L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 5 dicembre 2020

Yossi Cohen, il Mossad una banda di criminali. Netaniahu stermina i palestinesi di Gaza, fa saltare le case in Cisgiordania, sottrae terre ai territori palestinesi e li cementa con insediamenti illegali; corrompe l’Autorità Nazionale Palestinese con l’eterno collaborazionista Abu Abbas. e vuole lo scontro armato ad ogni costo. Ma l'Iran ha una cultura millenaria che gli ebrei sionisti non sanno neanche dov'è di casa

Assassinio Kakhrizadeh, un'altra guerra?

di Fulvio Grimaldi
30 novembre 2020

Nagorno Karabakh – Iran: obiettivo Mosca. Chi, come, perché


Il Mossad è un’organizzazione criminale con la licenza”
(Tamir Pardo, ex-capo del Mossad)

Attentato, com’è andata davvero

Tra le tante versioni che circolano, quello più attendibile in base a fonti non interessate è esemplificata nella mappa. Per certo non è credibile la fesseria di una mitragliatrice automatica, su un mezzo poi fatto saltare in aria. Operazione in grande stile, invece, con la partecipazione di 62 persone delle quali 12 in azione armata. 1) Il convoglio dello scienziato di tre vetture blindate entra nella rotonda da cui si arriva alla cittadina di Asbard. 2) Salta per aria un’autobomba che abbatte un traliccio, provoca un blackout nell’area e colpisce la vettura di coda. 3) Un’auto Hyundai Santa Fè con 4 passeggeri, quattro motociclette e due cecchini, è appostata al lato opposto. Da qui si apre il fuoco dopo l’esplosione che ha bloccato le macchine.4) Uno del commando trascina Fakhrizadeh dalla macchina e lo finisce sulla strada, dove, infatti, resta una larga pozza di sangue.

Perché il governo di Ahmed Rouhani parla di un’operazione assai meno complessa? Perché si tratta di occultare l’inefficienza dei servizi di sicurezza a protezione dello scienziato, denunciata anche dagli ambienti militari, e l’impressionante grado di infiltrazione di elementi nemici e di collaborazionismo interno. Una debolezza che contrassegna l’intero mandato dell’attuale presidente, espressione, dopo gli anni di Ahmadinejad e nonostante i tentativi di contrasto dei cosiddetti “radicali”, o “conservatori”, di quelli che in Occidente vengono magnificati come “”moderati”. Come spesso succede, la divisione di classe si traduce in divisione geopolitica: da una parte il popolo, antimperialista e per la sua sovranità, dall’altra l’élite, propensa alla consociazione nel segno del mercato senza confini.

Non c’è, oggi, terrorismo che non sia di Stato

I tempi del terrorismo anarchico sono passati da cent’anni. Oggi il terrorismo, in tutte le sue forme, è, accanto alle varie tecniche di frantumazione della coesione sociale, un’arma per ridurre l’umanità al dominio di pochissimi. A volte, colpisce chi viene definito cattivo e nemico. Altre, infierisce, con incredibile cinismo, sulla propria gente. “Propria”, per modo di dire. Difficile che tra i 3000 delle Torri abbia potuto esserci un Rockefeller, un Cheney, la sorella di Sharon. Ricordate, a certuni era stato detto di non andare al lavoro quel giorno… E, si parva licet… s’è mai trovato nelle stragi nostrane, nere o mafiose, un banchiere, un ministro, un cardinale, uno con la villa a Portofino? E se qualche pezzo grosso c’è stato, tipo generale o magistrato, perlopiù si trattava di un socio che dava noia all’establishment.

In ogni caso, lo abbiamo imparato in Siria, Libia, Iraq, e ora di nuovo in Nagorno Karabakh, anche se non agisce in prima persona, ma utilizza contractors sotto varie bandiere, il terrorismo è sempre di Stato. E oggi le guerre le fa fare ai terroristi. Le sue centrali operative non si trovano mai lontane dalle capitali di Stati occidentali. Per quanto la loro propaganda, ricorrendo alla tecnica del bue e dell’asino, si affanni a farle comparire, puri ologrammi, in quelle di Stati orientali. Tipo “L’Iran è il massimo diffusore del terrorismo”.

Netaniahu: facciamolo fare a Trump

L’attacco turco-azero-israeliano, con innesco e contributo, precede, non casualmente, ma in una studiata strategia, l’iniziativa di mettere le cose in Medioriente, Eurasia e tutt’intorno alla Russia, davanti al fatto compiuto. Poi, la grottesca affermazione che agenti del Mossad avrebbero ucciso un capo di Al Qaida a Tehran, doveva collegare la loro creatura terrorista a quel paese, creando il presupposto diffamatorio per un’escalation. Sempre puntando al Caucaso, direzione Mosca, c’è infatti da disintegrare lo scoglio persiano. Magari prima che Joe Biden si installi nella Casa Bianca e debba, lui, iniziare un’altra guerra, dopo quelle in atto, tutte lanciate dai suoi padrini di oggi.

Il presidente Trump aveva provato, anche con certi regali, tipo la capitale a Gerusalemme, ad attenuare le pressioni di Israele e della sua rappresentanza obamian-neocon perchè muovesse guerra all’Iran, ritirandosi dal trattato nucleare e moltiplicando le sanzioni. Contemporaneamente riduceva il proprio contingente in Siria e sospendeva l’attivazione delle bande jihadiste in Siria e Iraq, a suo tempo messe in campo da Obama e dagli alleati turchi e del Golfo. C’era anche l’Egitto, del fidato Fratello Musulmano Morsi, prima che, con Al Sisi, si schierasse con Damasco, addirittura con proprie truppe (il che contribuisce a spiegare la virulenza anti-egiziana, col pretesto Regeni, del “manifesto”, di tutta la stampa atlantico-sionista, di Roberto Fico e altri virgulti del Deep State).

Mancano meno di due mesi all’investitura di un presidente, minus habens quanto Bush Jr, cui si può far fare quel che si vuole. Ricattabile quanto l’altro e portato alla vittoria dalle più sporche elezioni mai viste negli USA che, pure, ne ha pratica storica, in casa e fuori. Far fare al predecessore il botto grosso che tolga di mezzo l’ultimo baluardo antimperialista nella regione tra Golfo Persico, Caucaso e Cina, è il piano emerso nell’incontro a tre, semisegreto ma fatto intendere, tra Pompeo, Netaniahu e Bin Salman in Arabia Saudita. Piano da far partire con l’attentato al capo degli scienziati nucleari iraniani e comandante delle Guardie della Rivoluzione, Mohsen Fakhrizadeh.

Pompeo, l’infiltrato neocon alla corte del re

Se ne è compiaciuto Pompeo, meno Trump. Comprensibilmente così, se si pensa che il Segretario di Stato, da sempre un falco di guerra, è stato subìto da Trump, come altri ministri, per tenersi buoni gli avversari del governo profondo. Si ricordi il suo costante sabotaggio dei tentativi di dialogo nei confronti di Russia, Nordcorea, Libia, del disimpegno dall’Europa e altri nodi geopolitici. Una vera serpe in seno.

E’ dai tempi di Khomeini e, soprattutto da quelli del migliore presidente che la rivoluzione islamica abbia prodotto, il modernizzatore e coerentemente antimperialista Mahmud Ahmadinejad, che il paese più aggressivo del Medioriente, unico dotato di armi nucleari, spasima per aggredire quello meno aggressivo e senza armamenti atomici. Laico, uomo non solo del popolo, di cui ha favorito il confronto con l’alta borghesia occidentalizzante (quella di Rouhani), grande amico di Hugo Chavez (se ne ricorda il pianto alla morte del “Comandante”), Ahmadinejad ha favorito il superamento di certi arcaismi del costume, la libertà delle espressioni culturali (il grande cinema iraniano), ha tenuto la barra dritta, pur sotto sanzioni, su una politica di sovranità nazionale, anche in campo nucleare. Impegnato nella difesa della Siria, del Libano, dell’Iraq, l’Iran non poteva non guadagnare una grande autorità politica e morale nella regione e, quindi, diventare la bestia nera di Israele.

Quello nucleare era il settore dello sviluppo iraniano indirizzato all’uso civile e medico e all’elettrificazione, che nemmeno l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA), nei suoi momenti meno subalterni agli USA, con le sue libere ispezioni ai siti di ricerca nucleare, ha saputo denunciare come indirizzato alla bomba.

Il bue (nucleare) all’asino

Mentre accusava di dittatura islamica e di violazione dei diritti umani l’Iran, Netaniahu era l’amico che sterminava i palestinesi di Gaza, faceva saltare le case in Cisgiordania, sottraeva terre ai territori palestinesi e li cementava con insediamenti illegali; corrompeva l’Autorità Nazionale Palestinese con l’eterno collaborazionista Abu Abbas; proclamando “Israele Stato degli Ebrei”, escludeva dalla comunità il 20% della popolazione, gli arabi d’Israele. Accusava l’Iran di volersi fare la bomba atomica, mentre nei suoi arsenali deteneva da 200 a 400 ordigni nucleari e in mare ormeggiavano sommergibili atomici con armamenti nucleari, estratti dai sensi di colpa dei tedeschi

Rimaneva l’altra accusa di Netaniahu. Quella indimostrata e indimostrabile, per assenza di oggetto, di un Iran sponsor del terrorismo internazionale, fedelmente rispapagallata dai media con l’osso in bocca sotto al tavolo. Che vale quella a Saddam di albergare armi di distruzione di massa e di avere partecipato agli attentati dell’11 settembre, o l’altra ai russi di eliminare oppositori col veleno, o di aver invaso l’Ucraina. Il metodo del bue che dà del cornuto all’asino è, almeno da Pearl Harbor, pratica corrente del terrorismo di Stato. Che, nella sua stanca e grossolana ripetitività, risulterebbe ridicola, non fosse per gli schiamazzi ottundenti dei gazzettieri.

