L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 4 aprile 2020

la corsa che ci mangia il tempo

venerdì 3 aprile 2020

Rovine cinesi [Ise]


“Questa cosa notavo in Asia: quando una civiltà scompariva, le sue migliori vestigia restavano in quelle che un tempo sembravano le sue più insignificanti periferie”
Ise

“Per Chateubriand ‘tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine’ ... Ma forse Chateubriand aveva torto, forse quell'attrazione e quel sentimento sono ... una peculiarità della cultura di tradizione europea ... per riassumere: in Cina le rovine di edifici del passato non hanno cittadinanza nella memoria culturale. Il pathos del trascorrere del tempo è espresso dagli oggetti di natura; quelli prodotti dagli uomini, una volta abbandonati, si diluiscono nella natura si confondono con essa; ma a questo punto, i simboli che la natura stessa offre per descrivere la decadenza, la rovina, l’irreparabile fluire del tempo sono sentiti come infinitamente più potenti, e occupano tutto lo spazio disponibile”.
Tali parole di Salvatore Settis, tratte dal catalogo Cina. La nascita di un impero, risalgono al 2006.
Egli instaura un parallelo fra i due imperi, il Romano e il Cinese, valutandone vari aspetti (la stabilità, a esempio) e soffermandosi, poi, sulla considerazione che occidentali e orientali hanno nei riguardi del fluire del tempo e della storia.
Dal 2006 sono passati secoli. L’Occidente è giunto al termine d’un processo di putrefazione nato nei deserti d’un illuminismo mendace che celebra continuamente trionfi: tanto da trionfare su sé stesso negando il proprio passato e un futuro qualsivoglia. La Cina ha accettato tutto questo, nel 1912, cinque anni prima della Russia. Nel comunismo, infatti, già brillano le medesime geometriche premesse del capitalismo. E oggi, lavato via l’ingannevole e folcloristico maquillage (protezionismo, liberismo et alia), che ha generato film, libri, vociferazioni e guerre buone per ammansire il gregge, Occidente e Oriente si specchiano l’uno nell’altro nuotando paralleli nel postcapitalismo definitivo, irreversibile.
Chiudiamo con una nota allegra, che comprenderete meglio dopo aver letto il pezzo di Ise (che ringraziamo). Nel 1950 uscì un memorabile raccontino di Damon Knight, Servire l’uomo (To serve man). Trama: i Kanamiti sono atterrati sulla Terra. Civiltà superiore, essi recano il progresso universale, totale. I benefattori interstellari aboliscono, con un colpo di spugna celeste, la malattia e la fame e la guerra. Il loro mondo incantato ammalia miliardi di esseri umani tanto che questi migrano, lentamente e irresistibilmente, verso il pianeta d’origine kanamita. Intanto qualche terrestre viene in possesso d’un libro capitale dei Kanamiti la cui scrittura potrebbe essere paragonata, da qualche zuzzurellone, al cinese. Il testo, tuttavia, resiste ai tentativi di decifrazione. Si viene, almeno, a capo del titolo, tradotto come: Servire l’uomo. Solo quando sarà troppo tardi ci si accorgerà che tale bibbia non è altro che un manuale di cucina che insegna, ovviamente, a servire l’uomo.

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Ise
Per capire un po' il rapporto dei cinesi col passato, la risposta che riporto più sotto, della mia amica M., cinese del Vecchio Ordine, è forse la migliore sintesi.
Tralascio invece quella della cinese del Nuovo Ordine a cui avevo chiesto, dato che forse la stessa incomprensione della domanda ha compromesso la risposta. Ella sembrava non ricordare neanche alcune delle maggiori devastazioni della sua città, Pechino, come le volte in cui i resti antichi trovati durante la costruzione dell’ennesima linea della metro, venivano tranquillamente ignorati e distrutti, perchè non potevano intralciare la velocità del progresso. Certo in superficie arrivavano solo le notizie di quelli “salvati”.
Le mura della città interna di Pechino furono abbattute già negli anni ’60 per costruire la metro che correva al di sotto di esse, seguendo la traccia del loro circuito perimetrico. Da allora lo scempio non si è più fermato. La distruzione è poi passata agli hutong, i vicoli caratteristici della Pechino antica, che ospitavano le siheyuan, caratteristiche abitazioni con cortile interno. Si tratta di edifici a un piano costruiti secondo rigorosi principi ispirati al Taoismo, il fengshui e varie “superstizioni” riguardo la protezione dagli spiriti maligni, l’armonizzazione dei 5 elementi et cetera.
Questi vicoli storici che si estendevano per chilometri e chilometri nella città, furono rasi al suolo in pochissimo tempo come in un bombardamento a tappeto. Negli anni 2000 ormai si abitava solo su grattacieli, i cosiddetti compounds che ho visto ora lodare in Italia: distretti abitativi recintati, con guardie all’ingresso e CCTV, per tenere tutti sotto sorveglianza. Ogni anno o quasi dovevo cambiare appartamento (e grattacielo) perchè l’affitto di quello in cui ero raddoppiava. Perchè raddoppiava? Perchè la distruzione del quartiere storico in cui si trovava era terminata; al suo posto era stato creato un quartiere artificiale di grattacieli, McDonalds’, grandi centri commerciali, fermate di metropolitana, enormi arterie stradali, tutto ammassato senza alcuna ricerca di armonia, rispetto della tradizione, vivibilità umana, effettive necessità, et cetera.
Ricordiamo che i primi miliardari in Cina son stati quelli del settore immobiliare: il cemento è stato l’oro del self-made man cinese. Ad un certo punto una rivista riportò il risultato di una ricerca scientifica in cui si definiva Pechino come un’area “non adatta alla vita”, testuali parole.
Questo “il modello” esteso al resto del territorio.

Dunque il compound in cui abitavo, nel giro di un anno (ma anche meno) diveniva il centro di un “quartiere residenziale” per benestanti, sorvegliati speciali 24 ore su 24. Nel grattacielo successivo in cui andavo ad abitare, nelle zone ancora “in via di sviluppo”, affacciandomi dalla finestra del 15esimo piano, mi trovavo di nuovo come di fronte a un bombardamento a tappeto appena terminato: l’intera area dei vicoli storici che si estendeva a perdita d’occhio, fino al limite dei modern compounds all’orizzonte che la assediavano, era stata rasa al suolo dalle ruspe. Sull’alto recinto a scudo che circondava tutta l’area, per non far vedere a chi passava di lì lo scempio che si compiva all’interno, erano impressi i caratteri “chai” (“in demolizione”), e, a volte, neanche volessero essere ironici, “weirenmin fuwu” (“per servire il popolo”), e poi grandi cartelloni con illustrato il bellissimo progetto di quel che sarebbe diventato il quartiere. Spiccava sempre il colore verde sui cartelloni, che puntualmente nella realtà veniva sostituito dal grigio. Gli ex abitanti di questi “hutong” furono gli ultimi “resistenti” cinesi; molte le proteste delle persone costrette a lasciare tali quartieri storici, ma tutte soffocate…non tanto con i manganelli, quanto con abbondanti rimborsi, compensi, appartamenti nuovi nei grattacieli di zone limitrofe rese cool e moderne, piene di servizi (già, i servizi igienici furono una delle maggiori giustificazioni per l’abbattimento dell’intera Pechino storica; invece di costruire qualche cesso privato in più, han preferito smantellare tutto e ricostruirlo direttamente sul modello di un cesso pubblico); ma la gente era cieca, valeva sempre, per tutti, il ”wei renmin fuwu”, “per servire il popolo”.

La stessa fine è avvenuta in altre città storiche. Mi piace ricordare Kashgar, una delle città centroasiatiche meglio conservate e più belle (sullo stile di Samarcanda), divenuta oggetto di selvaggio “sviluppo” urbano: gli anziani sono morti come mosche quando hanno sostituito con il cemento e i riscaldamenti centralizzati le loro vecchie abitazioni tradizionali (con soffitti in legno intagliato e decorazioni artigianali da far venire le vertigini a guardarli), che non avevano bisogno nè di riscaldamento durante l’inverno, nè di aria condizionata d’estate. Oppure potrei parlare dell’antica moschea a Pechino che ogni tanto visitavo: a un certo punto intralciava il passaggio di una nuova arteria stradale, quindi l’hanno “spostata” di qualche metro per far spazio alla via: così loro definivano l’operazione. In realtà la moschea era stata completamente demolita; ne fu costruita una nuova con lo stesso nome qualche metro più in là, nemmeno del tutto fedele all’impianto originale. Oppure il famoso tempio taoista della Nuvola Bianca, uno dei più antichi: quando andai a visitarlo un’ ampia ala era chiusa al pubblico "per restauro", dissero; visitandola comunque, nonostante il divieto, mi resi conto che stavano costruendo i padiglioni ex-novo, l’ odore di vernice fresca mi fece venire il voltastomaco. Questo modus operandi l’ho visto applicare a tutto poi nel tempo; mi limito a parlare di Pechino altrimenti la lista non finisce più. Ad un certo punto con amici si scherzava che prima o poi la Città Proibita e la piazza Tiananmen avrebbero intralciato qualche arteria importante e sarebbero state “trasferite” altrove, con solo il Mausoleo di Mao forse ancora presente, magari all’interno di un raccordo anulare sopraelevato per godere della sua vista beatificante dall’alto.

