L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 16 gennaio 2021

e l'onda lunga della distruzione voluta cercata perseguita di uomini, mezzi di produzione, capitali e merci si abbatterà come un tornado sulle banche

Prestiti e pandemia, per le banche un 2021 da brivido. L’allarme di Bankitalia e Bce

Di Gianluca Zapponini | 15/01/2021 - 


L’ondata di sofferenze in arrivo impatterà violentemente sui patrimoni degli istituti, al netto delle stringenti regole Ue che richiedono accantonamenti di capitale. E le banche più piccole potrebbero non farcela. Gli allarmi del capo del consiglio di Sorveglianza della Bce e del governatore di Bankitalia. Mentre sui vaccini…

Un doppio allarme che non può passare inosservato. Perché riguarda le banche italiane, piaccia o no, ancora il polmone dell’economia reale. Perché senza credito non si va da nessuna parte. Ora però c’è da allacciare le cinture, perché si potrebbe ballare (qui l’intervista di ieri all’economista e dg di Assonime, Stefano Micossi). Andrea Enrìa, dal 2018 a capo del Consiglio di sorveglianza della Bce dopo gli anni alla guida dell’Eba, l’Autorità bancaria europea, ha suonato la sirena, intervenendo a un workshop organizzato dalla Banca d’Italia: la pandemia sta mettendo a dura prova la tenuta delle banche.

Perché, con la peggiore crisi da Dopoguerra , si va incontro a un’ondata di sofferenze senza precedenti. Famiglie e imprese difficilmente riusciranno a rimborsare i prestiti contratti, a causa dell’assenza di fatturato (solo ieri Bankitalia certificava un crollo dei redditi delle famiglie dell’8,8% nel primo semestre 2020). Questo eroderà e non poco i patrimoni degli stessi istituti, chiamati a operazioni di rafforzamento, a mezzo ricapitalizzazione (il solo Monte dei Paschi di Siena, alle prese con una probabile fusione, deve ricapitalizzare per 2,5 miliardi). Per di più, quasi una tempesta perfetta, ci sono le nuove regole della Bce, che impongono alle banche da una parte criteri molto più stringenti per valutare se un cliente è o non è un buon pagatore, dall’altra l’accantonamento di capitale per attutire l’impatto delle sofferenze.

Di qui l’allarme di Enrìa sulla tenuta del sistema bancario. “A oggi l’impatto della crisi pandemica sulle banche dell’area euro è stato limitato, anche grazie al fatto che sono entrate in questa fase con posizioni patrimoniali e di liquidità ben più solide che nella crisi precedente”. Ma, attenzione, “non ci sono margini di autocompiacimento: non possiamo escludere che una volta che verranno rimosse le misure di sostegno dei governi, alcune banche possano assistere a un significativo deterioramento della qualità dei loro asset”. Il motivo è semplice. Una volta che i ristori messi in campo dal governo avranno esaurito la loro spinta, in assenza di fatturato l’impennata dei prestiti non rimborsati è assicurata.

Non è tutto. Anche Ignazio Visco, intervenuto nel medesimo contesto, ha lanciato l’allarme banche. Il governatore di Bankitalia, paventa un rischio per gli istituti con le spalle più strette. “Le banche italiane di dimensioni meno rilevanti hanno una maggiore esposizione al rischio di credito collegato alla pandemia rispetto agli istituti più grandi”, ha spiegato Visco. “Una recente analisi della Banca d’Italia conferma che l’effetto della pandemia sull’esposizione al rischio di credito delle banche italiane potrebbe essere maggiore tra gli istituti meno rilevanti rispetto a quelli rilevanti, a causa della diversa composizione dei portafogli di finanziamenti”.

Nello stesso giorno, sempre da Via Nazionale, arrivano indicazioni preziose sui vaccini. L’avvio delle campagne di vaccinazione anti-Covid “si riflette favorevolmente” sulle prospettive dell’economia per il medio termine, “ma i tempi e l’intensità del recupero restano incerti”, si legge nel bollettino economico di Bankitalia. La possibilità di conseguire i “ritmi di incremento” previsti per i prossimi anni (+3,5% nel 2021, +3,8% nel 2022, +2,3% nel 2023) “presuppone che si manifestino appieno gli effetti espansivi degli interventi (ancora in corso di definizione) previsti nell’ambito della Next Generation Eu e che le misure di sostegno evitino che il maggiore indebitamento delle imprese abbia ripercussioni negative sulla stabilità finanziaria”.

e tre. Longo colpisce duro. Una finanza dire allegra è dire poco, è una truffa prolungata nel tempo senza remore, razionalità ignorando rilievi pure fatti

Sanità, conti da profondo rosso: Longo boccia i bilanci di Mater Domini e Asp di Vibo Valentia

Perdite di esercizio per milioni di euro nelle aziende calabresi, promossa con riserva solo l'Ao di Cosenza. Svaniti i crediti della Fondazione Campanella, a Germaneto buco aumentato del 370% nel giro di un anno (ASCOLTA L'AUDIO)

di Camillo Giuliani 
15 gennaio 2021 22:16

Il commissario Guido Longo

Tutto sbagliato, tutto da rifare. Per la Mater Domini di Catanzaro, l'Asp di Vibo Valentia e i rispettivi bilanci arrivano due sonore bocciature dall'ufficio di Guido Longo. Il commissario ad acta che ha preso il posto di Cotticelli ha deciso di non approvare i rendiconti relativi al 2018 e al 2019 dell'Azienda ospedaliero-universitaria e quello 2019 dell'Azienda sanitaria provinciale vibonese. Approvato, ma con prescrizioni, invece quello 2019 dell'Ao di Cosenza. In tutti i casi i conti si erano chiusi con risultati ben lontani da quelli previsti: perdite di esercizio per milioni di euro che vanno ad allargare il deficit della sanità pubblica calabrese, accompagnate da scritture contabili che a volte, a seconda dei documenti visionati dai revisori e dal commissario, riportano cifre diverse per le stesse voci.

Campanella... d'allarme

Longo stronca la contabilità del policlinico di Germaneto partendo dai ritardi nell'approvazione dei bilanci in entrambe le annate finite sotto la sua lente di ingrandimento. Quello 2018, addirittura, è stato riformulato a febbraio del 2020 con rettifiche che il nuovo collegio sindacale - si è insediato solo sette mesi fa - non ha ancora finito di analizzare. I revisori che si erano occupati della prima versione, però, non avevano dato parere favorevole al rendiconto, con una sostanziale «conferma delle osservazioni già rese in occasione dell'esame dei precedenti bilanci di esercizio». A pesare nel giudizio era il maxi credito che la Regione avrebbe dovuto saldare – secondo la Mater Domini, ma i giudici l'hanno pensata diversamente – per la defunta Fondazione Campanella, circa 63 milioni di euro che l'Azienda iscriveva in bilancio senza alcun timore di non riscuoterli fino all'ultimo centesimo. Per ritrovare un buco in cassa della stessa cifra qualche tempo dopo.
Il commissario ad acta passa poi al risultato d'esercizio del 2018. Pessimo. Se già l'anno prima le perdite ammontavano a 12,3 milioni, in dodici mesi si è arrivati a oltre 21,6, quasi sette in più di quelli stimati nel bilancio di previsione. Non solo: la Mater Domini non ha rispettato le norme sul contenimento della spesa, sforando i limiti annui fissati per consulenze e personale. In quest'ultimo caso, poi, c'è un altro problema: le cifre riportate nel bilancio sono diverse da quelle indicate in alcune tabelle ad esso allegate. In ultimo, il capitolo ammortamenti: per le immobilizzazioni materiali e immateriali, scrive Longo, «il valore riportato si discosta dal valore rideterminato dall’ufficio in fase di verifica». E non è nemmeno una novità, visto che «tranne per i “Fabbricati” si sono riscontrate delle incongruenze su tutte le categorie (Attrezzature Sanitarie, Mobili e arredi, Altri beni) riportate dai bilanci precedenti» e che, nonostante sollecitazioni, si attendono risposte sulla questione dall'Asp ormai dal 2015. Un mix che, unito all'assenza di coperture integrali per il disavanzo accumulato, ha portato il commissario alla decisione di non approvare il bilancio 2018.

Il carico dei 101

Il bis arriva col 2019, quando i problemi appena elencati si ripropongono tali e quali. Ed il risultato d'esercizio è un rosso da oltre 101 milioni di euro – il 370% in più dell'anno prima, «perdita spropositata» dirà la Corte dei Conti – in cui a far la parte del leone è la svalutazione del vecchio credito inesigibile legato alla Campanella. La relazione del collegio sindacale è un lunghissimo elenco di rilievi che si conclude con un nuovo parere non favorevole sul consuntivo e l'invocazione di «un intervento risolutivo nel breve termine». I revisori scrivono che non c'è nessun controllo interno di gestione, quando invece servirebbe un monitoraggio costante dei costi per beni e servizi non sanitari. Ritengono «necessaria una riconcilazione tra l'azienda e i suoi fornitori e clienti, improcrastinabile la risoluzione dei rapporti con l'Università Magna Graecia, improbabile l'inesistenza di ratei e risconti». Temono errori nella quantificazione dei fondi rischi e accantonamenti, ne segnalano altri nel passaggio al nuovo sistema contabile. A loro avviso, per risanare l'azienda servono soluzioni rapide, perché «la spesa per interessi è insostenibile». E bocciano una «gestione i cui fattori produttivi impiegati non sono indirizzati al migliore conseguimento della missione aziendale».