Terrorismo, mandanti e sicari MEK

Ho girato buona parte dell’Iran verso la fine del secondo mandato di Mahmud Ahmadinejad (2009-2013). Il suo Iran era cosa del tutto diversa da quello del prima e del dopo. A dispetto delle sanzioni, un paese in piedi, determinato, ospitale, tollerante, fiero nella resistenza. E soprattutto socialmente equo.

Non c’è città o borgo, da Tehran a Shiraz, da Isfahan e Persepoli e Mashhad, che non sia stato ferito nella vita e nei beni dal terrorismo sponsorizzato da Israele e Usa ed eseguito dai sicari dei Mujaheddin del Popolo (Mek). Abbiamo incontrato decine di famiglie a cui da attentati terroristici erano stati sottratti inermi e innocenti amici o parenti. Il MEK è una setta di fuorusciti che si dicono marxisti-islamisti, coltivata e armata da Washington, prima rifugiata in Iraq e da lì cacciata, poi a Parigi, tutelata da Sarkozy e, infine, dotata dai protettori statunitensi di una base in Albania. Da quel paese, confortevole ambiente per ogni tipo di criminalità, opera nell’ìmpunità. Di solito il loro era un terrorismo stragista che colpiva a casaccio, per seminare terrore e sfiducia. Gli assassinii mirati, più difficili e complessi, venivano con ogni probabilità eseguiti da coloro che li avevano massicciamente praticati contro palestinesi.

Il generale e lo scienziato: la difesa e lo sviluppo

Fakhrizadeh non è l ‘ultimo degli scienziati del cui assassinio si vanta a bassa voce il Mossad e che, in ogni caso, va fatto risalire a Israele e USA, sia che sia stato compiuto da propri agenti, o da sicari del MEK. Una provocazione sanguinosa del gangsterismo israeloamericano a spese di un personaggio di altissimo profilo, impegnato nello sviluppo di un paese isolato e sotto micidiali sanzioni. Segue quella contro il generale, Qassem Soleimani, assassinato da un drone statunitense a Baghdad. Qui si trattava di impedire che al governo di Tehran arrivasse un altro Ahmadinejad, come l’aria che tirava in Iran lasciava presagire, e di punire chi aveva sconfitto i mercenari dell’ISIS.

Prima del capo degli scienziati iraniani, erano stati uccisi in attentati, perlopiù con la tecnica delle raffiche da motocicletta, altre eccellenze della ricerca, come Masud Alimohammadi, Majid Shahariari, Darius Rezaeinejad, Mostafa Roshan.

In nessuno di questi casi, si trattava di colpire un programma che puntasse all’armamento atomico. L’obiettivo era piuttosto di colpire la vena giugulare dello sviluppo scientifico, tecnologico ed economico di un giovane, grande e militarmente forte paese, elemento centrale di un’intesa antimperialista mondiale, forte alleato di Cina e Russia, ostacolo alla globalizzazione neoliberista, all’accerchiamento della Russia e alla creazione del Nuovo Medioriente made in Israele, Turchia, Nato e USA.

L’obiettivo ultimo e come arrivarci: soft o hard? Cuba o Siria?

Cosa ci si ripromette da un’operazione terroristica così clamorosa? Di caricare sulle spalle di un presidente in uscita l’ottava di quelle guerre per la quale alla cosca di Bush e Obama non ci sono stati né il tempo, né l’occasione, né il favore degli alleati europei e dell’opinione pubblica statunitense e internazionale, dopo le sette condotte da loro e ultimamente addirittura affidate a terzi. Iniziare un’altra guerra? Meglio farla lanciare a Trump. Che se la veda lui con i pacifisti. Questo è sicuramente l’intento di Israele che, da sempre, persegue lo scontro diretto e conta, anche con i suoi delegati nell’establishment statunitense (intelligence, apparato militar-industriale), oggi in grande spolvero, di arrivarci sfruttando la transizione a Washington.

Biden, un autentico disabile mentale, non conta niente. Però dietro ha il partito democratico con le sue variegate componenti. Quella obamiana, quella dell’accordo nucleare del 2015, con cui Washington ottenne da Rouhani una specie di resa economico-industriale. In cambio, l’Iran sarebbe stato liberato delle sanzioni. Sanzioni feroci, arrivate addirittura a impedirgli di acquistare medicinali per i suoi malati oncologici. Obama aveva traccheggiato sulla guerra, ritenendo che sarebbe stata più efficace e meno costosa la tecnica, già collaudata con successo a Cuba, ma poi bloccata. L’approccio soft dell’infiltrazione, dell’addomesticamento, dell’illusione della convivenza, magari, nel caso di Cuba, agevolata dai flirt col papa. Con gli strumenti della manipolazione propagandistica e della promessa economica, che avrebbero favorito il consenso sociale e, dunque, l’indebolimento della resistenza.

A provocazione risposta, a risposta guerra?

L’assassinio del padre dello sviluppo scientifico ed industriale iraniano parrebbe indicare che quelli che puntano allo scontro, che non pensano di aver tempo da perdere, stanno arrivando alla prova di forza. L’Iran è, più dell’ondivaga Russia, il vero contrappeso al Nuovo Medioriente a guida israelo-saudita, armata dagli USA. La sua è un’influenza, oltrechè politica, ideologica e morale e, dunque, di lungo e profondo periodo. Tornare alla diplomazia, ai trattati, all’apparente compromesso, potrebbe significare perdere il momento buono e, anche, fare, con gente come gli iraniani, un buco nell’acqua.

Chi non se lo può permettere è Netaniahu. Un Iran in fiamme svierebbe l’attenzione dai suoi processi e, forse, sventerebbe le condanne e l’uscita dal proscenio politico. Quello che gli occorrerebbe, per far funzionare la trappola, è una risposta iraniana di almeno pari impatto. Ali Khamenei, la vecchia guida suprema che, insieme alle Guardie della Rivoluzione, rappresenta la parte più viva del popolo iraniano, ha detto: “Calma. A tempo debito”.

Il Mes è figlio del Progetto Criminale dell'Euro ma il Grande Reset dell'Occidente l'ha reso uno strumento obsoleto. Oggi insistere su questo significa non capire la nuova realtà che ci dice che serve essenzialmente a ristrutturare il debito pubblico italiano. L'Italia NON potrebbe sostenere l'onere e dovrebbe abbandonare l'Euro, assisteremo così alla disintegrazione di Euroimbecilandia. Costruiamo 10.000 uomini consapevoli che avranno l'onere di portarci fuori dal guado

MES, l'Ultimo Robot

di Guido Salerno Aletta
2 dicembre 2020

Superato dagli eventi, è un pericolo per la stabilità dei mercati

E' fatta così l'Unione europea: per salvarsi dalla disgregazione, ogni volta mette in piedi un Meccanismo Automatico, un Robottino che va per conto suo.

Stavolta si cerca di rimettere in moto il MES, senza rendersi conto che la realtà economica e finanziaria è estremamente cambiata da un anno a questa parte, per via della crisi sanitaria.

Il MES nasce nel 2012 come Fondo Salvastati: un meccanismo di solidarietà europea condizionata alla adozione delle riforme strutturali. Gli aiuti vengono erogati previa verifica della sostenibilità dei debiti pubblici e della capacità di restituire le somme erogate.

Nella revisione del 2019, si esplicita nel Preambolo che, quando il debito sia giudicato insostenibile, si possa procedere ad un "coinvolgimento del settore privato": si tratta di una ristrutturazione del debito, con l'allungamento delle scadenze ed il taglio del capitale. Un sistema di default controllato, alla maniera del FMI.

In queste ultime settimane è ripresa la trattativa per approvare il testo rivisto nel 2019, in cui si prevede soprattutto un meccanismo di sostegno alla ricapitalizzazione delle banche in difficoltà. C'è una sorta di "paracadute" (backstop) che si aggiunge ai Fondi di risoluzione nazionali nell'ambito della procedura unica di risoluzione bancaria.

Per quanto riguarda gli aiuti agli Stati, la revisione del 2019 prevede due meccanismi distinti: del primo, di tipo precauzionale, possono beneficiare solo gli Stati in regola con il Fiscal Compact e che non abbiano squilibri macroeconomici secondo le rilevazioni della Commissione europea; il secondo, denominato "enhanced", può essere attivato solo previa verifica della sostenibilità del debito accumulato e della capacità di rimborsare gli aiuti.

Era già un meccanismo molto controverso nel 2019, visto che la procedura di verifica della sostenibilità dei debiti non viene esplicitata e che la stessa richiesta di intervento da parte di uno Stato in difficoltà può avere immediati riflessi negativi sul mercato finanziario. In pratica, per il solo fatto di chiedere aiuto, si può spargere il panico e creare le condizioni per il default.

