L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 8 febbraio 2020

8 febbraio 2020 - DIEGO FUSARO: "Il trattato del ribelle" di Jünger, il manuale della ribe...

Euroimbecilandia perde pezzi i popoli della Gran Bretagna fanno tanna al Progetto Criminale dell'Euro. Ogni volta che danno voce ai popoli Euroimbecilandia perde inevitabilmente

Vi spiego lo choc delle élite europee per la Brexit. Il Cameo di Ruggeri

8 febbraio 2020


Capisco lo stupore delle élite europee sulla Brexit… Il Cameo di Riccardo Ruggeri, fondatore di Zafferano News

Detto e fatto. UK è uscito dall’Europa per la volontà dei suoi cittadini. Lo ha fatto in due mosse, un referendum nel 2016 e un voto politico a favore dei conservatori nella persona di Boris Johnson nel 2019. Qualsiasi decisione è giusta quando la votano la maggioranza dei cittadini.

Per le élite cosmopolite inglesi e quelle europee è stato uno choc, perché loro tendono sia a confondere Europa con Unione Europea, sia ispirarsi alla celebre frase-manifesto di Jean Monnet. “Le nazioni europee dovrebbero essere guidate verso un superstato senza che le loro popolazioni si accorgano di quanto sta accadendo. Tale obiettivo potrà essere raggiunto attraverso passi successivi ognuno dei quali nascosto sotto una veste e una finalità meramente economica”.

Per tre anni parte delle sue élite, e i mandarini di Bruxelles, le hanno tentate tutte per ribaltare la volontà popolare, usando a piene mani il Protocollo Monnet. Nell’ombra dell’urna gli inglesi hanno detto: Basta! Hanno dato una maggioranza schiacciante a Boris Johnson, persino nelle roccaforti laburiste. La volgarità degli europeisti arrivò a definire Bo Jo un “pagliaccio”, senza accorgersi che le leadership europee di Bruxelles e di gran parte dei singoli Paesi potevano tranquillamente essere definite tali, senza alcuna forzatura.

Capisco lo stupore delle élite europee: pensano che quei tre o quattro quartieri di Londra dove loro hanno casa o che frequentano, rappresentino il Paese. Ergo, non conoscono il popolo inglese. Un caso personale. La multinazionale che dirigevo doveva fare una rapida e violenta ristrutturazione per sopravvivere: bisognava raddoppiare il fatturato, dimezzando i costi, quindi licenziare molte persone. E si doveva partire dallo stabilimento simbolo, quello di Basildon (Essex). Spiegai ai capi del sindacato di fabbrica che dovevo fare un taglio importante della forza operaia e impiegatizia. Confessai loro, con franchezza, che uno sciopero non ero tecnicamente in grado di sopportarlo, ma gli ricordai che, come primo atto, avevo chiuso i due Quartier Generali (in Italia e Usa) licenziando il 90% dei manager e dei supermanager. Uno mi disse: “Lo sappiamo cosa ha fatto, per questo le chiediamo che nel definire il numero dei licenziati, tenga conto che chi resta deve aver diritto a fare ore straordinarie”. In pratica mi invitava a licenziare più persone pur di non toccare il livello retributivo di quelli più meritevoli. L’avrei abbracciato. Era il mio mondo, niente chiacchiere, solo execution. Quattro anni dopo la Regina Elisabetta, a Buckiingham Palace, mi consegnò una targa come azienda leader in UK nell’esportazione (oltre il 90% della produzione di Basildon la vendevamo all’estero).

Questi sono gli inglesi, i fighetti cosmopoliti di Londra appartengono a un altro giardino zoologico. Chi siamo noi per non rispettare la loro scelta? Ammiro la loro fierezza, quella che noi europei, quelli dei 70 anni in pace, non abbiamo più: ormai siamo eunuchi colti e competenti. Prendiamo la Regina Elisabetta. Ve la vedete a comportarsi come i Reali dei Paesi del Nord che vanno in bicicletta o a comprare al supermercato? Oppure come Juan Carlos di Spagna che urla al fastidioso Hugo Chavez “Por qué no te callas?”.

Il problema è che l’Europa 2020 ha seppellito la sua storia, non ha identità, non ha sogni, non ha fiato. E’ languida. Ha deciso di non fare politica, ma solo business. Che tristezza aver perso gli inglesi.

I dazi e l'esclusione dei cinesi dal 5G diventa un boomerang per Google, per gli Stati Uniti. Chi di spada ferisce di spada perisce

Cosa faranno Huawei, Xiaomi, Oppo e Vivo in funzione anti-Google

8 febbraio 2020


Huawei, Xiaomi, Oppo e Vivo pronti a sfidare Google con una piattaforma unica per le app

Cina al contrattacco contro gli Usa. Meglio, Huawei contro Google, insieme a Xiaomi, Oppo e Vivo. I 4 colossi cinesi degli smartphone hanno deciso di unire le forze per creare una piattaforma unica per le app, in concorrenza diretta a Google, come annunciato in esclusiva da Reuters.

Ecco i dettagli.

L’ALLEANZA

L’alleanza cinese cui hanno dato vita i 4 colossi della telefonia, Huawei, Xiaomi, Oppo e Vivo (che insieme hanno rappresentato il 40% delle vendite mondiali di smartphone nel quarto trimestre del 2019 , secondo IDC), si chiama Global Developer Service Alliance (Gdsa) e punta a rendere più facile, per gli sviluppatori, portare le app sui dispositivi delle quattro compagnie.

PIATTAFORMA APERTA

La piattaforma che nascerà dalla collaborazione consentirà a chi sviluppa applicazioni fuori dalla Cina, spiega la stampa cinese, di pubblicare le proprie app simultaneamente sui negozi delle quattro aziende. La Gdsa “serve esclusivamente a facilitare l’upload delle applicazioni da parte degli sviluppatori nei rispettivi app store di Xiaomi, Oppo e Vivo”, ha spiegato Xiaomi in una nota.

LA TEMPISTICA

Secondo quanto rivelato da Bloomberg, invece, la piattaforma dovrebbe essere lanciata a marzo in 9 diversi mercati, tra cui India, Indonesia e Russia, ma lo sviluppo del coronavirus in Cina potrebbe ritardare tutto a data destinarsi. Il settore tecnologico, in Cina, è al momento in un limbo con alcune aziende che hanno cancellato le conferenze stampa di lancio di alcuni prodotti fissate per febbraio.

STRATEGIA

Ogni azienda porterà nell’alleanza mercati diversi da conquistare e ogni società cercherà di sfruttare i vantaggi reciproci in diverse regioni, secondo l’analista di Canalys, Nicole Peng. “Xiaomi ha una base di utenti molto ampia in India, e Vivo e OPPO nel sud-est asiatico hanno registrato ottimi risultati, mentre Huawei ha un gran numero di utenti in Europa”.

CONCORRENZA A GOOGLE

“Le aziende potranno anche sviluppare grande potere di negoziazione contro Google”, ha aggiunto Nicole Peng. Sicuramente, l’operazione ha come obiettivo quello di sfidare la posizione dominante di Google. E non è escluso che per raggiungere l’obiettivo, la Global Developer Service Alliance possa incentivare gli sviluppatori a creare app per gli store delle 4 compagnie.

PRUDENTE XIAOMI

Non si tratta di una sfida diretta a Google, invece, per Xiaomi che in una nota tende a restare prudente: “Non vi è alcun intento competitivo tra questo servizio e Google Play Store”.

LA QUESTIONE HUAWEI

Se non sarà concorrenza, l’Alleanza rappresenta certamente una rivincita per Huawei , unico tra le 4 aziende ad aver perso, lo scorso anno, l’accesso ai servizi di Google nei mercati internazionali, dopo che gli Stati Uniti hanno vietato ai fornitori americani di vendere beni e servizi all’azienda cinese, per motivi di sicurezza nazionale.

Togati malati - La procura di Catanzaro è pulita ma il resto? Parrebbe che Petrini parla parla parla

Il giudice Petrini collabora con i pm: altre toghe corrotte a Catanzaro?

VIDEO | Marco Petrini potrebbe aprire il vaso di Pandora, per anni rimasto sigillato, che ha celato chissà quanti episodi di corruzione e mercimonio negli uffici giudiziari di Catanzaro

di Redazione 
8 febbraio 2020 13:44

Marco Petrini collabora e potrebbe aprire il vaso di Pandora, per anni rimasto sigillato, che ha celato chissà quanti episodi di corruzione e mercimonio negli uffici giudiziari di Catanzaro. Dopo il suo arresto, che ha segnato la svolta nell’inchiesta istruita dal procuratore aggiunto di Salerno Luca Masini, non solo l’ammissione delle sue responsabilità di fronte alle contestazioni mosse a suo carico, ma anche nuove rivelazioni – tutte allo stato coperte dal segreto, che potrebbero allargare in maniera decisiva lo spettro delle indagini.

Al vaglio della Guardia di finanza anche una mole di atti giudiziari acquisita sia durante le indagini, sia contestualmente all’esecuzione dell’arresto dell’ex presidente di Sezione della Corte d’appello di Catanzaro, sia dopo. Sentenze su processi di secondo grado, su procedimenti di carattere patrimoniale, ma anche di tipo tributario. Peraltro, con gli inquirenti campani, collabora anche un altro indagato chiave, ovvero il collettore delle mazzette che mafiosi come Antonio Saraco o politici chiacchierati come Pino Tursi Prato, avrebbero indirizzato al giudice Petrini: si tratta di Emilio “Mario” Santoro, il medico – ex colletto bianco bianco dell’Asp di Cosenza – che potrebbe offrire un riscontro formidabile alle rivelazioni di Petrini.