Naturalmente tale modus operandi procede da un sotteso modus pensandi.
Gli “esperti” formatisi prima del 1949 a me sembrano essere stati gli ultimi a preoccuparsi seriamente per la conservazione della Pechino e della Cina antiche; non a caso anche l’amica del Nuovo ordine è riuscita a citarmi solo Liang Sicheng e il fratello Liang Siyong come persone che s’impegnarono realmente per la conservazione della Cina antica, ma sono personalità formatesi prima del 1949; dopo di loro non conosco grandi nomi, non sono dentro tale campo quindi forse è solo per mia ignoranza. Un fatto inconfutabile è che i più bei resti della civiltà cinese sono stati sfregiati durante la Rivoluzione Culturale (nomen omen): tutti i siti storici buddisti, ad esempio, come quelli lungo la Via della Seta, con statue scolpite direttamente nelle rocce e caverne delle aride terre che legavano le oasi tra loro, a partire dal sito di Longmen, furono dannegiati dalle guardie rosse che si divertirono a tagliare teste o braccia dei Buddha. Non so se l’odierno modus pensandi provenga da lì, so solo che oggi il valore del tempo che rende certe rovine e resti storici senza prezzo, è del tutto dis-prezzato. Vi è totale indifferenza per l’autenticità delle opere, e per il tempo che ce le ha consegnate intatte. Nei viaggi in luoghi storicamente o paesaggisticamente famosi, sono spesso incappata nei progetti di “diqu kaifa” (sviluppo del territorio, si, sempre lui, il progresso): la sistematica distruzione dell’autenticità e della storia di un territorio, il tutto in nome dell’apertura al progresso e al turismo. Tutto quel che rendeva quei luoghi magici veniva spazzato via, ignorando il senso del valore storico delle cose, e ricostruito a immagine e somiglianza "fake" per renderlo più facilmente “consumabile”, fruibile, dalla massa dei nuovi benestanti in gita turistica presso le vestigia del loro passato. Ed avresti dovuto vedere cosa interessava loro fotografare una volta giunti presso le tanto ambite vestigia … lo lascio alla vostra immaginazione.

Potrei, anzi dovrei, poi parlare dei “minzu cun”, i villaggi etnici.
Una civiltà che vanta al suo interno 56 gruppi etnici, è riuscita ad eliminare qualsiasi diversità pur mantenendo la facciata dello stato felicemente tollerante: le aree abitate dalle minoranze etniche con usi e costumi particolari sono state trasformate in tanti parchi a tema in cui è stato malamente ricostruito l’ambiente e l’architettura delle minoranze in questione ed in cui, durante le ore lavorative, delle comparse con costumi tradizionali (nuovi, e pure un poco rivisitati: pieni di paillettes o cose così, che fanno tanto chic), fanno spettacolini di danze tradizionali, oppure li trovi a lavorare il telaio o altre attività artigianali per le quali erano famosi, per il pubblico pagante e fotografante. Spesso tali comparse sono cinesi Han e non del gruppo minoritario ormai ridotto all’osso, psicologicamente e culturalmente sconfitto, disperso ed omologato nelle grandi città.
Tutti questi sforzi locali di riduzione a tabula rasa della variegata cultura cinese sono poi confluiti nel grande progetto di sviluppo (sempre lui, il progresso) delle regioni occidentali, detto “Xibu Da Kaifa”, che ha comportato la resa finale del Tibet, del Turkestan Orientale e di tante altre aree un tempo a maggioranza non Han, con forti identità etniche, anche loro ... vanished. Ma inutile aprire quest'altro enorme capitolo.

In questi giorni di intensi scambi di messaggi con M., ne ho approfittato per chiederle il suo parere.
Io definisco M. “cinese” perchè per me ne rappresenta al meglio la cultura tradizionale cinese, ma in realtà è malese e tale dice di sentirsi. Viene da famiglia cinese, ha frequentato le scuole cinesi in Malesia, vive nella comunità cinese malesiana, poi ha avuto la sua esperienza di Cina Popolare: fu mia compagna di stanza per un anno all’università cinese che ho frequentato più di 20 anni fa; la chiamavano tutti “the walking encyclopaedia” perchè, oltre a parlare sei lingue, aveva una passione profonda e unica per la storia e la letteratura cinesi. Andare per le vie di Pechino con lei era come rivivere il passato: sapeva trovare la vecchia casa da thè di tal romanzo, o le poche botteghe rimaste di prodotti unici; sapeva ricostruire la storia di un quartiere o i luoghi che avevano ispirato romanzi e poesie. Non so bene da quando, ma sospetto quasi subito dopo la sua esperienza di Cina Popolare, M. è divenuta profondamente anti-cinese (PCC), ed anche anti-cinesi d’oltremare che sostengono la Cina. Quindi la sua visione risente di ciò, ma è (almeno da me) perfettamente comprensibile.
Dunque le chiedo: “Sto cercando esempi per illustrare a degli italiani il rapporto che i cinesi hanno col passato, la loro storia, ma non è facile rendere l’idea, tu cosa proporresti?”.
M.: "Dì loro di cercare su google il famoso edificio “Yellow Crane Tower” (“Huanghelou”) a Wuhan. Ho studiato la ‘Pagoda della Gru Gialla’ alle scuole superiori. È citata in molte poesie Tang, in bellissimi poemi. Andai a visitare la Pagoda nell’estate del 2000. Al tempo era già la settima od ottava volta che avevano ricostruito e ridisegnato l’edificio/la pagoda. Non era più quello originale. Ho visto almeno sette versioni diverse dell’edificio nella piccola biblioteca della Pagoda della Gru Gialla, ma non sono sicura che quelle informazioni siano ancora preservate e presentate lì ora. Sono passati 20 anni da quando ci sono stata.
Vai a Taiwan se vuoi vedere come preservano I loro vecchi templi. Non vuol dire che in Cina non ci siano persone intelligenti e preparate, solo è dura trovarle".

Durante gli studi ricordo che un professore ci raccontò che alcune delle tavolette di bamboo del IV secolo a.C. in cui è incisa una delle più antiche versioni del Taodejing, scoperte nelle tombe di Guodian, furono danneggiate perchè chi s’introdusse nelle tombe per trafugare gli oggetti preziosi le bruciò per fare luce all’interno senza preoccuparsi di verificare cosa fossero.
Per la cronaca, Guodian si trova in Hubei, la regione di Wuhan, sempre lei, la città oggi più famosa della Cina.
Giova poi ricordare che Hubei è anche la regione della famosa diga delle Tre Gole, la seconda più grande al mondo.
Proprio l’altro giorno la tv giapponese mandava un servizio sul fallimento di questo progetto (sempre in nome del progresso) testimoniando l’inutile cementificazione di aree enormi e la non efficienza e scarsa manutenzione di tutta l’opera.
Anche solo da Wikipedia si ha un’idea del costo (pensate se si indagasse oltre Wikipedia); la cito: “Per la creazione del bacino sono stati sommersi più di 1300 siti archeologici (tra i quali Baiheliang), 13 città, 140 paesi e 1352 villaggi che hanno comportato il trasferimento di circa 1,4 milioni di abitanti (sono 116 le località finite direttamente sott'acqua). Le autorità cinesi prevedono il trasferimento di almeno altri quattro milioni di persone dalla zona delle Tre Gole nel periodo 2008-2023. Molte specie animali e vegetali sono scomparse o scompariranno a causa della distruzione degli habitat in cui vivono a causa dell'inquinamento provocato dalle industrie locali e dall'eccessivo traffico navale. Un esempio è dato dal lipote, un delfino d'acqua dolce che popolava le acque del fiume Yangtze, dichiarato estinto nel 2006, ma avvistato nuovamente il 30 agosto 2007.” “Ogni 80 ore di funzionamento è stimata una perdita di 25 kg di acciaio dalle turbine”. Poi arriviamo anche alle comiche spaziali: “Gli scienziati della NASA tra i quali Richard Chao e Benjamin Gross hanno calcolato che la grande massa d'acqua che si accumulerà nella diga a un'altezza superiore rispetto a quella precedente, sta causando una diminuzione della velocità di rotazione della terra, e quindi un allungamento della durata del giorno, seppur di un valore infinitesimale stimato in 60 miliardesimi di secondo”.
Lascio un ultimo esempio, quello di Datong, sito di meravigliose grotte buddiste, in una delle prime città a divenire tra le più inquinate ed invivibili della Cina: 


Quest’articolo descrive quel che in Cina è la norma, altro che "strange case": il fake, la facciata utile per la propaganda; oltre ciò, il nulla. Le foto, inoltre, ricordano un po’ il panorama che mi si presentava davanti dai grattacieli di Pechino.

sfortuna, sottovalutazioni ed errori hanno contribuito a creare in provincia di Bergamo il peggior focolaio di coronavirus in Italia e forse nel mondo


ITALIA
1 APRILE 2020
Il disastro in Val Seriana

Come sfortuna, sottovalutazioni ed errori hanno contribuito a creare in provincia di Bergamo il peggior focolaio di coronavirus in Italia e forse nel mondo


Il 19 marzo l’Italia è diventata il paese al mondo col più alto numero di persone ufficialmente morte avendo contratto la COVID-19, la malattia causata dal nuovo coronavirus. In Italia la regione più colpita è stata la Lombardia, e in Lombardia nessuna provincia è stata più colpita di quella di Bergamo. Lungo la valle del fiume Serio, che dalle Alpi Orobie scende verso la città, è difficile trovare una famiglia che non registri almeno un lutto, e i morti sono così tanti che le autorità sanitarie non riescono a tenerne il conto. Mentre i reparti di terapia intensiva sono al collasso e la malattia svuota silenziosamente le case di riposo, le persone muoiono nelle loro abitazioni senza mai essere riuscite a vedere un medico e i convogli militari fanno la spola con i forni crematori di altre regioni.

Il Post ha parlato con una dozzina di medici, operatori sanitari e abitanti della valle per ricostruire cosa è accaduto in Val Seriana, e come sia stato possibile che le cose siano arrivate sino a questo punto. Quello che è emerso è una catena di errori umani e sottovalutazioni che, uniti al caso e alla sfortuna, hanno contribuito a trasformare questo territorio nel cuore mondiale della pandemia.