Dopo quanto è successo nel 2020, con il crollo delle economie per via della pandemia di Covid-19 e dell'aumento esponenziale di deficit e debiti pubblici per contrastare questa emergenza, è del tutto insensato procedere come nulla fosse.

In pratica, con un calo del PIL del 10% ed un aumento del deficit dello stesso ammontare, tutti i parametri consueti di valutazione della sostenibilità dei debiti pubblici sono saltati. E non è un caso che ci sono già state numerose proposte volte sia a riformulare i parametri del Fiscal Compact, per consentire la finanziabilità in disavanzo degli investimenti pubblici, sia a sterilizzare i titoli di debito pubblico che sono acquistati dalla BCE nell'ambito del programma PEPP.

Non si può andare avanti senza tener conto della realtà, e riprendere dunque il MES così come era stato impostato nel 2012 e poi rivisto nel 2019.

Per quanto riguarda il settore bancario, va pure peggio: immaginare che si possa procedere con i vincoli e le regole decisi prima della crisi sanitaria è una sciocchezza.

Il solo fatto di procedere ora con la approvazione della riforma del MES dà al mercato un segnale chiaro di quanto accadrà nei prossimi anni: ci si prepara al default controllato dei debiti pubblici di alcuni Paesi, visto che a partire dal 1° gennaio 2022 si istituisce un sistema semplificato (single limb) per le CACs, le clausole che disciplinano gli accordi tra i creditori per la ristrutturazione dei debiti pubblici.

Una ristrutturazione del debito italiano, evento che tutti temono, sarebbe ingestibile per le conseguenze sistemiche. L'euro non riuscirebbe a sopravvivere, perché l'Italia lo abbandonerebbe.

Il MES innesca un meccanismo incontrollabile, che può portare alla disintegrazione dell'Unione europea.

Superato dagli eventi, è un pericolo per la stabilità dei mercati

MES, l'Ultimo Robot

Mes strumento scelto da euroimbecilandia e dal corrotto euroimbecille Pd per ristrutturare il debito italiano su cui la Bce non farà il prestatore di ultima istanza

Dobbiamo parlare del debito dell'Italia

di Wolfgang Munchau
30 novembre 2020

Wolfgang Munchau, il prestigioso editorialista del Financial Times direttore del sito Eurointelligence, auspicando una discussione franca e aperta, dice esplicitamente ciò che il governo italiano tenta maldestramente di nascondere, e cioè che i lavori per la riforma del MES hanno il preciso obiettivo di apparecchiare la prossima risttrutturazione del debito italiano, quando le regole di bilancio verranno ripristinate mentre l'economia italiana ancora si troverà al palo. Suggerisco in proposito l'ottimo commento di Liturri su Startmag e aggiungo un caloroso augurio al Governo che avremo nel 2023, di condurre con successo la nave Italia in queste acque pericolose.

Newsbriefing, 27 November 2020. Quando David Sassoli, Presidente del Parlamento europeo, ha lanciato l'idea che la BCE cancellasse il debito pubblico contratto a seguito delle misure di sostegno economico del Covid-19, in Germania c'è stata una prevedibile reazione di indignazione. Ora la proposta è stata raccolta da Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio di Giuseppe Conte, in un'intervista a Bloomberg che rilancia la questione in maniera importante, pur se la proposta non arriva direttamente da Conte.

Ma le reazioni negative sono state immediate. Christine Lagarde ha rifiutato di rispondere a una domanda in proposito, dicendo che la proposta è chiaramente illegale. Siamo d'accordo. Ma la proposta italiana nasce da un giustificato timore delle conseguenze che si avranno per l'Italia quando la Bce ritirerà il sostegno ai titoli di Stato della zona euro, e soprattutto quando verranno ripristinate le regole fiscali. Sembra probabile che ciò accadrà entro il 2023. Sembra inevitabile che il debito pubblico italiano finirà per dover essere ristrutturato. Una delle proposte di Fraccaro era quella di trasformare il debito pandemico in obbligazioni perpetue. Sarebbe di per sé una forma di ristrutturazione del debito.

Per dare alcune cifre, il parere della Commissione europea sul documento programmatico di bilancio dell'Italia, pubblicato la scorsa settimana, prevede che il rapporto debito pubblico / PIL si stabilizzi nel 2021 appena al di sotto del 160% del PIL, in aumento di 25 punti percentuali rispetto alla fine del 2019. Le previsioni del bilancio italiano sono un po' più ottimistiche e prevedono che il debito scenderà ai livelli del 2019 entro il 2031. Si tratta in realtà di un ritmo sostenuto di riduzione del debito, di circa 2,5 punti percentuali all'anno, che però non sarà sufficiente a rispettare il limite dell'indebitamento.

Il Fiscal Compact prevede che il debito superiore al 60% del PIL dovrebbe essere portato a quel livello nell'arco di 20 anni. Partendo da un rapporto debito / PIL del 160%, ciò significa una riduzione del debito del 5% all'anno per 20 anni. È il doppio del ritmo previsto dal governo italiano, per il doppio del tempo. È molto probabile che sia impraticabile. La crescita del PIL nominale dell'Italia non è superiore al 3% da oltre 10 anni, quindi una riduzione del debito annuo di 5 punti percentuali richiede che il governo abbia un avanzo di bilancio del 2% del PIL con un'economia che cresce alla stessa velocità registrata in un qualsiasi anno dalla crisi finanziaria globale ad oggi, quando si sono avuti deficit superiori al 2% del PIL. Qualsiasi percorso di riduzione del debito del governo italiano per il prossimo decennio, anche il più agevole, richiederebbe al governo di mantenere un avanzo di bilancio nominale.

Quindi, non appena le regole fiscali saranno ripristinate, l'Italia si ritroverà in violazione dei vincoli di debito e soggetta a una procedura per disavanzo eccessivo, con la necessità di effettuare un aggiustamento strutturale di forse 4 punti percentuali del PIL. Anche se fosse possibile, con ogni probabilità questo ridurrebbe la crescita e allontanerebbe ulteriormente l'obiettivo del debito. Senza gli acquisti di titoli della BCE, che la banca centrale non potrebbe giustificare con la pandemia ormai sotto controllo, i rendimenti dei titoli italiani potrebbero aumentare di nuovo, aggravando il servizio del debito e rendendo più difficile per il governo italiano raggiungere i suoi obiettivi di riduzione del debito.

Come abbiamo già osservato, anche il governo italiano sta valutando una ristrutturazione del debito con la proposta di Fraccaro di trasformare il debito pandemico in obbligazioni perpetue. Nella zona euro una ristrutturazione del debito pubblico è avvenuta solo in Grecia, con un procedimento ad hoc. Da allora il Consiglio ha lavorato alla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) per creare un meccanismo per la ristrutturazione del debito. Ad esempio, nelle emissioni del debito pubblico europeo sono state introdotte delle clausole di azione collettiva. Queste prevedono le cosiddette clausole “single limb”, che consentono con un singolo voto di ristrutturare tutto il debito per tutti i creditori, piuttosto che avere voti separati per emissioni di debito separate. Il significato sotteso a tutti questi sforzi è stato quello di gettare le basi per una ristrutturazione del debito italiano, senza dirlo esplicitamente. Il governo italiano lo sa, e ha ritardato il più possibile i lavori, a volte bloccando l'accordo sulla riforma del MES sfruttando le divergenze politiche, ad esempio sull'unione bancaria.

La ristrutturazione del debito italiano è una delle questioni politiche più spinose che non solo l'Italia, ma la zona euro e l'UE nel suo insieme, si trovano davanti. Un programma del MES in Italia sarebbe un anatema. Per quanto queste questioni siano difficili, è ora che si svolga una discussione politica onesta, preferibilmente senza toni moralistici. Ma non stiamo col fiato sospeso....

Nulla sarà come prima - abbiamo bisogno di creare 10.000 uomini che traggono forza dai ritmi della terra e che la sanno masticare lentamente come è doveroso

Sul tempo che viene

di Giorgio Agamben
23 novembre 2020

Ciò che sta oggi avvenendo su scala planetaria è certamente la fine di un mondo. Ma non – come per coloro che cercano di governarla secondo i loro interessi – nel senso di un trapasso a un mondo più consono alle nuove necessità dell’umano consorzio. Tramonta l’età delle democrazie borghesi, coi suoi diritti, le sue costituzioni e i suoi parlamenti; ma, al di là della scorza giuridica, certo non irrilevante, a finire è innanzitutto il mondo che era iniziato con la rivoluzione industriale e cresciuto fino alle due – o tre – guerre mondiali e ai totalitarismi – tirannici o democratici – che le hanno accompagnate.

Se le potenze che governano il mondo hanno ritenuto di dover ricorrere a misure e dispositivi così estremi come la biosicurezza e il terrore sanitario, che hanno instaurato ovunque e senza riserve, ma che minacciano ora di sfuggir loro di mano, ciò è perché temevano secondo ogni evidenza di non aver altra scelta per sopravvivere. E se la gente ha accettato le misure dispotiche e le costrizioni inaudite cui è stata sottoposta senza alcuna garanzia, ciò non è soltanto per la paura della pandemia, ma presumibilmente perché, più o meno inconsapevolmente, sapeva che il mondo in cui aveva vissuto fin allora non poteva continuare, era troppo ingiusto e inumano.