LEGGI ANCHE:



Tutto ciò mentre al vaglio della Procura di Salerno, competente per le indagini che riguardano i magistrati del distretto di Catanzaro, restano anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Andrea Mantella, l’ex padrino emergente, la cui attendibilità è stata sin qui più volte riscontrata in altre indagini, che ha gettato ombre su più giudici definiti avvicinabili e su più avvocati.

Gramsci - la storia non è fatalmente iscritta secondo leggi scientifiche, ma in essa opera il possibile storico, ovvero gli esseri umani possono cambiare la storia nelle circostanze e nelle potenzialità del periodo storico vissuto

Storia e libertà

di Salvatore Bravo
5 febbraio 2020


Ripensare la storia con Gramsci ed a partire da Gramsci (Ales, 22 gennaio1891Roma, 27 aprile1937) è un atto di libertà e resistenza, poiché Gramsci vive la storia come il luogo ed il tempo nel quale l’essere umano si umanizza mediante la prassi e la trasformazione comunitaria delle condizioni storiche date. Gramsci resta fedele al suo destino, alla sua formazione hegelo-marxiana per cui la storia non è fatalmente iscritta secondo leggi scientifiche, ma in essa opera il possibile storico, ovvero gli esseri umani possono cambiare la storia nelle circostanze e nelle potenzialità del periodo storico vissuto. La responsabilità storica implica la consapevolezza che l’azione storica necessita della partecipazione e della passione durevoli, in quanto le variabili storiche, le opposizioni, le resistenze reazionarie possono riemergere in qualsiasi momento all’interno del moto rivoluzionario ed all’esterno. La storia umanizza, poiché il soggetto della storia, l’umanità, impara nell’organizzazione di partito ed ideologica a mediare le circostanze con il progetto ideologico. Non vi sono leggi o divinità che presuppongono i fini della storia, ma sono gli esseri umani con la lucida analisi partecipata ed organizzata ad essere il moto della storia. Contro l’utopia Gramsci propone ed oppone la responsabilità dei sottomessi, dei sudditi, che si vorrebbe tali per destino e per sempre. Si è sudditi anche nell’utopia liberatrice che ingabbia la storia in schemi prestabiliti, in quanto si sostituisce al feticismo delle merci il feticismo dei fini. La libertà emancipatrice è nell’atto di porre la storia, nella decisione collettiva capace di dinamizzare le potenzialità e le contraddizioni storiche per mettersi in cammino verso fini stabiliti dalla collettività all’interno di una lettura condivisa del presente e con la chiarezza del modello socio-economico verso cui dirigersi1:

”L'utopia consiste infatti nel non riuscire a concepire la storia come libero sviluppo, nel vedere il futuro come una solidità già sagomata, nel credere ai piani prestabiliti. L'utopia è il filisteismo, quale lo sbeffeggia Enrico Heine: i riformisti sono i filistei e gli utopisti del socialismo, come i protezionisti e i nazionalisti sono i filistei e gli utopisti della borghesia capitalistica. Enrico von Treitschke è l'esponente massimo del filisteismo tedesco (gli statolatri tedeschi ne sono i figli spirituali), come Augusto Comte e Ippolito Taine rappresentano il filisteismo francese, e Vincenzo Gioberti quello italiano. Sono quelli che predicano le missioni storiche nazionali, o credono alle vocazioni individuali, sono tutti quelli che ipotecano il futuro e credono imprigionarlo nei loro schemi prestabiliti, che non concepiscono la divina libertà, e gemono continuamente sul passato perché gli avvenimenti si sono svolti male. Non concepiscono la storia come sviluppo libero — di energie libere, che nascono e si integrano liberamente — diverso dall'evoluzione naturale, come l'uomo e le associazioni umane sono diversi dalle molecole e dagli aggregati di molecole. Non hanno imparato che la libertà è la forza immanente della storia, che fa scoppiare ogni schema prestabilito. I filistei del socialismo hanno ridotto la dottrina socialista a uno strofinaccio del pensiero, l'hanno insozzata e s'infuriano buffamente contro chi, a loro parere, non la rispetta”.

Agire e credere

La storia non è scritta per sempre, non è terminata come affermano i cantori della fine della storia. Il capitalismo assoluto vorrebbe convincerci che la storia termina con il trionfo indiscusso dell’essere umano valutato dal mercato. E’ la tragedia del tempo presente: gli esseri umani sono parte integrante del mercato, sono sul mercato che in quanto divinità terrena li valuta secondo i soli parametri economici. Mercato che decide i vincenti ed i perdenti a cui corrisponde la categoria della vita e della morte. Gramsci ci invita a riflettere sul valore dei nostri pensieri che si mutano in azioni. Se si valuta il mercato come intrascendibile è inevitabile che la storia diventi luogo e tempo senza alternative, ma se si pensa al mercato con le sue contraddizioni, se lo si giudica in modo assiologico convinti che il presente non è tutto le alternative sono possibili. In tal modo nel quotidiano entra la resistenza civile e politica senza le quali ogni prassi è impossibile. Le nostre decisioni divengono azioni, hanno un impatto nel reale, mettono in moto processi di cambiamento o conservazione. “La fine della storia” con la sua propaganda ideologica, di difesa degli interessi di pochi contro i molti precarizzati, cela il timore di questa consapevolezza. Le tecnologie sempre più invasive ed invisibili hanno il fine di inibire processi decisionali critici e collettivi, poiché essi possono deviare dal cammino prestabilito dell’economicismo dell’ultimo uomo descritto da Nietzsche nella Gaia Scienza (aforisma 125). L’ultimo uomo non urla nel mercato, ma è abitato dal mercato, Gramsci nei suoi scritti e con la sua vita testimonia che l’ultimo uomo non è tutto, l’essere umano può ancora resistere e proporre un altro modo di vivere ed esserci. Gli avvenimenti della storia dipendono dalla decisione dei molti, le circostanze offrono possibilità progettuali e non necessità uniche ed iscritte nel tessuto nella storia2

”Chi non aspetta, ma vuol subito fissare un giudizio definitivo, si propone altri scopi: scopi politici attuali, da raggiungere tra gli uomini ai quali si rivolge la sua propaganda. L'affermare che Lenin è un utopista non è un fatto di cultura, non è un giudizio storico: è un atto politico attuale. L'affermare, cosí seccamente, che le Costituzioni politiche, ecc., ecc., non è un fatto dottrinario, è il tentativo di suscitare una certa mentalità, perché l'azione si diriga in un modo piuttosto che in un altro. Nessun atto rimane senza risultati nella vita, e il credere in una piuttosto che in un'altra teoria ha i suoi particolari riflessi sull'azione: anche l'errore lascia tracce di sé, in quanto divulgato e accettato può ritardare (non certo impedire) il raggiungimento di un fine. È questa una prova che non la struttura economica determina direttamente l'azione politica, ma l'interpretazione che si dà di essa e delle cosí dette leggi che ne governano lo svolgimento. Queste leggi non hanno niente di comune con le leggi naturali, sebbene anche queste non siano obiettivi dati di fatto, ma solo costruzioni del nostro pensiero, schemi utili praticamente per comodità di studio e di insegnamento. Gli avvenimenti non dipendono dall'arbitrio di un singolo, e neppure da quello di un gruppo anche numeroso: dipendono dalle volontà di molti, le quali si rivelano dal fare o non fare certi atti dagli atteggiamenti spirituali corrispondenti, e dipendono dalla consapevolezza che una minoranza ha di queste volontà, e dal saperli piú o meno rivolgere a un fine comune dopo averle inquadrate nei poteri dello Stato. Perché gli individui, nella loro maggioranza, compiono solo determinati atti? Perché essi non hanno altro fine sociale che la conservazione della propria integrità fisiologica e morale: cosí è che si adattano alle circostanze, ripetono meccanicamente alcuni gesti i quali, per la esperienza propria o per l'educazione ricevuta (risultato delle esperienze altrui), si sono dimostrati idonei a raggiungere il fine voluto: poter vivere”.

A scuola di prassi

La scuola è uno dei luoghi in cui la coscienza si forma, essa è pertanto deputata alla prassi. Gli esseri umani sono esseri pensanti, se li si forma alla loro verità di persone pensanti comprendono pienamente la loro natura veritativa e le circostanze materiali e strutturali che li vogliono fruitori passivi della storia, oggetti delle circostanze senza voce e senza intelletto. A scuola si impara a dare forma alla propria natura nella storia, ad essere comunità. L’attacco a cui è sottoposta la scuola denuncia il timore che la scuola possa essere luogo istituzionale in cui si pensa il presente per immaginare e teorizzare un presente ed un futuro differente. Negli ultimi anni l’odio del capitalismo assoluto verso la comunità si è trasformato in proposte didattiche per trascendere la classe scolastica. Le classi itineranti sono l’ultimo espediente didattico per educare alla globalizzazione, non vi dev’essere luogo alcuno dove incontrarsi, conoscersi e parlarsi, ma gli alunni devono essere “formati” al movimento continuo su cui fondare la normalità del suddito globale e del precario globalizzato3:

”E abbiamo visto intorno a noi, affollati, stretti l’uno all’altro nei banchi scomodi e nello spazio angusto, questi allievi insoliti, per la maggior parte non piú giovani, fuori quindi dell’età in cui l’apprendere è cosa semplice e naturale, tutti poi affaticati da una giornata di officina o di ufficio, seguire con l’attenzione piú intensa il corso della lezione, sforzarsi di segnarlo sulla carta, far sentire in modo concreto che tra chi parla e chi ascolta si è stabilita una corrente vivace di intelligenza e di simpatia. Ciò non sarebbe possibile se in questi operai il desiderio di apprendere non sorgesse da una concezione del mondo che la vita stessa ha loro insegnato e ch’essi sentono il bisogno di chiarire, per possederla completamente, per poterla pienamente attuare. È una unità che preesiste e che l’insegnamento vuole rinsaldare, è una vivente unità che nelle scuole borghesi invano si cerca di creare. La nostra scuola è viva perché voi, operai, portate in essa la miglior parte di voi, quella che la fatica della officina non può fiaccare: la volontà di rendervi migliori. Tutta la superiorità della vostra classe in questo torbido e tempestoso momento, noi la vediamo espressa in questo desiderio che anima una parte sempre piú grande di voi, desiderio di acquistar conoscenza, di diventare capaci, padroni del vostro pensiero e dell’azione vostra, artefici diretti della storia della vostra classe”.