La cronologia
Vista dall’alto, la Val Seriana somiglia a una propaggine della città di Bergamo incuneata tra le montagne. Dall’imboccatura della valle fino al comune di Albino, dieci chilometri più in su, le case e i capannoni industriali non si interrompono mai. Ai confini che separano i comuni non corrispondono nemmeno cinquanta metri di campagna. Da più di un secolo la valle è il cuore produttivo della provincia di Bergamo, un luogo di scambi e spostamenti continui verso il capoluogo e gli altri centri vicini.

L’epidemia qui è iniziata ufficialmente nel primo pomeriggio di domenica 23 febbraio, quando i tamponi eseguiti nei giorni precedenti su due pazienti ricoverati all’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo, il centro più importante della bassa valle, a pochi chilometri da Bergamo, si sono rivelati positivi. I pazienti erano due anziani provenienti da paesi vicini: Ernesto Ravelli, pensionato di 84 anni di Villa di Serio, ricoverato dal giorno precedente, e un ex camionista di Nembro di 64 anni, anche lui in ospedale da più di 24 ore.

Quando sono arrivati i risultati dei tamponi, i medici di Alzano sono entrati subito in allarme. Un ospedale è il luogo peggiore dove può scoppiare un’epidemia – un luogo pieno di persone già malate e fragili, e di operatori sanitari che devono prendersi cura di loro – e i due pazienti lo avevano attraversato in lungo e in largo prima che si scoprisse la loro malattia. La direzione dell’ospedale aveva ordinato quindi l’immediata chiusura del pronto soccorso e l’isolamento dell’intera struttura. Nastri segnaletici erano stati stesi di traverso sugli ingressi, e messaggi di allarme erano stati diffusi sui pannelli informativi dell’ospedale

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Un pannello informativo del pronto soccorso di Alzano Lombardo, intorno alle 15 del 23 febbraio

Quelli di Alzano erano i primi casi di positivi alla COVID-19 scoperti nella provincia di Bergamo e tra i primi individuati in tutta Italia. Il “paziente uno”, il primo caso ufficiale di contagio nel nostro paese, individuato all’ospedale di Codogno, in provincia di Lodi, era stato accertato soltanto tre giorni prima. All’alba di domenica 23 febbraio, polizia ed esercito avevano circondato Codogno e altri 11 comuni imponendo una severa quarantena che sarebbe stata ribattezzata “zona rossa”. Ad Alzano però si era deciso di agire diversamente.

I due pazienti contagiati erano stati trasferiti al grande ospedale di Bergamo, il Giovanni XXIII, designato fin dall’inizio dell’emergenza come centro di raccolta per i pazienti infettati dal coronavirus. Circa un paio d’ore dopo, l’ospedale di Alzano era stato riaperto. Numerosi testimoni hanno raccontato che la struttura non era stata sottoposta a nessuna particolare misura di sanificazione, né erano state messe in atto procedure particolari per selezionare i pazienti in arrivo e isolare i casi sospetti.

Alla riapertura dell’ospedale, gli abitanti di Alzano avevano tirato un sospiro di sollievo. Anche se il comune raccomandava sul suo sito di non uscire senza ragioni, e se la casa di riposo locale rimaneva chiusa, sembrava che un’emergenza come quella di Codogno fosse stata scampata. Il giorno dopo, lunedì 24 febbraio, all’ospedale di Alzano si era lavorato normalmente e si era iniziato a fare tamponi a pazienti e personale sanitario, sintomatici e non, che avevano avuto a che fare con i due infetti da coronavirus.

Quel giorno la regione aveva dato notizia della prima morte avvenuta nella provincia di Bergamo. Ernesto Ravelli, il pensionato di Villa Serio, non era riuscito a sopravvivere alla notte trascorsa al Giovanni XXIII. I suoi tre figli non avevano avuto il tempo di salutarlo né di vedere il corpo, un’esperienza che presto sarebbe divenuta comune a migliaia di altre famiglie. Nel comunicare il decesso, le autorità sanitarie avevano specificato che Ravelli era “affetto da pregresse patologie”.

Per il resto della settimana, politici, esperti e amministratori locali e nazionali avevano ridimensionato l’emergenza e messo in guardia contro i pericoli del panico e dell’adozione di misure troppo severe. Il presidente della sezione locale di Confindustria aveva detto che era fondamentale non dare all’estero il messaggio che la regione fosse «chiusa per coronavirus». Pochi giorni dopo la sua associazione aveva diffuso un video intitolato “Bergamo is running/Bergamo non si ferma”.

Il video era stato ripreso dai sindaci di quasi tutta la provincia, alcuni dei quali si erano fatti fotografare per strada o a cena fuori, per incoraggiare i cittadini a continuare con la loro vita normale. La regione Lombardia aveva difeso sindaci e imprenditori, annunciando che non intendeva intervenire su Alzano Lombardo come era stato fatto per Codogno. Nel frattempo iniziavano ad arrivare i risultati dei test effettuati nel fine settimana del 23 febbraio. Il 26 febbraio i positivi nella provincia di Bergamo erano diventati 20. Tra loro c’erano anche diversi medici e operatori sanitari dell’ospedale di Alzano Lombardo, tra cui lo stesso primario.

Il 29 febbraio, una settimana dopo il ricovero del primo paziente ufficialmente positivo, iniziavano a serpeggiare i primi sospetti sulle reali dimensioni del contagio in Val Seriana. I medici dello Spallanzani di Roma avevano scoperto che una donna di Fiumicino che aveva contagiato la sua famiglia era stata ad Alzano Lombardo tra il 19 e il 21 febbraio. Se una persona rimasta in città soltanto per un paio di giorni era rimasta contagiata, era molto probabile che i 110 casi positivi rilevati quel giorno fossero solo la punta di un iceberg molto più profondo. Quel giorno l’assessore al Welfare della regione Lombardia, Giulio Gallera, aveva ripetuto che se anche Alzano aveva «un numero importante di casi» la regione non aveva «nessuna idea di costruire nuove zone rosse».

La situazione è esplosa pubblicamente il 2 marzo, con l’arrivo dei risultati di un grosso numero di test realizzati nei giorni precedenti. La provincia di Bergamo era balzata a 508 casi certificati di contagio, pochi meno della zona rossa di Lodi, dove i contagi erano 621. Quel giorno l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) inviò una nota scritta al comitato tecnico scientifico che si occupava di consigliare il governo in cui raccomandava l’apertura di una nuova zona rossa all’imboccatura della Val Seriana, che comprendesse almeno i comuni di Alzano Lombardo, circa 13 mila abitanti, e di Nembro, poco più di 11 mila.

Martedì 3 marzo la provincia di Bergamo ha superato quella di Lodi per aumento giornaliero dei contagi. Nella conferenza stampa di quella sera Gallera aveva detto che la zona rossa non era più un’ipotesi esclusa a priori: «Abbiamo chiesto all’Istituto Superiore di Sanità di fare valutazioni e suggerire a noi e al governo le migliori strategie». Non è chiaro se Gallera fosse a conoscenza del fatto che già dal giorno precedente l’ISS aveva raccomandato l’apertura di una nuova zona rossa. Il Post ha provato a contattare Gallera diverse volte, senza avere risposte.

L’idea di una nuova zona rossa, comunque, non convinceva ancora tutti. Il 6 marzo Confindustria Bergamo ha diffuso alle agenzie e ai giornali locali una nota in cui elencava tutte le aziende che rischiavano la chiusura in caso di approvazione di nuove misure restrittive. In quei giorni un importante imprenditore della Valle scrisse una lettera al Sole 24 Ore, poi non pubblicata, per dire che in caso di misure di quarantena avrebbe disobbedito e avrebbe tenuto aperta la sua azienda.

Nel corso della settimana i contagi avevano continuato ad aumentare sempre più rapidamente, minacciando di portare al collasso le terapie intensive dell’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo. Il 5 marzo l’ISS era tornato a suggerire l’apertura di una zona rossa, e i sindaci della provincia avevano iniziato a fare preparativi per essere pronti all’isolamento. Ad Alzano e Nembro erano stati preparati elenchi di volontari ed erano stati approntati i comitati straordinari per gestire l’emergenza. Circa 300 tra poliziotti e carabinieri erano arrivati nei due comuni, e nella notte tra il 7 e l’8 marzo alcune strade avevano iniziato a essere transennate.


Poi, alle 23 del 7 marzo, mentre il governo nazionale era ancora in riunione, il sindaco di Alzano aveva annunciato su Facebook che non ci sarebbe stata una nuova zona rossa. Il decreto del presidente del Consiglio approvato nella notte sanciva il definitivo abbandono da parte del governo della strategia delle zone rosse e la creazione delle cosiddette zone arancioni, un’area di quarantena più blanda della zona rossa, ma estesa all’intera Lombardia e ad altre 14 province. In sostanza, questa è la situazione che ancora oggi vige in città.

Le conseguenze
In Val Seriana l’epidemia ha raggiunto il picco circa una settimana dopo la mancata decisione di attuare la zona rossa, quando – secondo i dati ufficiali – i contagiati confermati a Nembro erano circa 200 e ad Alzano Lombardo quasi 100. Ma questi numeri significano poco. Le autorità sanitarie locali non riescono a testare non solo tutti i casi sospetti, ma persino i casi sintomatici e gravi. Soltanto il 18 marzo ad Alzano sono morte otto persone nelle loro abitazioni o in casa di riposo, senza aver ricevuto il tampone, lo stesso numero di decessi che normalmente si verifica in un mese.

Il 26 marzo il sindaco di Alzano ha detto che i morti in città dalla fine di febbraio sono stati 100, contro i 10 dello stesso periodo dell’anno precedente. A Nembro i morti sono stati 120 contro 14. È una mortalità dell’1 per cento dell’intera popolazione dei due comuni, più alta di quella riscontrata a Wuhan, in Cina, e più alta che in qualsiasi altra parte del mondo. In provincia di Bergamo le statistiche ufficiali parlano di duemila morti, ma confrontando le morti nel mese di marzo con quelle dell’anno precedente, la cifra reale sembra più vicina a cinquemila.