Va da sé che i governi preparano un mondo ancora più inumano, ancora più ingiusto; ma in ogni caso, da una parte e dall’altra, si presagiva in qualche modo che il mondo di prima – come si comincia ora a chiamarlo – non poteva continuare. Vi è certamente in questo, come in ogni oscuro presentimento, un elemento religioso. La salute si è sostituita alla salvezza, la vita biologica ha preso il posto della vita eterna e la Chiesa, ormai da tempo abituata a compromettersi con le esigenze mondane, ha più o meno esplicitamente acconsentito a questa sostituzione.

Non rimpiangiamo questo mondo che finisce, non abbiamo alcuna nostalgia per l’idea dell’umano e del divino che le onde implacabili del tempo stanno cancellando come un volto di sabbia sul bagnasciuga della storia. Ma con altrettanta decisione rifiutiamo la nuda vita muta e senza volto e la religione della salute che i governi ci propongono. Non aspettiamo né un nuovo dio né un nuovo uomo – cerchiamo piuttosto qui e ora, fra le rovine che ci circondano, un’umile, più semplice forma di vita, che non è un miraggio, perché ne abbiamo memoria e esperienza, anche se, in noi e fuori di noi, avverse potenze la respingono ogni volta nella dimenticanza.

La Russia salva gli Armeni da un'altra strage. La Fratellanza Musulmana che ha la Strategia dell'occupazione di Euroimbecilandia ha come sponsor il principe Carlo attraverso il Centro di Oxford di Studi Islamici

Alto-Karabakh: la vittoria di Londra e Ankara, la disfatta di Soros e degli armeni

di Thierry Meyssan
24 novembre 2020

Nella guerra dell’Alto-Karabakh gli alleati britannici hanno superato il Pentagono, il pianificatore del conflitto. Nessuna delle grandi potenze s’è preoccupata delle morti che ne sarebbero seguite. Alla fine, Londra e Ankara hanno riannodato la loro storica alleanza, Washington e Mosca non hanno ottenuto nulla, mentre Soros e gli armeni hanno perso molto

Dopo 44 giorni di guerra, l’Armenia è stata costretta a firmare un cessate-il-fuoco con l’Azerbaigian, rinunciando a parte del proprio territorio. Ma il piano iniziale degli Stati Uniti – che Réseau Voltaire aveva formulato come ipotesi – prevedeva di spingere la Turchia all'errore e consentirle di massacrare parte della popolazione armena, poi d’intervenire, rovesciare il presidente Erdoğan e ristabilire la pace [1].

Il piano però non ha funzionato. Mascherava infatti uno stratagemma britannico: Londra, approfittando della confusione delle elezioni presidenziali USA, ha manovrato di nascosto, scavalcando Washington. Ha sfruttato la situazione per tentare di privare la Russia della carta dell’Alto-Karabakh e ricominciare il Grande Gioco del XIX secolo [2], quando il Regno Unito era alleato dell’impero ottomano contro l’impero zarista. Mosca se n’è accorta e ha imposto un cessate-il-fuoco per fermare il gioco al massacro.

1 – Il Grande Gioco

Per tutto il XIX secolo l’impero britannico e quello russo si contesero accanitamente il controllo del Caucaso e di tutta l’Asia centrale. In Inghilterra questo periodo storico viene chiamato Grande Gioco, in Russia Torneo delle Ombre.

La Russia iniziò a vincere la partita quando s’impadronì dell’Alto-Karabakh; con un effetto domino il suo imperio si estese poi al Caucaso.

Memore del precedente storico, Londra crede che il recupero dell’Alto-Karabakh le permetterebbe di scalzare l’influenza di Mosca prima nel Caucaso, poi in tutta l’Asia centrale.

L’attuale primo ministro britannico, Boris Johnson, si reputa prosecutore della politica imperiale di Winston Churchill, di cui è uno dei biografi. Ha recentemente reso pubblico un costoso piano di ammodernamento delle forze armate [3].

Per rilanciare il Grande Gioco, il 29 luglio scorso Johnson ha nominato direttore dell’MI6 (l’intelligence per l’estero) il direttore generale del Foreign Office, Richard Moore, già ambasciatore di Sua Maestà ad Ankara, che parla correntemente il turco ed è in amicizia con il presidente Recep Tayyip Erdoğan. Moore è entrato in servizio all’MI6 solo il 1° ottobre, ossia quattro giorni dopo l’attacco azero nell’Alto-Karabakh.

2 – Il ruolo primario di Richard Moore

Richard Moore è amico personale del principe Carlo, a sua volta sponsor del Centro di Oxford di Studi Islamici (Oxford Centre for Islamic Studies), dove da 25 anni vengono formati gli intellettuali della Confraternita dei Fratelli Mussulmani. L’ex presidente turco, Abdullah Gül, è amministratore del Centro.

Come ambasciatore ad Ankara (2014-17), Moore accompagnò Erdoğan nel percorso che lo portò a diventare il protettore della Confraternita.

Moore ebbe altresì un ruolo nel ritiro nel 2014 dei britannici dalla guerra contro la Siria. Londra non voleva continuare un conflitto in cui s’era impegnata per mire coloniali, ma che si stava trasformando in operazione imperiale USA (strategia Rumsfeld/Cebrowski).

Richard Moore ha da poco concluso una missione in Egitto e in Turchia. Il 9 novembre (giorno dell’imposizione russa del cessate-il-fuoco in Alto-Karabakh) si trovava al Cairo, dove ha incontrato il presidente al-Sissi. L’11 novembre era ad Ankara, dove al Palazzo Bianco non avrebbe incontrato ufficialmente il suo vecchio amico, il presidente Erdoğan, bensì il portavoce.

3 – Di fronte agli Stati, Soros non conta

Nella guerra azero-turca dell’Alto-Karabakh, Washington pensava di poter usare come esca il presidente dell’Armenia, Armen Sarkissian, e il suo primo ministro, Nikol Pashinyan, uomo di George Soros [4].

Soros è uno speculatore statunitense che ha una propria agenda politica, ma lavora di concerto con la CIA [5]. Per sua sfortuna, Soros non è in rapporti altrettanto buoni con i britannici: deve infatti la sua fortuna alla vasta operazione speculativa contro la sterlina del 16 settembre 1992 – data ricordata come “mercoledì nero” – che gli è valsa l’appellativo di “uomo che ha gettato sul lastrico la Banca d’Inghilterra”.

4 – Il doppio gioco della Perfida Albione

All’inizio Londra lascia fare a Washington. Gli Stati Uniti perciò incoraggiano la “Nazione a due Stati” (Turchia e Azerbaijan) a mettere fine con la forza alla Repubblica d’Artsakh.

L’MI6 aiuta il partner turco a trasferire jihadisti in Azerbaijan [6], per uccidere non già gli armeni, ma i russi. In Karabakh i russi però ancora non ci sono.

Soros reagisce inviando mercenari kurdi a sostegno degli armeni [7].

Asserendo di assecondare il gioco USA, Londra sostiene Bakou e Ankara. Nei primi giorni di conflitto, le potenze del Gruppo di Minsk (che dalla caduta dell’URSS si occupano del conflitto nell’Alto-Karabakh) – ossia Stati Uniti, Francia e Russia – tentano di ottenere un cessate-il-fuoco e la ripresa dei negoziati [8]. Dopo che ciascuna delle potenze ha toccato con mano la malafede azera, il Gruppo di Minsk presenta una proposta di risoluzione al Consiglio di Sicurezza. Si tratta per Washington di ottenere un rovesciamento collettivo di posizione: passare dalla neutralità alla condanna della “Nazione a due Stati”.

Nei primi giorni gli armeni si difendono come possono. Tuttavia, il capo di Stato, Armen Sarkissian, modifica i piani dello stato-maggiore militare e manda al fronte volontari privi d’esperienza [9]. Sarkissian ha doppia cittadinanza, armena e britannica. Sarà un’ecatombe per l’esercito armeno.

Il Regno Unito annuncia improvvisamente che opporrà il veto se il testo sarà messo in votazione al Consiglio di Sicurezza. Sconcertati, il 25 ottobre gli Stati Uniti accusano pubblicamente l’Azerbaigian di malafede.

Ci vorranno però altre due settimane perché la Russia capisca che Washington, ingolfata nella campagna elettorale per le presidenziali, non gestisce più la situazione.

5 – La Russia fischia la fine della partita prima che sia troppo tardi

Solo verso il 6 ottobre la Russia acquisisce la certezza che dietro la trappola statunitense si cela una trappola inglese. Mosca ne trae la conclusione che Londra vuole rilanciare il Grande Gioco per sottrarle l’influenza nell’Alto-Karabakh.

Il 7 ottobre il presidente russo Vladimir Putin telefona all’omologo turco e negozia un cessate-il-fuoco molto sfavorevole agli armeni. Erdoğan, che ha capito di non potercela fare di fronte a una stabilizzazione della situazione politica negli Stati Uniti, accetta di acquisire soltanto territori, rinunciando a rilanciare il genocidio armeno. Putin convoca al Cremlino il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliev, e il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan. Salva il salvabile, costringendo il 10 ottobre gl’interlocutori a firmare un cessate-il-fuoco nei termini negoziati con Erdoğan [10]. Putin prioritariamente vuole affermare la presenza militare russa in Alto-Karabakh attraverso una forza di pace, e far cessare il bagno di sangue. Il presidente si rivolge infine al popolo russo per annunciargli di aver salvato gli interessi del Paese salvando l’Armenia da una disfatta ancor più tremenda.