A scuola di alienazione

L’alienazione, l’estraneazione da sé e dal mondo storico è ciò che persegue il capitalismo assoluto. Le scuole sono divenute simili alle fabbriche descritte da Gramsci, in cui si impara con la ripetizione del gesto a subire la storia, a normalizzare la quotidiana mortificazione dell’alienazione. Le scuole all’epoca del capitalismo assoluto insegnato a percepire e pensare il mondo secondo la forma del mercato mediante la ripetizione ossessiva e continua di parole che divengono azione: competizione, successo formativo, credito e debito. Al gesto ripetitivo della fabbrica si è sostituito un mondo di parole ripetute in modo automatico al fine di omologare, amalgamare e ridurre ogni prospettiva al solo mercato globale e precario. L’azienda è divenuta il modello culturale di vita mediate il quale pensare se stessi, è così inevitabile che ci si autopercepisce come enti da mettere sul mercato, ed il mercato, divinità in terra, decreta il valore monetario di ciascuno. Si attacca la scuola come ogni luogo in cui si può radicare la comunità, perché le condizioni inumane di vita sono palesi, per cui lo scambio dialogico può divenire organizzazione e resistenza contro la globalizzazione della fabbrica-azienda4:

”La classe operaia si è identificata con la fabbrica, si è identificata con la produzione: il proletario non può vivere senza lavorare, e senza lavorare metodicamente e ordinatamente. La divisione del lavoro ha creato l’unità psicologica della classe proletaria, ha creato nel mondo proletario quel corpo di sentimenti, di istinti, di pensieri, di costumi, di abitudini, di affetti che si riassumono nell’espressione: solidarietà di classe. Nella fabbrica ogni proletario è condotto a concepire se stesso come inseparabile dai suoi compagni di lavoro: potrebbe la materia informe accatastata nei magazzini circolare nel mondo come oggetto utile alla vita degli uomini in società, se un solo anello mancasse al sistema di lavoro nella produzione industriale? Quanto piú il proletario si specializza in un gesto professionale, tanto piú sente l’indispensabilità dei compagni, tanto piú sente di essere la cellula di un corpo organizzato, di un corpo intimamente unificato e coeso; tanto piú sente la necessità dell’ordine, del metodo, della precisione, tanto piú sente la necessità che tutto il mondo sia come una sola immensa fabbrica, organizzata con la stessa precisione, lo stesso metodo, lo stesso ordine che egli verifica essere vitale nella fabbrica dove lavora; tanto piú sente la necessità che l’ordine, la precisione, il metodo che vivificano la fabbrica siano proiettati nel sistema di rapporti che lega una fabbrica a un’altra, una città a un’altra, una nazione a un’altra nazione”.

La solitudine del cittadino globale

Gramsci dinanzi all’alienazione planetaria propone come modello alternativo: i consigli di fabbrica, i soviet, poiché solo partendo da un’organizzazione e da un’associazione dal basso è possibile stabilire finalità che non siano esclusivamente monetarie. I consigli di fabbrica con cui la Rivoluzione russa è iniziata sono per Gramsci, il luogo dove riorganizzare il vivere sociale secondo finalità veritative, umane e disalienanti. Gramsci oppone al consiglio di fabbrica il sindacato che invece ha una funzione conservatrice, di mediazione tra il capitale ed i lavoratori, in tal modo è parte del sistema di conservazione ed alienazione. Il sindacato è parte della forma mentis del capitalismo, poiché riduce le tensioni tra il capitale ad i lavoratori al solo aspetto salariale5:

"Se la concezione che fa del Consiglio un mero strumento di lotta sindacale si materializza in una disciplina burocratica e in una facoltà di controllo diretto del sindacato sul Consiglio, il Consiglio si isterilisce come espansione rivoluzionaria, come forma dello sviluppo reale della rivoluzione proletaria che tende spontaneamente a creare nuovi modi di produzione e di lavoro, nuovi modi di disciplina, che tende a creare la società comunista. Poiché il Consiglio nasce dipendentemente dalla posizione che la classe operaia è venuta acquistando nel campo della produzione industriale, poiché il Consiglio è una necessità storica della classe operaia, il tentativo di subordinarlo gerarchicamente al sindacato determinerebbe prima o poi un cozzo tra le due istituzioni. La forza del Consiglio consiste nel fatto che esso aderisce alla coscienza della massa operaia, è la stessa coscienza della massa operaia che vuole emanciparsi autonomamente, che vuole affermare la sua libertà di iniziativa nella creazione della storia: tutta la massa partecipa alla vita del Consiglio e sente di essere qualcosa per questa sua attività. Alla vita del sindacato partecipa un numero ristrettissimo di organizzati; la forza reale del sindacato è in questo fatto, ma in questo fatto è anche una debolezza che non può essere messa alla prova senza gravissimi pericoli. Se d’altronde il sindacato poggiasse direttamente sui Consigli, non per dominarli, ma per diventarne la forma superiore, si rifletterebbe nel sindacato la tendenza propria dei Consigli a uscire in ogni istante dalla legalità industriale, a scatenare in qualsiasi momento l’azione risolutiva della guerra di classe. Il sindacato perderebbe la sua capacità a contrarre impegni, perderebbe il suo carattere di forza disciplinatrice e regolatrice delle forze impulsive della classe operaia. Se gli organizzati stabiliscono nel sindacato una disciplina rivoluzionaria, stabiliscono una disciplina che appaia alla massa come una necessità per il trionfo della rivoluzione operaia e non come una servitú verso il capitale, questa disciplina verrà indubbiamente accettata e fatta propria dal Consiglio, diverrà la forma naturale dell’azione svolta dal Consiglio”.

Ripensare il presente con Gramsci

“Il presente non è tutto”, poiché il passato può diventare forza plastica che ci orienta a capire il presente ed ad orientarci verso il futuro solo se opponiamo all’attuale cultura dell’astratto, per la quale l’individuo è un atomo che vive in un presente fuggevole e privo di radicamento politico e comunitario. All’astratto dobbiamo contrapporre la concretezza della resistenza civile, culturale comunitaria, affinché ciò possa essere è necessario ricominciare a pensare il presente nelle istituzioni con l’ausilio dei classici in modo che valori, concetti, metodologie di indagine non scompaiano nella notte del mercato. Alle parole del capitale bisogna contrapporre le parole emancipative, i contenuti dei pensatori con cui imparare collettivamente a leggere il presente. Alla solitudine del mercato si deve opporre la comunità della storia la quale vive nell’attualità, ma germoglia con la presenza dei grandi pensatori senza idolatrie. Un nuovo inizio è possibile, se vi sono idee e contenuti con cui riorganizzare il presente.

Note
1 Antonio Gramsci Scritti politivi Liber Liber volume I 2008 pag. 101
2 Ibidem pp. 99 100
3 Antonio Gramsci Scritti politici Liber Liber volume II 2008 pag. 47
4 Ibidem pp 55 56
5 Antonio Gramsci Liber Liber volume III 2009 pag. 76

E' guerra vera è guerra totale, niente illusioni - E' una polmonite virale e i media italiani servi fino in fondo la vogliono trasformare in peste. Alla fine della storia la Cina uscirà rafforzata da questa campagna denigratoria ridicolizzando chi oggi pensa di sfruttare una malattia per stravincere nel contempo dimostrando tutta l'estrema debolezza degli Stati Uniti e dei suoi lacchè

Cina. La crisi del Coronavirus: un nuovo capitolo della “guerra dei dazi”

di Francesco Spataro
3 febbraio 2020


La notizia per cui un gruppo di ricercatori (soprattutto donne) dell’ospedale romano Spallanzani ha isolato il virus dovrebbe aprire un periodo di minore follia collettiva, consapevolmente o no “pompato” dai media occidentali.

In attesa che ciò avvenga – ma con quel che c’è scritto in questo articolo non c’è da sperarci molto – invitiamo i nostri lettori a tener presente che lo Spallanzani è un ospedale pubblico. E dunque che, invece di mollare ai privati certe perle che provvederebbero a smontare in pochissimo tempo, c’è da riflettere molto sulla forza della “nostra” sanità pubblica.

Nonostante le forbici pluriennali delle Lorenzin e dei Zaia, Formigoni, Zingaretti, Bonaccini, Toti, De Luca.

P..s. E invece lo Spallanzani ha ricevuto lo scorso anno un finanziamento pubblico di appena 3.5 milioni di euro, meno di una “minchiata” destinata ad una qualsiasi “impresa” fasulla con i fondi europei.