Amministratori locali, medici di famiglia e operatori di RSA (case di cura per persone non autosufficienti) e residenze per anziani sono tutti concordi nel dire che i numeri ufficiali oggi non rappresentano la realtà. Giorgio Tiraboschi, impiegato come medico in una RSA della Val Seriana, ha raccontato che nell’ultimo mese nella sua struttura sono morti 45 ospiti su 143. A nessuno è stato fatto il tampone e nessuno è stato ricoverato. Secondo le associazioni delle case di riposo, soltanto nella provincia di Bergamo i morti nelle strutture per anziani sarebbero oltre 600.


Non sono soltanto le case di riposo a sfuggire ai conteggi ufficiali. Tiraboschi, che lavora anche come guardia medica nella vicina Val Brembana, ha detto che in una sola domenica a metà marzo, durante il picco dell’epidemia, ha ricevuto 37 chiamate, almeno cinque volte il numero normale. Spesso erano persone spaventate che chiamavano per aver conforto. Tiraboschi racconta di aver parlato con una ragazza che nel giro di pochi giorni aveva perso mamma, papà e fratello. In altri casi erano persone con sintomi, ma in condizioni ancora non così gravi da far intervenire un’ambulanza. Il compito di assisterli spetta a medici di famiglia e guardie mediche che spesso non hanno possibilità di aiutarli senza ricorrere alle cure ospedaliere.

In tutta la provincia, per esempio, sono state a lungo introvabili le bombole d’ossigeno, necessarie per aiutare i pazienti che manifestano l’affaticamento respiratorio tipico della COVID-19. Senza ossigeno i pazienti si aggravano rapidamente, così in fretta che a volte non è più possibile trasportarli in ospedale. A quel punto l’unica cosa che resta da fare è prescrivere loro cure palliative.

Molti medici del territorio hanno denunciato in queste settimane l’impreparazione del sistema sanitario lombardo, da anni concentrato sulle cure ospedaliere e dotato di un sistema di assistenza locale poco sviluppato rispetto a quello di regioni vicine, come Veneto ed Emilia-Romagna. Nelle RSA e nelle case di riposo l’arrivo di istruzioni contraddittorie da parte di regione e autorità sanitarie locali e la mancanza di dispositivi di protezione personale, sostengono molti, ha aggravato la situazione.

Di fronte alla larghissima diffusione dell’epidemia, la popolazione ha reagito con rabbia. Domenica scorsa sulla facciata del municipio di Nembro è comparsa una scritta fatta con vernice nera: “Politici, calciatori, vi siete fatti fare il tampone? Quindi i nostri padri zii e nonni sono coglioni?”. La rabbia per quello che da molti è stato percepito come un fallimento del sistema sanitario nel fronteggiare l’epidemia si è diffusa sui social network, dove nei gruppi le persone raccontano le loro storie, spesso molto simili: un parente che si ammala e inizia ad avere problemi respiratori, la difficoltà a ottenere i tamponi e l’ossigeno, il peggioramento delle condizioni fino al trasporto in ospedale e poi una telefonata che avvisa del decesso.

La facciata del municipio di Nembro fotografata il 29 marzo

«C’è tantissima rabbia sfogata in modo cieco», ha raccontato Stefano Fusco, un 31enne di Brusaporto, poco lontano dalla Val Seriana, che insieme a suo padre ha fondato uno di questi gruppi, che oggi conta più di 18 mila membri. Fusco, che dice di non conoscere nessuna famiglia che non abbia almeno un parente morto o ricoverato, ha perso suo nonno, morto per un collasso cardiaco appena tre giorni dopo essere stato trovato positivo alla COVID-19. La sua è stata una delle poche famiglie che sono riuscite a svolgere una breve funzione religiosa e vedere la bara, prima che venisse portata verso un crematorio meno intasato di quelli della provincia.


Fusco ha raccontato che a quel punto il recupero delle ceneri si è trasformato in una «epopea» durata giorni. Alla fine, ha aggiunto a mezza voce, lui e la sua famiglia non sono nemmeno sicuri che l’urna che gli è stata restituita contenga effettivamente le ceneri di suo nonno. Il gruppo su Facebook è un tentativo di dare un senso a queste frustrazioni. «L’obiettivo del nostro gruppo», racconta, «è convogliare la rabbia in qualcosa di costruttivo, raccogliere testimonianze e fare delle domande: è stato davvero fatto tutto il possibile per contrastare l’epidemia? Nel nostro gruppo ci sono 18 mila persone che chiedono di avere risposte».

Le cause
Non sono soltanto i gruppi nati sui social network a cercare risposte per spiegare il disastro della Val Seriana. Medici ed esperti hanno indicato tra le ragioni più probabili la modalità e il luogo in cui è esploso il contagio. L’epidemia ha iniziato a diffondersi in un ospedale, contagiando pazienti già indeboliti e personale sanitario, che ha contribuito a spargere il contagio fuori dalla struttura. La valli della bergamasca, densamente popolate e in continuo scambio con il territorio circostante, sono state un luogo ideale per la diffusione del virus.

Oltre alle circostanze, molti indicano anche i fattori umani che hanno caratterizzato questa vicenda, come la gestione dei primi contagi da parte dell’ospedale di Alzano Lombardo. Numerose testimonianze indicano che dopo il trasferimento dei primi due pazienti l’ospedale è stato riaperto senza che venissero adottate particolari precauzioni, causando il contagio di numerosi pazienti e del personale sanitario.

Ad Alzano, inoltre, il contagio è iniziato ufficialmente il 23 febbraio, ma diverse testimonianze di parenti di persone ricoverate ad Alzano e poi decedute sembrano indicare la presenza del virus già nei giorni precedenti. Il Post ha parlato con un operatore sanitario a cui è stato chiesto di entrare in quarantena il 23 febbraio, dopo che una dottoressa con cui era entrato in contatto alcuni giorni prima era risultata positiva al COVID-19.

La notizia del test positivo di una terza persona il 23 febbraio a oggi non è stata confermata. L’azienda sanitaria di Bergamo ha sempre rifiutato di commentare la vicenda di Alzano, e quasi tutti gli operatori sanitari della zona che hanno parlato con il Post lo hanno fatto a condizione di rimanere anonimi. Almeno un operatore sanitario che ha parlato con la stampa ha ricevuto una lettera di sanzione.

Un utilizzo estensivo dei test, come raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, avrebbe permesso di rendersi conto con più rapidità dell’estensione del contagio e di isolare medici e pazienti che invece sono stati liberi di infettare centinaia di persone. Ma il sistema sanitario italiano – soprattutto in Lombardia – non ha adottato integralmente le raccomandazioni delle organizzazioni internazionali, e sui test ha adottato un approccio molto limitato.

Il 25 febbraio, per esempio, due giorni dopo la scoperta dei primi due casi, una persona definita “superesperto” che non voleva che il suo nome venisse citato, aveva detto a Repubblica che fare “test a casaccio” e a “ruota libera” avrebbero diffuso il panico e intasato il sistema sanitario. Due giorni dopo, il 27 febbraio, l’ISS aveva modificato il protocollo per effettuare test, stabilendo che venissero realizzati soltanto a pazienti plurisintomatici: non ai sospetti quindi, ma solo alla minoranza di casi che mostravano più di un sintomo. Poche settimane dopo Walter Ricciardi, principale consulente scientifico del governo, ripeteva che fare troppi test e farli anche ai sospetti che non mostravano sintomi aveva attirato sull’Italia l’immagine dello “untore” e continuava a sostenere l’importanza di fare test solo ai pazienti sintomatici. Ma in Lombardia non è successo nemmeno quello.

Le regioni hanno seguito queste indicazioni in ordine sparso e la Lombardia è stata tra quelle ad averle interpretate nella maniera più restrittiva, finendo per riuscire a testare soltanto i casi gravi abbastanza da richiedere un ricovero ospedaliero. In una lettera spedita alla fine di marzo ai sindaci della provincia di Bergamo, il presidente della regione Attilio Fontana aveva assicurato che «tutti i soggetti» sintomatici erano stati testati, ma il Post ha potuto confermare dozzine di casi in cui pazienti con vari sintomi da COVID-19, alcuni dei quali successivamente deceduti, non sono stati sottoposti al tampone. Ancora oggi, un mese dopo l’inizio dell’emergenza, la Lombardia ha la capacità di elaborare un massimo di 5 mila tamponi al giorno, una cifra che non cresce da settimane.

L’ultima spiegazione del disastro, e quella che ha attirato le maggiori attenzioni e critiche anche degli amministratori e delle comunità locali, è stata la mancata applicazione della zona rossa ai comuni di Nembro e Alzano Lombardo. L’applicazione di misure simili a quelle di Codogno avrebbe immediatamente bloccato tutte le attività all’imboccatura della valle. L’intera area sarebbe stata sottoposta a un blocco totale, il cibo sarebbe stato consegnato casa per casa e le imprese avrebbero sospeso ogni attività. A Codogno il blocco totale imposto a partire dalla mattina del 23 febbraio ha prodotto un abbattimento quasi immediato dei contagi, mentre nella Val Seriana gli infetti confermati sono continuati a crescere fino alla metà di marzo.

Il governo però ha scelto di attuare una strategia differente, allargando l’area arancione, caratterizzata da un regime di quarantena più blando, a tutta la regione. Così facendo, il focolaio di Alzano è rimasto attivo. Le persone hanno continuato a spostarsi lungo la valle e in città, e gli operai hanno continuato a recarsi al lavoro. Solo a metà di marzo, quando il picco dei contagi era oramai stato raggiunto, le principali manifatture dell’area hanno accettato spontaneamente di chiudere. La regione avrebbe avuto il potere di attuare misure più severe: la legge lo prevede esplicitamente e regioni come Lazio e Campania hanno imposto autonomamente zone rosse in diverse città, di fronte a numeri di contagi e di decessi nettamente inferiore. Il governo lombardo però in questo caso ha preferito adeguarsi alle decisioni del governo nazionale senza inasprirle, come invece ha fatto in altri casi.

