'artigianato e delle piccole imprese.

Un ponte verso una alternativa di società: resistere e mobilitarsi per una nuova politica economica

La proposta di Programma 101 guarda ad una nuova società. La rottura con l'euro-dittatura è la condizione perché possa ripartire la lotta per l'eguaglianza sociale, per un'effettiva democrazia, per la fine dello sfruttamento e della precarietà, perché la solidarietà e la fratellanza prevalgano sulla mentalità avida, aggressiva ed individualista imposta dal pensiero unico neoliberale. In una parola, è la condizione necessaria affinché possa riaprirsi una prospettiva socialista largamente rinnovata.

Noi ci battiamo perché l'uscita dall'euro abbia questo significato di ponte verso una nuova società. Ma non siamo ciechi, sappiamo perfettamente che quell'uscita potrebbe essere guidata da forze con impostazioni ben diverse dalla nostra. E' questo il frutto della cecità dell'insieme delle formazioni della sinistra, che sfuggendo al tema della sovranità nazionale, hanno finito per cacciarsi nel vicolo cieco della totale irrilevanza, lasciando così ad altri la guida della ribellione popolare alle èlite. 

E' questo certamente un problema, ma l'uscita dall'Eurozona è comunque la premessa per ogni politica a favore delle classi popolari. Noi ci battiamo per un'uscita da sinistra, come quella che abbiamo qui descritto, ma preferiamo in ogni caso l'uscita - anche se basata su impostazioni diverse - alla permanenza in una gabbia che non lascerebbe alcuna speranza per il futuro. 

Come da tempo avevamo previsto, il campo di battaglia in cui oggi si gioca il futuro dell'Unione Europea, a partire da quello dell'euro, è l'Italia. Diverse sono le proposte del governo gialloverde che non ci piacciono - basti pensare alle inaccettabili misure repressive e manettare contenute nel cosiddetto "decreto sicurezza" - tuttavia la SINISTRA PATRIOTTICA non ha alcun dubbio su quale lato della barricata stare. “Barricata” appunto, poiché solo mobilitando il popolo, non tenendo quindi la battaglia confinata dentro i Palazzi del potere, la nuova Resistenza diventerà Liberazione.

Il fanfulla euroimbecille Salvini invece di creare i minibot suggeritogli dal Parlamento ha preferito accrescere i voti (poltrone) per il suo partito tradendo il mandato di mettere in Sicurezza l'Italia

Per favore, siamo seri

di Leonardo Mazzei
4 settembre 2019

Il salvinismo e le ragioni della fine del governo gialloverde

Al di là delle tante fibrillazioni in corso, il nuovo governo è in dirittura d’arrivo. La Repubblica di ieri ci informava della graziosa telefonata della signora Merkel – è ancora viva ed ovviamente lotta contro di noi – con la quale si chiedeva al Pd (via pesce lesso Gentiloni) di non fare passi falsi proprio all’ultimo miglio della corsa che andrà a reinsediare il governo di lorsignori.

Dunque, salvo improbabili colpi di scena, la frittata è fatta. La domanda che molti si pongono è come si sia potuti arrivare, peraltro in così breve tempo, ad una simile restaurazione.

Ci sarà tempo per analisi più dettagliate. Qui voglio invece provare ad andare al sodo in maniera sintetica.

La dinamica del declino gialloverde

Fummo i primi a definire fin dall’inizio il governo gialloverde come tripartito. Un governo composto non solo da M5s e Lega, ma anche (ed in posizione centrale) dalla Quinta Colonna mattarelliana.

Per lunghi mesi un equilibrio instabile, ma mentre la stampa si occupava dei continui successi di Salvini ai danni dei pentastellati, fino al rovesciamento dei rapporti di forza alle europee di maggio, all’interno del governo era proprio il partito di Mattarella a prevalere sugli altri due.