* * * *

“Era in quel giorno morta di peste, tra gli altri, un’intera famiglia.

Nell’ora del maggior concorso, in mezzo alle carrozze, i cadaveri di quella famiglia furono, d’ordine della Sanità,

condotti al cimitero suddetto, sur un carro, ignudi, affinché la folla

potesse vedere in essi il marchio manifesto della pestilenza.

Un grido di ribrezzo, di terrore, s’alzava per tutto dove passava il carro;

un lungo mormorìo regnava dove era passato; un altro mormorìo lo precorreva.

La peste fu più creduta: ma del resto andava acquistandosi fede da sé, ogni giorno di più;

e quella riunione medesima non dové servir poco a propagarla…”

Alessandro Manzoni, “I promessi sposi”.

La “guerra dei dazi” che gli USA hanno imposto ad una serie di Paesi, fra cui soprattutto la Cina, potenza economica in continua e veloce ascesa, potrebbe ritrovare ulteriore vigore nella crisi che si è aperta nella Repubblica popolare guidata dal Presidente Xi Jinping, a causa della diffusione del cosiddetto Coronavirus.

Per chi lo ha dimenticato, un minimo di riassunto della guerra commerciale fra Washington e Pechino:
l’8 marzo del 2018 in un memorandum, Donald Trump annuncia che, per ridurre il deficit commerciale americano, intende imporre alla Cina una serie di dazi doganali che si andranno a sommare ad altri precedentemente ordinati: il 25% sulle importazioni di acciaio e il 10% sull’alluminio. Da questa tornata di tariffe gli Usa esenteranno diversi Paesi, ma non la Repubblica popolare cinese. Il 22 marzo il presidente Trump dichiara aperta una guerra commerciale contro Pechino, denunciando “l’aggressione economica della Cina” (!?) e minacciando di imporre ulteriori dazi punitivi su 60 miliardi di dollari nelle importazioni di prodotti cinesi.
Il braccio di ferro si intensifica a luglio dello stesso anno, fino ad arrivare ad una prima tregua il 1 dicembre.
A metà maggio 2019 le ostilità però riprendono, e Washington estende la guerra commerciale al campo della tecnologia colpendo il colosso delle Tlc Huawey, accusandolo di legami troppo stretti con il regime.
Ad agosto inizia la guerra valutaria. Washington accusa formalmente Pechino di lasciare scendere lo yuan sotto le 7,0 unità rispetto al dollaro per la prima volta in 11 anni per sostenere le sue esportazioni. La Cina annuncia ritorsioni per 75 miliardi di dollari su prodotti e auto americani quindi, all’inizio di settembre, presenta una denuncia al Wto.
Il 13 dicembre scorso i due Paesi annunciano un accordo commerciale preliminare. Quando mancano due giorni alla firma dell’intesa (cosiddetta di Fase 1), gli Stati Uniti tolgono la Cina dalla “black list”, la lista nera dei Paesi che manipolano la propria valuta, salvo poi far sapere, il 14 gennaio, che “non esiste alcun accordo” per un’ulteriore riduzione dei dazi Usa già’ in atto al momento della firma.

Si tratta della fine della pax belli (ad esclusivo uso e consumo dei media occidentali, e filo-statunitensi) fra Usa e Cina.

Il resto è noto: nella conferenza stampa tenutasi alla Casa Bianca lo scorso gennaio è emerso che Washington non eliminerà i dazi al 25% su 250 miliardi di dollari di importazioni cinesi, mentre verranno ridotte al 7,5% (dal 15% attuale) le tariffe su 120 miliardi di dollari di prodotti cinesi. Per toglierle sarà verosimilmente necessario attendere il voto del prossimo novembre. Anzi, il segretario al Tesoro americano, Steven Mnuchin, ha approfittato di una intervista alla Cnbc per chiarire che gli Stati Uniti sono pronti ad aumentare i dazi sui prodotti cinesi, se la controparte non rispetterà gli impegni presi. Di nuovo Trump ha spiegato che i dazi verranno rimossi con la definizione della fase 2 dell’accordo, per la quale le discussioni inizieranno a breve: gli Usa si sono voluti tenere in mano carte da giocare sul secondo tavolo. “Non ci aspettiamo sia necessario un accordo di fase 3”, ha sentenziato il buon Orange.

Questo comportamento schizoide, degno del miglior soggetto bipolare, la dice lunga sulla malafede dell’Amministrazione Trump, se mai ce ne fosse stato bisogno.

Ma torniamo al presente.

In quelle stesse settimane inizia a svilupparsi il contagio di quello che tutti noi al momento conosciamo con il nome di Coronavirus, ribattezzato dall’Oms 2019-nCoV.

In pochi giorni, secondo le dichiarazioni del 30 gennaio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è stato necessario alzare il livello di allarme da regionale a globale, con conseguente e drastico calo di tutte le principali Borse e future e drammatiche ripercussioni economiche alle porte dell’economia mondiale.

Non solo quindi della potenza asiatica, da dove sembra provenire il virus e dove sono bloccati già da qualche settimana i settori produttivi più strategici come quello automobilistico e quello hi tech oltre al manifatturiero.

Dopo il finto accordo Usa/Cina e la nota emessa il mese scorso dal nostro Copasir, dove il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica chiede l’estromissione della Cina dal progetto per la rete 5G per ragioni “che attengono alla sicurezza nazionale”, ora anche la diffusione di un virus mette a repentaglio l’economia del colosso asiatico.

Noi, scevri da complottismi e dietrologie, manteniamo dritta la barra e da un’altra prospettiva ci atteniamo ai fatti, il resto, l’uso strumentale degli avvenimenti, lo lasciamo ai media mainstream, ovvero quelli che servono i/ai governi.

I lacchè dell’informazione al soldo del potere.

Dicevamo i fatti.

I fatti risiedono nell’impossibilità di non vedere che tutto quello che sta accadendo in questi giorni altro non è che una prosecuzione della vecchia “guerra dei dazi” a stelle e strisce, sotto altra forma, magari scaturita, sempre secondo i media embedded, da un intervento oseremmo dire divino; dopotutto gli Usa sono un paese che pullula di sette evangeliche, gli americani vanno pazzi per gli “interventi divini”. Per dirla con le parole del menestrello di Duluth “with God on our side”; ed in nome di quel Dio dalla loro parte, l’America ha compiuto e continua a compiere le peggiori nefandezze. Ma gli Usa sono anche scaltri e, come per l’11 settembre hanno, come si suol dire “preso la palla al balzo”.

Ma torniamo a quello che si sta compiendo da una settimana ormai, complice la propaganda occidentale: un’orchestrazione mediatica volta alla demonizzazione della Cina, ignobilmente colpevole di incalzare l’occidente dalla sua preminenza industriale, nonché di contraddire le oligarchie nostrane con la dimostrazione della superiorità di un’economia mista e pianificata rispetto alle ossessioni del privatismo ontologico.

Gli Usa sono all’origine della campagna volta a fare della Cina un grande nemico simbolico, una sorta di untore planetario; per altre vie si tenta di raggiungere lo stesso risultato che l’America si era prefissa iniziando la guerra dei dazi: mettere in forte crisi economica il colosso cinese, secondo detentore del debito pubblico Usa, subito dopo il Giappone il cui sorpasso è avvenuto a giugno 2019 (1123 miliardi di dollari contro i 1113 della Cina. (fonte:https://ticdata.treasury.gov/Publish/mfh.txt).

In realtà si tratta né più né meno che di un bias cognitivo, di una distorsione.

Passatemi una “divagazione” medico/scientifica ma utile per meglio capire perché ho parlato di distorsione.

Ancora una volta vengono in nostro aiuto i dati.

I dati ci dicono che i morti per infezioni contratte negli ospedali sono 49.000 l’anno, e che l’influenza colpisce annualmente qualche milione di persone in Italia e fa oltre 8 mila morti solo nel nostro Paese, circa 700 mila in tutto il mondo, una cifra spaventosa a cui non si fa caso solo per abitudine, perché questa malattia la prendono un po’ tutti, di solito senza particolari conseguenze; fino a che gli anni non cominciano a pesare e le complicanze si moltiplicano. A volte poi i virus che causano questa patologia mutano e si fanno più pericolosi, causano pandemie come l’asiatica, la suina o come la spagnola che infuriò esattamente un secolo fa e che fece dai 40 ai 100 milioni di morti, tanto da superare di gran lunga le vittime della prima guerra mondiale. E poi c’è la meningite che proprio in questi giorni sta colpendo diverse regioni italiane e che ha un tasso di mortalità del 14% anche in presenza di cure.

E torniamo all’’argomento che la fa da padrone nell’informazione delle ultime settimane, che è riuscito a relegare in un cantuccio persino i conflitti che infiammano il Medio Oriente, compreso quello libico, a poche miglia marine dal nostro paese.

Il Coronavirus proviene da una famiglia di patogeni che conosciamo bene, perché è quella che procura diversi disturbi lievi tra cui il raffreddore ed eccezionalmente di più severi come la Sars, malattia che sembrava essere la fine del mondo e che finì praticamente in nulla, o come la gemella Mars un po’ più cattiva e diffusasi in Medio Oriente: quindi ci troviamo di fronte a qualcosa di non eccessivamente pericoloso ancorché si tratti di un nuovo ceppo ( alla loro comparsa i nuovi agenti patogeni sono normalmente molto più virulenti) , che già all’inizio ha una mortalità inferiore a quella dell’influenza e che finora ha ucciso soprattutto ultraottantenni già fiaccati da altre gravi malattie. La patologia ad oggi più pericolosa prodotta da un coronavirus, la Mars ha il suo focolaio in Medio Oriente e in particolare in Arabia Saudita, senza che tuttavia si siano mai prese precauzioni in questo senso, bloccando gli arrivi da quelle zone.