«L’unica cosa certa è che in questa decisione la salute delle persone non è stata messa al primo posto: chi non ha deciso e perché non ha deciso spetta ad altri stabilirlo», ha detto al Post Nino Cartabellotta, medico e presidente della Fondazione Gimbe, tra i primi centri di ricerca ad aver comparato l’andamento del contagio nel focolaio di Lodi e in quello di Bergamo. L’imposizione di una zona rossa, secondo Cartebellotta, «a Codogno era inevitabile: i primi casi, la grande paura, la necessità di un intervento tempestivo del governo, nessuna resistenza in virtù di una limitata presenza industriale nella zona. Ad Alzano e Nembro, sapendo già cosa comportasse istituire una zona rossa, è stata un’altra storia».

Cartabellotta ricorda tra gli altri i numerosi interventi degli imprenditori locali, che con cifre e dati mettevano in guardia contro gli effetti negativi che avrebbe avuto l’introduzione di una nuova zona rossa. «I numeri che contano oggi invece neppure li conosciamo», prosegue, riferendosi alla scarsa affidabilità delle statistiche ufficiali: «È il numero dei morti, che sfilano via con l’esercito che porta altrove le bare perché i forni crematori locali non riescono più a bruciare le salme».

4 aprile 2020 - Ernesto Burgio: COME DIFENDERCI DALLA PANDEMIA

Euroimbecilandia 7 aprile 2020 - Respingere il Mes in qualsiasi forma, far assumere alla Bce il suo ruolo di Banca centrale come prestatore di ultima istanza. Molti euroimbecilli italiani lavorano contro gli interessi dell'Italia. Basta con i soggetti alla Alessandro Rivera

Mes, l'uomo dell'Italia che tratta a Bruxelles negoziò per Etruria

A rappresentare il nostro Paese in Europa c'è Alessandro Rivera. Secondo le ultime indiscrezioni, sul Mes il dirigente del Mef seguirebbe una linea opposta a quella del governo

Federico Giuliani - Sab, 04/04/2020 - 11:51

In vista dell'Eurogruppo del prossimo 7 aprile, dove con ogni probabilità si deciderà come (e se) usare il Mes per contrastare l'emergenza economica provocata dal nuovo coronavirus, i dirigenti dei ministeri delle Finanze dei vari Paesi dell'Ue lavorano senza sosta per partorire un documento in grado di accontentare tutti.


Il problema per l'Italia, scrive La Verità, è uno, e anche bello grosso: a rappresentare il nostro Paese al tavolo di Bruxelles c'è Alessandro Rivera. Chi è costui? Ricopre il ruolo di direttore generale del ministero dell'economia e delle finanze. Ma soprattutto, secondo le indiscrezioni pubblicate dal quotidiano La Stampa, seguirebbe una linea diametralmente opposta a quella perpetuata dal governo.

Il motivo è da ricercare nella diversa visione tra le parti. Già, perché mentre l'esecutivo ha un certo tipo di idee sul Fondo salva-Stati (va bene utilizzarlo, ma senza condizionalità), nel Mef ci sarebbero numerosi tecnici molto più ortodossi. Altro campo di scontro: le risorse da destinare alle aziende a corto di liquidità. Conte spinge per arrivare a 100 miliardi di prestiti mentre lo stesso Mes, proprietario della Cassa depositi e prestiti, non sembrerebbe essere dello stesso avviso.
Il nodo del governo: Alessandro Rivera

Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per assistere a un braccio di ferro all'interno del governo. Il nodo principale, come detto, è il Mes. Le soluzioni che saranno esaminate dall'Eurogruppo non contemplano né lo stop alle condizionalità né la firma del memorandum. Tali proposte avrebbero ricevuto il bollino tecnico di Rivera e della sua squadra. Peccato che Conte avesse chiesto a gran voce la sospensione della condizionalità.

Il premier chiede infatti l'uso speciale di linee di credito del fondo per fronteggiare l'emergenza provocata dal coronavirus, ma senza tutta quella serie di obblighi che condizionerebbero l'Italia. Rivera sostiene che sia impossibile ribaltare i tavoli, oltre che pericoloso. Il rischio, infatti, è quello di compromettere fragili equilibri, importanti anche in chiave interna. Stando così le cose, per Roma diventa assai complicato trattare con Bruxelles. A maggior ragione se l'uomo incaricato di rappresentare il governo italiano dovesse davvero remare contro lo stesso esecutivo.

In ogni caso, Rivera ha fatto carriera nel ministero del Tesoro dopo aver partecipato, 19 anni fa, a un concorso indetto dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione.

Nel corso della sua carriera ha affrontato vari negoziati, tra cui le trattative con la direzione generale concorrenza dell'Ue sui salvataggi bancari. Quindi: Banca Etruria, le ex Popolari venete e l'aumento precauzionale del Monte dei Paschi di Siena. Nell'estate del 2018 riceve la chiamata di Giovanni Tria e passa dall'essere responsabile del dipartimento banche del Tesoro a capo della direzione generale (tra l'altro contro il parere del Movimento 5 stelle).

Euroimbecilandia 7 aprile 2020 - classe politica serva, tradisce l'Italia, il popolo italiano. Rigettare il Mes è il minimo, avanti la Moneta Complementare e la Bce cresca e diventi prestatore di ultima istanza

ECONOMIA
Venerdì, 3 aprile 2020 - 19:53:00
Mes, linea di credito fino al 2% del Pil. Accordo Parigi-Berlino sul piano Ue

Salvini: "E' un crimine contro gli italiani"


Germania e Francia hanno raggiunto un accordo sul piano a breve termine per fronteggiare la crisi del coronavirus. Le proposte saranno sottoposto all'esame dell'Eurogruppo di martedi' prossimo. Lo riferisce l'agenzia di stampa tedesca Dpa. L'accordo prevede la possibilita' per gli Stati di ricorrere a una linea di credito del Mes fino al 2% del proprio Pil, l'intervento della Bei per garantire fino all'80% dei prestiti a breve termine delle banche e il ricorso al bilancio Ue con risorse da destinare a misure contro la disoccupazione.

La notizia dell'accordo tra Berlino e Parigi sembra confermare quanto appreso nel pomeriggio a Bruxelles al termine delle discussioni tra gli sherpa dei ministri delle Finanze all'Euro Working Group su un accordo politico alll'Eurogruppo di martedi' prossimo sul pacchetto di tre misure per reagire alla crisi economica provocata dal Coronavirus. Per il momento sembra esclusa, invece, la possibilita' di un compromesso sui Coronabond o il Fondo di debito comune proposto dalla Francia. Il lavoro tecnico all'Euro Woking Group sulla linea di credito a condizioni rafforzate (Eccl) del Mes avrebbe quindi fatto passi avanti sostanziali. Nessuno Stato membro si e' opposto alle Eccl, tuttavia resta ancora del lavoro da fare sulle modalita' di attivazione del meccanismo. Una nuova riunione in teleconferenza degli sherpa dei ministri delle Finanze e' programmata lunedi', alla vigilia dell'Eurogruppo. Ci sarebbe ampio sostegno su una condizionalita' "light": per accedere alla linea di credito gli Stati membri dovrebbero firmare un memorandum di intesa impegnandosi a destinare le risorse all'emergenza sanitaria e economica e a rispettare il Patto di Stabilita' e Crescita. Poiche' le regole del Patto di Stabilita' sono sospese, per il momento non ci sarebbero condizioni in termini di deficit e debito. Una volta superata la fase piu' acuta della crisi economica, quando le regole del Patto torneranno pienamente in vigore, gli Stati membri dovrebbero rispettare gli obiettivi di bilancio per rientrare sotto i limiti di deficit e debito. Anche il meccanismo di monitoraggio sarebbe "light", limitandosi al coinvolgimento della Commissione e del Mes senza ricorrere alla formula della Troika. L'ammontare delle risorse da destinare alle linee di credito dovrebbe aggirarsi attorno ai 230-240 miliardi (circa il 2% del Pil).

L'Eurogruppo del 7 aprile potrebbe discutere anche di un nuovo strumento interno al Mes, da affiancare alla linea di credito, anche se finora non c'e' stato un negoziato all'Euro Working Group: introdurre uno strumento di liquidita' rapida (Rapid Liquidity Instrument) da 80 miliardi per sostenere i costi sanitari e economici della risposta all'emergenza Coronavirus. Secondo una fonte, si tratterebbe di un concetto ancora "embrionale", che eventualmente sara' sviluppato nelle prossime settimane. Le altre due misure su cui sta emergendo un consenso in vista dell'Eurogruppo di martedi' sono un potenziamento del ruolo della Banca Europea per gli Investimenti, che dovrebbe destinare 200 miliardi alla liquidita' per le imprese, e lo strumento "SURE" proposto dalla Commissione, che dovrebbe raccogliere 100 miliardi sui mercati per aiutare gli Stati membri a finanziare cassa integrazione e sussidi di disoccupazione. Nessun passo avanti, invece, e' stato fatto sui Coronabond e la mutualizzazione del debito. "E' una linea rossa per Olanda e Germania", spiega una fonte. La proposta della Francia di un Fondo ad hoc temporaneo che emetta titoli comuni potrebbe finire direttamente sul tavolo dei capi di Stato e di governo.