Longo, a sua volta, aggiunge dettagli sulla perdita da 101 milioni. Sessantadue e mezzo arrivano dalla bocciatura della Cassazione sull'esigibilità dei crediti legati alla fondazione Campanella; poi ci sono 14 milioni di interessi passivi; altri 9,1 per per interessi moratori su fatture scadute e attivate con decreti ingiuntivi; un altro milione e mezzo per spese legali; altri 3,1 per sopravvenienze passive. La gestione delle fatture è problematica, con somme che sono state pagate ma risultano vincolate e debiti già saldati eppure contabilizzati. Il commissario elenca una sfilza di rilievi sollevati dalla magistratura contabile qualche settimana fa sulla Mater Domini. Per citarne solo qualcuno: bilanci bocciati dai revisori ormai dal 2016; perdite non coperte per oltre 103 milioni; «aumenti dei costi per beni e servizi, dovuti anche ad errori di imputazione nonchè al mancato aggiornamento del libro inventari; spesa farmaceutica non in linea da tre anni con il dato regionale e nazionale; aumento del costo relativo ai dispositivi medici nel triennio 2016/2018; disfunzioni organizzative in merito alle procedure di gara per acquisti di beni e servizi; reiterato e illegittimo ricorso all'istituto della proroga contrattuale in violazione dei principi di derivazione comunitaria della trasparenza, della concorrenza e della parità di partecipazione; diffuse discordanze tra debiti e crediti rilevate con la circolarizzazione». Dulcis in fundo le tempistiche di pagamento. Nel 92% dei casi l'azienda salda il dovuto con ritardi abissali: la media è stata di 591 giorni nel 2016, 802 nel 2017, 852 nel 2018, per salire a 946 nel 2019, con relativi aggravi di interessi, eventuali spese legali ed evidenti problemi di liquidità. Numeri drammatici che hanno portato alla bocciatura.

Dall'attivo al passivo

Quanto a Vibo, il commissario ad acta non ha approvato il bilancio 2018 dell'Azienda sanitaria provinciale, confermando tutte le perplessità già espresse in precedenza dai revisori contabili che se ne erano occupati. Il rendiconto era stato già riformulato, more solito, dopo essere stato approvato in ritardo. E il collegio sindacale, ora impegnato nell'analisi della nuova versione, aveva segnalato in quella precedente «la mancanza di una contabilità separata e di una contabilità analitica per verificare un equilibrio economico» relativo alle prestazioni intramoenia, ipotizzando «dai pochi dati disponibili il mancato rispetto del principio di copertura». Numerose le critiche, inoltre, sull'utilizzo eccessivo di proroghe contrattuali in violazione delle norme e sull'esposizione debitoria, che presenta «scostamenti rilevanti tra i saldi dell'azienda e quelli comunicati dai fornitori». Non poche le colpe del personale, secondo il collegio sindacale, specie per i ritardi nelle dichiarazioni Iva, con sanzioni che, secondo i revisori, andrebbero fatte pagare non all'Asp, ma ai singoli responsabili dei procedimenti. Sono invece oltre 3,5 i milioni di euro giacenti e non versati in tesoreria. Assente nella relazione sulla gestione «la prescritta attestazione dei pagamenti relativi alle transazioni commerciali».

Se la previsione era di chiudere l'anno con una perdita di soli 4.000 euro (l'anno prima era finito con un attivo di 67mila), il risultato finale d'esercizio è stato un rosso di 9,2 milioni. Numerose le incongruenze rilevate tra i dati forniti dall'Asp sul valore degli accantonamenti per immobilizzazioni materiali e immateriali e quelli risultati dalle verifiche dell'ufficio del commissario. Così come risultano discrepanze tra le voci relative all'Irap inserite nel bilancio e quelle contenute nelle tabelle allegate a quest'ultimo. Nonostante i limiti di spesa relativi a personale e consulenze siano stati rispettati, le criticità emerse – unite all'assenza di una relazione dei revisori sul consuntivo riformulato – hanno fatto emergere chiaramente che gli obiettivi di equilibrio economico finanziario sono risultati irraggiungibili. Una ragione sufficiente a Longo per esprimere parere non favorevole sul bilancio dell'Asp.

Perdite milionarie, ma arriva l'ok

Se la cavano, invece, l'Ao di Cosenza e il suo consuntivo 2019, anch'esso in versione riformulata. Sparito il pareggio di bilancio della prima edizione, il risultato di esercizio riportato stavolta è una perdita che supera di poco i 3,7 milioni di euro. Crescono di otto milioni i costi di produzione rispetto all'anno precedente, ma all'Annunziata si rimane almeno dentro i limiti di spesa per consulenze e personale. In quest'ultimo caso, però, tornano le discrepanze tra i vari documenti che compongono il rendiconto, tanto che Longo scrive che «l'esposizione del raccordo delle voci genera confusione e perplessità sulla rappresentazione veritiera e corretta dell'effettivo costo sostenuto». Sostanzialmente ininfluente – si tratta di 1000 euro in totale – lo scostamento tra il valore degli accantonamenti riportato in bilancio dall'Azienda ospedaliera e quello emerso dalle verifiche successive. Adesso all'Annunziata dovranno rimediare alle problematiche segnalate e, soprattutto, fornire chiarimenti adeguati sui costi dei dipendenti, in particolare sul «valore del “Restante Personale” esposto nel conto economico del bilancio tra i servizi non sanitari». Ma, alla fine dei conti, possono tirare un sospiro di sollievo. Seppur con prescrizioni, il commissario ad acta ha deciso di approvare il bilancio. Visto come vanno le cose nella sanità calabrese, non è poco.

Il Sistema massonico mafioso politico istituzionalizzato si è pappato la sanità pubblica. A quando le inchieste su quella romana?

Spoke di Paola-Cetraro, con il direttore Cesareo indagate altre 5 persone tra cui figlio e nipote

Oltre ai due parenti del dirigente medico accusato di peculato e truffa, coinvolti anche il dipendente di una ditta di pulizie, un'infermiera dell'ospedale di San Giovanni in Fiore e un ex ds. Tra le accuse la distruzione di alcuni documenti e le ingerenze in un bando per l'assunzione di personale 

di Francesca Lagatta 
16 gennaio 2021 11:16

Vincenzo Cesareo

Sono altre cinque le persone coinvolte nell'inchiesta della procura di Paola che ha portato alla sospensione del direttore dello spoke Cetraro-Paola, Vincenzo Cesareo. Si tratta di Franco Tripicchio, Rosa Olivito Spadafora, Giuseppe Maio, Valerio Cesareo e Nicola Lucieri. Questi ultimi due, sono parenti del medico cetrarese: il primo è uno dei tre figli, il secondo è il nipote, figlio della sorella. Come annunciato dalla procura guidata dal magistrato Pierpaolo Bruni, le indagini sono ancora in corso e potrebbero portare al coinvolgimento di ulteriori soggetti. Secondo gli inquirenti, infatti, Vincenzo Cesareo, dal 2012 alla guida dello spoke, tranne per una breve periodo nel 2017, avrebbe agito con la complicità di altre persone.

Le accuse

Valerio Cesareo, 32 anni, Nicola Lucieri, 39, e Giuseppe Maio, 53, sono finiti negli atti di indagini per quanto concerne un avviso pubblico per l'assunzione di 20 operatori sanitari e operai addetti al servizio pulizie e igiene dell'Asp, pubblicato nel bel mezzo dell'emergenza sanitaria della scorsa primavera. Secondo gli inquirenti, gli indagati, a vario titolo, avrebbero turbato il procedimento.

Olivito Spadafora, 50 anni, in concorso con Vincenzo Cesareo avrebbe distrutto o fatto sparire alcune ricette mediche. La donna lavora come infermiera all'ospedale di San Giovanni in Fiore, uno dei tre ospedali gestiti dal dirigente medico finito nelle maglie della giustizia.
Tripicchio sarebbe finito sotto la lente degli investigatori poiché beneficiario di una falsa attestazione inserita in un referto medico stilato al pronto soccorso del nosocomio Gino Iannelli.