Ma in guerra non si fanno nemici e gli Usa è chiaro come la luce del sole, devono sembrare forti anche se non lo sono affatto e risentono di una crisi di fiducia di decennale memoria. Anche loro, almeno i consiglieri di Trump, hanno letto Sun Tzu e, quello che consigliava ne “L’arte della guerra” il fine generale e filosofo cinese del V secolo;

Ma gli Usa in Italia hanno un gran peso e forti di questo peso, chiedono anche l’appoggio, nella loro strategia, del nostro paese, minacciato a suo tempo di dazi stratosferici.

Il governo Conte si schiera quindi a fianco dell’“amico amerikano” e blinda lo stivale bloccando i voli diretti da e per la Cina, ma non quelli indiretti il che vuol dire prendere per il naso i cittadini dimostrando quanta parte di queste operazioni abbia in realtà una valenza simbolica. Al momento dobbiamo mettere in difficoltà, forse nostro malgrado, la potenza cinese. Come scrivevamo poco sopra però, nessuno si è mai neppure sognato di bloccare gli arrivi dalle petro monarchie saudite amiche dell’Occidente e con le quali Usa ed Italia commerciano armi.

Rimane da capire come si comporterà la Cina, la quale ha già preso le proprie misure con l’efficienza che la contraddistingue. Un’ efficienza con la quale è stata arginata l’epidemia che non ha precedenti e che, anzi, costituisce per la prima volta nella storia della medicina in cui il genoma di un virus è stato mappato dopo appena dieci giorni dalla comparsa del primo focolaio, un fatto sorprendente.

Che è stato riconosciuto anche da Nature, una delle più stimate riviste scientifiche.

Resta da vedere quali frecce avrà al proprio arco il capitalismo occidentale.

Gli ultimi colpi di coda del nemico morente sono sempre quelli più pericolosi.

Consulenza medico-scientifica di Patrizia Modesti.

Lenin - Il liberismo vuole l'uguaglianza formale che non è quello sostanziale. All'interno della Nazione e tra le Nazioni

Vladimir Lenin, “Tesi sulle questioni nazionali e coloniali”

di Alessandro Visalli
6 febbraio 2020




Il secondo Congresso della III Internazionale, che si svolge dal 19 luglio al 7 agosto 1920, tra Pietrogrado e Mosca, affronta al punto 8 la questione coloniale, che nel seguito delle vicende del comunismo internazionale si rivela decisiva.

Nel primo abbozzo delle tesi, Lenin scrive un breve ed intenso testo[1], che viene studiato da un giovane ed entusiasta militante vietnamita, Nguyen ai Quoc (ovvero Ngiuen il patriota, poi noto come “portatore di luce”, Ho Chi Minh). Come racconta nel 1960, “le tesi di Lenin destarono in me grande commozione, un grande entusiasmo, una grande fede, e mi aiutavano a vedere chiaramente i problemi”. Il punto cui giunge è che “solo il socialismo, solo il comunismo può liberare dalla schiavitù sia i popoli oppressi che i lavoratori di tutto il mondo. Compresi come il vero patriottismo e l’internazionalismo proletario siano inestricabilmente legati tra di loro”[2].

La bozza di Lenin si compone di dodici tesi:

1- “Una posa astratta o formale del problema dell'uguaglianza in generale e dell'uguaglianza nazionale in particolare è nella natura stessa della democrazia borghese. Sotto la maschera dell'uguaglianza dell'individuo in generale, la democrazia borghese proclama l'uguaglianza formale o legale del proprietario e del proletario, dello sfruttatore e degli sfruttati, ingannando così gravemente le classi oppresse. Sul presupposto che tutti gli uomini sono assolutamente uguali, la borghesia sta trasformando l'idea di uguaglianza, che è essa stessa un riflesso delle relazioni nella produzione di merci, in un'arma nella sua lotta contro l'abolizione delle classi. Il vero significato della domanda di uguaglianza consiste nel fatto che è una richiesta di abolizione delle classi”.

La prima tesi riprende la distinzione, di pura derivazione marxiana, della distinzione tra uguaglianza formale (o meramente legale) e sostanziale. Ma nel farlo ne slitta quasi inavvertitamente il significato dal piano dell’individuo a quello della nazione. La stessa mossa di guardare solo alla formalità dell’apparenza di indipendenza e di eguaglianza è allora spostata dallo sfruttamento individuale a quello tra nazioni e l’abolizione di questa (ovvero delle classi) ad abolizione delle differenze di rango, potenza e dominio tra nazioni. La prima tesi mette in movimento l’intero testo.

2- “In conformità con il suo compito fondamentale di combattere la democrazia borghese ed esporre la sua falsità e ipocrisia, il Partito Comunista, in quanto campione dichiarato della lotta proletaria per rovesciare il giogo borghese, deve basare la sua politica, anche sulla questione nazionale, non su principi astratti e formali ma, in primo luogo, su una valutazione precisa della specifica situazione storica e, soprattutto, delle condizioni economiche; secondo, su una chiara distinzione tra gli interessi delle classi oppresse, dei lavoratori e degli sfruttati, e il concetto generale di interessi nazionali nel loro insieme, che implica gli interessi della classe dominante; terzo, su una distinzione altrettanto chiara tra gli oppressi”.

La seconda tesi entra nel merito producendo un’avvertenza capitale: anche sulla questione nazionale il Partito Comunista non si deve basare sull’applicazione pedissequa di principi astratti e formali (ad esempio sull’universalismo astratto di Kant[3]) bensì su una più concreta valutazione della situazione storica in campo e delle sue determinanti economiche. In questo senso bisogna prestare attenzione specifica a distinguere gli interessi dei lavoratori, degli sfruttati e degli oppressi, da quelli degli oppressori anche se nazionali, ovvero, in altri termini, tra gli interessi entro il contesto nazionale. La domanda circa il cosiddetto “interesse nazionale” è sempre “di chi?” Ma anche tra gli oppressi va compiuta una attenta valutazione, ci sono oppressi ed oppressi.

3- “La guerra imperialista del 1914-18 ha rivelato molto chiaramente a tutte le nazioni e alle classi oppresse di tutto il mondo la falsità delle frasi democratiche borghesi, dimostrando praticamente che il Trattato di Versailles delle celebri ‘democrazie occidentali’ è un ancora più brutale e disgustoso atto di violenza contro le nazioni deboli di quanto non lo fosse il Trattato di Brest-Litovsk dei drogati tedeschi e dei Kaiser. La Società delle Nazioni e l'intera politica postbellica dell'Intesa rivelano questa verità con ancora maggiore chiarezza. Intensificano ovunque la lotta rivoluzionaria sia del proletariato nei paesi avanzati sia delle masse lavoratrici nei paesi coloniali e dipendenti”.

4- “Da queste premesse fondamentali risulta che l'intera politica dell'Internazionale comunista sulle questioni nazionali e coloniali dovrebbe basarsi principalmente su un'unione più stretta dei proletari e delle masse lavoratrici di tutte le nazioni e paesi per una lotta rivoluzionaria congiunta per rovesciare i proprietari terrieri e la borghesia. Solo questa unione garantirà la vittoria sul capitalismo, senza la quale è impossibile l'abolizione dell'oppressione nazionale e della disuguaglianza.

Nella quarta tesi si trae una conseguenza logica, solo l’unione dei proletari e delle masse lavoratrici (la distinzione è specifica dell’attenzione al mondo coloniale, in cui i lavoratori industriali spesso sono infima minoranza) di tutte le nazioni per quella che chiama “una lotta rivoluzionaria congiunta”, potrà rovesciare la situazione. E senza la finale vittoria sul capitalismo diventa impossibile sia l’abolizione dell’oppressione nazionale sia della disuguaglianza.

Questa chiusa è della massima importanza per comprendere il compatto pensiero messo qui in evidenza da Lenin e perfettamente colto da Ho Chi Minh: l’abolizione della ineguaglianza (ovvero la scomparsa delle classi, il trionfo del comunismo) è possibile ed immaginabile solo se cessa contemporaneamente anche l’oppressione nazionale. L’oppressione della borghesia nazionale verso i lavoratori, in ogni singola nazione, trae infatti specifica forza dalle relazioni che questa intrattiene, in termini di dominazione e di soggezione, con le altre in una catena ininterrotta che si tiene nel suo complesso.

5- “La situazione politica mondiale ha ora posto la dittatura del proletariato all'ordine del giorno. Gli sviluppi politici mondiali sono necessariamente concentrati su un unico obiettivo: la lotta della borghesia mondiale contro la Repubblica russa sovietica, attorno alla quale sono inevitabilmente raggruppati, da un lato, i movimenti sovietici dei lavoratori avanzati in tutti i paesi e, dall'altro altro, tutti i movimenti di liberazione nazionale nelle colonie e tra le nazionalità oppresse, che stanno imparando da amara esperienza che la loro unica salvezza sta nella vittoria del sistema sovietico sull'imperialismo mondiale.”

In conseguenza la tesi di Lenin è che l’unica speranza di ogni singolo paese dominato, nel sistema mondiale capitalista, è che l’imperialismo sia sconfitto dal sistema sovietico in ogni luogo. È da notare che qui viene usata la nozione di “nazionalità oppresse”, che può essere mobilitata proprio perché la tesi 2 ha avvertito sulla interna frattura di queste “nazionalità”. In altri termini, il fatto che alcune “nazionalità” siano “oppresse” non esclude, ma anzi dipende, dalla circostanza che entro di esse siano in opera i terminali umani e sociali di questa oppressione (le cosiddette “borghesie compradore”).