Gli armeni si rendono conto troppo tardi che, allontanandoli dalla Russia per avvicinarli agli USA, Nikol Pashinyan ha scommesso sul cavallo perdente. Con il senno di poi capiscono che, per quanto corrotti, i politici che prima dirigevano l’Armenia erano patrioti, mentre gli uomini di Soros sono contrari al concetto stesso di nazione, dunque all’indipendenza del Paese.

Manifestazioni e dimissioni si succedono. Si dimettono il capo di stato-maggiore, il ministro degli Esteri, il ministro della Difesa, non però il primo ministro. Il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, invece esulta. Si fa beffe del Consiglio d’Europa e del parlamento dell’Unione Europea, proclama vittoria e annuncia la ricostruzione dei territori conquistati [11]. I britannici acquisiranno nuovi privilegi per la British Petroleum e solleciteranno il diritto allo sfruttamento delle miniere d’oro dell’Azerbaijan.

Note

[2] The Great Game. On Secret Service in High Asia, by Peter Hopkirk, John Murray (1990).
[3] “Boris Johnson Statement to the House on the Integrated Review”, by Boris Johnson, Voltaire Network, 19 November 2020.
[5] « George Soros, spéculateur et philanthrope », Réseau Voltaire, 15 janvier 2004.
[6] “Quattromila jihadisti in Alto Karabakh”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 2 ottobre 2020.
[7] “George Soros invia duemila mercenari curdi in Armenia (Erdoğan)”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 2 novembre 2020.
[8] “Violato il terzo cessate-il-fuoco in Karabakh”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 28 ottobre 2020.
[9] Conferenza stampa del capo di stato-maggiore uscente, generale Movses Hakobyan, Erevan, 19 novembre 2020.
[11] “Ilham Aliyev’s Victory Speech”, Voltaire Network, 20 November 2020.

Niente Hollywoodismo la bandiera della Cina sulla luna

La bandiera della Cina piantata sulla Luna
In tessuto, lasciata da sonda Chang'e prima di decollare

Xinhua
04 dicembre 202017:12NEWS

(ANSA-XINHUA) - PECHINO, 05 DIC - La China National Space Administration oggi ha pubblicato immagini che mostrano la sonda Chang'e-5 piantare la bandiera nazionale cinese sulla Luna. Le immagini sono state scattate da una telecamera panoramica installata sui moduli di allunaggio e risalita della sonda, prima che ieri il veicolo lasciasse la Luna con i campioni prelevati dal satellite.

In una delle immagini, accanto al vessillo è possibile vedere un braccio robotico per raccogliere campioni lunari.
Il 15 dicembre 2013, per la prima volta immagini a colori hanno mostrato la bandiera cinese su un corpo extraterrestre, a bordo di Yutu, primo rover lunare del Paese.
A differenza delle bandiere delle precedenti missioni lunari cinesi, la bandiera su Chang'e-5 era fatta di un vero tessuto, piuttosto che di una patina spray. Ingegneri e tecnici cinesi hanno rivelato le tecniche avanzate che sono te utilizzate per questa speciale bandiera.
Una bandiera realizzata con tessuti tradizionali molto probabilmente avrebbe perso colore e si sarebbe disintegrata in un ambiente tanto ostile quanto quello lunare, fatto di polvere abrasiva, raggi cosmici non filtrati e brillamenti solari. La bandiera deve anche essere il più leggera e compatta possibile, in quanto la navicella spaziale ha poco spazio per qualsiasi oggetto oltre alle attrezzature scientifiche.
Infine, ma non meno importante, come far sì che la bandiera si conservi perfettamente durante il viaggio verso la Luna e faccia bella figura di fronte alla fotocamera? Il team della bandiera della China Aerospace Science and Industry Corporation ha scelto un progetto a rotolo, in modo che dopo essersi spiegata la bandiera fosse liscia e piatta e non sgualcita e afflosciata.
È stato necessario più di un anno per trovare un nuovo materiale composito che potesse sopportare il duro ambiente lunare e avere i vividi colori nazionali della Cina.
Dopo essere arrotolato, il tessuto non si attacca a temperature che vanno da 150 gradi a 150 gradi sotto zero. La bandiera realizzata con il tessuto pesa solo 12 grammi.
Li Yunfeng, direttore del sistema della bandiera, ha detto che questo utilizza una struttura meccanica che è stata applicata nello spiegamento di pannelli solari su satelliti e navicelle spaziali. La struttura fa anche sì il sistema non pesi più di un chilo.
Secondo Huang e Liao, una bandiera rappresenta la dignità e l'onore di un Paese. "Dobbiamo fare in modo che sia immacolata e resti sempre al suo posto", hanno detto.
Un meccanismo a innesco dispiega la bandiera. Per assicurarsi che questo avvenga in un secondo netto, il team ha simulato l'ambiente lunare con un'enorme escursione termica tra giorno e notte e ha effettuato decine di test.
La sonda Chang'e-5 è stata lanciata il 24 novembre e i suoi moduli di atterraggio e risalita sono atterrati il 1° dicembre a nord del Mons Rumker nell'Oceanus Procellarum, noto anche come Oceano delle Tempeste, sul lato visibile della Luna.
Dopo che i campioni sono stati raccolti e sigillati, nella tarda giornata di ieri il modulo di risalita di Chang'e-5 è decollato dalla superficie lunare e si prevede che effettuerà il rendez-vous e l'attracco senza equipaggio con il modulo orbitante e di rientro nell'orbita lunare, un'impresa senza precedenti.
Chang'e-5 è una delle missioni più complesse e impegnative della storia aerospaziale cinese, nonché la prima missione al mondo di raccolta di campioni dalla Luna in oltre 40 anni.
(ANSA-XINHUA).

“In sostanza, il Mes supplisce alla Banca centrale europea che non è un prestatore di ultima istanza”. Ora non c'è da dire altro

Grillo boccia il MES in modo definitivo. Sapelli spiega perchè

-04/12/2020


“Non starò qui ad elencare le mille ragioni che fanno del Mes (il Meccanismo europeo di stabilità anche noto come Fondo salva Stati, ndr) uno strumento non solo inadatto ma anche del tutto inutile per far fronte alle esigenze del nostro Paese in un momento così delicato. A farlo, ogni qualvolta gli viene messo un microfono sotto al naso, ci ha giá pensato il nostro presidente del Consiglio Conte dicendo piú e piú volte che disponiamo giá di tantissime risorse (fondi strutturali, scostamenti di bilancio, Recovery Fund ecc..) e dobbiamo saperle spendere”. Sono le parole del garante e fondatore dei 5Stelle, Beppe Grillo, che sul suo blog chiude ogni spiraglio riguardo alla posizione del partito oggi di maggioranza relativa (in Parlamento) e dunque azionista di riferimento del MoVimento.

Grillo getta anche una granata sui rapporti tra Chiesa e Stato (che sarebbero sempre da maneggire invece con cura) esortando a “reperire altri fondi per dar ossigeno alla sanitá e alle imprese italiane, facendo pagare l’Imu e l’Ici non versata sui beni immobili alla Chiesa e poi adottando una patrimoniale per i super ricchi. “Se sommate, le due proposte, porterebbero nel biennio 2021/2022 all’incirca 25 miliardi di euro subito spendibili e liberi da vincoli di rientro. Per questo motivo – assicura Grillo – incaponirsi sull’assurda discussione sui fondi del Mes, che vengono descritti come la panacea di tutti i mali, è una mera perdita di tempo ed energie”.

Giulio Sapelli, storico, economista della statale di Milano e saggista, che il 5Stelle avevano inserito nella rosa dei possibili premier, da cui uscì per la prima volta il nome di Giuseppe Conte, condivide in parte l’analisi di Grillo, ma non quella sulla Chiesa e la patrimoniale, e comunque ritiene tardive – forse inutili? – le polemiche degli ultimi giorni sulla riforma del Mes, che dovrebbe essere ratificata tra fine anno e inizio 2021. Con il Mes, spiega, “in pratica, un Paese non ha né il diritto né la libertà di scegliere come intervenire sul proprio debito pubblico”.

Intanto, puntualizza Sapelli, “occorre spiegare che il Mes è un trattato internazionale che si presenta ai più come un veicolo finanziario ma non ne ha né la forma né la sostanza”. Un trattato che dovrebbe intervenire in caso d’insolvenza da parte di Paesi con alto debito pubblico, come il nostro. “In sostanza, il Mes supplisce alla Banca centrale europea che non è un prestatore di ultima istanza”.

Neppure la rinnovata attenzione per i membri dell’area euro in maggiori difficoltà meraviglia Sapelli. Già due anni fa, ricorda lo storico ed economista, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble – oggi presidente del Bundestag – cercò di “”imporre condizioni particolari per gli acquisti massicci di titoli di Stato grazie all’Omt (Outright Monetary Transactions, il cosiddetto piano anti spread o ‘salva euro’) da parte di Francoforte. Operazione che “è stata bloccata dal Parlamento europeo ma dopo l’accordo franco-tedesco si comincia ad agire”. Lo scorso gennaio, ad Aquisgrana, Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno firmato un nuovo testo su cui basare le relazioni tra Berlino e Parigi – una sorta di nuovo capitolo delle relazioni fra i due Paesi – che comprende temi come Europa, economia, sicurezza e clima.

