L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

venerdì 26 marzo 2021

Il decadentismo degli Stati Uniti fa leva sulla tolleranza zero verso la Cina e la Russia rispolverando l'ideologia dell'INGERENZA, ma costretti a rincorrere soprattutto l'economia cinese dopo il plateale fallimento del Grande Cambiamento voluto dall'Occidente in cui siamo ancora completamente immersi la cui unica via d'uscita è la vaccinazione di massa per rimettere in su quel che resta dell'economia e cercare di acchiappare la lepre cinese. Con la consapevolezza che hanno perduto almeno un anno insistendo e tenendoci nella narrazione dell'influenza covid

La Guerra fredda. Cina-Russia contro Ue-Usa: il gelo «paralizzerà» l’Onu


Elena Molinari, New York mercoledì 24 marzo 2021

Chiesto un Consiglio di sicurezza urgente per gli «attacchi dall’Occidente». La Nato: le azioni di Mosca sono minacce. Biden domani in collegamento con il Consiglio Europeo per ricostruire l'alleanza

Il ministro degli Esteri russo, Sergeij Lavrov e il collega cinese Wang Yi , ieri a Guilin in Cina - Ansa

In soli due mesi dall’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, le alleanze mondiali si sono ridisegnate, tornando all’assetto storicamente consolidato di Est contro Ovest. Al contempo, la nuova tolleranza zero della Casa Bianca nei confronti delle violazioni di Russia e Cina all’ordine internazionale ha spinto Mosca e Pechino a indurire le loro posizioni e a formare un asse in funzione anti-occidentale. Fra scambi di sanzioni e convocazioni reciproche degli ambasciatori, negli ultimi giorni si è instaurato un clima da guerra fredda che vede Usa ed Europa da una parte e le entità «destabilizzanti» (come sostiene la Nato) di Russia e Cina dall’altra. Lo sforzo per mettere contenere lo strapotere di Mosca e Pechino appare però tardivo, dopo quattro anni in cui, a parte l’imposizione di dazi commerciali, Donald Trump ha permesso ai due Paesi di espandersi liberamente. Tanto che ora la stessa Ue, pur schierandosi al fianco di Biden, è cauta nel voltare le spalle all’Est: che sia il gas russo o le importazioni cinesi.
Cina e Russia di certo non accetteranno di buon grado di lasciarsi mettere i bastoni fra le ruote e non hanno tardato a formare un asse in funzione anti-occidentale. Ieri hanno chiesto insieme un vertice tra membri permanenti del Consiglio di sicurezza per affrontare «questa fase di turbolenza politica». Dopo essersi incontrati nel Sud della Cina, i rispettivi ministri degli Esteri, Wang Yi e Sergeij Lavrov, hanno dichiarato che «è necessario stabilire un dialogo sui modi per risolvere i problemi comuni dell’umanità nell’interesse del mantenimento della stabilità globale». Si tratta di una risposta alla nuova serie di sanzioni varate da Ue, usa, Gran Bretagna e Canada contro diversi funzionari cinesi per la persecuzione dei musulmani uighuri nella regione dello Xinjiang. Pechino ha reagito anche schiaffando analoghe misure contro una decina di personalità europee, tra cui cinque europarlamentari. Quindi ha convocato l’ambasciatore dell’Ue, Nicolas Chapuis, per esprimere le sue rimostranze. Intanto Mosca interrompeva i suoi rapporti con l’Ue e accusava gli Usa di «affidarsi alle alleanze politico-militari della Guerra fredda». Bruciano particolarmente a Pechino le «lezioni sui diritti umani», impartite dall’Europa, e ha ammonito che la sua determinazione a proteggere i propri interessi «è incrollabile».
Una minaccia non gradita alla Francia, che ha convocato a sua volta l’ambasciatore cinese, ne ha ricevuto in prima battuta un «no, grazie» e ha tuonato contro l’affronto. Lo stesso malumore è riecheggiato nella dichiarazione dei ministri degli Esteri della Nato, per coincidenza riuniti ieri a Bruxelles. «Le azioni aggressive della Russia costituiscono una minaccia per la sicurezza euro-atlantica – vi si legge –. Poteri assertivi e autoritari sfidano l’ordine internazionale basato, anche attraverso minacce ibride e cibernetiche».
Intanto da Bruxelles, il segretario di Stato Usa, Tony Blinken – reduce da un teso summit con la Cina in Alaska – ha ribadito la forte opposizione Usa al gasdotto Nord Stream 2, che la Germania sta ultimando con la Russia. E Biden, che ha declinato l’invito di Putin a un colloquio telefonico, ha accettato di intervenire in videoconferenza al Consiglio Ue di domani per «ricostruire l’alleanza» transatlantica.

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