6- “Di conseguenza, attualmente non è possibile limitarsi a un nudo riconoscimento o annuncio della necessità di una più stretta unione tra i lavoratori delle varie nazioni; deve essere perseguita una politica che raggiungerà la più stretta alleanza, con la Russia sovietica, di tutti i movimenti di liberazione nazionali e coloniali. La forma di questa alleanza dovrebbe essere determinata dal grado di sviluppo del movimento comunista nel proletariato di ciascun paese, o dal movimento di liberazione democratica borghese degli operai e dei contadini nei paesi arretrati o tra nazionalità arretrate.”

Nella sesta tesi, che anche nella formulazione, in particolare nella chiusa, mostra tutta la difficoltà di operare in un campo altamente eterogeneo[4] che in pratica avvolge tutto il mondo, si sposta sul piano pratico e indica quella che sarà per alcuni decenni lo sfondo dello scontro triangolare Usa-Urss/Cina-terzo mondo: i movimenti di liberazione nazionali e di lotta anticoloniale devono trovare “la più stretta alleanza” con la Russia sovietica. Una forma di alleanza determinata dal grado di sviluppo relativo e che si allarga ai movimenti comunisti, ma anche ai semplici movimenti di liberazione democratici-borghesi e alle “nazionalità arretrate”. Tutte queste devono essere sottratte alla relazione imperiale, che è lo strumento del dominio delle borghesie in ognuno dei paesi della catena centro-periferia.

7- “La federazione è una forma di transizione verso la completa unità dei lavoratori di diverse nazioni. La fattibilità della federazione è già stata dimostrata in pratica sia dalle relazioni tra RSFSR e altre Repubbliche sovietiche (ungherese, finlandese e lettone in passato, sia dall'Azerbaigian e dall'ucraino al momento), e dalle relazioni all'interno della RSFSR in relazione a nazionalità che in precedenza non godevano né di statualità né di autonomia (ad esempio, le repubbliche autonome di Bashkir e Tatar nella RSFSR, fondate rispettivamente nel 1919 e nel 1920).”

8- “A questo proposito, è compito dell'Internazionale comunista sviluppare ulteriormente e anche studiare e testare per esperienza queste nuove federazioni, che stanno sorgendo sulla base del sistema sovietico e del movimento sovietico. Nel riconoscere che la federazione è una forma di transizione per completare l'unità, è necessario lottare per un'unità federale sempre più stretta, tenendo presente, in primo luogo, che le repubbliche sovietiche, circondate come sono dalle potenze imperialiste di tutto il mondo, che dal punto di vista militare sono incommensurabilmente più forti - non può assolutamente continuare ad esistere senza la più stretta alleanza; secondo, che è necessaria una stretta alleanza economica tra le repubbliche sovietiche, altrimenti le forze produttive che sono state rovinate dall'imperialismo non possono essere ripristinate e il benessere dei lavoratori non può essere garantito; terzo, che vi è una tendenza alla creazione di un'unica economia mondiale, regolata dal proletariato di tutte le nazioni come un tutto integrale e secondo un piano comune. Questa tendenza si è già manifestata abbastanza chiaramente sotto il capitalismo ed è destinata ad essere ulteriormente sviluppata e portata a compimento sotto il socialismo”.

La settima ed ottava tesi sono strettamente interne alla dinamica della formazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e al dibattito interno (ad esempio con Stalin)[5]. Tuttavia va notato il triplice argomento che Lenin avanza, l’unità più stretta serve: 1- per rispondere alla potenza occidentale; 2- per integrare l’economia, raggiungendo la scala idonea; 3- perché la tendenza generale è per “un’unica economia mondiale”, che sotto il dominio del proletariato resta tale, ma regolata dalla pianificazione in un “tutto integrale”, mentre sotto il capitalismo appare meramente come tendenza che non riesce a svilupparsi compiutamente.

Qui appare, come in altri luoghi del lavoro leniniano, un certo schematismo, nella pratica sempre superato dalla preminenza della prassi.

9- “La politica nazionale dell'Internazionale comunista nell'ambito delle relazioni all'interno dello stato non può essere limitata al riconoscimento nudo, formale, puramente dichiarativo e in realtà non impegnativo dell'uguaglianza delle nazioni a cui si confinano i democratici borghesi e quelli che assumono il nome di socialisti (come i socialisti della Seconda Internazionale). In tutta la loro propaganda e agitazione - sia all'interno del parlamento che al di fuori di esso - i partiti comunisti devono costantemente esporre quella costante violazione dell'uguaglianza delle nazioni e dei diritti garantiti delle minoranze nazionali che deve essere vista in tutti i paesi capitalisti, nonostante la loro ‘democrazia’, ‘Costituzioni’. È anche necessario, innanzitutto, spiegare costantemente che solo il sistema sovietico è in grado di garantire un'autentica uguaglianza di nazioni, unendo prima i proletari e poi l'intera massa della popolazione attiva nella lotta contro la borghesia; e, in secondo luogo, che tutti i partiti comunisti dovrebbero fornire aiuti diretti ai movimenti rivoluzionari tra le nazioni dipendenti e sfavorite (ad esempio, Irlanda, negri americani, ecc.) e nelle colonie.

Senza quest'ultima condizione, che è particolarmente importante, la lotta contro l'oppressione delle nazioni e delle colonie dipendenti, così come il riconoscimento del loro diritto alla secessione, non sono che un'insegna falsa, come dimostrano i partiti della Seconda Internazionale”.

La nona tesi ritorna sulla distinzione tra riconoscimento “nudo”, “formale”, o “meramente dichiarativo” dell’uguaglianza (tra nazioni) e l’autentica uguaglianza. Questa è possibile solo se si supera la meccanica del dominio che attraversa le relazioni tra classi e tra nazioni. Oppressione nazionale e disuguaglianza entro queste sono due facce della medesima moneta (tesi 4). Fornire aiuto, come per lo più l’Urss farà, ai paesi dipendenti e sfavoriti e alle colonie è nel migliore interesse del proletariato di tutti i paesi. Naturalmente aiuto volto a ridurre e spezzare i legami di dipendenza e l’estrazione di risorse sulle quali si fonda il dominio borghese internazionale.

10- “Il riconoscimento dell'internazionalismo in parola e la sua sostituzione in atto con nazionalismo e pacifismo piccolo-borghese, in tutta la propaganda, l'agitazione e il lavoro pratico, è molto comune, non solo tra le parti della Seconda Internazionale, ma anche tra quelle che si sono ritirate da esse, e spesso anche tra i partiti che ora si definiscono comunisti. L'urgenza della lotta contro questo male, contro i pregiudizi nazionali piccolo-borghesi più radicati, incombe sempre più con l'esigenza crescente del compito di convertire la dittatura del proletariato da una dittatura nazionale (cioè, esistente in un singolo paese e incapace di determinare la politica mondiale) in una politica internazionale (cioè una dittatura del proletariato che coinvolge almeno diversi paesi avanzati, e capace di esercitare un'influenza decisiva sulla politica mondiale nel suo insieme). Il nazionalismo piccolo-borghese proclama come internazionalismo il semplice riconoscimento dell'uguaglianza delle nazioni e niente di più. A parte il fatto che questo riconoscimento è puramente verbale, il nazionalismo piccolo-borghese conserva intatto l'interesse personale nazionale, mentre l'internazionalismo proletario richiede, in primo luogo, che gli interessi della lotta proletaria in un singolo paese siano subordinati agli interessi di quella lotta su scala mondiale e, in secondo luogo, che una nazione che sta ottenendo la vittoria sulla borghesia dovrebbe essere in grado e disposta a compiere i più grandi sacrifici nazionali per il rovesciamento del capitale internazionale. Pertanto, in paesi che sono già pienamente capitalisti e hanno partiti operai che agiscono davvero come l'avanguardia del proletariato, la lotta contro le distorsioni pacifiste opportuniste e piccolo borghesi del concetto e della politica dell'internazionalismo è un compito primario e cardinale”.

Nella decima tesi viene attaccata la contraddizione tra un “internazionalismo in parola” (ovvero solo declamato) e un “nazionalismo in atto”, nei partiti operai. Qui si apre una delle linee di faglia più profonde nella storia pratica dello sviluppo del “campo socialista”. Lenin enuncia una sorta di teorema perfettamente logico (ma difficilmente applicabile in forma pura, almeno nelle condizioni date): fino a che il sistema comunista vive in un solo, relativamente debole come l’Urss nel ’20, paese è “incapace di determinare la politica mondiale”. In altri termini è ad essa soggiacente. È quindi necessario rispondere alla “esigenza crescente” (da notare il termine pratico cui si appoggia) di convertirla in una forma che coinvolga “almeno diversi paesi avanzati” in modo da avere “una influenza decisiva sulla politica mondiale nel suo insieme”.

Nel migliore interesse stesso della rivoluzione, e per romperne in qualche modo l’assedio, è necessario rispondere al compito “primario e cardinale”, di mera sopravvivenza in ultima analisi, di impegnare tutte le risorse possibili per rovesciare il capitale internazionale.