L'inchiesta

L'inchiesta fa leva principlamente sul presunto uso improprio da parte del medico dell'auto di servizio, poi si estende a diversi settori. Nei mesi di intercettazioni e pedinamenti, gli inquirenti avrebbero notato diverse condotte fraudolente. Tra queste, il principale indagato, Vincenzo Cesareo, avrebbe sottoposto numerose persone a tampone nasofaringeo senza criterio, mentre nelle ultime settimane avrebbe somministrato quattro dosi di vaccino a parenti e amici che non rientrano nelle categorie a rischio. Ha fatto grande scalpore anche un particolare episodio contenuto negli atti dell'inchiesta: invece di partecipare a una riunione sull'emergenza Covid, Cesareo preferì andarsene in gita con l'amante. Per lui l'interrogatorio di garanzia è stato fissato per il prossimo lunedì.

Riduzione dei poteri del Parlamento è l'ideologia a cui tutti i poteri tendono

KIRGHIZISTAN. JAPAROV HA VINTO LE ELEZIONI PRESIDENZIALI E IL REFERENDUM SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE

12 Gennaio 2021
di Alberto Galvi 

Sadyr Japarov. (Foto: Argument.kg).

Alle elezioni presidenziali in Kirghizistan Sadyr Japarov ha vinto con uno schiacciante numero di voti, il che significa che non ci sarà alcun ballottaggio. Inoltre in questa stessa tornata elettorale si è votato per un secondo referendum sulla riforma costituzionale proposto da Japarov. In questo caso l’84 per cento degli elettori ha approvato un sistema di governo presidenziale, riducendo di fatto il potere del parlamento.
Il Consiglio supremo è composto da 120 seggi, con partiti eletti direttamente in un unico collegio elettorale nazionale con un voto di rappresentanza proporzionale a liste di partito chiuse. I membri selezionati dalle liste di partito rimarranno in carica per 5 anni.
La crisi politica in Kirghizistan è stata innescata dal crollo del governo precedente ed è iniziata lo scorso ottobre con le violenti proteste che hanno portato Japarov dalla prigione alla carica di primo ministro e sono culminate con l’assunzione della presidenza ad interim prima che si candidasse per la carica di presidente della Repubblica.
Il primo ministro Kubatbek Boronov si era dimesso il 9 ottobre 2020 a seguito di massicce proteste indotte dai controversi risultati delle elezioni legislative del 4 ottobre 2020. Japarov, che è stato condannato a una lunga pena detentiva per il rapimento di un governatore provinciale come parte di una protesta, ha avuto la sua sentenza annullata durante i disordini di ottobre e ha superato di gran lunga 16 rivali presidenziali.
Da quando è stato nominato primo ministro Japarov si è ripetutamente impegnato a mantenere uno stretto rapporto con la Russia, la quale gestisce una base aerea militare nel Paese asiatico ed è la destinazione principale di centinaia di migliaia di lavoratori migranti kirghisi.
La Cina è un altro partner commerciale del Kirghizistan, la cui economia è stata martoriata dalla pandemia di coronavirus e dalle conseguenti interruzioni del commercio e dei viaggi.
All’inizio del 2010 la condanna in carcere di Japarov deriva dalla sua campagna per nazionalizzare la gigantesca miniera d’oro di Kumtor gestita dalla società canadese Centerra Gold. Dopo essere salito al potere lo scorso anno tuttavia avrebbe solo garantito che i profitti fossero equamente divisi.
Prima di far cadere il governo del presidente Sooronbai Jeenbekov in ottobre, proteste violente hanno deposto i presidenti nel 2010 e nel 2005. Un altro ex capo di Stato, Almazbek Atambayev, è agli arresti con l’accusa di corruzione. In questo caso era la terza volta che un capo di Stato kirghiso si dimetteva in seguito alle proteste dall’indipendenza nel 1991.
La campagna elettorale di Japarov, che combinava valori tradizionali con promesse come il raddoppio della spesa sanitaria, ha predisposto favorevolmente gli elettori alla sua elezione, soprattutto nelle zone agricole.

Di questi tempi non è male avere come riserva più oro che dollari

SERVIZIOSORPASSO STORICO
In Russia più oro che dollari nelle riserve della banca centrale

13 gennaio 2021

Dopo l’euro, anche le riserve auree hanno sorpassato in valore gli asset denominati nella valuta Usa: una svolta storica, frutto del rally del lingotto e del processo di dedollarizzazione voluto dal Cremlino

(phonlamaiphoto - stock.adobe.com)

C’è più oro che dollari nei forzieri della banca centrale russa: per la prima volta nella storia il valore delle riserve auree ha superato quello degli asset denominati nella valuta statunitense. La svolta è avvenuta nella prima metà del 2020, ma è stata evidenziata solo in questi giorni, con l’ultimo aggiornamento dei dati da parte di Bank Rossii.

La fotografia mostra che al 30 giugno l’istituzione custodiva lingotti per 128,5 miliardi di dollari, pari al 22,9% delle riserve: una quota oggi superata soltanto dagli attivi in euro (che rappresentano il 29,5% del totale), mentre quelli in dollari – in forte calo da anni – risultano scesi al 22,2%.

L’oro, che durante l’estate ha continuato ad apprezzarsi, potrebbe addirittura aver allungato le distanze rispetto al biglietto verde: le quotazioni hanno aggiornato solo in agosto il record storico, spingendosi oltre 2mila dollari per oncia.

Negli ultimi mesi il volume delle riserve auree russe – che è quintuplicato tra il 2007 e il 2020, arrivando a sfiorare 2.300 tonnellate – dovrebbe comunque essere rimasto costante: dal 1° aprile scorso la banca centrale ha ufficialmente interrotto l’acquisto di lingotti, sostenendo di aver raggiunto gli obiettivi prefissati, una linea di nuovo ribadita a luglio dalla presidente Elvira Nabiullina.

La spinta verso la dedollarizzazione – decisa circa tre anni fa dal Cremlino per schermare l’economia russa dalle sanzioni Usa – potrebbe invece non essersi esaurita, benché Mosca abbia già tagliato in modo drastico la presenza del biglietto verde nelle riserve valutarie a favore non solo dell’oro ma anche dell’euro e dello yuan cinese.

Nel corso del 2018 era stata la divisa europea a superare il dollaro nelle riserve russe: la prima era balzata dal 21,7 al 31,7% del totale, mentre la valuta Usa era crollata in solo anno dal 45,8 al 22,7%, una quota simile a quella attuale.

Dal 1° luglio 2019 al 30 giugno 2020 la quota di riserve in dollari tutto sommato è diminuita poco: dal 24,2 al 22,2% del totale (per un valore di 124,6 miliardi), una contrazione più che giustificata dal protagonismo dell’oro, passato nello stesso periodo dal 19,1% al 22,9%. Il lingotto ha rubato la scena anche alle altre maggiori valute, spingendo l’euro dal 30,6% al 29,5% e lo yuan dal 13,2% al 12,2% (la sterlina, nonostante l’imminenza della Brexit, è invece rimasta stabile intorno al 6%).

Il rally del metallo prezioso ha probabilmente sostenuto anche il valore complessivo delle riserve russe, che nel corso del 2020 – nonostante la sfida del Covid – è salito del 7,1% a 593,6 miliardi di dollari.

Benché l’oro abbia ritracciato dai massimi raggiunti l’estate scorsa (martedì 12 scambiava intorno a 1.840 dollari l’oncia), quella messa a segno nel 2020 è stata la sua migliore performance da un decennio: un rialzo del 25%.

Mosca ne ha tratto vantaggio anche grazie alle sue miniere, che hanno permesso di difendere le entrate di valuta pregiata quando la pandemia colpiva i consumi di gas e petrolio. La Russia – che è il terzo produttore aurifero al mondo, oltre che uno dei maggiori fornitori di combustibili fossili – in alcuni periodi dello scorso anno è arrivata a guadagnare di più dall’export di oro che da quello di gas.

Se il Monte dei Paschi di Siena può viaggiare da solo è possibile anche che resti pubblica

Il piano ‘segreto’ di Mps, nozze non a tutti i costi. Intanto Bisoni (UniCredit): ‘nostra priorità è l’AD’ (sarà Andrea Orcel?)

13/01/2021 11:53 di Laura Naka Antonelli

Lo scorso 17 dicembre il cda di Mps ha approvato il nuovo piano industriale al 2025, diffondendo il relativo comunicato, che investitori e mercati in generali hanno visionato. Quello che i mercati non hanno visionato, in quanto mai reso noto, è stato il documento completo: 64 pagine, il cui contenuto è stato rivelato oggi dal quotidiano La Repubblica.