Ed esso prevaleva sul nodo centrale: quello dei rapporti con l’Unione europea. Diversi i passaggi — dall’accordo sulla Legge di bilancio del dicembre 2018, alla recente trattativa sulla minacciata “procedura d’infrazione” — che hanno mostrato come alla fine fosse sempre questo “partito” (che nel frattempo aveva definitivamente arruolato Conte) ad imporsi.

Ma c’è un evento che parla più di tutti gli altri. Siamo nel giugno scorso, a Roma il parlamento ha appena approvato i mini-Bot ed a Bruxelles e Francoforte è scattato l’allarme rosso, quand’ecco che non solo Tria e Conte si schierano con i padroni d’oltralpe, ma pure il leghista Giorgetti affossa quello strumento proposto da altri (apparentemente) autorevoli esponenti del suo partito. Nel frattempo Salvini che fa? Tace sul punto e twitta sulle solite stupidaggini.

Stessa cosa dicasi dei Cinque Stelle. I quali, dopo aver tradito le originarie posizioni su euro ed Ue con il voto alla Von der Leyen, hanno adesso il loro nuovo (e pericoloso) giocattolo: la riduzione del numero dei parlamentari…

Insomma, mentre Salvini e Di Maio parlavano d’altro, il partito mattarelliano si occupava delle cose serie. In particolare una: riportare l’Italia nel recinto dell’ovile eurocratico. Possiamo stupirci che alla fine abbia vinto proprio questo partito? Ovviamente no.

I comici e tardivi lamenti dell'improvvido Salvini

Adesso il capo della Lega si lamenta: il governo l’han deciso a Bruxelles, l’accordo M5s-Lega c’era già, Conte aveva già tradito da tempo. Tutto ciò al solo fine di far dimenticare l’essenziale: che la crisi non l’hanno aperta né Conte né Di Maio, bensì proprio lui. Magari su pressione dei capobastone nordisti che un po’ lo comandano, ma pur sempre lui.

E’ lui, col suo mix di inettitudine e prepotenza, che ha aperto la strada al governo della restaurazione. Ma, dice adesso la narrazione leghista, che tutto era di fatto già deciso. Ah sì? Può essere, ma allora l’inettitudine è doppia! Non solo per l’autogol commesso, ma per come l'operazione è stata gestita.

Mettiamoci infatti nei panni di un Salvini che fosse stato davvero deciso ad affrontare lo scontro con l’Unione Europea. Cosa avrebbe dovuto fare l’ormai ex ministro dell’interno di fronte alle posizioni europeiste all’interno del governo? Semplice, egli avrebbe potuto dire: signori, qui senza una terapia choc (necessariamente da finanziare a debito) non si esce dalla stagnazione, occorre dunque portare il deficit al 3, meglio al 4%. Su questa base — e forte del consenso elettorale — avrebbe potuto chiedere un sì od un no a Conte, Tria e Di Maio. I primi due avrebbero certamente risposto picche, sul terzo non ci giurerei proprio. Se Di Maio avesse accettato la linea dello scontro con l'Ue, la strada sarebbe stata quella di sostituire Tria e Conte, andando però avanti con la stessa maggioranza giallo-verde. Se invece anche Di Maio avesse detto di no, ecco che Salvini avrebbe avuto una motivazione nitida per uscire dal governo e chiedere nuove elezioni.

Che ha fatto invece il leader della Lega? Non solo non ha posto il tema dei vincoli europei al centro del suo discorso, benché il ragionamento fosse semplice e perfino contenibile nei 280 caratteri di un tweet, ma si è messo invece a parlare di Tav, di “partiti del sì e del no” e di altre questioni del tutto secondarie.

Dall’altra parte si è invece mosso (ed immediatamente, grazie alla fulminea sortita di Renzi), l’intero fronte eurista, che ha posto senza indugio (vedi le cinque condizioni del Pd per fare il governo) la questione della “fedeltà all’Europa”. Fedeltà (cioè subalternità) evidentemente accettata dai Cinque Stelle, messi all’angolo dalla mossa salviniana.