Il professor Sapelli indica in particolare la lesività dell’articolo 34 secondo cui i ministri sono addirittura sottratti al vaglio del Parlamento”. Ma avverte che si tratta di disquisizioni ormai solo teoriche, in quanto, comunque, “questo trattato internazionale non è a rischio e otterrà il via libera di tutti i 19 Stati membri dell’area euro per la sua definitiva applicazione”. “Io vedo nel Mes – spiega – un inizio di Unione bancaria” di cui il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, ha di recente rilanciato il progetto dalle pagine del Financial Times. Ma “non si può fare nessuna Unione bancaria senza una Costituzione europea” ribatte il professore. “Quando parlai con Amato al termine di una riunione per varare la costituzione Ue – ricorda Sapelli – mi disse che al massimo si era scritto un ‘trattato tra gli Stati’. Ma tutto questo non è sufficiente ed ecco dove siamo arrivati. Anzi, questa situazione si accentuerà”. Dunque, “occorre fermare tutto e ridiscutere all’interno del Parlamento europeo e dei singoli Parlamenti nazionali prima, senza essere devoti alla burocrazia e agli Stati che hanno in mano l’Europa ovvero Germania e Francia”.

Si rifiuta chi auspica uno scenario che pur attenendosi temporaneamente alle opportune misure di prudenza, il rischio venga accettato e gradualmente reinserito nell'orizzonte della normalità

Diorama letterario (di Marco Tarchi). 
Gli spot anticovid e l’epica dell’eroismo al contrario
L’editoriale a cura di Marco Tarchi del numero 358 di “Diorama Letterario” di novembre-dicembre 2020
by Marco Tarchi 

Marco Tarchi

Sarebbe difficile pensare qualcosa di più emblematico della condizione psicologica e culturale che la nostra epoca sta sperimentando, e nel contempo di più avvilente – se non ci si vuole spingere ad usare l’aggettivo «ripugnante» – degli spot che il governo tedesco ha ideato per convincere i connazionali a rispettare nel modo più rigido i provvedimenti di limitazione della libertà di movimento imposti al fine di circoscrivere i contagi da Covid-19. 
  1. Nel primo di essi, un ragazzo sui vent’anni sprofondato nel divano di casa, lattina di Coca cola in mano e patatine fritte a portata di bocca, annega nella noia di una giornata inutile. 
  2. Nel secondo, il medesimo soggetto, ipotetico studente di ingegneria alla Università di Chemnitz, condivide la sua abulia con la ragazza; dal divano si è passati al letto e ad allietare l’inerzia questa volta ci sono porzioni copiose di pollo fritto. 
  3. Nel terzo, al centro dell’attenzione c’è «Tobi il pigro», nullafacente per scelta e autodefinizione, che passa il proprio tempo davanti al computer mangiando ravioli freddi in scatola perché non ha neppure la minima voglia di scaldarli. 
Queste scene sono ambientate nel «terribile» inverno del 2020 e ad accompagnarle c’è, oltre ad un suggestivo commento musicale, il racconto postumo degli invecchiati protagonisti, che van- tano soddisfatti lʼ“impresa” compiuta mezzo secolo prima barricandosi in casa a non fare nulla e diventando così – avendo evitato di diventare veicoli del contagio – degli eroi. Parola, quest’ultima, più volte ripetuta (a Tobi sarebbe spettata addirittura una medaglia per la sua esemplare astinenza dalla vita di società) assieme ad altre non meno altisonanti, come «fato», «dovere sociale», «destino della nazione» e l’ormai onnipresente «nemico invisibile».

Non può certo stupire che il prodotto di questa fase post-goebbelsiana dell’apparato di propaganda bellica della Germania abbia lasciato simultaneamente incantati giornali come «Vanity Fair», «il Foglio» e «La Repubblica», affiatati nel definirlo «geniale», né che la sua ironia non proprio sottile sia stata lodata dai pubblicitari italiani. Cosa può esserci di meglio, in effetti, per descrivere il tipo di uomo (e donna, ça va sans dire) ideale della Cosmopoli agognata dai fautori dell’ideologia dei “diritti umani” di un consumatore seriale di cibo-spazzatura docilmente pronto ad obbedire al richiamo delle autorità democratiche e dei mass media e a rinchiudersi senza reagire nel più stretto e gregario individualismo, sostentandosi magari con videochiamate, chat, serie di fiction su qualche piattaforma multimediale e, perché no?, firme virtuali di petizioni a sostegno di cause “di genere” o “inclusive” disponibili sugli appositi siti?

Avanza anche così, sulle ali della paura istigata da una incessante comunicazione ansiogena, quella graduale trasmutazione antropologica che, in atto da decenni, ha trovato nelle vicende epidemiche un nuovo efficacissimo veicolo. La recisione dei legami interpersonali è indicata infatti con sempre maggiore enfasi e frequenza come l’unico rimedio possibile al replicarsi dei contagi da coronavirus, e c’è chi arriva a vedervi degli aspetti positivi. Non stupisce che fra costoro si recluti Bill Gates, pronto a descrivere lo scenario del mondo futuro con accenti non troppo preoccupati: per un numero imprevedibile di anni, ci dice, avremo quantomeno un’atmosfera più pulita, perché con un calo del cinquanta per cento dei viaggi le emissioni di gas serra nell’atmosfera si ridurranno considerevolmente, anche se dovremo rassegnarci ad avere pochi amici. Il telelavoro prospererà – e con esso, si potrebbe aggiungere, l’ulteriore uso di prodotti Microsoft – e i rapporti sociali si atrofizzeranno1. La prospettiva non sembra suscitare eccessive inquietudini né fra gli intellettuali mediatizzati, né fra i politici, né fra gli scienziati.

Molti dei primi antepongono il «diritto alla salute» – concetto del tutto insensato, che nessuno si sognerebbe di contrapporre al sopravvenire di un infarto, di un’emorragia cerebrale o di una grave forma di tumore, ben sapendo che nessun soggetto colpito da patologie di quei tipi sarebbe in grado di esercitarlo, e che andrebbe sostituito con il plausibile ed auspicabile diritto alla cura – a qualunque timore di sfaldamento del legame sociale.

Quasi tutti i secondi li seguono a ruota e pensano esclusivamente a calmare le ovvie proteste delle categorie produttive danneggiate dalle chiusure imposte con sussidi a pioggia e in buona parte a fondo perduto che saranno in futuro pagati con sostanziosi aumenti di carichi fiscali, perché i deficit del bilancio statale non potranno essere mantenuti in eterno. Le conseguenze dell’obbligato (e auspicato) «distanziamento» fra i cittadini sulla capacità di tenuta del tessuto sociale li lascia del tutto indifferenti.

Quanto infine agli esperti della materia medica, la loro unilaterale convinzione che della vita conti assai più la dimensione quantitativa della durata che quella relativa alla qualità si esprime a ritmo quotidiano nei modi più diversi e su tutti i palcoscenici televisivi, radiofonici e della carta stampata. Si pensi, per riassumere tutto in un solo esempio, ad Ilaria Capua – gettonatissima virologa di formazione veterinaria che, come ci fa sapere la sua più consultata biografia in rete, alle elezioni politiche del 2013 è stata candidata alla Camera dei deputati, nella circoscrizione Veneto 1, come capolista di Scelta Civica per l’Italia (la lista di Mario Monti), venendo eletta deputata della XVII Legislatura, dal 7 maggio 2013 al 20 luglio 2015 è stata vicepresidente della Commissione Affari Sociali della Camera e «dopo il pro- scioglimento nel corso del procedimento penale a cui era stata sottoposta, ed in considerazione dei danni causati alla propria vita personale da tale vicenda, [ha] rassegna[to] le dimissioni dalla Camera per trasferirsi in Florida e tornare ad occuparsi di ricerca scientifica» 2 – che, evidentemente convinta dell’inutilità, se non della “pericolosità” di teatri e cinema, ha proposto, dando per scontato ed opportuno che debbano rimanere chiusi per altri mesi o anni, di trasformarli (ribattezzandoli addirittura CineVax) prima in presidi per gestire le vaccinazioni anti-Covid di massa, riempiendoli di congelatori a temperatura di meno 70 gradi per conservare le fiale, e poi «per il recupero delle vaccinazioni pediatriche che sono saltate a causa dell’emergenza»3.

A queste tre componenti fondamentali della classe dirigente delle democrazie occidentali, cioè di quei regimi politici che dovrebbero incarnare il migliore dei modelli possibili di governo dei “paesi avanzati”, a causa della cecità indotta dal ferreo conformismo all'ideologia del politicamente corretto, sfugge un dato insradicabile della realtà, ovvero lʼineliminabilità del rischio dall'esistenza umana, tanto individuale quanto collettiva. E l’ancor più dolorosa necessità di accettarne la presenza.