View of the branches of the bank “Monte Dei Paschi di Siena” in Rome, Italy, Wednesday, January 16, 2019. After the surprise news on the requests of the ECB to Banca Mps – the Sienese institute will have to carry on the coverage of its Npl from now to 2026, not only on the deteriorated credits that will be formed, but also on the existing stock in 2018 – the title MPS has accused one of the worst performances on the liston January 16, 2019 in Rome, Italy. (Photo by Andrea Ronchini/NurPhoto via Getty Images)

Quel piano, che porta la firma dell’attuale amministratore delegato, Guido Bastianini, ricorda come MPS sia impegnata a predisporre un nuovo capital plan da sottoporre alla Banca Centrale Europea entro il 31 gennaio 2021: capital plan che conterrà una indicazione dei fabbisogni di capitale (di medio termine e non limitati al CET1), quantificati in una misura tra 2 miliardi e 2,5 miliardi, e un’indicazione circa le modalità per soddisfare detti fabbisogni”. E questo, il mercato lo sa. Nella nota, oltre alla stima relativa al fabbisogno del capitale, è reso noto anche il numero relativo agli esuberi attesi nel periodo compreso tra il 2021 e il 2025.
Il mercato sa anche, riguardo alle modalità con cui procedere per il rafforzamento patrimoniale di Mps che, nella riunione che si è svolta nella serata dell’altro ieri, il cda ha reso nota la decisione di posticipare il meeting sul piano di capitale rispetto alla data inizialmente prevista. Così come sa che il cda ha ufficializzato la caccia agli acquirenti – finora all’orizzonte, e non è neanche sicuro, si vede solo UniCredit – lanciando dunque l’iter per il lancio di una data room e di un’offerta da parte dei possibili interessati (I rumor hanno indicato l’interesse almeno a esaminare i dati da parte di un istituto francese e uno spagnolo).
Oggi, a fronte della debolezza del Ftse Mib di Piazza Affari, UniCredit perde lo 0,70%, Mps fa peggio cedendo l’1,34% e Banco BPM, che ieri ha smentito di avere alcun interesse nei confronti del Monte di Stato, scende dell’1,5% circa.

I tre pilastri del piano ‘riservato’ di Mps

Dall’articolo sul piano segreto di Mps, firmato da Andrea Greco su La Repubblica, emerge che Mps ipotizza un futuro anche senza fusioni.
Si legge che “«il piano non ipotizza una trasformazione radicale del modello operativo e dell’infrastruttura tecnologica », da ripensare «solo dopo aver avuto chiarezza sulla soluzione aggregativa » di Mps con altro istituto.
Praticamente, l’opzione M&A c’è, ma non è un diktat. E questo per non irritare probabilmente sia il Tesoro, maggiore azionista di Mps con una quota del 64% che scalpita per sbolognare la patata bollente a Piazza Gae Aulenti, e i Cinque Stelle, che invece si oppongono al maxi regalo di Stato che UniCredit riceverebbe.
Sul piano riservato, La Repubblica scrive che il documento approvato dal cda lo scorso 17 dicembre è suddiviso in tre parti, “e tanti sono i pilastri del riassetto, che è chiamato a ‘creare valore già dal 2021, con rischi di esecuzione minimi’ anche se solo dal 2022 la banca tornerà in utile (di 41 milioni), poiché quest’anno si prevede di perdere 562 milioni, per nuovi accantonamenti su crediti e 500 milioni di oneri di ristrutturazione”.
Il primo pilastro riflette la scelta di Mps di riposizionarsi sui “clienti prioritari”, ovvero “le Pmi dei territori della banca, cui andrà la quota crediti aggiuntiva di 450 milioni di capitale e almeno 200 dipendenti, tolti a «grandi imprese, enti e clienti chiave», destinati a un dimezzamento degli impieghi dai 10,6 miliardi 2020 a 5,5 nel 2025″.
Gli strumenti su cui Mps punterà per tornare in una condizione di redditività, precisa l’articolo, dunque per far salire il Roe dal valore negativo attuale al 6,3% nel 2025, non saranno tanto i crediti, quanto le commissioni: “+4% composto annuo, a fronte di un ambizioso +7% medio annuo delle masse gestite, «sostenute dalla conversione del risparmio amministrato».”.
Il secondo pilastro è la razionalizzazione dei costi, per la precisione “la semplificazione del modello operativo”, che si basa sulla chiusura di 100 filiali e sugli esuberi di 2.670 dipendenti, come comunicato alla metà di dicembre. “La ‘dieta’ sarà più grande nella direzione generale della banca a Siena, dove già al 2023 i dipendenti sono visti calare del 18%, a 4.096“.
Il terzo pilastro punta a rafforzare il bilancio Mps e ‘migliorare ulteriormente la gestione dei rischi’. Come? Con l’aumento di capitale, stimato in 2-2,5 miliardi, ma anche con “un cuscinetto patrimoniale da 1,3 miliardi in autofinanziamento (a partire dal 2023), più 400 milioni derivanti da cessioni e ottimizzazione di attivi“. Il capitale servirà anche per assorbire le perdite sui crediti deteriorati.
Grazie alla cessione ad Amco, gli NPL di Mps sono scesi a 4,1 miliardi. Tuttavia, la quantità è destinata a salire a causa delle conseguenze economiche della pandemia da Covid-19 “a 5,8 miliardi quest’anno, e a 6,8 miliardi nel 2025, per un’incidenza del 7,4% sugli attivi. Meglio della media delle banche italiane oggi; ma peggio del 5% che la Bce auspica”.
Il documento elabora anche “uno scenario avverso, per cui i flussi di default 2021-23 salirebbero da 5 a 5,3 miliardi, portando al minimo il Cet 1 e con «un’eventuale emissione di bond At1» per supportare il patrimonio.

UniCredit, Bisoni: ‘per la banca l’unica priorità è l’AD’

Da UniCredit, intanto, arrivano alcune precisazioni sull’eventuale dossier delle nozze con Mps su cui il Tesoro tanto punta.
Intervistato dal quotidiano Il Sole 24 Ore, il presidente di UniCredit Cesare Bisoni lo dice chiaramente:
“Per UniCredit l’unica priorità è l’ad”, ovvero la scelta del successore di Jean Pierre Mustier che, con un annuncio che a dicembre ha scioccato i mercati e il mondo dell’alta finanza, ha deciso di dimettersi alla scadenza del suo mandato, dunque ad aprile.
Nelle ultime ore sembrano essere salite le quotazioni di Andrea Orcel, che beneficerebbe del sostegno dei “soci italiani come Leonardo Del Vecchio e le fondazioni Cariverona e Crt che frenano sull’ipotesi Mps” e che “vedrebbero bene un investment banker” alla guida della banca.
Romano, ex Goldman Sachs, Orcel è approdato in Merrill Lynch dove si è affermato guidando le principali operazioni in Europa, tra le quali alcune in Italia, come la stessa nascita di Unicredit nel 1998.
Alla domanda specifica su Mps, Bisoni ha così risposto:
“Preferisco non commentare su queste tematiche. Il Consiglio – ha chiarito – non accetterà mai alcuna operazione che non sia nell’interesse esclusivo del gruppo e dei suoi azionisti”.
In ogni caso “come ho già detto in questo momento la nostra priorità è l’identificazione del nuovo ad e la definizione della lista dei candidati da presentare all’Assemblea per il rinnovo del consiglio”.
Una cosa chiara che il presidente ha tenuto a rimarcare al Sole 24 Ore: “l’identità paneuropea di UniCredit non é in discussione, così come il ruolo fondamentale delle attività in Italia. Questo gruppo è una grande risorsa per questo Paese e per l’Europa e ne dobbiamo essere fieri”.

11 - Ebrei sionisti e statunitensi pronti a lanciare a gennaio 2021 missili atomici umanitari all'Iran. Già è stato deciso. Forse ci ripensano


Guerra all'Iran, neanche Netanyahu dà più retta a Pompeo

Le ultime 'rivelazioni' dell'amministrazione Trump sulla presenza di Al Qaeda in Iran. Ma nemmeno Israele ci crede...

Mike Pompeo e Netanyahu


Sembra essere una scena da thriller di un film di spionaggio. L’incontro avviene lunedì scorso nel popolare ristorate di Washington “Café Milano”. Al tavolo siedono due persone che hanno le mani in pasta nelle segrete vicende mediorientali: il segretario di Stato Usa Mike Pompeo e Yossi Cohen, il capo del Mossad, il servizio di sicurezza esterno d’Israele. Tra una settimana, il 20 gennaio, giorno della cerimonia d’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, per Pompeo i giochi finiscono. C’è però ancora il tempo per piazzare dei colpi che potrebbero incendiare la polveriera mediorientale.

I due uomini vanno al sodo e pianificano gli attacchi che di lì a quarantott’ore, Israele scatenerà contro obiettivi iraniani in Siria.

L’incontro pianificatore

Quei raid aerei sono anche un messaggio che Benjamin Netanyahu intende inviare al neo presidente democratico: con l’Iran non si tratta. Con l’Iran si fa la guerra. Per ora una guerra a bassa (ma neanche tanto) intensità, ma comunque guerra. E quella di queste ultime 24 ore è cronaca di guerra. E' di 40 uccisi il bilancio di raid aerei attribuiti a Israele nella Siria sud-orientale al confine con l'Iraq. Lo riferisce l'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), secondo cui 31 miliziani filo-iraniani sono stati uccisi nei bombardamenti assieme a nove soldati governativi siriani.