Il punto è che la lotta ai vincoli europei era l’unico vero collante della maggioranza gialloverde. Nel momento in cui si è smesso di occuparsene — M5s con la svolta europeista, la Lega con il ritorno al vecchio nordismo anti-unitario (vedi le pretese sul “regionalismo differenziato”) — è diventato chiaro come quel collante non ci fosse più.

Il problema di fondo

Abbiamo parlato di inettitudine, ma non bisogna neppure esagerare. Che essa abbia avuto un ruolo non secondario è del tutto evidente, ma — andando al fondo delle cose — essa ci rimanda però ad un’altra e più profonda questione. La totale inadeguatezza dei giallo-verdi (sia sul versante M5s che su quello della Lega), rispetto all’ipotesi di uno scontro serio con l’Ue, non è solo un problema di competenza e preparazione. Essa dipende invece in primo luogo dall’assoluta ambiguità di queste forze, capaci magari di dire dei no a Bruxelles — ed è per questo che abbiamo preferito il governo giallo-verde ad altre maggioranze —, ma del tutto indisponibili ad elaborare una visione coerente, strategicamente orientata alla riconquista della sovranità nazionale.

Questa ambiguità è costitutiva e non è una scoperta dell’oggi. Nei Cinque Stelle essa è il frutto dell’idea di un partito non-partito volto al pragmatismo, rigorosamente a-ideologico ma fortemente intriso dal “politicamente corretto”. Nella Lega l’ambiguità è maggiormente legata al suo blocco sociale decisamente ampio, ma sempre condizionato da una borghesia padana arraffona (vedi Tav e regionalismo differenziato) e filo-tedesca. Il fatto è che queste ambiguità avrebbero potuto evolvere positivamente, se i gruppi dirigenti dei due partiti avessero lavorato alla coesione in nome della lotta al comune nemico. E’ avvenuto invece l’esatto contrario. Ed il risultato è oggi il governo della restaurazione. Non solo: il risultato è che i Cinque Stelle sono stati cooptati nel dominante blocco eurista, mentre nella Lega le matrici securitarie, liberiste e nordiste (dunque anti-italiane) prevalgono nettamente su tutto il resto.

Due paroline finali

Siccome sappiamo come la Lega raccolga consensi anche tra sinceri sovranisti che dicono di stare lì perché non vedono alternative, mi pare opportuno dire due parole a chi ancora si illude su Salvini.

Chi scrive non è affetto dall’ossessione antifascista. E chi invece lo è, dovrebbe oggi riflettere sulla comica di un “pericolo fascista” sventato da Renzi. Se il Bomba di Rignano è stato sufficiente allo scopo, forse quel “fascismo” tanto pericoloso non era. Ma so benissimo come neppure questa sobria considerazione possa far cambiare idea a quella sinistra sinistrata che ha fatto addirittura appello (quasi ce ne fosse stato bisogno…) a Pd ed M5s affinché si accordassero.

Ma lasciamo perdere costoro e torniamo a bomba, cioè alla Lega. Della quale possiamo dire alcune cose semplici assai. Fascismo no, ma liberismo estremo sì. Fascismo no, ma securitarismo forcaiolo sì. Fascismo no, ma rottura dell’unità nazionale sì. Fascismo no, ma mercatismo e privatizzazioni sì. Fascismo no, ma atlantismo e filo-sionismo all’ennesima potenza sì. Come si pensa che tutto ciò possa sposarsi con una battaglia per la liberazione nazionale?

Sia chiaro, se vogliamo stare con i piedi per terra dobbiamo dire chiaramente che per liberarsi dal giogo eurista sarà ad un certo punto necessario unire tutte le forze disponibili in un nuovo Cln che, come quello sorto nel 1943, dovrà accogliere anche forze di destra purché decise alla comune battaglia. Tutto ciò è assolutamente evidente, ma — questa è oggi la domanda — quale sincero sovranista può ancora illudersi, viste le posizioni di cui sopra ed i danni che ha fatto alla causa della liberazione, sul pallone gonfiato Salvini Matteo?

