19 FEBBRAIO 2021
L’Europa e il Mediterraneo, entrambe intese come entità geografiche e geopolitiche, torneranno presto a occupare le prime righe delle agende nazionali dei Paesi membri dell’Ue. Sia chiaro, non che fino ad oggi questi due concetti siano stati trascurati. Semmai sono stati affrontati con troppa superficialità, e con un piglio prettamente egoistico da parte dei singoli Stati, ciascuno intenzionato ad agire pro domo sua.
Insomma, niente a che vedere con quanto si aspetta Bruxelles, che sogna un continente unito attorno a tematiche comuni, e, soprattutto, con le ambizioni oltreoceano di
Joe Biden, desideroso di (ri)creare una comunità di partner europei in chiave anti cinese. Gli Stati Uniti, non è certo un mistero, considerano la Cina la più grave minaccia per alla sicurezza nazionale. E così
per arginare Pechino, intenzionato ad accrescere – legittimamente, dal proprio punto di vista – le relazioni economiche, commerciali e finanche politiche con il resto del mondo, Washington punta sul riallineamento del blocco atlantista ed europeista.
L’Italia, per ammissione dello stesso Mario Draghi,
sarà europeista e atlantista. Ciò significa letteralmente che Roma tornerà a ricoprire un ruolo rilevante e significativo nella risoluzione delle sfide comuni agli alleati di Washington. Se mantenere l’armonia in Europa è la prima sfida, la partita attorno al controllo del Mar Mediterraneo è la seconda.
Destini incrociati
Nel corso del suo intervento al Senato, Draghi ha aperto alla Russia (“L’Italia si adopererà per alimentare meccanismi di dialogo con la Federazione Russa”), citato la Cina (“Seguiamo anche con preoccupazione l’aumento delle tensioni in Asia intorno alla Cina”) e parlato di Balcani e Mediterraneo (“Resta forte la nostra attenzione e proiezione verso le aree di naturale interesse prioritario, come i Balcani, il Mediterraneo allargato, con particolare attenzione alla Libia e al Mediterraneo orientale, e all’Africa”). Il Mediterraneo è uno dei focus più interessanti, se non altro perché intreccia il destino di almeno tre attori fondamentali sullo scacchiere geopolitico globale: Unione europea, Stati Uniti e Cina.
Per quanto riguarda Bruxelles, la sua influenza sul Mare Nostrum è esercitata (o almeno, dovrebbe esserlo) attraverso l’azione dei Paesi mediterranei, in primis l’Italia.
Washington è interessata al Mediterraneo sia per salvaguardare i propri interessi strategici nella regione – non solo marittima ma anche terrestre -, che nella solita chiave anti cinese. Infine, la Cina. Pechino lo ha fatto capire attraverso la promozione della Belt and Road Initiative: l’obiettivo del Dragone è economico. Il colosso asiatico investe in infrastrutture, unisce idealmente porti, ferrovie e strade, crea punti di contatto e contribuisce a creare una comunità di Paesi tenuta insieme da interessi commerciali.
La contromossa di Pechino
Inquadrato lo scenario, torniamo al governo Draghi. L’ex presidente della Bce manterrà l’Italia nel solco atlantista ed europeista ma, con ogni probabilità,
non cestinerà i legami con la Cina. Anche perché Pechino è una potenza economica planetaria, e chiudere qualsiasi dialogo con l’ex Impero di Mezzo, sacrificando possibili vantaggi nazionali per rassicurare gli Stati Uniti, sarebbe un po’ come segnare un clamoroso autogol. È però vero, sostengono alcuni analisti, che l’Italia potrebbe aprire le porte alla Russia per smarcarsi da un’ipotetica ombra cinese considerata un po’ troppo ingombrante. Dunque, avvicinarsi a Mosca e prendere una certa equidistanza da Pechino: sarà davvero questo il piano dell’Italia?
Difficile dirlo con esattezza. È tuttavia molto probabile che Draghi scelga di comportarsi come altri leader europei – vedi Emmanuel Macron e Angela Merkel -, fieramente atlantisti ed europeisti ma pur sempre assidui partner economici cinesi. In tutto questo, la Cina non è certo rimasta ferma a guardare. Il Dragone, per previdenza, sta ragionando su nuove forme di dialogo per non ritrovarsi esclusa dal Mediterraneo. Da una parte ci sono i Balcani, terreno fertile nel quale piantare preziose bandierine e lungo i quali far scorrere le arterie della BRI. L’area balcanica è un perfetto trait d’union terrestre per unire il porto greco del Pireo, controllato dalla Cina, all’Europa centrale. Non solo: la Serbia, ad esempio, è ormai entrata in ottimi rapporti con Pechino, è stato il primo Paese europeo ad autorizzare e impiegare il vaccino cinese ed è pronta a stringere nuovi accordi con il partner asiatico.
Dall’altra parte, a cavallo tra il Nord Africa e il Medio Oriente, spuntano almeno un paio di partner altamente strategici: l’Algeria e l’Egitto. Con entrambi la Cina ha stretto varie intese, anche se
bisogna guardare ad Algeri per capire le intenzioni cinesi. Da queste parti, dal 2000 al 2014, Pechino ha costruito 13mila chilometri di nuove strade e 3mila ferrovie, oltre a stadi, dighe, raffinerie e porti.
A proposito di porti, i riflettori sono tutti puntati sulle acque profonde di El Hamdania dove, nel giro di sette anni, dovrebbe sorgere uno degli scali marittimi più grandi del mondo. Costo stimato: sei miliardi di dollari. A tutto penserà ovviamente la Cina, che utilizzerà l’infrastruttura come hub commerciale del Mediterraneo.
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