Si tratta, secondo l'Osservatorio, del più sanguinoso raid aereo compiuto nella zona contro postazioni filo-iraniane negli ultimi due anni e mezzo. Nel giugno del 2018, 55 tra miliziani filo-iraniani e soldati governativi siriani erano morti in bombardamenti aerei nella zona. Dal canto suo l'agenzia governativa siriana Sana ha confermato i raid aerei, attribuendoli al "nemico israeliano", senza però fornire dettagli in merito. Secondo l'Ondus, i raid della scorsa notte sono stati almeno 10 e hanno colpito tre diverse aree dove sono concentrate forze iraniane e filo-iraniane al confine siriano con l'Iraq. Le fonti locali affermano che sono stati colpiti postazioni e depositi di armi del Battaglione Fatimida, milizia filo-iraniana composta da combattenti afgani, degli Hezbollah libanesi e di gruppi armati iracheni che operano sotto l'ombrello dei Pasdaran iraniani. Le località colpite sono la periferia della città di Dayr az Zor, Albukamal e la periferia di Mayadin, tre città lungo la bassa valle del fiume Eufrate. Già ieri si erano registrati attacchi di non meglio precisate aviazioni militari contro postazioni filo-iraniane al confine tra Siria e Iraq. 

Al “Cafè Milano” è avvenuto qualcosa di inedito nella cooperazione tra Stati Uniti e Israele: gli americani non solo hanno fornito informazioni di intelligence al capo del Mossad, ma hanno copartecipato alla scelta degli obiettivi da colpire.

Israele ha lanciato centinaia di attacchi contro obiettivi militari collegati all'Iran in Siria nel corso degli anni, ma raramente riconosce o discute tali operazioni. Gli attacchi sono avvenuti in mezzo alle crescenti tensioni nella regione e alla preoccupazione che l'Iran possa effettuare attacchi per vendicare l'uccisione, lo scorso anno, di uno dei suoi principali comandanti, il generale Qassem Soleimani.

“Questi attacchi - annota Amos Harel, analista di punta di Haaretz - sfruttano quella che sembra essere sia una debolezza tattica che una confusione strategica da parte dell'Iran. Lo sforzo dell'Iran di approfondire il suo radicamento militare in Siria ha incontrato difficoltà, soprattutto dopo l'assassinio americano del generale Qassem Soleimani, il comandante della Forza Quds, il reparto di élite dei Guardiani della rivoluzione iraniana, nel gennaio 2020. Le agenzie di intelligence occidentali condividono la valutazione secondo cui il suo sostituto, il generale Esmail Ghaani, sta avendo difficoltà a prendere il posto di Soleimani e a condurre una campagna organizzata per conto degli interessi iraniani come ha fatto il suo predecessore. Nel frattempo, Teheran sta contando i giorni che mancano a Donald Trump per lasciare la Casa Bianca il 20 gennaio. Per ora gli iraniani si stanno concentrando su passi simbolici per inviare segnali all'America, come l'annuncio della ripresa dell'arricchimento dell'uranio ad un livello del 20 per cento. Contrariamente ai timori espressi sia in America che in Israele, non sono noti tentativi iraniani di utilizzare l'anniversario della morte di Soleimani della scorsa settimana per compiere un attacco di vendetta. Tuttavia, Israele non è ancora completamente convinto che il pericolo sia passato.

Israele è rimasto in allerta relativamente alta nelle ultime settimane a causa della sua valutazione che l'Iran avrebbe cercato di colpire obiettivi americani e israeliani per vendicare sia la morte di Soleimani che l'assassinio del capo del programma nucleare militare iraniano, il professore Mohsen Fakhrizadeh, alla fine di novembre. Quest'ultimo attacco, avvenuto a est di Teheran, è stato attribuito al Mossad.

Israele si è preparato alla possibilità di un attacco a lungo raggio da parte di iraniani o di milizie e gruppi ribelli sponsorizzati dall'Iran in Siria, Iraq o anche Yemen. Anche se il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah si è affrettato a dire che la sua organizzazione non avrebbe partecipato ai piani iraniani in questo caso, anche il confine libanese è stato tenuto in qualche modo all'erta.

L'establishment della difesa si è preparato a una serie di scenari. Questi includono il lancio di razzi, di missili balistici a lungo raggio, gli attacchi dei droni, i missili cruise e i tentativi di assassinare un diplomatico israeliano o di attaccare un'ambasciata o un consolato israeliano all'estero.

Finora non è successo nulla di tutto ciò – rimarca Harel -. Ciò può essere dovuto in parte alle difficoltà operative della Forza Quds in Iraq e in Siria. Tuttavia, l'ipotesi di lavoro di Israele è che gli iraniani considerano ancora il conto in sospeso, e che un attacco di vendetta arriverà ogni volta che Teheran ne vedrà l'opportunità.

I portavoce israeliani hanno recentemente parlato molto del dispiegamento dell'Iran nello Yemen per assistere i ribelli Houthi. Due settimane fa, i ribelli hanno effettuato un ambizioso attacco al nuovo governo yemenita proprio mentre i suoi ministri atterravano all'aeroporto di Aden, usando sia il fuoco dei razzi che i droni d'attacco. Più di 20 persone sono state uccise.

In un passo insolito, una batteria antimissile Iron Dome è stata recentemente dispiegata a Eilat. Nelle ultime settimane c'è stata anche un'attività insolita da parte di jet da combattimento nel sud di Israele. Apparentemente, questi fanno parte dello sforzo di Israele per interrompere ogni possibile attacco dal sud da parte di milizie filo-iraniane. Un tale attacco potrebbe comportare una minaccia diretta al territorio israeliano o una minaccia alla navigazione israeliana nel Mar Rosso.

Il Centro di ricerca sulla politica e la strategia marittima dell'Università di Haifa ha pubblicato la scorsa settimana la sua valutazione strategica per il prossimo anno. In essa il direttore dell'istituto, il dottor Shaul Chorev, ha discusso la crescente importanza del Mar Rosso.

"In questa regione, una delle principali rotte di navigazione del mondo, si sta svolgendo una battaglia per il controllo tra molti attori", ha scritto. "Data la crescente importanza del commercio israeliano con l'Asia, che passa attraverso queste rotte, così come gli stretti legami che diversi attori locali hanno con gli attori regionali e globali (come gli Houthi con l'Iran), Israele deve monitorare gli sviluppi in questa regione in modo approfondito e regolare".

L’Iran nel mirino

Per tornare a Pompeo, il fedelissimo di Trump ha accusato ieri l'Iran di essere la "nuova base" dell'organizzazione jihadista al-Qaeda, "peggio" dell'Afghanistan al momento degli attentati dell'11 settembre. In un discorso al National Press club di Washington, il capo (uscente) della diplomazia americana ha inoltre confermato ufficialmente per la prima volta l'uccisione a Teheran del numero due di al-Qaeda Abdullah Ahmed Abdullah, nome di battaglia Abu Muhammad al-Masri.

Stando a fonti bene informate a Tel Aviv, Pompeo avrebbe sollecitato Israele a sferrare un attacco diretto contro l’Iran, garantendo la copertura di Trump. Ma questo è sembrato troppo anche all’amico e sodale di The Donald, Benjamin Netanyahu. 

Va bene condizionare Biden, ma metterlo di fronte, neanche insediato alla Casa Bianca, a una guerra totale tra Israele e l’Iran, è un azzardo ritenuto tale anche dai falchi di Tel Aviv. Al segretario guerrafondaio non resta che consolarsi con il rosso Pompeo, il vino, che porta il suo nome, offertogli in regalo dal proprietario delle cantine Psagot, sulle colline a est di Ramallah, nel corso della recente visita dell’ex capo della Cia in Israele.

L'ebreo sionista per eccellenza è accusato di corruzione multipla e reiterate

Israele, il premier Netanyahu a processo l’8 febbraio

-13 Gennaio 2021

Israele, dopo alcuni rinvii, l’8 febbraio si terrà la prima udienza del processo contro il premier Netanyahu. Pesantissime le accuse nei suoi confronti. 

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L’emergenza sanitaria in Israele non accenna a placarsi, nonostante la nazione sia al momento la prima per numero di somministrazione dei vaccini contro il coronavirus. I contagi infatti continuano ad aumentare, in un momento in cui il governo è appena caduto dopo la mancata approvazione della Legge di Bilancio. Il paese dunque tornerà a votare a marzo, e in questo scenario si inserisce una notizia che potrebbe cambiare le sorti politiche di Israele. A breve infatti, inizierà il processo per corruzione contro il premier uscente Benjamin Netanyahu. La prima udienza era stata rimandata più volte negli ultimi mesi a causa del fatto che richiedeva la presenza in aula di un numero di persone incompatibili con le le misure anti assembramento disposte dal governo per contenere la diffusione del virus. 