Suvvia, siamo seri. Siamo seri, per favore.

Il governo euroimbecille ferma Huawei

Huawei e Zte, ecco come si muove il governo Conte 2 su Tim, Vodafone, Fastweb e Linkem

5 settembre 2019


Che cosa ha deciso il governo M5s-Pd nella sua prima riunione

Prima mossa del governo Conte 2.

Il 5G è uno degli osservati speciali del nuovo governo giallo-rosso, in particolare per i rapporti commerciali delle aziende di tlc che operano in Italia con i colossi cinesi Huawei e Zte.

Il consiglio dei ministri, su proposta del ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli (M5s), ha deliberato di esercitare i poteri speciali, il cosiddetto Golden Power, su altre quattro operazioni che coinvolgono Tim, Vodafone, Fastweb e Linkem.

Ecco tutti i dettagli.

Il Consiglio dei ministri interviene in materia di tlc, esercitando i poteri speciali, la cosiddetta Golden power, nei confronti delle societa’ che si stanno muovendo nella partita del 5G: Tim, Vodafone, Wind Tre, Fastweb, Linkem. Lo si apprende dal comunicato diffuso da Palazzo Chigi.

Nella prima riunione del secondo Governo Conte e’ stato infatti deciso di applicare l’articolo 1-bis del decreto legge 21 del 2012, con cui il Governo Monti aveva appunto istituito l’esercizio dei poteri speciali.

La golden power deliberata oggi, su proposta del nuovo ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, riguarda questi aspetti:

– l’informativa notificata dalla società Linkem, relativa a contratti o accordi aventi ad oggetto l’acquisto di beni e servizi relativi alla progettazione, alla realizzazione, alla manutenzione e alla gestione delle reti inerenti i servizi di comunicazione elettronica a banda larga su tecnologia 5G e acquisizione di componenti ad alta intensità tecnologica funzionali alla predetta realizzazione o gestione;

– “con condizioni e prescrizioni” l’operazione notificata dalla società Vodafone consistente in accordi aventi ad oggetto l’acquisto di beni e servizi per la realizzazione e la gestione di reti di comunicazione elettronica basate sulla tecnologia 5G;

– l’informativa notificata dalla società Tim relativa agli accordi conclusi prima del 26 marzo relativi ad apparati e sistemi di comunicazione rispetto ai quali la tecnologia 5G può essere considerata una naturale evoluzione;

– “con prescrizioni”, l’informativa notificata dalla societa’ Wind Tre circa gli accordi stipulati con la società Huawei, aventi ad oggetto l’acquisto di beni e servizi per la realizzazione e la gestione di reti di comunicazione elettronica basate sulla tecnologia 5G;

– l’informativa notificata dalla società Fastweb relativa all’acquisto dalla società Zte Corporation degli apparati relativi alle componenti radio per la realizzazione dell’ultima tratta della rete 5G.

(articolo in aggiornamento)

Gli ebrei invasori imprigionano bambini non è la volontà del loro Dio

Ad agosto Israele arresta 450 palestinesi, tra cui 69 bambini

Evidenza - 5/9/2019


Territori palestinesi occupati-MEMO. Le forze d’occupazione israeliane hanno arrestato 450 palestinesi, tra cui 69 bambini e 13 donne, nel mese di agosto, secondo quanto riferito dal Centro di studi sui prigionieri palestinesi.

Il centro ha registrato 10 arresti a Gaza, incluso un pescatore fatto prigioniero mentre lavorava al largo della costa, secondo quanto affermato dal portavoce Riyadh Ashqar. Ha aggiunto che gli israeliani hanno arrestato otto bambini di Gaza, vicino al recinto di confine.