Per millenni, la cultura dei popoli – di tutti i popoli della Terra – si è rassegnata a questo dato di fatto, lo ha collegato alla volontà imperscrutabile del Fato e/o della divinità venerata e lo ha incorporato nei sistemi di norme destinati a governare la vita delle comunità. L’illusione prometeica tipica della modernità, alimentata dai pregiudizi del razionalismo non meno di quanto le epoche precedenti lo erano state da quelli della magia, ha spinto taluni, non solo negli ambienti scientifici, a credere che a questa legge di natura sia possibile, se non doveroso, ribellarsi. E che l’esistenza individuale possa e debba essere esentata dall'alea dell’imprevedibile e dell’inatteso, impermeabilizzata dai rovesci del Caso, tenuta sotto controllo – securizzata, per dirla con la neolingua oggi in voga – in ogni contesto. Con la conseguenza di inseguire e celebrare un orizzonte ideale in cui il vegetare si è sostituito al vivere.

Alle presenze corporee in stato vegetativo magnificate dagli spot tedeschi è stato pertanto affidato il messaggio del rifiuto del rischio interpretato come un atto di eroismo. Un formidabile controsenso, che spiega meglio di tante parole la sostanza profonda dello spirito del tempo che stiamo vivendo. Chi dissente da questa visione si vede ovviamente affibbiare una patente di insensibilità, quando non di follia. La vecchia figura dell’untore torna a stagliarsi minacciosa nell'immaginario collettivo sullo sfondo dei dibattiti che riempiono i talk shows, mentre l’opinione pubblica si spacca verticalmente, in tutti i paesi colpiti dall'epidemia, tra i terrorizzati che si rallegrano del panorama spettrale di città desertificate dal lockdown e vorrebbero vederlo rimanere tale e quale perlomeno fino all'epifania di un miracoloso vaccino, e gli insofferenti del confinamento, che attendono il minimo spiraglio normativo per rituffarsi nei riti di massa dell’aperitivo e dello struscio.

All'ottusità del negazionismo – che qualcuno, esagerando e scherzando un po’ troppo con i dettami della biologia, che già in passato hanno dato luogo ad usi politici alquanto problematici, ha definito frutto di «un processo mentale che non è tanto dissimile da quello che accade in certe forme di demenza»4–se ne è dunque affiancata una simile e contraria, che istiga all'incomprensione e al rifiuto delle ragioni di coloro che, ad uno scenario di persistenti restrizioni della libertà di movimento, di obblighi sine die di indossare maschere chirurgiche, mantenere un metro e ottanta di distanza dal prossimo ed evitare “luoghi di socialità” ed incontri con familiari ed amici, ne preferirebbero uno in cui, pur attenendosi temporaneamente alle opportune misure di prudenza, il rischio venga accettato e gradualmente reinserito nell'orizzonte della normalità.

La demonizzazione di questa scelta e l’insistenza ansiogena sui presagi funesti – sul vaccino che non funzionerà o avrà effetti limitati nel tempo, sulle mortifere “terze ondate” in arrivo e così via – sortiranno quasi certamente effetti opposti a quelli proclamati, precipitando strati crescenti di popolazione in uno stato di prostrazione psicologica difficilmente riassorbibile, di cui si riscontrano già evidenti sintomi5. Ma, a quanto pare, i dogmi ideologici che dominano la scena culturale dei nostri giorni impediscono di accettare qualunque atteggiamento nei confronti dell’esistenza che possa apparire eccessivamente virile e dunque, nella traduzione banalizzante della vulgata progressista, “maschilista”. Vegetare, quindi, sta diventando l’imperativo categorico del Terzo millennio. Non ci resta che sperare che, un giorno, un sussulto collettivo di orgoglio di fronte ad un panorama così deprimente possa trasformarsi in una seria, sacrosanta reazione – e fare, nel nostro piccolo, tutto il possibile perché ciò avvenga.

1Così Bill Gates in un podcast della serie «Bill Gates and Rashida Jones Ask Big Questions» del 19 novembre 2020 ripreso da molte testate giornalistiche italiane e internazionali. Cfr. il link https://www. gatesnotes.com/podcas.

2 https://it.wikipedia.org/wiki/Ilaria_Capua, dove si legge fra l’altro anche che «Ilaria Capua è sposata con lo scozzese Richard John William Currie, manageralla Fort Dodge Animal Health di Aprilia, attiva nella produzione veterinaria» e che «Il 4 aprile 2014, secondo quanto scritto dal settimanale LʼEspresso, fu iscritta nel registro degli indagati per associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di corruzione, abuso d’ufficio e traffico illecito di virus», accusa da cui nel luglio del 2016 fu prosciolta, nell’inchiesta della procura di Verona, perché «il fatto non sussiste».

3 Si veda l’intervista di Ilaria Capua sul «Corriere della sera» del 21 novembre 2020.

4 Così si è espresso il neuroscienziato Earl Miller, le cui tesi sono state riprese in Italia da Barbara Gallavotti, «biologa e autrice di Superquark» e da numerosi opinion makers, in testa lo scrittore Sandro Veronesi. Cfr. gli echi sulla stampa italiana del 13 e 14 novembre 2020.

5 Cfr. Gianni Santucci, L’abisso del lockdown: tra lʼ8 marzo e il 4 maggio sono aumentati i tentativi di suicidio, in «Corriere del- la sera», 19 novembre 2020, dove si cita uno studio dell’ospedale Niguarda di Milano, il quale «mostra che nei 56 giorni di chiusura sono triplicati in Rianimazione i ricoveri di persone che volevano farla finita. Un disastro umano e di solitudine nascosto nella zona d’ombra del disastro Covid».

se sei morto e non hai fatto il tampone la morte è assegnato al covid in automatico, le altre morti non esistono più sono scomparse dal rendiconto

04/12/2020 15:52 

Covid-Italia, nemmeno il numero dei morti è un dato sicuro
Ieri davanti a 993 decessi si è parlato di triste record negativo. Ma erano, in realtà, 865. C'erano 128 morti della Lombardia relativi ad oltre una settimana fa


ANSA

Il record non era un record. Il numero dei morti che ieri avrebbe dovuto diramare il Ministero della Salute insieme a quello dei contagiati, dei tamponi, dei ricoverati e dei guariti, non è quello che ha comunicato. A quel 993, accolto come “il più alto di sempre, il più triste”, andrebbe sottratto infatti 128. Riducendo così il totale dei decessi a 865. Sempre alto, per carità - parliamo di morti, vale la pena ricordarlo una volta in più - ma certo non da record (il picco resta al 27 marzo, quando i decessi registrati furono 969). Ma perché 128? Da dove arriva questo numero? Dalla Lombardia. HuffPost ha verificato, infatti, che la Regione ieri ha comunicato al Ministero della Salute un numero di morti avvenute ben oltre una settimana fa, “il tempo medio cui si riferiscono i dati sui decessi inviati al Ministero della Salute”, spiega una fonte dal Palazzo della Regione presieduta da Attilio Fontana.

“Ieri dalla Lombardia - confermano - sono stati comunicati al Ministero della Salute 128 decessi che si riferivano a oltre una settimana fa, comunicati dai Comuni”. In particolare, “dei 347 decessi comunicati ieri dalla Regione Lombardia 219 si riferivano agli ultimi sette giorni, come avviene mediamente, 114 a oltre una settimana, 14 a un periodo ancora precedente, più o meno alla fine di ottobre”.

I dati, dunque, sono arrivati in ritardo e in ritardo sono stati trasmessi al Ministero. Ma che cosa rallenta la cinghia di trasmissione? Dove nasce l’inghippo? Difficile stabilirlo perché da quello che risulta ad HuffPost i Comuni trasmettono le informazioni relative ai decessi al Ministero dell’Interno, che poi passano al Ministero dell’Economia e delle Finanze e poi alla Regione. L’iter, dunque, è piuttosto lungo. E il risultato è che capita di conteggiare oggi morti avvenute oltre un mese fa. Come è successo, per l’appunto, ieri. Non solo in Lombardia. Causa un ritardo nella registrazione dei dati, infatti, anche il numero dei decessi registrati in Friuli Venezia Giulia ieri era diverso da quello comunicato inizialmente. Non 34, ma 52, ossia 18 in più - 14 avvenuti tra il 18 e il 30 novembre e 4 il primo dicembre. Insomma, chi riteneva il dato dei morti l’unico veramente attendibile deve ricredersi. Ieri non lo è stato. E chissà magari si è scoperto perché si è gridato al record. Che record non era.

Per la cura dei pazienti a casa si raccomanda di NON usare medicinali, quindi niente antinfiammatori, cortisonici, antibiotici, eparina, idrossiclorichina ma solo automonitoraggio dei parametri vitali. Vaffanculo

Cosa penso, da medico, della circolare della Salute sul trattamento Covid a domicilio

4 dicembre 2020


Il post del medico Stefano Biasioli. Oggetto: la circolare del ministero della Salute sul trattamento Covid a domicilio


Si tratta di 16 facciate, molte delle quali discutibili, per un vecchio medico ospedaliero (quale io sono) abituato da sempre ad affrontare le urgenze nefrologico-dialitiche e le patologie endocrinologiche acute.

Riassumiamo e poi commentiamo questa “classica circolare all’italiana”.
RIASSUNTO

Sarà un punteggio (?!?!) a definire lo stato dell’assistito Covid gestito al domicilio dal medico di famiglia: basato su alcuni parametri, che consentirebbero di dividere i pazienti in tre categorie di rischio.

Una scala a punti — chiamata all’inglese Mews (modified early warning score) — ribadiamo, per definire lo stato del paziente Covid che dovrebbe essere dal medico di famiglia, probabilmente senza una visita domiciliare ma solo con supporto telefonico o informatico (e conseguenti aspetto medico-legali).