Israele, le accuse nei confronti di Netanyahu

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E dopo un nuovo rinvio di alcuni giorni fa, i giudici sono finalmente riusciti a fissare una data per il processo, che inizierà l’8 febbraio quando la nazione non sarà più in lockdown (Questo infatti finirà, salvo cambiamenti, il 21 Gennaio). Le accuse nei confronti di Netanyahu sono molto pesanti, tra presunti regali che avrebbe accettato da alcuni imprenditori in cambio di favori e compiacenza politica e tentativi di corrompere la redazione del giornale Yediot Ahronot, in cambio di una stampa favorevole al suo governo. 

Infine, ci sono anche delle accuse di corruzione relative a quando ricopriva la carica di primo ministro favorendo, secondo i magistrati, con l’approvazione di alcune norme una compagnia di telecomunicazioni.

Morto uno degli ebrei sionisti più ricchi al mondo


Si spegne all’età di 87 anni Sheldon Adelson, il Rothschild della nostra epoca

13 Gennaio 2021
di David Zebuloni

Si spegne all’età di 87 anni uno degli imprenditori ebrei più influenti al mondo: Mr. Sheldon Adelson. Nonostante lui abbia spesso preferito agire da dietro le quinte, il nome di Adelson è ben noto e da sempre molto apprezzato in Israele. Diverse sono infatti le facoltà universitarie che portano il suo nome, nonché gli edifici e le strutture che sono state costruiste grazie al suo contributo, come il Museo della Shoah a Gerusalemme, Yad VaShem.

Anche dietro l’ambizioso progetto Taglit, un’organizzazione educativa che sponsorizza dei viaggi gratuiti a quei giovani ragazzi di origine ebraica che desiderano riscoprire le loro radici in Israele, si nasconde il nome di Sheldon Adelson. Tante sono le iniziative sioniste da lui finanziate. Donazioni provenienti dagli Stati Uniti dalle cifre astronomiche, mai viste prima nello Stato Ebraico. Non a caso al nome di Adelson viene spesso associato il titolo di filantropo, oltre a quello di imprenditore e magnate.

Nato a Boston nel 1933, il giovane Sheldon iniziò a lavorare già in giovane età, per contribuire a mantenere la povera famiglia dalla quale proveniva. Cominciò vendendo giornali agli angoli delle strade, poi, a soli dodici anni, avviò il suo primo progetto imprenditoriale. Da allora Adelson non smise di lavorare nemmeno un giorno della sua vita. Facendo un piccolo balzo temporale, scopriamo infatti che nel 2008 Adelson era il terzo uomo più ricco degli USA e il dodicesimo uomo più ricco del mondo, con un patrimonio stimato 26 miliardi di dollari. Oggi invece il suo patrimonio supera la stima di 30 miliardi di dollari.

Altro evento fondamentale nella vita di Sheldon Adelson fu l’incontro con Miriam Ochsorn, un medico israeliano specializzato in dipendenze e tossicodipendenze. Nel 1991 i due si sposarono e presto fondarono la Adelson Clinic, una rinomata clinica per abuso di droghe che nel 2018 ha portato la dottoressa Miriam Adelson a ricevere la Medaglia Presidenziale della Libertà. Il riconoscimento più alto negli Stati Uniti, concessole dall’allora presidente Donald Trump. L’evento fece storcere il naso a molti, in quanto la profonda amicizia che legava Sheldon a Donald era già nota a tutti.

Un’altra amicizia importante, fu quella con il premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Nel 2008, infatti, i coniugi Adelson fondarono il quotidiano Israel Hayom: un giornale israeliano dichiaratamente di destra che aveva e ha lo scopo di raccontare la realtà israeliana in termini più conservatori rispetto a quanto facciano le altre testate giornalistiche, più comunemente identificate con i partiti della sinistra storica israeliana. Essendo l’unico quotidiano distribuito gratuitamente in Israele, Israel Hayom è diventato nell’arco di pochi anni il giornale più diffuso e affermato del paese, portando così ad una vera riforma nel mondo del giornalismo.

“C’è chi ha avuto la fortuna di conoscere dei filantropi sionisti quali Rothschild e Montefiore”, ha dichiarato Boaz Bimuth, direttore di Israel Hayom. “Io invece ho avuto la fortuna di conoscere Sheldon Adelson, l’uomo più generoso che lo Stato d’Israele abbia mai conosciuto”. Anche il premier Benjamin Netanyahu ha ricordato l’amico sul profilo Facebook. “Con sua moglie Miriam, Sheldon è stato uno dei più grandi contributori della storia al popolo ebraico, al sionismo, agli insediamenti e allo Stato di Israele”, ha scritto Netanyahu. “I grandi sforzi di Sheldon per rafforzare la posizione di Israele negli Stati Uniti e per rafforzare il legame tra Israele e la diaspora saranno ricordati per generazioni.”

Il vaccino con modificazioni genetiche può produrre anche reazione avverse, come la morte. Casi in Svizzera, Francia, Messico, Stati Uniti e Norvegia


In Norvegia 23 morti dopo vaccinazione con preparato Pfizer-BioNTech
© AP Photo / Ginnette Riquelme
15:22 14.01.2021

In Norvegia gli esperti stanno cercando di far luce sul motivo del decesso di 23 persone dopo che erano state vaccinate contro il coronavirus con il preparato Pfizer-BioNTech, riporta l'agenzia norvegese per i medicinali.

"Ci sono stati 23 decessi legati al vaccino. Al momento 13 di questi sono stati studiati. Gli effetti collaterali comuni potrebbero contribuire ad un peggioramento delle patologie gravi nelle persone anziane", si afferma in un comunicato.

Come notato dall'agenzia del farmaco norvegese, ciascuno di questi casi è studiato attentamente. Intanto l'Istituto Nazionale di Salute ha leggermente modificato le raccomandazioni per la vaccinazione dei pazienti anziani con malattie gravi.

La vaccinazione contro il coronavirus con il preparato Pfizer è iniziata in Norvegia il 27 dicembre, con i residenti delle case di cura di Oslo che per primi hanno ricevuto i vaccini. Al momento sono state vaccinate più di 25mila persone. Come rilevato dalla compagnia televisiva nazionale NRK con riferimento all'agenzia, tutti i decessi sono stati registrati tra anziani di età superiore agli 80 anni con problemi di salute.
"Questi casi non sono particolarmente allarmanti. È chiaro che questo vaccino ha un fattore di rischio molto piccolo, con poche eccezioni quando si tratta di pazienti anziani in cattive condizioni di salute", NRK riporta le parole del rappresentante dell'agenzia Steinar Madsen.

Decessi o reazioni avverse dopo la somministrazione del vaccino Pfizer si sono registrati anche in altri Paesi, come Svizzera, Francia, Portogallo, Messico e Stati Uniti.

La Banca d'Italia vuole uccidere i piccoli proprietari della propria casa, e dichiara che in questo modo il sistema fiscale è equo affidabile e trasparente lo vuole il Vincolo Esterno di Euroimbecilandia

RIFORMA FISCALE/ Le “dimenticanze” di Bankitalia che ci causano 200 mld di danni

Pubblicazione: 15.01.2021 - Ciro Acampora

Si sta tornando a parlare di riforma fiscale, con le proposte di Bankitalia e Agenzia delle Entrate. Che sembrano dimenticare alcuni importanti aspetti



In piena campagna vaccinale torna di moda il tema della riforma fiscale con le audizioni in Parlamento di Banca d’Italia e Agenzia delle Entrate. La prima ha ben chiaro che il sistema tributario italiano va riformato perché sia di sostegno alla crescita della nostra economia provata dalla crisi sanitaria e dal lungo periodo di ristagno. Centrale è l’esigenza che si attui una decisa semplificazione e razionalizzazione del quadro normativo affinché il sistema tributario possa essere percepito come equo, affidabile e trasparente sia nel Paese che all’estero. Queste ultime sono condizioni essenziali per attrarre e avviare investimenti.

È stata sottolineata la progressività dell’Irpef alterata dalla presenza di centinaia di detrazioni e di altrettante imposte sostitutive che hanno minato l’efficienza e l’equità della tassazione. Il nuovo disegno tratteggiato per il sistema tributario passa per la riforma della tassazione sulle imprese, sui redditi finanziari e sul patrimonio. È stata rievocata per la tassazione delle imprese e del lavoro autonomo una soluzione già vista con l’Imposta sul reddito d’impresa (Iri), che però fu prima rinviata e poi abrogata nel 2019. L’Iri prevedeva l’applicazione di aliquote differenziate per il reddito d’impresa “prelevato” dall’imprenditore o dai soci, assoggettato a imposta progressiva personale, e il reddito mantenuto in azienda, tassato in via proporzionale alla medesima aliquota dell’Ires. In maniera evidente è stata trattata l’Imu sottolineando la criticità che la caratterizza ovvero la necessità che si proceda all'aggiornamento dei valori catastali ai valori di mercato (parola d'ordine, togliere le case ai piccoli proprietari). L’Imu, senza la revisione delle rendite catastali, accentua le disuguaglianze riservando un trattamento più favorevole ai proprietari di immobili localizzati in zone più centrali, con rendite meno aggiornate, e una penalizzazione per i proprietari di immobili di più recente costruzione. Viene sottolineata come un’anomalia la non applicazione dell’Imu alle abitazioni principali. La proposta di reintrodurre la tassazione della prima casa non appare una soluzione, ma forse maschera la volontà di introdurre una patrimoniale diffusa e stabile senza avere il coraggio di dirlo. Vista la proprietà diffusa della casa dove si vive non pare sia equo riparlarne.