Altri palestinesi arrestati dalle forze israeliane includevano due fotoreporter, Hasan Dabbous e Abdel Muhsen Shalaldeh, fatti prigionieri dopo aver fatto irruzione nelle loro case e aver intimidito i loro figli. Anche un palestinese disabile, identificato come Jarrah Naser, è stato arrestato a Gerusalemme.

I nomi dei bambini arrestati da Israele sono: Mohammed Najeeb, di 10 anni; Mahmoud Hajajreh, 12 anni; Ali al-Taweel, 13 anni; e Yousef Abu Nab, anche lui di 13 anni. Una delle donne arrestate, ha sottolineato Ashqar, è la cittadina giordana Hiba Libdi, detenuta al valico di al-Karameh. Un’altra donna, la palestinese 59enne Siham Battat, è stata arrestata dalle autorità israeliane mentre era in viaggio per vedere suo figlio Haitham Battat, nella prigione israeliana di Hadarim.

Sono bastati solo quattro anni a Macri per riportare l'Argentina in fondo al baratro

Argentina: Hanno distrutto tutto

04.09.2019 - Città di Buenos Aires, Argentina - Mariano Quiroga

Quest'articolo è disponibile anche in: Spagnolo, Francese, Catalano

Immagine di soddisfazione dopo la diffusione dei risultati preliminari delle elezioni primarie dell'11 agosto nel bunker del Frente de Todos

Venerdì mattina, gruppi di familiari di bambini con disabilità hanno iniziato a riempirsi di domande. “Hai incassato?”, “Vi hanno accreditato la pensione?”, “Nemmeno a voi?”, “Come faremo?”… Nel bel mezzo del naufragio, il governo argentino ha lasciato ancora una volta i più deboli al loro destino.

La svalutazione derivante dalla fuga dei capitali segna la fine di un ciclo nefasto per l’economia argentina. Le promesse della campagna elettorale di Mauricio Macri sono diventate menzogne: i fatti hanno dimostrato che non hanno mai avuto l’intenzione di mantenerle. Hanno abbassato l’inflazione, triplicandola; hanno ridotto il disavanzo, raddoppiandolo; hanno posto fine alla povertà, moltiplicandola, portandola a livelli senza precedenti che entro la fine dell’anno saranno devastanti. Se a metà 2019 il 51% dei bambini argentini soffriva la fame, con la debacle delle ultime settimane queste cifre diventeranno imbarazzanti per un paese che produce cibo per dieci volte la sua popolazione.

Il miglior team di demolizione degli ultimi 50 anni ha distrutto i livelli salariali, riducendoli a meno della metà del valore che avevano nel 2015. La percentuale di disoccupati si mimetizza dietro un terzo dei lavoratori registrati come contribuenti monotributari, eufemisticamente chiamati dal governo “imprenditori”, senza alcuna possibilità di difendersi dall’inflazione e dall’elevatissimo costo della vita, cresciuto con aumenti delle tariffe del servizio pubblico che hanno raggiunto il 2500% in meno di quattro anni.

Il presidente Mauricio Macri è diventato un fantasma politico, che cerca solo di scaricarsi da ogni responsabilità per quello che è successo e indica i suoi e altri, soprattutto gli stranieri, come colpevoli di tutti i mali. La sua rinuncia, lungi dal risolvere qualcosa, degenererebbe in un turbine di mancanza di istituzionalità. Ma sembra inevitabile, a causa dell’incapacità di tutti i principali funzionari del governo.

Il mondo dell’imprenditoria si sente truffato dal governo. Hanno scommesso sull’Alianza Cambiemos e l’hanno finanziata con un sacco di soldi affinché li liberasse dal peronismo, dalle tasse, dalle leggi e dai sindacati. La brutalità con cui si è comportato il governo li ha resi vulnerabili. Non appena un gruppo selezionato di amichetti si è riempito le tasche a spese dello Stato, gli altri non solo si sono indeboliti economicamente, ma hanno visto crollare i loro sogni liberali ad occhi aperti di fronte a un nuovo grido di aiuto verso il populismo della maggioranza.

