L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

domenica 13 settembre 2020

Lockdown l'esperimento sociale mette a nudo il decadentismo statunitense

Stati Uniti in crisi profonda, l’allarme del Sole-24 Ore: ma è proprio così?

Di Massimo Solari
- 12 Settembre 2020


Gli Stati Uniti sono sull’orlo di una gravissima crisi sistemica e trascineranno l’Europa in un nuovo 2008 o in un nuovo 1929? È la tesi di un articolo del 9 settembre scorso pubblicato sul Sole-24 Ore che lascia perplessi per non dire allarmati.

Difficile dire se l’autore, Enrico Verga, abbia ragione o meno. Per poterne discutere, è meglio sunteggiare i suoi argomenti principali:

Il 90% delle crisi economico finanziarie nate negli Stati Uniti arrivano prima o poi in Europa.
Moltissimi americani sono in cassa integrazione a 600 dollari alla settimana, cioè a circa 2.000 euro al mese. Somma decisamente elevata e non sostenibile in tempi lunghi. In realtà negli States non esiste una cassa integrazione come la nostra. Il loro sostegno al reddito si chiama “unemployment benefit”. E mentre la nostra tende a tenere ancorato il lavoratore alla sua impresa, da loro mira alla riallocazione da imprese/settori in declino a imprese/settori in espansione.
Molti cassintegrati sono dipendenti di negozi, centri commerciali, bar, ristoranti. E i loro posti di lavoro difficilmente saranno confermati. Tutti costoro non usano i loro soldi per fare acquisti “intelligenti” che potrebbero far ripartire l’economia; ma acquistano sul web beni tecnologici (tv, cellulari, videogiochi, tablet, pc) per la maggior parte costruiti in Cina.
Pagano l’affitto? Per la maggior parte no. Tanto, come da noi, tutti gli sfratti sono bloccati fino a nuovo ordine. E così non solo provocano altre crisi nelle grandi società, ma anche per i padroni di casa che possono essere normali cittadini che vivono dei canoni.
Da fine agosto i 600 dollari sono stati dimezzati. E con 300 dollari alla settimana i consumatori americani fanno crollare ancora di più le vendite al dettaglio.

Città vuote e criminalità

L’aumento esponenziale dello smart working ha messo in crisi i centri delle grandi città. Da New York a Chicago a San Francisco moltissimi immobili di prestigio sono stati abbandonati. Solo a NY si contano 13mila appartamenti vuoti. Ciò ha fatto crollare i costi degli affitti e i valori immobiliari. E la spirale non sembra aver fine, dato che molte società hanno già annunciato che il lavoro da casa proseguirà anche finita la pandemia.

Bar, ristoranti, negozi al dettaglio di abbigliamento, centri commerciali così sono deserti, consentendo alla criminalità di crescere in modo preoccupante nei centri città. Sono già 1.200 i ristoranti chiusi per sempre a NY, che da qualche mese ha visto calare progressivamente il numero degli abitanti. Se posso lavorare da casa, ragiona l’abitante medio della Grande Mela, mi trasferisco in Florida o in Georgia, dove i fitti costano meno e il clima è migliore.

La riduzione dei trasporti pubblici provoca crisi finanziarie nelle compagnie di trasporto. Il che provoca, ovviamente, molte meno imposte a loro carico. Se sono municipalizzate, lo stress viene sopportato dalle singole città.

College e dintorni

Il lavoro a distanza e le scuole e università a distanza comportano una conseguente crisi degli affitti anche nelle città universitarie e nei college. Il che trascina al ribasso i consumi nei negozi di vicinato, nei pub e nei locali notturni. E come in Europa, anche negli Usa molte piccole città vivono sull’afflusso degli studenti.

Non parliamo dei “debiti d’onore” degli studenti che ricevono sostanziosi sussidi dallo Stato ma non pensano certo alla restituzione. Il valore in ballo? Secondo Verga, circa 1,5 trilioni di dollari. Tanto per capirci, un trilione equivale a un miliardo di miliardi.
Borsa e algoritmi

Il petrolio è sceso come mai prima. E gli Usa, oltre che usarne molto per i suoi consumi interni, ne è un forte esportatore. Il turismo? Se va bene è dimezzato e non tornerà ai livelli del 2019 almeno fino al 2025.