La novità è prevista nella circolare del ministero della Salute, pubblicata ieri, per la “gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SarsCov2”, che fornisce a medici e pediatri delle linee guida per la cura a casa di questi pazienti: dai farmaci da utilizzare all'indicazione delle situazioni in cui si raccomanda una visita diretta da parte del medico.

Le raccomandazioni si riferiscono alla gestione farmacologica in ambito domiciliare dei casi lievi di Covid-19 e si applicano sia ai casi confermati sia a quelli probabili.

La scala Mews servirà a quantificare la gravità del quadro clinico del paziente Covid al domicilio e la sua evoluzione. L’instabilità clinica viene correlata nella scala all'alterazione dei parametri fisiologici (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, temperatura, livello di coscienza, saturazione di ossigeno) e permetterebbe di identificare il rischio di un rapido peggioramento clinico o di morte. Attraverso la scala Mews, i pazienti vengono quindi stratificati in 3 gruppi di rischio: basso/stabile (score 0-2); medio/instabile (score 3-4); alto/critico (score 5).

La valutazione dei parametri “al momento della diagnosi di infezione e il monitoraggio quotidiano, anche attraverso approccio telefonico, soprattutto nei pazienti sintomatici lievi sarebbe fondamentale poiché” — si legge nella circolare — “circa il 10-15% dei casi lievi progredisce verso forme severe”.

Come si gestisce il paziente a casa, secondo Speranza e C.?

a) misurazione periodica della saturazione dell’ossigeno (che non deve essere sotto il 92%) tramite saturimetri;
b) trattamenti sintomatici (paracetamolo), appropriate idratazione e nutrizione e
c)l’avvertenza di non modificare terapie croniche in atto per altre patologie, in quanto si rischierebbe di provocare aggravamenti di condizioni preesistenti.

Commentino (interlocutorio): poche certezze e novità, fin qui. Il medico di famiglia come “osservatore lontano dalla scena”.

Continua la circolare:

Rispetto ai farmaci cui fare riferimento, si raccomanda di non utilizzare routinariamente corticosteroidi (raccomandati solo nei soggetti gravi che necessitano di supplementazione di ossigeno); non utilizzare eparina (l’uso è indicato solo nei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto); non utilizzare antibiotici (il loro eventuale uso è da riservare solo in presenza di sintomatologia febbrile persistente per oltre 72 ore o ogni qualvolta in cui il quadro clinico ponga il fondato sospetto di una sovrapposizione batterica). Si indica inoltre di non utilizzare idrossiclorochina, “la cui efficacia non è stata confermata in alcuno degli studi clinici fino ad ora condotti”. Si raccomanda anche di non somministrare farmaci mediante aerosol se in isolamento con altri conviventi per il rischio di diffusione del virus nell’ambiente.

La circolare sottolinea poi che “non esistono, ad oggi, evidenze solide di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercitina), il cui utilizzo per questa indicazione non è, quindi, raccomandato”.

Per gestire il paziente, si sottolinea, fondamentale è la collaborazione con le Unità speciali di continuità assistenziale Usca che effettuano l’assistenza al domicilio.

Altro commentino (interlocutorio): quante sono oggi, nelle singole Regioni italiane, le Usca?

Continua la circolare: “nelle situazioni di aggravamento del paziente è largamente raccomandabile che, in presenza di adeguata fornitura di dispositivi di protezione individuale, i medici e i pediatri, anche integrati nelle Usca, possano garantire una diretta valutazione dell’assistito attraverso l’esecuzione di visite domiciliari”.

Altro commentino (interlocutorio): largamente raccomandabile… purché…

I COMMENTI DI FIMMG E FNOMCEO

Scontati e poco realistici….al solito. Infatti:

1) Positivo il commento del segretario della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg) Silvestro Scotti: “Finalmente i medici hanno indicazioni univoche e un punto di riferimento unico, ma si tratta di un documento da tenere sotto sorveglianza e in aggiornamento continuo qualora — conclude — ci fossero nuove evidenze scientifiche”.
2) Per il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomeo), Filippo Anelli, “è stato riconosciuto il ruolo cruciale del medico di Medicina Generale e del pediatra di libera scelta”.

Altro commentino (interlocutorio): e il malato, dove lo mettiamo?

COMMENTO FINALE

Non condividiamo assolutamente il documento. Perché è uno scaricabarile e toglie ogni speranza di essere curati correttamente a domicilio.

La sostanza: stare a guardare e paracetamolo per la febbre.

N o n  f a r e  n u l l a , anzi stare bene attenti dall’usare i farmaci che la prassi degli ultimi 10 mesi ha dimostrato di essere efficace, nel mondo…

FnomCeo e FIMMG possono “benedire” la circolare finché vogliono. Ancora una volta dimostrano di non essere né dalla parte del medico-curante né dalla parte del paziente.

Noi non la pensiamo così e siamo dalla parte dei tanti che la pensano come Remuzzi, come tutto il Mario Negri, Suter etc, che consigliano di trattare subito (3 gg dopo la comparsa dei primi sintomi, spesso anche prima del tampone, dati i tempi tecnici per effettuarlo) con azitromicina/plaquenil/ cortisonico (desametasone o altro)/eparina a basso peso molecolare.

Questi sono i farmaci che mi “sono messo in casa” e che userei, in caso di bisogno. Ho fatto 14 tamponi 14, tutti negativi. Ma non si sa mai: “anno bisesto, anno funesto”.

Per me, la circolare — in assoluto — non ha alcun valore: clinico, deontologico, morale. E penso e ripenso agli amici, finiti male perché trattati in ritardo, con approcci simili a quelli della circolare.

Stefano Biasioli

Nb) Ma, al Ministero, qualcuno legge la letteratura mondiale, in questi mesi terribili ? Mai letti gli articoli di Medscape sul Covid-19?

IL DOCUMENTO DI SPERANZA &C. NEL DETTAGLIO

Definizione di paziente a basso rischio. “I pazienti a basso rischio sono definiti dall’assenza di fattori di rischio aumentato (ad esempio patologie neoplastiche o immunodepressione) e sulla base delle seguenti caratteristiche:
• sintomatologia simil-influenzale (ad esempio rinite, tosse senza difficoltà respiratoria, mialgie, cefalea);
• assenza di dispnea e tachipnea (documentando ogni qualvolta possibile la presenza di una SpO2 > 92%);
• febbre £38 °C o >38°C da meno di 72 ore;
• sintomi gastro-enterici (in assenza di disidratazione e/o plurime scariche diarroiche);
• astenia, ageusia / disgeusia / anosmia.”

Il saturimetro.“Il monitoraggio delle condizioni cliniche e della saturazione dell’ossigeno andrà proseguito nel soggetto infettato da SARS-CoV-2 per tutta la durata dell’isolamento domiciliare – dispone la circolare – , in rapporto alle condizioni cliniche e all’organizzazione territoriale. Il paziente dovrà essere istruito sulla necessità di comunicare una variazione dei parametri rispetto al baseline e, in particolare, dovrà comunicare valori di saturazione di ossigeno inferiori al 92%. Qualora venga esclusa la necessità di ospedalizzazione, potrà essere attivata, con tutte le valutazioni prudenziali di fattibilità del caso, la fornitura di ossigenoterapia domiciliare”.

Le indicazioni. In particolare, nei soggetti a domicilio asintomatici o paucisintomatici, sulla base delle informazioni e dei dati attualmente disponibili, si forniscono le seguenti indicazioni di gestione clinica:
• vigile attesa;
• misurazione periodica della saturazione dell’ossigeno tramite pulsossimetria;
• trattamenti sintomatici (ad esempio paracetamolo);
• appropriate idratazione e nutrizione;
• non modificare terapie croniche in atto per altre patologie (es. terapie antiipertensive, ipolipemizzanti, anticoagulanti o antiaggreganti), in quanto si rischierebbe di provocare aggravamenti di condizioni preesistenti;
• i soggetti in trattamento immunosoppressivo cronico in ragione di un precedente trapianto di organo solido piuttosto che per malattie a patogenesi immunomediata, potranno proseguire il trattamento farmacologico in corso a meno di diversa indicazione da parte dello specialista curante; • non utilizzare routinariamente corticosteroidi;
• l’uso dei corticosteroidi è raccomandato nei soggetti con malattia COVID-19 grave che necessitano di supplementazione di ossigeno. L’impiego di tali farmaci a domicilio può essere considerato solo in quei pazienti il cui quadro clinico non migliora entro le 72 ore, in presenza di un peggioramento dei parametri pulsossimetrici che richieda l’ossigenoterapia;
• non utilizzare eparina. L’uso di tale farmaco è indicato solo nei soggetti immobilizzati per l’infezione in atto;
• non utilizzare antibiotici. Il loro eventuale uso è da riservare solo in presenza di sintomatologia febbrile persistente per oltre 72 ore o ogni qualvolta in cui il quadro clinico ponga il fondato sospetto di una sovrapposizione batterica, o, infine, quando l’infezione batterica è dimostrata da un esame microbiologico;
• non utilizzare idrossiclorochina la cui efficacia non è stata confermata in nessuno degli studi clinici controllati fino ad ora condotti;
• non somministrare farmaci mediante aerosol se in isolamento con altri conviventi per il rischio di diffusione del virus nell’ambiente