L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

domenica 22 agosto 2021

Con l'Afghanistan si salda definitivamente il Medio Oriente al resto dell'Asia che si affaccia direttamente nel Mediterraneo. La strategia di potenza che si esplica attraverso il commercio è quella più duratura e da più frutti


21 AGOSTO 2021

La vicinanza della Cina a Israele ha allarmato gli Stati Uniti. I vertici della Cia, come rivelato dal sito Axios, avrebbero manifestato al governo israeliano una certa preoccupazione per gli investimenti cinesi a Tel Aviv e dintorni. Tutto sarebbe avvenuto una settimana fa, durante la visita in loco del capo dell’intelligence statunitense, Bill Burns. Da anni, ormai, Washington guarda con sospetto le mosse di Pechino nella regione. Non a caso, nel recente passato, l’esecutivo di Benjamin Netanyahu e quello di Donald Trump arrivarono a scontrarsi proprio su questo nodo spinoso, nonostante la forte vicinanza tra i due.

La situazione è molto complicata, visto che ci sono in ballo interessi complementari ma anche contrapposti. Israele è ben lieto di fare affari con la Cina, così come il gigante asiatico vede di buon occhio stringere accordi con Tel Aviv. I motivi sono molteplici: non dobbiamo, infatti, considerare soltanto il lato economico (e quindi l’ambito commerciale) ma anche e soprattutto quello geopolitico. Più la Cina è presente in Israele con i suoi investimenti e più il Dragone alita sul collo degli Stati Uniti, storici alleati israeliani.

In mezzo a Tel Aviv e Pechino troviamo, appunto, Washington. Gli statunitensi faticano a tollerare ombre cinesi – anche piuttosto ingombranti – all’interno dei confini di uno dei partner storicamente più solidi. Tornando al presente, è la prima volta che il governo guidato da Joe Biden ha rinnovato le preoccupazioni di un’eccessiva vicinanza cinese a Israele.

La presenza cinese in Israele

In Israele, la Cina è impegnata nella costruzione della linea ferrata leggera di Tel Aviv e ha, inoltre, notevoli interessi nel porto di Haifa. Per il resto, ricordiamo che, proprio per venire incontro alle preoccupazioni americane, l’amministrazione Netanyahu aveva bloccato un investimento cinese in una centrale energetica. Non è chiaro se l’argomento sarà sul tavolo delle discussioni anche la settimana prossima quando il premier israeliano, Naftali Bennett sarà a Washington per incontrare Biden.

In ogni caso, secondo una fonte anonima israeliana interpellata da Axios, gli israeliani avrebbero risposto alle preoccupazioni del capo della Cia condividendo parte di questi timori e che avrebbero voluto aziende americane interessate a questi progetti e investimenti, ma nessuno di queste si è presentata. Insomma, lo scenario sembra alquanto paradossale, anche se ultimamente Israele ha scoperto un fatto non da poco, e cioè che un attacco informatico portato avanti due anni fa contro aziende israeliane sarebbe partito dalla Cina.

In una audizione al Senato americano la settimana scorsa, funzionari del dipartimento di Stato e del Pentagono hanno confermato che l’amministrazione Biden ha messo in guardia i partner mediorientali sulle intenzioni e gli interessi cinesi nell’area, cosa che può creare non solo problemi di sicurezza e di stabilità regionale, ma anche di sovranità e di relazioni di sicurezza con gli Usa.

Rischi e pericoli

Trump era stato chiaro: un ulteriore coinvolgimento cinese nei grandi progetti infrastrutturali avrebbe potuto danneggiare le relazioni di sicurezza tra Stati Uniti e Israele. Al netto di avvertimenti simili, l’allora governo Netanyahu decise comunque di approfondire i legami con Pechino. In generale, Tel Aviv rischia di commettere un errore piuttosto grossolano. Quale? Come ha sottolineato il Jerusalem Post, il tentativo di bilanciare Washington e Pechino senza avere una chiara strategia potrebbe portare a un serio errore di calcolo, che a sua volta potrebbe mettere a repentaglio gli interessi di Israele e limitarne lo spazio di manovra, soprattutto nelle relazioni con gli Stati Uniti.

Il Washington Post, ad esempio, ha definito Israele un “osservatore spensierato” nella competizione tra Stati Uniti e Cina, mentre Al Jazeera sostiene che Tel Aviv “sottovaluta i rischi per la propria sicurezza consentendo alle aziende cinesi di realizzare progetti infrastrutturali nel proprio territorio”. Più il tempo passa e più la situazione potrebbe complicarsi, trascinando a fondo le relazioni tra Israele e Stati Uniti.

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