E’ difficile sfuggire alla logica di questo argomento, ma va compresa nei termini geopolitici e di mera e concreta logica che sono qui posti. Non si tratta dell’astratta rispondenza ad una “tendenza”, come nella tesi 8, per la quale sacrificare la rivoluzione sarebbe stato alieno dalla mentalità pratica del nostro[6], ma di creare le condizioni di potenza per sostenere lo scontro con un capitalismo internazionale ed imperialista allargato al resto del mondo. I due mondi che da ora e fino al 1991 si contrapporranno, dovranno avere una certa quale dimensione.

11- “Per quanto riguarda gli stati e le nazioni più arretrati, in cui predominano le relazioni feudali o patriarcali e patriarcali-contadine, è particolarmente importante tenere presente:

- in primo luogo, che tutti i partiti comunisti devono assistere il movimento di liberazione democratica borghese in questi paesi e che il dovere di fornire l'assistenza più attiva spetta principalmente ai lavoratori del paese da cui la nazione arretrata dipende colonialmente o finanziariamente;

- secondo, la necessità di una lotta contro il clero e altri influenti elementi reazionari e medievali nei paesi arretrati;

- terzo, la necessità di combattere il pan-islamismo e tendenze simili, che si sforzano di combinare il movimento di liberazione contro l'imperialismo europeo e americano con un tentativo di rafforzare le posizioni dei khan, dei proprietari terrieri, dei mullah, ecc;

- in quarto luogo, la necessità, nei paesi arretrati, di fornire un sostegno speciale al movimento contadino contro i proprietari terrieri, contro la proprietà fondiaria e contro tutte le manifestazioni o le sopravvissute del feudalesimo, e di sforzarsi di dare al movimento contadino il carattere più rivoluzionario stabilendo il più vicino possibile alleanza tra il proletariato comunista dell'Europa occidentale e il movimento contadino rivoluzionario in Oriente, nelle colonie e nei paesi arretrati in generale. È particolarmente necessario fare ogni sforzo per applicare i principi di base del sistema sovietico nei paesi in cui prevalgono le relazioni precapitaliste - istituendo ‘Soviet dei lavoratori’, ecc.;

- quinto, la necessità di una lotta risoluta contro i tentativi di togliere una colorazione comunista alle tendenze di liberazione democratica borghese nei paesi arretrati; l'Internazionale comunista dovrebbe sostenere i movimenti nazionali democratici borghesi nei paesi coloniali e arretrati solo a condizione che, in questi paesi, gli elementi dei futuri partiti proletari, che saranno comunisti non solo di nome, siano riuniti e formati per comprendere i loro compiti speciali cioè quelli della lotta contro i movimenti democratici borghesi all'interno delle loro stesse nazioni. L'Internazionale comunista deve stringere un'alleanza temporanea con la democrazia borghese nei paesi coloniali e arretrati, ma non dovrebbe fondersi con essa,

- sesto, la necessità di spiegare ed esporre costantemente tra le masse lavoratrici più vaste di tutti i paesi, e in particolare dei paesi arretrati, l'inganno praticato sistematicamente dalle potenze imperialiste che, sotto le sembianze di stati politicamente indipendenti, istituiscono stati che sono totalmente dipende da loro economicamente, finanziariamente e militarmente. Nelle attuali condizioni internazionali non c'è salvezza per le nazioni dipendenti e deboli se non in un'unione di repubbliche sovietiche”.

L’undicesima tesi si concentra sugli stati più “arretrati” (che descrive secondo abbiano il predominio di relazioni precapitalistiche) e dichiara quindi, coerentemente, che si devono appoggiare anche i movimenti anticoloniali di tipo democratico-borghese, e che lo deve fare soprattutto la classe lavoratrice del paese colonialista. Inoltre ribadisce al quinto e sesto punto una cosa importante: l’alleanza interclassista con le forze borghesi è temporanea, bisogna al contempo lavorare perché si formi e cementino le forze in grado di superarla quando sarà il momento.

12- “L'antica oppressione delle nazionalità coloniali e deboli da parte delle potenze imperialiste non solo ha riempito le masse lavoratrici dei paesi oppressi di animosità verso le nazioni oppressive, ma ha anche suscitato sfiducia in queste nazioni in generale, anche nel loro proletariato. Il tradimento spregevole del socialismo da parte della maggioranza dei leader ufficiali di questo proletariato nel 1914-19, quando la ‘difesa del paese’ fu usata come un mantello social-sciovinista per nascondere la difesa del ‘diritto’ della loro ‘propria’ borghesia a opprimere le colonie e i paesi dipendenti dal punto di vista finanziario, avrebbero sicuramente rafforzato questa sfiducia perfettamente legittima. D'altra parte, più il paese è arretrato, più forte è la presa della produzione agricola su piccola scala, patriarcalità e isolamento, che inevitabilmente conferiscono particolare forza e tenacia al più profondo dei pregiudizi piccolo-borghesi, vale a dire all'egoismo nazionale e alla ristrettezza nazionale. Questi pregiudizi sono destinati a estinguersi molto lentamente, poiché possono scomparire solo dopo che l'imperialismo e il capitalismo sono scomparsi nei paesi avanzati e dopo che l'intera fondazione della vita economica dei paesi arretrati è cambiata radicalmente. È quindi dovere del proletariato comunista coscienza della classe di tutti i paesi considerare con particolare cautela e attenzione la sopravvivenza dei sentimenti nazionali nei paesi e tra le nazionalità che sono state oppresse da più tempo; è altrettanto necessario fare alcune concessioni al fine di superare più rapidamente questa sfiducia e questi pregiudizi. La completa vittoria sul capitalismo non può essere ottenuta a meno che il proletariato e, a seguito di esso, la massa di lavoratori in tutti i paesi e le nazioni del mondo si impegnino volontariamente per alleanza e unità”.

Infine al dodicesimo punto è descritto il difficile lavoro necessario per superare i pregiudizi che le classi doppiamente oppresse nelle colonie, anche con buona ragione e memoria, conservano verso le forze dei lavoratori nei paesi dominanti. Ciò è sia reale sia motivato, ma va superato se si vuole superare il sistema di oppressione capitalista alla scala complessiva. È necessaria alleanza e unità.

E’ passato quasi esattamente un secolo, e moltissime condizioni sono mutate, scritto all’avvio di una fase di entusiasmo e di ascesa del dominatore americano rispetto a quello britannico, ovvero entro una transizione di egemonia che sarà completata con la seconda guerra mondiale, il testo di Lenin intravede ante litteram il grandissimo movimento di liberazione anticoloniale che impegnerà il successivo quarantennio. Forte della sua analisi sull’imperialismo[7] inquadra il problema del superamento dell’ineguaglianza e dello sfruttamento come un dilemma che si può risolvere solo a livello globale.

Ma questa tesi, spesso ripetuta senza una reale comprensione, non implica affatto che la lotta non debba essere nazionale. Pensarlo sarebbe ricadere nel formalismo e del pedantismo di un pensiero limitato, sull’applicazione pedissequa di principi astratti e formali, come scrive nella tesi 2. Bisogna sempre partire dalla concreta valutazione della situazione storica, nelle determinanti economiche. L’oppressione nazionale, ovvero tra nazioni, e quella creata dalle ineguaglianze tra le classi in un singolo paese stanno in piedi e cadono insieme. È vero, ma nella pratica ciò ricade sul dovere, per interesse ben inteso, “internazionalista” dei paesi che si sono liberati di indebolire l’intera catena del dominio economico-finanziario (e militare) del capitale internazionale. Non implica il suicidio di questi, o l’impossibilità di agire se le condizioni si danno. È la stessa azione di Lenin a mostrarlo.

Ci ritorna nella decima tesi, ma a leggerla con attenzione l’argomento è eminentemente pratico (mentre quello alla tesi otto, terza parte è un puro esercizio di stile): se resta isolato, e debole, un paese socialista subirà l’assedio economico-commerciale e finanche militare[8], l’unica possibilità a lungo termine di resistere è di allargarsi a “diversi paesi avanzati”, in modo da esercitare una “influenza decisiva”.

Ne deriverà quella che sarà sempre una delle linee di condotta del campo socialista, cercare di allargare la solidarietà verso i paesi subalterni e coloniali, facendo comprendere che la liberazione è nel comune interesse. A tal fine diventano possibili anche alleanze temporanee con le forze nazionaliste e democratico-borghesi (ma non con quelle reazionarie).

Purché temporanee.

Note
[2] - Ho Chi Minh, “Il cammino che mi ha portato al leninismo”, articolo per la “Problemy Vostokovedenija”, n.2, 1960, in Ho Chi Minh, “Patriottismo e internazionalismo. Scritti e discorsi 1919-1969”, ed. Marx XXI, 2019, p.434.
[3] - Cfr, Immanuel Kant, “La pace perpetua”,
[4] - Nella premessa Lenin indica i campi geografici ai quali pensa: esperienza austriaca; Esperienza polacco-ebraica e ucraina; Alsazia-Lorena e Belgio; Irlanda; Relazioni danese-tedesche, italo-francesi e italo-slave; Esperienza nei Balcani; Popoli orientali; La lotta contro il pan-islamismo; Relazioni nel Caucaso; Le repubbliche baschiro e tatara; Kirghizia; Turkestan, la sua esperienza; Negri in America; colonie; Cina-Corea del Giappone.
[5] - Stalin non era d'accordo con la proposta di Lenin sulla differenza tra le relazioni federali tra le repubbliche sovietiche basate sull'autonomia e tra repubbliche indipendenti. In una lettera a Lenin, datata 12 giugno 1920, dichiarò che in realtà ‘non vi è alcuna differenza tra questi due tipi di relazioni federali, oppure è così piccolo da essere trascurabile’. Stalin continuò a sostenerlo in seguito, quando, nel 1922, propose ‘l'autonomia’ delle repubbliche sovietiche indipendenti. Queste idee furono criticate in dettaglio da Lenin nel suo articolo ‘La questione delle nazionalità o Autonomizzazione’, e nella sua lettera ai membri dell'Ufficio Politico “Sulla formazione dell'URSS”.
[6] - Inutile ricordare che questo punto sarà poi elevato ad uno dei centri principali della divaricazione tra i seguaci di Leon Trotsky e Giuseppe Stalin.
[7] - Si veda Lenin, “L’imperialismo fase suprema del capitalismo”, 1916.
[8] - Siamo nel 1920, la rivoluzione era avvenuta in due tempi solo tre anni prima, e la guerra civile era in corso, terminerà solo dopo altri due anni. Dal 1918 Kornilov, ed i suoi successori, operano sul Don. Solo un anno prima, a settembre 1919 la rivoluzione era stata sul punto di crollare ed a ottobre girò con la vittoria nell’assedio di Pietrogrado. Quando il testo è scritto, a giugno 1920 l’armata rossa è in avanzata su quasi tutti i fronti, ma la guerra non è ancora finita e numerosi corpi di spedizione occidentali (e giapponesi) sono su territorio sovietico. La cosa non potrebbe essere più concreta.

