Le ragioni della forza della frazione di Bordiga
di Eros Barone
6 febbraio 2021
Come si desume dalla lettura del Manifesto ai lavoratori d’Italia, pubblicato dal Comitato Centrale del Partito comunista d’Italia il 30 gennaio del 1921, quindi pochi giorni dopo la scissione dal Partito socialista italiano e la conseguente costituzione del PCd’I, la forza della frazione bordighiana e la ragione del primato che conquistò nel Partito comunista appena costituito derivano da una ideologia rigorosa, coerente ed intransigente, tale da conseguire il successo nel momento in cui occorreva tagliare i nodi. Tutto il pensiero di Bordiga si condensa in un concetto-cardine del marxismo: lo Stato è l’organo della dittatura di una classe, occorre dunque abbattere lo Stato borghese con la forza e sostituirgli la dittatura del proletariato. La dottrina della rivoluzione è dunque racchiusa in questo sillogismo: non esiste un altro modo di fare la rivoluzione né di avvicinarsi ad essa.
Il movimento sindacale, che tende a soluzioni parziali dei problemi che nascono tra la borghesia e il proletariato, ha solo un valore limitato di organizzazione e di propaganda, e solo a questo titolo il partito se ne interessa e vi interviene. La partecipazione al parlamento è dannosa, perché sottrae energie alla rivoluzione proletaria e le impiega invece a valorizzare un organo che deve essere distrutto come organo principale del potere borghese. Strumento della rivoluzione è, dunque, solo il partito politico del proletariato e al suo rafforzamento deve essere dedicata tutta l’attività dei comunisti fino alla presa del potere. La individuazione della pura essenza della rivoluzione proletaria nella lotta frontale tra borghesia e proletariato è ciò che rende attuale la lezione di Bordiga nella situazione odierna, in antitesi alle deformazioni, alle mistificazioni e alle falsificazioni della teoria marxista-leninista perpetrate dal riformismo, teorizzate dal revisionismo e favorite dall’opportunismo, con tutti i gravi cedimenti rispetto al potere borghese che da esse sono inevitabilmente derivati nel pensiero e nell’azione del movimento operaio.
Bisogna ribadire pertanto con la massima chiarezza ciò che viene espresso nel Manifesto del 1921 e cioè che la nascita del PCd'I nel 1921 scaturisce: (a) dal rifiuto della guerra imperialistica; (b) dal rifiuto del riformismo e del revisionismo; (c) dal rifiuto dell'opportunismo centrista dei cosiddetti "massimalisti unitari" (Serrati e Lazzari), che aveva trovato la sua espressione emblematica nello slogan semi-opportunista del "né aderire né sabotare". Ma ciò non basta, poiché occorre aggiungere che la scelta radicale della scissione dal PSI e della costituzione del PCd'I poggiava su due tesi positive dedotte dall'esempio dell'Ottobre sovietico: (d) trasformazione della guerra imperialistica in guerra civile rivoluzionaria (quindi costituzione non solo di un apparato politico ma anche di un apparato militare); (e) accettazione dei Ventun Punti enunciati dal II Congresso dell'Internazionale Comunista, il che significava - e significa ancor oggi - (f) accettazione della teoria della rivoluzione proletaria in generale, della teoria e della tattica della dittatura del proletariato in particolare.
1
Il successo teorico del “bordighismo” (il termine entrò nell’uso più tardi, quando in seno all’Internazionale comunista e al PCd’I la frazione fu combattuta) si spiega grazie alla convinzione diffusa nel biennio 1919-1920 che al compimento della rivoluzione in Italia mancasse solo l’episodio conclusivo della presa del potere. Il suo successo pratico, che lo portò ad essere la frazione dominante del neocostituito Partito comunista d’Italia, deriva dal suo primato nell’aver posto la questione del partito, in particolare rispetto al gruppo dell’«Ordine Nuovo». Il gruppo bordighiano del «Soviet», già al XVI Congresso del Partito socialista, svoltosi a Bologna nel 1919, si era presentato come una corrente organizzata in seno al partito e si era qualificato con la presentazione di una mozione contro la partecipazione alle lotte elettorali. Fautore aperto e deciso della scissione sin dal 1919, Bordiga si trovò, infine, in una posizione di vantaggio quando, nell’estate del 1920, il II Congresso della Terza internazionale fece dell’espulsione dei riformisti una condizione per l’adesione all’Internazionale.
Nessun commento:
Posta un commento