L’AdE nella sua audizione in tema di riforma fiscale ha sottolineato il ruolo centrale del Parlamento sopendo, in questo modo, i dubbi di questi mesi di chi le addebitava la volontà di voler travalicare il proprio ruolo. Ritornando alla proposta tratteggiata è stato posto l’accento sulla preferenza per l’introduzione di una tassazione alla tedesca in base al quale l’imposta lorda sia calcolata in base a una formula matematica. Per le imprese e il lavoro autonomo viene proposta la tassazione per cassa riprendendo un’indicazione fornita da Ezio Vanoni oltre 70 anni fa e viene esaltato il ruolo del fisco telematico e delle dichiarazioni pre-compilate.

Innovativo è il ruolo richiesto per le agenzie fiscali. Viene auspicato il riconoscimento di un loro certo grado di autonomia sottolineando che non è una richiesta di indipendenza, ma una risposta all’esigenza di avere una gestione improntata a efficienza, che riempia lo “spazio” fra obiettivi predeterminati, a monte, e verifica dei risultati conseguiti, a valle, in un quadro chiaro di responsabilizzazione amministrativa. Dunque poco interesse per i temi di equità e molta intenzione di essere operativi contro l’evasione fiscale.

In questo quadro si innesta l’intervento della Cgia di Mestre, avvenuto al di fuori del Parlamento, che ha sottolineato come gli sprechi (legasi corruzione diffusa) nella Pa valgono il doppio dell’evasione fiscale per cui nel rapporto “dare-avere” tra lo Stato e il contribuente a rimetterci è quest’ultimo. Supporterebbero queste conclusioni, non scientifiche come sottolineato dalla Cgia, alcuni studi molto autorevoli che quantificano il danno economico per i contribuenti italiani in oltre 200 miliardi di euro all’anno. Un importo quasi doppio rispetto alla stima dell’evasione. La conclusione non è banale e non trova sponda nell’opinione pubblica che ha una forte sensibilità verso il tema dell’evasione e meno per le inefficienze della nostra macchina amministrativa.

L’aspetto interessante del nuovo metodo di trattare la riforma del sistema fiscale è la funzione attribuita al Parlamento, per così dire, di “decantazione” delle proposte, di sintesi fra le legittime istanze dei cittadini e i vincoli di sistema. Perché allora non coinvolgere le parti sociali e approfittare del momento di crisi per fare un buon lavoro? Oggi in piena crisi economica la proposta di un Governo di unità nazionale può essere la soluzione per una riforma che non sia la riforma di una parte.

Stati Uniti, uno stimolo di 1.900 miliardi di dollari certifica un'economia reale a pezzi. Basta un nonnulla e le esplosioni controllate sono annullate dalla caduta fragorosa ed inarrestabile della torre

SPY FINANZA/ La crisi nascosta dietro la cortina fumogena di impeachment e Ufo

Pubblicazione: 15.01.2021 - Mauro Bottarelli

È bastato parlare dell’intenzione di Biden di dar vita a mega-piano di stimoli all’economia per far schizzare il rendimento dei Treasuries Usa

Lapresse

Non ci sarà aumento dei tassi fino a quando non avremo inflazione al 2% per almeno un anno. Parola di Richard Clarida, vice-presidente della Fed. In sé, nulla che stupisca. Se non il fatto che il numero due di Jerome Powell abbia sentito il bisogno di puntualizzare questo concetto a poche ore dalla pubblicazione del dato ufficiale dei prezzi al consumo, quasi a voler rassicurare il mercato.

Davvero la lettura CPI era tale da rendere necessario questo intervento? Formalmente, no. Il +0,4% su base mensile di dicembre ha sì segnato il settimo aumento di fila, ma ha comunque portato il dato a a livello annuo al +1,4%, nulla che debba richiedere prese di posizione in modalità pompiere. Tanto più che una delle voci più sensibili, quella relativa alla casa, ha comunque inviato segnali positivi per i cittadini: l’inflazione generale a livello alloggiativo ha infatti segnato un +1,84% su base annua, lettura più bassa dal novembre 2011, mentre quella degli affitti al 2,28% è risultata ai minimi dall'ottobre dello stesso anno. C’è però un problema: se l’inflazione abitativa è ai minimi da dieci anni, come si spiega il prezzo delle case negli Usa attualmente ai massimi da sette con il suo +8%?

Stranezze del mondo fatato del Qe. Capite da soli che, alla luce di rilevazioni simili, le parole di Richard Clarida appaiano come vere e proprie assicurazioni sulla vita: se gli indicatori ufficiali dell’inflazione sono questi, il 2% per un anno intero a livello di Core CPI si raggiungerà forse nel 2035. Forse. C’è però una realtà che sfugge alla narrativa tutta unicorni e cieli azzurri della politica espansiva che non crea distorsioni ma solo un avvenire di prosperità, crescita e giustizia sociale. E ce la mostrano questi due grafici: come potete notare, c’è qualche piccolissimo problema di montante inflazione alimentare. Già oggi.


Ed ecco che Richard Clarida sembra voler subito tranquillizzare tutti: Come Fed, sappiamo cosa fare quando l’inflazione si muove verso l’alto. Di grazia, cosa? Solitamente, si alzano i tassi, al fine di drenare implicitamente la massa di denaro circolante, rendendo più caro il costo dello stesso ed evitando così una spirale di aumenti insostenibili per il potere d’acquisto. Insomma, un mezzo cortocircuito: si giura di non voler alzare i tassi fino a quando l’inflazione non sarà al 2% per un anno, ma se l’inflazione alzasse la testa, la Fed sa cosa fare. Quindi, alzare i tassi. Capite ora perché Oltreoceano, dopo la pagliacciata del Congresso, abbiano sentito il bisogno di mettere in piedi quella ancora più grande dell’impeachment 2.0, unita alla polemica legata a Twitter e Facebook e all'allarme per nuove manifestazioni violente, tanto da aver già schierato a Washington oltre un migliaio di uomini della Guardia nazionale in assetto anti-sommossa? E c’è di più: l’altro giorno, la CIA ha desecretato a sorpresa migliaia di documenti relativi agli Ufo. Nemmeno a dirlo, una delle prime notizie dei Tg statunitensi. Insomma, una cortina fumogena di quelle degne delle grandi occasioni. Wag the dog, come al solito.

Il motivo di un tale dispiegamento di effetti speciali? Semplice, il ghiaccio sta sciogliendosi sotto i piedi dei pattinatori. Sempre più in fretta. E la conferma arriva dal movimento al limite della schizofrenia dei tassi sui Treasuries statunitensi degli ultimi giorni, casualmente subito prima di due aste (poi rivelatesi record) di decennali e trentennali. Le quali hanno fatto sì il pieno, ma a fronte di una divergenza con tassi reali e breakevens che, per la prima volta, ha visto quei due proxies muoversi all’unisono e al rialzo, spingendo anche i tassi nominali verso un naturale (e sano) aumento. Tradotto, il vento sta cambiando. E lo testimonia, paradossalmente, proprio la Fed. Cos’ha permesso infatti a quelle aste di concludersi con un successone, nonostante gli enormi ammontare offerti e i timori sottotraccia? Il fatto che negli ultimi cinque giorni eminenti membri del Fomc come Loretta Mester, Esther George, James Bullard ed Eric Rosengren abbiamo ripetutamente negato la possibilità di una riduzione graduale degli acquisti mensili già nell’anno in corso. Il cosiddetto e famigerato tapering, comparso ufficialmente nelle minute della riunione di dicembre pubblicate la scorsa settimana.

Casualmente, da allora i rendimenti dei titoli di Stato Usa hanno cominciato – gradatamente ma senza sosta – a salire. Anche perché i verbali contenevano un riferimento da far tremate le vene ai polsi: sottolineando come alcuni rappresentanti avessero fatto presente come fosse il caso di cominciare a ragionare attorno a quell’eventualità. Veniva citato come modello e precedente di riferimento il 2013. Ovvero, il Taper tantrum innescato da Ben Bernanke, lo stesso che a tempo di record invio uno shock sui mercati emergenti più indebitati in dollari. Istanti dopo la pubblicazione di quelle righe, il decennale Usa prezzava l’1,187% di rendimento, il massimo da 10 mesi.