Trump aveva ideato anche per gli Usa un aiuto simile ai nostri 25mila euro per le aziende in crisi. Ma qui troviamo una novità per noi sorprendente: miliardi di miliardi di truffe, società già chiuse o decotte che non restituiranno un bel niente di quanto loro erogato.

E la Borsa? Secondo l’articolista la Borsa americana (e noi temiamo anche quelle europee) è drogata dagli algoritmi che sono lontanissimi dai valori reali, soprattutto in momenti di crisi. Infatti Wall Street non sembra patire più di tanto la recessione ormai conclamata.

Poi Verga si butta in un’analisi onestamente al di sopra delle nostre possibilità di comprensione (non per colpa sua, siamo noi ad essere digiuni di Hedge fund e di short dei fondi). Ma vedendo la fine del ragionamento, arriva a preconizzare un golpe militare contro Trump quando fallimenti e relativi suicidi si saranno palesati in tutto il loro orrore.

Scenario apocalittico

“Lo ammetto – conclude Verga – ho voluto essere leggero nella mia analisi, menzionando solo queste ultime cose, magari ne parlerò in futuro in dettaglio, è che non volevo allarmarvi”.

Allora: difficile scendere a conclusioni. L’autorevolezza del Sole-24 Ore è a tutt’oggi indiscussa. E sembra difficile che un caporedattore o il direttore abbiano consentito una tale fuga in avanti senza discuterne. Del resto l’articolo è infarcito di link a media statunitensi o a report della Fed e del Fondo monetario internazionale.

Va anche detto che Wall Street non è così in balìa degli algoritmi come viene dipinto nell’articolo; tanto che in fasi di crisi, i capitali del mondo intero vanno verso gli Usa, investiti in stock market e nei titoli del debito pubblico americano (che appunto vanno a ruba). Il sistema Usa si regge su robuste, credibili e altamente reputate istituzioni (banca centrale, sistema giudiziario, autorità di controllo). E infatti non è un caso che le imprese di prim’ordine dell’intero globo siano quotate e trattate nel mercato americano (Wall Street, Nasdaq…)

La fine del sogno americano?

Ma per noi l’America è sempre stata uno Stato calvinista, ben rappresentato nel nostro immaginario dalle comunità quacquere, dal dipinto “Gotico americano” e dal fatto che Al Capone era stato alla fine arrestato per evasione fiscale.

L’articolo colpisce per l’elenco delle piccole truffe, delle furbizie, per l’indebitamento esagerato dei cittadini (“Trump non ha considerato il cervello dell’americano medio che ha 5 carte di credito tutte in rosso e ne chiede altre…”). c’è una moltitudine che vive di “reddito di cittadinanza” o di sussidi statali mentre la Fed, la Banca centrale, “sta vomitando sul mercato liquidità facile per rendere fluida la crisi”.

E allora dov’è finito il “sogno americano” che comprendeva, sì, anche i licenziamenti in tronco, con l’impiegato che esce dall’ufficio con in mano il proprio scatolone pieno degli effetti personali, ma comprendeva la magia di Hollywood, i parchi tematici e quelli naturali, la potenza e tecnologia delle sue forze armate, le sue sterminate imprese nel Michigan.

Un vecchio adagio ripete che se Mussolini fosse andato a visitare gli Stati Uniti, non avrebbe mai dichiarato la guerra. Gli States sono un po’ il nostro sogno di bambini, i grandi film che ce l’hanno fatta conoscere e amare, il piano Marshall che ci ha aiutato a riprenderci e ci ha garantito il boom economico.

Sono l’ultima frontiera dei nostri emigrati poveri che tornavano ricchi in poco tempo, il famoso “zio d’America”. Sono sempre stati, nel nostro immaginario, il “gigante buono” che prima o poi viene a salvarci col suono acuto del settimo cavalleria.

E se invece non dovessero più arrivare “i nostri”? Se “i nostri”, gli “alleati”, fossero messi peggio di noi? Assieme a tante altre cose, alla serenità, alla gioia di andare al cinema o a teatro tranquilli, a berci una birra o ad abbracciare un amico che non vediamo da tempo, il Covid avrebbe fatto altri danni, togliendoci anche quel po’ di sicurezza che ci rimaneva.

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