Stealth aereo furtivo

LA TECNOLOGIA STEALTH


(di Lorenzo Pasturenzi)
07/02/20 

La necessità di nascondersi agli occhi del nemico è, sin dai tempi antichi, un fattore di rilievo in ambito militare. Ne è un esempio la battaglia della foresta di Teutoburgo del 9 D.C., in cui tre legioni romane e 6 coorti ausiliarie furono annientate da una coalizione di tribù germaniche guidate da Arminio. Il barbaro fece costruire un terrapieno lungo 600 metri parallelo al sentiero seguito dall’esercito romano e vi nascose la maggior parte delle sue forze. Al passaggio degli ignari nemici, i germani scatenarono un devastante attacco a sorpresa infliggendo a Roma una delle peggiori sconfitte militari della sua storia.

Con la nascita dei radar il celarsi alla vista nemica ha assunto un nuovo significato, andando ad espandere questo concetto a tutto lo spettro elettromagnetico e non più solo alle frequenze visibili dall’occhio umano. Soprattutto in campo aeronautico, in seguito allo sviluppo delle varie forme di difesa contraerea osservato durante la Seconda Guerra Mondiale, l’importanza di trovare soluzioni per ottenere la “bassa osservabilità” dei propri velivoli divenne capitale. Sovietici e americani finanziarono diversi studi in merito iniziando a sviluppare le cosiddette tecnologie stealth.


È importante sottolineare che la parola è traducibile in “furtività”, non in “invisibilità”. Questo aspetto ci definisce esattamente quale sia lo scopo di tale filosofia, ossia diminuire la propria evidenza all’osservazione da parte nemica. Non è infatti possibile ottenere un velivolo che sia del tutto invisibile ai radar.

Quali sono dunque le strategie perseguite in fase di progetto per rendere un aereo stealth?

Innanzitutto è importante capire il funzionamento di un radar. Tale acronimo (Radio detection and ranging – radiorilevamento e misurazione di distanza in italiano) indica una o più antenne in grado di emettere, ricevere ed analizzare un segnale sottoforma di onda elettromagnetica (onde radio o microonde) al fine di determinare la posizione ed eventualmente la velocità di oggetti (definiti target) che hanno interagito con tali onde elettromagnetiche.

L’antenna radar quindi emette un segnale nello spazio, tale onda viene riflessa dal target in varie direzioni tra cui quella congiungente con il radar, il segnale di ritorno ricevuto dall’antenna viene analizzato.

Da tale analisi si ottiene il tempo che è intercorso tra l’emissione dell’onda e la sua ricezione.

Conoscendo la velocità di propagazione dell’onda elettromagnetica (nel vuoto è pari alla velocità della luce ) si può facilmente calcolare la distanza antenna-target:


Per il calcolo della direzione in cui si trova il target invece si utilizzano antenne direzionali (cioè antenne che emettono un’onda elettromagnetica solo in una certa direzione) rotanti.

Un altro concetto utile per comprendere le tecnologie stealth è quello di Radar Cross Section. La R.C.S. è una misura di quanta potenza viene riflessa verso il radar dal target “illuminato” dall’onda elettromagnetica inviata ed è quindi una misura di quanto l’oggetto sia rilevabile da parte del radar stesso. Più tale parametro risulta piccolo, più è difficile rilevare il bersaglio ad una certa distanza poiché meno potenza ritorna al radar e risulta dunque indistinguibile da quello che è il “rumore di fondo”, ossia dai disturbi. La R.C.S. influisce quindi anche sulla massima distanza a cui può essere individuato un target. Ad esempio, l’R.C.S. associata ad un DC-9 è nell’ordine di 20 mentre quella di un’automobile si attesta sui 100 quindi a parità di radar e condizioni l’automobile potrà essere individuata ad una distanza maggiore dall’antenna rispetto al DC-9. Tale parametro dipende essenzialmente dalla forma e geometria del bersaglio, dai materiali di cui è composto (soprattutto sulla sua superficie), dalla sua posizione e angolazione rispetto al radar e in minima parte dalle sue dimensioni. Per questo è possibile che un DC-9, grazie alle sue forme arrotondate, abbia una RCS minore di un’auto nonostante le dimensioni sicuramente maggiori.

(Nella tabella RCS stimate di alcuni aerei militari)

La progettazione stealth punta quindi a ridurre la radar cross section del velivolo. Per raggiungere tale obiettivo si seguono diversi metodi:


Shaping: l’idea alla base di questo metodo consiste nel progettare forme e superfici del velivolo orientate in modo tale da riflettere l’onda elettromagnetica incidente in altre direzioni rispetto a quella che congiunge il velivolo al radar. Si cerca quindi di evitare che un qualunque punto dell’aereo abbia la superficie rivolta verso la possibile posizione di un radar nemico. L’applicazione di questo metodo è particolarmente visibile sul Lockheed F-117 Nighthawk. La sua implementazione nasconde comunque delle problematiche legate alla aerodinamica, in quanto forme così particolari e spigolose ne degradano le prestazioni rendendo necessari strumenti computerizzati per la stabilità e il controllo del mezzo. Nella categoria dello “shaping” rientra anche l’idea di trasportare i carichi (armi, ecc..) in apposite baie interne in modo che questi, la cui forma non può essere particolarmente ottimizzata, non vadano a contribuire all’R.C.S. complessiva del velivolo. Tale strategia è implementata sui Lockheed F-35.

Materiali Radar-assorbenti: i materiali radar-assorbenti (RAM) sono composti in grado di convertire parte dell’energia del segnale incidente in calore, riducendo in questo modo la potenza del segnale riflesso. Tali materiali sono particolarmente utili nelle zone in cui lo “shaping” si può adottare solo marginalmente o non si può utilizzare del tutto, come nel caso del bordo d’attacco delle ali e nella zona delle prese d’aria. La manutenzione di tali materiali è molto costosa e il loro utilizzo causa un aumento dei costi di produzione e di peso del velivolo, aspetto negativo che non può essere sottovalutato.

Contromisure elettroniche: le contromisure elettroniche si basano sull’idea di produrre un segnale alternativo rispetto a quello riflesso dal velivolo tale che sommandosi all’eco lo vada a cancellare o a ridurre fortemente. Affinché ciò sia possibile, il target deve conoscere la direzione, l’ampiezza, la frequenza e la fase dell’onda elettromagnetica irradiata dal radar nemico e deve essere in grado di produrre il corretto segnale di disturbo, emetterlo al momento giusto e nella direzione corretta. Ovviamente le problematiche tecniche legate allo sviluppo di questo metodo sono molteplici e una sua errata implementazione causerebbe un forte aumento di RCS.


La tecnologia stealth è stata un vero game changer in quella che è la guerra aerea ed è il requisito principe per qualunque aereo militare di quinta generazione. Attualmente questa tipologia di velivoli è composta dai soli F-22 e F-35 (foto in fondo), ma ben presto la famiglia dovrebbe allargarsi.

Quella che una volta era una tecnologia il cui “stato dell’arte” era posseduto solamente dagli Stati Uniti d’America, oggigiorno è stata sviluppata dalla Russia (vedrà la luce con il Sukhoi Su-57 Pak Fa) e dalla Cina (è presente sul nuovo Chengdu J-20).

Restano dei dubbi per quanto riguarda invece l’effettivo livello di stealthness della “versione export” dell’F-35 (foto). Infatti, gli Stati Uniti si sono sempre opposti alla condivisione delle loro conoscenze in materia stealth, impedendo ad esempio la vendita dell’F-22 (considerato il fiore all’occhiello per quanto riguarda questo aspetto) a nazioni terze seppur alleate, come nel caso del Regno Unito. Inoltre, vista l’ampia produzione stimata di tale velivolo, è possibile che per contenerne i costi non si sia puntato a creare un aereo che fosse avanzato quanto l’F-22 per quanto riguarda questa tecnologia, bensì un velivolo che fosse difficilmente individuabile dai radar che lavorano nelle sole frequenze comprese tra gli 8 e i 18 GHz (per esempio dai fire control radar delle batterie antiaeree). Nessun civile ha comunque accesso ai dati relativi alle capacità stealth dell’aereo, quindi tutto ciò resta mera speculazione.


Fonti:

Dispense del corso di radar (Politecnico di Milano)

Immagini: U.S. Air Force / web / Difesa Online