Coronavirus, Germania: No coronabond, ma Mes senza condizioni insensate - "Il mio suggerimento è di utilizzare gli strumenti esistenti in modo rapido ed efficace e di dare una risposta europea comune". E' quanto sostiene il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz, che respinge l'ipotesi di mutualizzazione del debito, i cosidetti coronabond. "L'Italia vuole una forte risposta europea alla pandemia, giustamente, e dovrebbe essercene una", ha spiegato ai quotidiani del gruppo Funke, "non dovrebbero esserci condizioni insensate, come talvolta accadeva in passato". "Non ci sarà una troika nel paese che detta come fare politica", ha aggiunto Scholz. Il ministro delle Finanze tedesco propone tre pilastri: gli Stati membri dovrebbero avere l'opportunità di prendere in prestito dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes) "un importo pari al due percento della loro performance economica", "per l'Italia sarebbero circa 39 miliardi di euro". Inoltre, la Banca europea per gli investimenti dovrebbe essere in grado di prestare "50 miliardi di euro a società che ne hanno urgentemente bisogno". Terzo, i membri dell'Ue dovrebbero essere sostenuti nell'affrontare la disoccupazione in rapida crescita. "La Commissione europea ha appena avanzato proposte che mi ricordano la mia idea di riassicurazione della disoccupazione", ha affermato Scholz.

Coronavirus: Salvini, ricorso a Mes? Crimine contro italiani - "Ancora il Mes. Pare che l'Europa vada in questa direzione e, a quanto dicono a Bruxelles, nessuno Stato si sta opponendo. Sarebbe gravissimo, sarebbe un crimine contro gli Italiani: il governo che dice?". Lo scrive su Facebook il leader della Lega Matteo Salvini.

Togati malati - non ci posso credere, è 'ndrangheta e tutto serve per salvarla

Coronavirus, panificio chiuso per 'ndrangheta: Tar lo riapre riapre per emergenza

CRONACA

Immagine di repertorio (Fotogramma)

Pubblicato il: 04/04/2020 11:10

Un panificio di Reggio Calabria, che era stato "chiuso" su ordine della Prefettura per presunti condizionamenti da parte della ’ndrangheta, è stato riaperto su disposizione del Tar per via della pandemia in corso.

Il panificio, scrive la Gazzetta del Sud, era stato colpito da un provvedimento interdittivo antimafia, ma i proprietari hanno contestato formalmente la decisione, rivolgendosi al Tribunale amministrativo, che in via d’urgenza ha stabilito che "con la richiesta di intervento cautelare, la ricorrente, che risulta immune da precedenti o pendenze giudiziarie, ha evidenziato che nel corrente periodo di emergenza sanitaria l'attività svolta rientra tra quelle definite "essenziali" dalla decretazione d'urgenza; si porrebbe la indifferibile necessità di licenziamento di otto dipendenti attualmente assunti con contratto a tempo pieno ed indeterminato i quali, considerato il periodo di crisi/emergenza, non troverebbero facilmente una nuova collocazione lavorativa; sussiste la necessità di provvedere al mantenimento dei quattro figli conviventi e l'attività aziendale costituisce l'unica fonte di reddito". Da qui la decisione di lasciare aperto il panificio fino a metà aprile.

Euroimbecilandia 7 aprile 2020 - quei quattro servi euroimbecilli al governo se oseranno firmare/prendere aiuti dal Mes diventeranno automaticamente traditori della Patria

Freccero-Strumia : Deserto (rosso) europeo


Dopo "Le alternative al Mes", riceviamo in esclusiva ed è un grande onore per noi de l'AntiDiplomatico pubblicare il secondo articolo di Carlo Freccero e Daniela Strumia. Si tratta di un nuovo appello alla mobilitazione della società civile in una fase storica per il nostro paese che vi invitiamo a diffondere il più possibile. (La Redazione)

di Carlo Freccero e Daniela Strumia 
3 aprile 2020

Uno dei grandi temi della nostra generazione è stata l'incomunicabilità. Il suo cantore è stato Antonioni che ha fatto dell'incomunicabilità il centro della sua ispirazione cinematografica. La sua attrice simbolo, Monica Vitti, provava dolore alla radice dei capelli, quando cercava di comunicare. Non so se voi abbiate mai avuto questo dolore ai capelli. Sicuramente oggi ci sarebbe da mettersi le mani tra i capelli, osservando gli esiti della comunicazione tra il governo Conte e l'Europa.

Siamo di fronte, senza dubbio, ad un caso irresolubile di incomunicabilità.

Il governo si rivolge all'Europa, ne invoca la solidarietà. L'Europa puntualizza citando il regolamento. O meglio, dato che l'Europa in quanto tale non esiste, le singole istituzioni europee chiariscono, alla luce delle clausole vigenti nei loro meccanismi istitutivi, i limiti sottoscritti a suo tempo, anche dal nostro paese, nelle possibilità di intervento. Ha cominciato la Lagarde con la BCE. In effetti non è compito della BCE prendersi cura dello Spreed dei singoli paesi. Il Quantitative Easing è stato una forzatura di Draghi per tenere in vita comunque l'euro, ma il compito institutivo della BCE, è semplicemente il controllo dell'inflazione. La BCE non è una banca centrale così come l'Europa, come entità politica non esiste. Lo stesso esito rischia di avere la lettera di Conte ad Ursula von der Leyen, Conte invoca una solidarietà che l'Europa non può esprimere, semplicemente perchè, un'entità politica chiamata Europa non è mai nata.

Ecco da dove nasce l'incomunicabilità tra il nostro governo e l'Europa. Il governo rivolge le sue preghiere ad una divinità inesistente, come il mago di Oz. Il mago, ossessivamente risponde citando il suo codice di matricola, o meglio, il suo regolamento istitutivo.

I nostri padri nobili europei come Monti, sostengono che ci vuole una crisi per avanzare nel progetto europeo. Il governo confonde la crisi attuale con un avanzamento che non c'è e che, per esserci, richiederebbe comunque tempi biblici ed un'unanimità tra i contraenti che è oggettivamente impossibile da conseguire.

Ecco perché le nostre richieste non vengono accolte. Il governo si rivolge, ad una Europa che non è mai nata. La vede, crede di vederla, perché in lei ha risposto la sua fede assoluta. Vede la Madonna nel MES.

Perché il governo insiste col MES e non tenta soluzioni autonome? Per un convincimento che fa oramai parte integrante dell'identità del PD. In breve il Pd ritiene che sia oramai venuta meno l'identità nazionale italiana, a favore di un'identità europea. L'Italia non avrebbe più voce in capitolo per decidere del suo destino, ma dipenderebbe in tutto e per tutto dall'Europa, per ogni genere di decisione interna.

Quella che noi chiamiamo Europa è una serie di trattati ed una moneta costruita per favorire gli stati ad economia “forte” del nord contro gli stati del Sud, i famosi PIGS di cui l'Italia fa parte. La stessa BCE non è stata pensata come una banca centrale per non ingerirsi nella politica degli Stati.

In questi anni mentre l'Italia rinunciava ad una sua politica nazionale, altri paesi come Germania e Francia e i paesi del Nord, hanno portato aventi una politica nazionale aggressiva nei confronti dei partners europei, tanto che si dice che la conquista europea fallita dal nazismo sia stata portata a termine con successo dalla Germania di oggi con altri mezzi.

L'ostinazione filoeuropea del governo è pericolosa. Non a caso in passato vari rappresentanti del PD accusati di non fare l'interesse nazionale, hanno risposto che non l'interesse italiano, ma quello europeo rappresentava il loro obiettivo. In questo senso si è espresso più volte anche il Presidente Mattarella. Noi oggi siamo Europa. Peccato che si tratti, di un abbaglio o di un'illusione. Uno stato Europeo non è mai nato e nemmeno una federazione di Stati Europei. La Costituzione europea è stata bocciata e non ha mai visto la luce. Non possiamo aspettare qualcosa che non c'è .

Viviamo una terribilie emergenza. Il blocco temporaneo dell'economia italiana, dovuto al coronavirus, rischia di diventare un blocco permanente. Il rischio è che, quando sarà autorizzata la riapertura delle attività produttive, molte non siano in grado di ripartire perché, di fatto fallite. Ogni azienda che chiude significa perdita di posti di lavoro e disoccupazione.

La metafora più semplice per descrivere tutto ciò è una metafora medica. Un ictus o un infarto interrompono il flusso di sangue al cervello o al cuore. Se questa interruzione è breve, sarà possibile un recupero. Se questa interruzione si protrae, ne seguirà la necrosi dell'organo interessato. Il blocco delle attività produttive comporta un'interruzione del flusso di liquidità alle imprese. Il protrarsi del blocco porterà, necessariamente, alla loro chiusura.

C'è un'unica certezza, condivisa attualmente da tutti: solo una massiccia trasfusione di liquidità alle imprese produttive può salvare l'economia reale.

Gli altri Stati l'hanno capito e si muovono di conseguenza. Possiamo ispirarci a quello che stanno facendo agli altri. Gli USA hanno commissariato la FED che si appresta ad introdurre liquidità illimitata nel sistema economico americano. Germania e Francia hanno annunciato la disponibilità di liquidità per le imprese per rispettivi 550 miliardi e 350 miliardi. Ma come possono farlo? La strada è quella che ho illustrato nel mio precedente appello che prospettava l'utilizzo della CASSA DEPOSITI E PRESTITI per accedere ai crediti europei. La Germania attraverso la KfW può disporre di liquidità senza iscriverla nel debito pubblico.

Ed arriviamo al nocciolo del problema. Nel procurarsi liquidità non è indifferente la modalità. In particolare un conto è procurarsi liquidità senza necessità di restituzione o di iscrizione al bilancio del debito.

Altro conto è procurarsi liquidità a debito con tassi di interesse controllabili dallo Stato.

Altra cosa ancora, che definirei “disgrazia”, è mettersi nelle mani della Troika nelle sue varie versioni di MES e di SURE.