Giovedì scorso una folla immensa si è mobilitata chiedendo una dichiarazione di Emergenza Alimentare: una misura che consentirebbe di destinare linee di bilancio da altre destinazioni al sostegno delle reti di contenimento sociale che forniscono cibo ai più bisognosi. Milioni di persone vengono nutrite in mense per i poveri, cucine popolari, copas de leche (organizzazioni vicinali di mutuo aiuto, ndt.), cooperative, o sopravvivono grazie alla carità e alla solidarietà organizzata, l’ultima spiaggia di fronte alla miseria pianificata del governo macrista.

L’opposizione ha presentato il progetto dell’Emergenza Alimentare in ripetute opportunità, ma l’esecutivo rifiuta che il Congresso decida nel merito, forzando deputati e senatori a riunirsi per avallare l’indebitamento realizzato senza accordo legislativo e che ha lasciato l’Argentina con debiti per un secolo. Il Fondo monetario internazionale ha prestato al paese la più grande somma mai data a qualsiasi governo; si calcola che sia molto più di quanto concesso nel Piano Marshall per la ricostruzione dell’Europa. Tuttavia, il governo di Macri non ha utilizzato il prestito per opere pubbliche, ma per finanziare la spesa corrente e consentire la più grande fuga di capitali della storia, cosa severamente vietata dallo statuto del FMI. Quindi non saranno solo i funzionari argentini a finire in prigione.

Venerdì scorso, la Pastorale Sociale, 48 ore dopo l’incontro di Macri con la Conferenza Episcopale, ha richiesto “urgentemente” l’applicazione dell’Emergenza Alimentare e Nutrizionale, a causa del “forte aumento dell’indigenza, della povertà, della disoccupazione e dell’aumento indiscriminato del prezzo dei generi alimentari di base”. Il comunicato ecclesiastico si riferisce all’urgente necessità di un “Paniere di base per la Prima Infanzia”, che dovrebbe includere “medicine, vitamine, latte liquido e in polvere fortificato, latticini, carni, pesce, frutta, verdura, uova, legumi e pannolini”.

L’ipnosi mediatica ha permesso a Macri di vincere nel 2015 e ancora oggi, dopo la devastazione economica, è stato votato dal 32% degli elettori alle elezioni primarie dell’11 agosto. Ma la cattiva performance ha fatto sì che buona parte dei comunicatori mainstream si siano rivoltati e abbiano iniziato a strepitare, segnalando atti di corruzione e “scoprendo” che Macri e i suoi scagnozzi stavano distruggendo l’Argentina.

Hernán Lacunza, il nuovo ministro delle finanze, costretto ad appendere gli sci e a volare a Buenos Aires con urgenza, ha dichiarato la cessazione dei pagamenti da parte dello Stato argentino, un passo previo al default, al fallimento. La velocità vertiginosa con cui si è schiantato il piano economico neoliberale-oligarchico ha catapultato Alberto Fernández, l’11 agosto, nella posizione di candidato più votato con più di 12 milioni di sostenitori (49%) e la richiesta popolare di invertire la tendenza prima che il crollo sia completo.

Fernandez ha il sostegno dell’ex presidente Cristina Fernandez come candidato alla vicepresidenza, cosa che gli ha portato un importante numero di voti, ma anche la certezza della capacità di comando e di competenza per affrontare forse la situazione economica più grave che l’Argentina abbia sofferto. Il sostegno popolare, la capacità di aggregare grandi maggioranze, la partecipazione di vasti settori sociali e ideologici, lasciano intravedere un sole di speranza dietro l’iceberg contro il quale Macri si è ostinato a scontrarsi ancora e ancora.

Traduzione dallo spagnolo di Matilde Mirabella