In questo periodo le ipotesi alternative suggerite dalla società civile sono innumerevoli. Dal Piano di Salvezza Nazionale sottoscritto da numerosi economisti, alla proposta di Bradanini sostenuta anche da Bagnai. E si potrebbe continuare. Tutto può andare bene purché l'obiettivo sia raggiunto. L'opinione pubblica deve essere messa al corrente riguardo alla differenza che comporta ricevere finanziamento dal MES o stampare autonomamente moneta. Invece di ballare sui balconi e di ripetere “ce la faremo” deve esprimere con chiarezza le sue proposte al governo.

Fidandoci ciecamente dell'operato del governo, rischiamo a breve un brusco risveglio. L'Europa non è cattiva. L'Europa non è buona. Come Jessica Rabbit è stata disegnata così. Proviamo, come società civile a disegnare un futuro diverso per il nostro paese.

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Polmonite virale - stato dell'arte

Morti Covid-19: diagnosi di ricovero, sintomi e patologie. Report Iss

4 aprile 2020


Inumeri aggiornati sui morti Covid-19 e gli approfondimenti su età, patologie, sintomi e diagnosi di ricovero nel rapporto dell’Istituto superiore di sanità (Iss)

Sono complessivamente 85.388 i malati di coronavirus in Italia, con un incremento rispetto a ieri di 2.339. Il numero complessivo dei contagiati – comprese le vittime e i guariti – è di 119.827. Il dato è stato fornito ieri dalla Protezione Civile. Ecco tutti i dettagli.

I NUMERI DEL 3 APRILE

Sono 4.068 i malati di coronavirus ricoverati in terapia intensiva, 15 in più rispetto a due giorni fa. Di questi, 1.381 sono in Lombardia. Degli 85.388 malati complessivi, 28.741 sono poi ricoverati con sintomi – 201 in più rispetto a ieri – e 52.579 sono quelli in isolamento domiciliare.

I MORTI PER CORONAVIRUS

Sono 14.681 i morti dopo aver contratto il coronavirus, con un aumento rispetto a giovedì di 766. Giovedì l’aumento era stato di 760. Sono 19.758 le persone guarite in Italia dopo aver contratto il coronavirus, 1.480 in più di due giorni fa.

I GUARITI

L’aumento dei guariti era stato di 1.431; 19.758 le persone guarite in Italia dopo aver contratto il coronavirus, 1.480 in più di ieri. Negli ultimi due giorni sono stati fatti 80mila tamponi. Ad oggi sono complessivamente 619.849 quelli eseguiti.

IL COMMENTO

“Il picco non si è ancora esaurito”, ha spiegato il direttore della terapia intensiva del Gemelli e membro del Comitato tecnico scientifico Massimo Antonelli in conferenza stampa alla Protezione Civile, sottolineando che la “tendenza in calo a cui stiamo assistendo è il frutto di quel che è accaduto nelle ultime 3 settimane”.

LE PROSPETTIVE

“Al momento – ha poi spiegato Borrelli parlando delle notizie emerse in merito ad un’ipotetica nuova ‘fase 2’ – c’è una sola data che è quella del 13 aprile. Oggi alcune mie parole sono state equivocate, avevo fatto un ragionamento: avevo detto che misure sarebbero state determinate in relazione all’evoluzione della situazione in atto. Per questo motivo è difficile fare previsioni ed abbassare la guardia. Grazie – ha detto Angelo Borrelli replicando ad alcuni articoli dei giorni scorsi che hanno portato alla luce le telefonate di un funzionario del Dipartimento in relazione all’acquisto di mascherine. – al lavoro pulito e preciso dei funzionari del Dipartimento contro broker internazionali senza scrupoli che provavano a vendere di tutto e a raggirare chi venisse in contatto con loro, siamo riusciti ad evitare truffe allo Stato. Ci tengo a precisare – aggiunge – che il lavoro fatto in questi mesi dal Dipartimento e dai miei colleghi, di cui posso andare fiero, è stato un lavoro pulito. Tra domani e domenica è in arrivo, nelle regioni più colpite, il primo contingente della task forze infermieri in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Liguria, Marche Valle D’Aosta e Trentino Alto Adige”.

L’EVOLUZIONE

“Non sappiamo quale sarà l’evoluzione del virus – ha spiegato ancora Borrelli a chi gli chiedeva se diventerà obbligatorio per i cittadini indossare le mascherine – e dunque non si può parlare del dopo. Oggi non è necessario, per chi riesce a mantenere le distanze e a rispettare le indicazioni che sono state date, utilizzare le mascherine. Io credo – ha aggiunto – che noi saremo sempre più costretti ad adottare comportamenti di distanziamento sociale. Io come vedete non porto la mascherina, e questo non significa che è inutile, ma cerco di cerco di rispettare le distanze e le regole di prudenza che sono state dettate dalla comunità scientifica”.


1. CAMPIONE

L’analisi si basa su un campione di 10.026 pazienti deceduti e positivi a COVID-19 in Italia.

2. DATI DEMOGRAFICI

L’età media dei pazienti deceduti e positivi a COVID-19 è 78 anni (mediana 79, range 26-100, Range InterQuartile – IQR 73-85). Le donne sono 3088 (30,8%). Per 2 pazienti il dato dell’età non era disponibile. L’età mediana dei pazienti deceduti positivi a COVID-19 è più alta di oltre 15 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione (età mediane: pazienti deceduti 79 anni – pazienti con infezione 62 anni). Il grafico mostra il numero dei decessi per fascia di età. Le donne decedute dopo aver contratto infezione da COVID-19 hanno un’età più alta rispetto agli uomini (età mediane: donne 82 – uomini 78).


3. PATOLOGIE PRE-ESISTENTI

Il grafico presenta le più comuni patologie croniche pre-esistenti (diagnosticate prima di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2) nei pazienti deceduti. Questo dato è stato ottenuto in 909 deceduti per i quali è stato possibile analizzare le cartelle cliniche del ricovero ospedaliero. Il numero medio di patologie osservate in questa popolazione è di 2,7 (mediana 3, Deviazione Standard 1,6). Complessivamente, 19 pazienti (2,1% del campione) presentavano 0 patologie, 197 (21,6%) presentavano 1 patologia, 223 presentavano 2 patologie (24,5%) e 470 (51,7%) presentavano 3 o più patologie. Prima del ricovero in ospedale, il 28% dei pazienti deceduti COVID-19 positivi seguiva una terapia con ACE-inibitori e il 16% una terapia con Sartani (bloccanti del recettore per l’angiotensina).



4. DIAGNOSI DI RICOVERO

Nelle 94,9% delle diagnosi di ricovero sono menzionate condizioni (per esempio polmonite, insufficienza respiratoria) o sintomi (per esempio, febbre, dispnea, tosse) compatibili con COVID-19. In 46 casi (5,1% dei casi) la diagnosi di ricovero non è da correlarsi all’infezione. In 7 casi la diagnosi di ricovero riguarda esclusivamente patologie neoplastiche, in 18 casi patologie cardiovascolari (per esempio infarto miocardico acuto, scompenso cardiaco, ictus), in 11 casi patologie gastrointestinali (per esempio colecistite, perforazione intestinale, occlusione intestinale, cirrosi), in 10 casi altre patologie.

5. SINTOMI

Il grafico mostra i sintomi più comunemente osservati prima del ricovero. Febbre, dispnea e tosse rappresentano i sintomi più comuni. Meno frequenti sono diarrea e emottisi. Il 6,0% delle persone non presentava alcun sintomo al momento del ricovero.

6. COMPLICANZE

L’insufficienza respiratoria è stata la complicanza più comunemente osservata in questo campione (96,5% dei casi), seguita da danno renale acuto (25,7%), danno miocardico acuto (11,6%) e sovrainfezione (11,2%).

7. TERAPIE

La terapia antibiotica è stata comunemente utilizzata nel corso del ricovero (86% dei casi), meno utilizzata quella antivirale (54%), più raramente la terapia steroidea (34%). Il comune utilizzo di terapia antibiotica può essere spiegato dalla presenza di sovrainfezioni oppure è compatibile con inizio terapia empirica in pazienti con polmonite, in attesa di conferma laboratoristica di COVID-19. In 176 casi (19,3%) sono state utilizzate tutte 3 le terapie. All’1,7% dei pazienti deceduti è stato somministrato Tocilizumab durante il ricovero.

8. TEMPI

Il grafico mostra i tempi mediani (in giorni) che trascorrono dall’insorgenza dei sintomi al decesso (9 giorni), dall’insorgenza dei sintomi al ricovero in ospedale (4 giorni) e dal ricovero in ospedale al decesso (5 giorni). Il tempo intercorso dal ricovero in ospedale al decesso è di 2 giorni più lungo in coloro che sono stati trasferiti in rianimazione rispetto a quelli che non sono trasferiti (6 giorni contro 4 giorni).

9. DECESSI IN PAZIENTI CON MENO DI 50 ANNI

Al 30 marzo sono 112 dei 10.026 (1,1%) pazienti deceduti COVID-19 positivi di età inferiore ai 50 anni. In particolare, 23 di questi avevano meno di 40 (19 persone di sesso maschile e 4 di sesso femminile con età compresa tra i 26 e i 39 anni). Di 2 pazienti di età inferiore ai 40 anni non sono disponibili informazioni cliniche, gli altri 15 presentavano gravi patologie pre-esistenti (patologie cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità) e in 6 non sono state diagnosticate patologie di rilievo.

Sulla base delle indicazioni emanate dal Ministero della Salute nella Circolare pubblicata il 25 febbraio 2020 (protocollo 0005889-25/02/2020), la certificazione di decesso a causa di COVID-19 deve essere accompagnata da parere dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Per questo motivo, è stato creato un gruppo di lavoro dedicato allo studio delle cause di morte dei pazienti deceduti che risultavano positivi all’infezione da SARS-CoV-2.

L’analisi si basa sui dati contenuti nelle cartelle cliniche e nelle schede di morte ISTAT recanti le cause di decesso di questi pazienti. La raccolta dati avviene tramite la piattaforma web http://covid-19.iss.it, già utilizzata dalla sorveglianza nazionale, epidemiologica e virologica, dei casi di COVID-19 in Italia (coordinata dall’ISS e attivata dalla Circolare ministeriale del 22 gennaio 2020, n.1997).

E' guerra vera è guerra totale, niente illusioni - e l'arroganza prepotenza degli Stati Uniti sarà costretti a più mieti consigli

Come Covid-19 cambierà i rapporti tra Usa e Cina

4 aprile 2020


L’approfondimento di Daniela Coli

Quando a gennaio la Cina ha annunciato lo scoppio del Covid-19 a Wuhan, capitale della provincia di Hubei, era già in piena guerra fredda con gli Stati Uniti. Trump l’ha iniziata con la guerra commerciale, il bando di Huawei e 5G, le accuse di spionaggio e di furti di tecnologia, mentre i media americani acclamavano le rivolte di Hong Kong.

La Cina è stata subito al centro dell’attenzione mediatica e ci si è chiesto se il Covid-19 era la Chernobyl di Xi Jinping, se la Cina sarebbe crollata, se era iniziato il decoupling, la fine di Chimerica e della globalizzazione. Dal 2017 America First ha dichiarato guerra alla globalizzazione e la Cina di Xi ha sostituito gli Usa come paese guida della globalizzazione con la BRI in Asia ed Europa. Chimerica però era già finita da tempo.

Chimerica, la relazione simbiotica tra Cina e America, sarebbe finita, come prevedeva Niall Ferguson, quando i cinesi non si sarebbero più accontentati di assemblare nuovi Apple americani e avrebbero iniziato a sviluppare la propria tecnologia e strategia commerciale, e il proprio soft power. Niall Ferguson, come Graham Allison, l’inventore della “trappola di Tucidide”, ha consigliato a Trump di non cadere nella trappola di Tucidide, di non ripetere l’errore del Regno Unito, quando per timore della potenza tedesca, decise la prima guerra mondiale, mentre l’impero britannico poteva convivere tranquillamente con la Germania egemone nell’Europa continentale.

La prima guerra mondiale, per Ferguson, ha prodotto la seconda guerra mondiale e la fine dell’impero britannico. La trappola di Tucidide si riferisce alla guerra del Peloponneso: scoppia nella Grecia del V secolo quando Sparta, modello di compattezza e virtù civili, si rende conto, dopo le guerre persiane, che Atene inizia a conquistare terreno. La guerra scoppia quando Sparta conclude che soltanto con le armi potrà conservare la sua posizione dominante. La guerra durò 27 anni, dal 431 al 404 avanti Cristo, e si concluse con la sconfitta degli Ateniesi. La guerra del Peloponneso è particolarmente drammatica, perché coinvolge anche le colonie di Sparta e Atene.

La guerra fredda di Trump per rifare grande l’America (MAGA), ha coinvolto gli alleati europei ed asiatici perché Trump li ritiene potenziali alleati della Cina o alleati non più utili agli Usa. Per Trump l’ordine post-45 e post-89 è finito. Da qui la richiesta agli alleati di pagare per la difesa della Nato, che ha posto il problema della difesa europea, dazi all’Europa, definita da Trump un nemico, sanzioni se commercia con l’Iran e minacce se accetta Huawei per la rete 5G.

La delusione più forte per gli Usa è arrivata proprio dal Regno Unito di Brexit, che ha deciso per introdurre parzialmente Huawei per il 5G, oltre a vendere British Steel a un gruppo cinese, a far costruire la linea ad alta velocità ai cinesi. Perfino i mitici Five Eyes si sono spaccati. Quando il Covid-19 è arrivato negli Usa, il Canada ha rifiutato la proposta di Trump di truppe Usa ai confini. Trump è sempre stato ossessionato dai confini e il Messico ha chiuso la frontiera per timore del contagio americano,

Quando il Covid-19 picchiava forte in Cina, l’amministrazione Trump dichiarava che il virus era un bene per l’America perché avrebbe riportato a casa le imprese e ci sarebbero stati molti nuovi posti di lavoro per gli statunitensi. Ci sarebbe stato il decoupling economico. La Cina è stata strapazzata dai media: il Wall Streeet Journal è arrivato a definirla il malato dell’Asia, una formula usata al tempo della colonizzazione dell’ex-Impero di Mezzo. Da qui l’espulsione di molti giornalisti americani, come rappresaglia per l’espulsione di 60 giornalisti cinesi, quando la Cina si è ripresa.

I media Usa prevedevano il crollo del sistema cinese e la Cina frantumata da Hong Kong a Taiwan allo Xinjiang, come nei momenti peggiori della colonizzazione straniera quando la Cina, occupata da vari stati stranieri, rischiò di fare la fine dell’Africa. Alla fine la Cina si è rimessa in piedi, mentre il Covid-19 è arrivato in Europa e in Usa.

Poiché gli Usa dipendono completamente dalla Cina per farmaci e attrezzature sanitarie, il decoupling sarebbe un disastro in questo momento e Trump ha addirittura promesso di eliminare i dazi per 90 giorni, non senza continuare a parlare di Chinese virus. La Cina ha portato aiuti a 80 nazioni europee ed asiatiche e questa è una dimostrazione del soft power cinese.

Per l’Economist la Cina potrebbe uscire più forte dal Covid-19, ma non riempirà i vuoti lasciato dall’Occidente americano. In effetti, se gli Usa, come pare, lasceranno Afghanistan e Iraq, è possibile emergano nuovi equilibri in Medio Oriente. UK, Germania e Francia hanno dichiarato di avere fatto giungere aiuti all’Iran attraverso INSTEX e un pacco di vari milioni di euro per la ripresa del JCOPA.

Per la Cina è chiaro il successo della BRI: gli aiuti in Italia sono partiti dalla repubblica ceca, così come sono stati usati porti e strutture delle BRI per portare aiuti ad altri stati europei e asiatici e pure in Africa,dove sta costruendo infrastrutture importanti, come la diga in Etiopia.

Molto importante anche che la Mongolia abbandoni l’alfabeto cirillico, torni alla tradizione, ed entri nell’orbita cinese. Nemico temutissimo dalla Cina nell’antichità, la Mongolia già durante il Covid-19 ha mostrato l’amicizia regalando pecore a Xi. Anche il Kazakhstan lascia il cirillico e prende l’alfabeto latino, seguito da Kyrgyzstan, Uzbekistan, Tajikistan and Turkmenistan, ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale.

Come avverte da anni Sy Hersh va archiviata la guerra fredda, e Macron considera la Russia, che porta il gas a Berlino, un’alleata per la difesa europea.

Il Covid-19 ha testimoniato il tema principale della recente sicurezza di Monaco: Westless (senza Occidente), ovvero la fine dell’Occidente americano, il multilateralismo.

Cosa accadrà ora tra Cina e Russia? Escludendo la guerra, una catastrofe per l’intero pianeta, è possibile, come si augura Graham Allison che l’America si renda conto che è finito l’unipolarismo, l’illusione di inserire ogni nazione nell’ordine americano e accetti che altre nazioni abbiano proprie sfere d’influenza.

La Cina non sarà mai un impero militare come quello americano: non ha il senso della missione e di imporre al mondo i propri valori. I cinesi sono pragmatici, simili ai britannici, ai quali non è mai venuto in mente di cambiare abitudini, tradizioni e culture degli altri popoli.

La Cina non sarà neppure un impero coloniale militare vecchio tipo. Usa il treno come i britannici per la BRI e usa la tecnologia. Portare internet in Africa o la diga in Etiopia è importante. Certo, non fa niente gratis, ma non opprime ideologicamente, e per questo è accettata. Boris Johnson l’ha capito e ha subito indetto il summit con i leader africani dopo Brexit, varando aiuti per infrastrutture e aprendo UK all’immigrazione africana.

Come ha osservato Niall Ferguson la Cina è la dimostrazione della tesi di Schumpeter che anche in un paese socialista può svilupparsi il capitalismo. Per Ferguson la Cina non crollerà mai per ragioni economiche, né il Covid-19 farà crollare il capitalismo perché – Schumpeter docet – nuove tecnologie producono la distruzione creatrice. Per il capitalismo la scienza è continuo strumento di rinnovamento e quindi il nostro mondo muterà ancora.

Quanto al comunismo cinese, i cinesi combatterono una guerra civile: Chiang Kai shek, invitato alla conferenza di Teheran del ’43 era la garanzia US per mantenere lo status quo, Mao coinvolse i contadini e adottò il comunismo per combattere contro le élite che avevano permesso la colonizzazione della Cina. Chiang aveva l’aiuto americano, Mao quello russo. Usò il partito comunista perché era lo strumento più adeguato per sostituire le strutture imperiali, compattare il popolo e modernizzare la Cina, ma è sempre stato prudente in politica estera.

La guerra fredda, come dicono gli inglesi, iniziò nel 1949 con la vittoria di Mao e per questo fu varata la Nato in Europa. Non fu solo una guerra tra democrazia e comunismo, ma una guerra tra due imperi. Il risveglio della Cina è dovuto ad almeno tre fattori: la sconfitta del Giappone nella seconda guerra mondiale, la conquista del potere a Pechino nel 1949 da parte di Mao e la grande riforma di Deng Xiaoping alla fine degli anni Settanta, che ha introdotto il libero mercato.

Per Mike Bloomberg Xi non è un dittatore, la Cina ha solo un sistema diverso dagli Stati Uniti. La Cina vuole riconquistare la posizione che aveva quando nell’Ottocento arrivarono americani ed europei e la costrinsero ad aprire i porti e a gestire la sua economia. La Cina vuole le sia riconosciuto lo status di superpotenza. Nonostante il clima incandescente della guerra fredda, è probabile che non diventerà mai calda, e assisteremo a qualche mutamento.