Ecco come Jim Reid di Deutsche Bank ha sintetizzato la situazione: I commenti coordinati dei vari governatori della Fed stanno aiutando i rendimenti dei bond Usa a comprimersi, ma resta un dato di fatto: dall’inizio del 2021 abbiamo avuto solo sette giornate lavorative ma contemporaneamente abbiamo già assistito a un dibattito a 360 gradi sulle possibilità di tapering.

Qualcosa non torna. Di fatto, il Re è nudo. E, come da copione, i cortigiani più fedeli scendono in campo per coprire con la loro voce quella del bambino che grida al mondo l’inconfessabile verità. E adesso? Adesso la situazione si complica. Parecchio. Perché questi grafici mostrano quale sia stata la reazione su rendimento del decennale e cambio del dollaro all'indiscrezione – emersa nella notte italiana fra mercoledì e giovedì – in base alla quale, dopo pesanti pressioni in tal senso da parte del futuro leader del Senato, Chuck Schumer, Joe Biden sarebbe intenzionato ad annunciare un piano di stimolo da 2 triliardi di dollari. Sulla Luna.



Non fosse altro per le due ragioni di cui vi parlavo nel mio ultimo pezzo. Ovvero, il fatto che Goldman Sachs vaticinasse un controvalore di quel programma non superiore ai 750 miliardi e che la precedente proposta democratica si fermasse a un più sobrio controvalore di 1,3 triliardi. E, soprattutto, che l’amministrazione Trump sia ricorsa a un livello di utilizzo del deficit mai registrato in tempi di pace, tale da richiedere un riavvolgimento veloce del nastro fino ai tempi della guerra in Vietnam. Difficile essere più espansivi, a meno di non contemplare fra le ipotesi percorribili quella di portare i libri dei conti pubblici in tribunale.

Signore e signori, madame Realtà è entrata a Palazzo. Per quanto i magheggi del Qe e della stamperia globale continuino a forzare le dinamiche e allontanare la resa dei conti con reazioni di mercato che fino a un quindicennio fa era ritenute assolutamente normali, tanto da essere spiegate nei libri di testo, arriva il momento in cui tutto si ferma. E accade di colpo, quando meno te lo aspetti. Un’intera settimana di non-stop tranquillizzante da parte dei governatori della Fed vanificata da un’indiscrezione della CNN rispetto alle reali intenzioni del Presidente per tamponare il fall-out della seconda ondata di pandemia sull’economia reale: scusate ma Wall Street con i suoi record, a detta di qualche genio, non rappresentava la cartina di tornasole dallo stato di salute della crescita Usa? E il combinato di intervento di Fed e Tesoro non è stato per settimane oggetto di invidia e citazioni da parte di alcuni leader politici del nostro Paese, quelli che rivendicavano con orgoglio il fatto che una Banca centrale deve fare la Banca centrale? Ovvero, in base al loro distorto e clientelare modo di pensare, stampare tutto il denaro necessario a finanziare deficit, così come si aumentano gli etti di pasta da buttare in pentola con l’aumentare dei commensali.

Non va così, invece. E stiamo per accorgercene. Tutti. Perché il rendimento dei Treasuries non è solo il barometro benchmark globale, il termometro della febbre di mercato. È soprattutto la base dei valori di VaR cui sono iscritti a bilancio qualche decina di triliardi di assets: alcuni buoni, altri meno buoni. La gran parte, immondizia imbellettata da valutazioni lunari garantite solo dalla liquidità della Fed. Si possono organizzare aste “pilotate” dagli short squeezes o garantite dal doom loop dei Primary dealers o ancora affollate in base al criterio da vaso comunicante che vede bond e titoli azionari performanti e richiesti allo stesso modo e nello stesso tempo. Ma la realtà, poi, torna a galla. E con un grado di sensibilità enorme, pari a quello della pelle scottata dal sole. Cui anche una carezza procura dolore: è bastata la voce di un piano di stimolo di quella entità, di fatto la certificazione di un’economia reale a pezzi e della totale inutilità in tal senso di quasi un anno di Qe anti-pandemico, per mandare di nuovo in orbita rendimenti e dollaro.

Si è comprato il rumors ma si venderà la notizia? Ovvero, Joe Biden nel discorso che ha tenuto poche ore fa in Delaware avrà smentito quell'indiscrezione, ridimensionandone l’ammontare? Poco cambia. Se Schumer ha fatto pressione, a tal punto da far giungere l’eco dei suoi suggerimenti anche alla stampa, significa che la situazione è straordinaria. E non per l’impeachment. E richiede soluzioni altrettanto estreme. Possono sembrare argomenti lunari, ma non lo sono. Quanto avete letto è solo ciò che sta accadendo sul mercato OGGI, sono i prodromi dello schianto che verrà e che coglierà molti apologeti delle Banche centrali con le braghe calate e la guardia abbassata, incapaci – nella loro miopia populista e nel loro culto del debito – di intravedere una crisi in progress, prima che questa gli si schianti in faccia. E lo stesso, purtroppo, sta accadendo ai daily traders, destinati insieme a Bitcoin a interpretare il ruolo di capro espiatorio del prossimo tonfo (mentre la Cina sarà il drappo rosso da agitare di fronte al toro infuriato dell’opinione pubblica occidentale, tanto per salvarsi la ghirba offrendo un nemico prêt-à-porter): come mostra questo ultimo grafico, tutte le protezioni e le coperture sono state abbandonate.


Sono tutti sbilanciati unicamente al rialzo. Basta un refolo. Una dichiarazione. Una Fed che cominci a perdere colpi nella sua recita rassicurante. E tutto cambia. In una notte. Come con Lehman Brothers. Esattamente come quei rendimenti dei Treasuries, passati dai cieli azzurri dell’asta trentennale ai nuvoloni neri della tarda serata sugli schermi della CNN. State pronti.

https://www.ilsussidiario.net/news/spy-finanza-la-crisi-nascosta-dietro-la-cortina-fumogena-di-impeachment-e-ufo/2116760/

Ad oggi Telegram è il social media più sicuro, MAI dimenticare che le regole non sono scritte dagli utenti ma che le subiscono e che in qualsiasi momento possono essere cambiate a loro sfavore

14 Gennaio 2021 22:27

Telegram: "Testimoni delle più grande migrazione digitale nella storia dell'umanità"

La Redazione de l'AntiDiplomatico


Il fondatore di Telegram, Pável Dúrov, ha pubblicato un "post " sul suo account del servizio di messaggistica di cui è cofondatore, dove ha elencato tutti i canali confermati sulla piattaforma dei leader nazionali.

"Potremmo essere testimoni della più grande migrazione digitale nella storia umana", ha detto lo sviluppatore russo, aggiungendo che "il già massiccio afflusso di nuovi utenti a Telegram è accelerato".

Dúrov ha annunciato che "come risultato di questo fenomeno globale, due presidenti hanno avviato i loro canali Telegram": il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro (@jairbolsonarobrasil) e il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan (@RTErdogan).

Questi canali si uniscono agli account già esistenti di altri leader: il presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador (@PresidenteAMLO), quello della Francia, Emmanuel Macron (@emmanuelmacron), il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu (@bnetanyahu), il Primo Ministro di Singapore, Lee Hsien Loong (@leehsienloong), il Presidente dell'Ucraina, Vladimir Zelenski (@V_Zelenskiy_official), il Presidente dell'Uzbekistan, Shavkat Mirziyoyev (@shmirziyoyev), il leader taiwanese Tsai Ing-wen (@iingtw) e il primo ministro dell'Etiopia Abiy Ahmed Ali (@AbiyAhmedAliofficial).

Tra i leader che al momento hanno fatto ricorso all'uso di Telegram non figura Donald Trump . In precedenza, la piattaforma contrassegnava come "frode" un canale chiamato "Donald J. Trump" che ha più di 500.000 follower. 

Dúrov ha aggiunto che i canali confermati hanno sempre "un segno di spunta blu" e ha confessato di "sentirsi onorato che i leader politici, così come numerose organizzazioni pubbliche, si fidino di Telegram per combattere la disinformazione".

"A differenza di altre reti, Telegram non utilizza algoritmi non trasparenti per decidere se un abbonato vedrà il contenuto a cui si è iscritto o meno. Di conseguenza, i canali di Telegram sono l'unico modo diretto per gli opinion leader di connettersi in un modo affidabile con il loro pubblico", ha assicurato.

I soldi delle rivoluzioni colorate vengono dagli Stati Uniti, a capo dell'organizzazione viene messa la più spregiudicata

Biden nomina a capo di USAID una specialista dell’esportazione della democrazia

Maurizio Blondet 15 Gennaio 2021 

Il presidente eletto degli Stati Uniti Joe Biden ha scelto la politica democratica di lunga data Samantha Power a capo dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID). “Semplicemente non c’è nessuno migliore per rendere la nostra agenda di sviluppo un pilastro centrale della nostra politica estera”, ha detto in una dichiarazione video.

USAID – United States Agency for International Development – si autodefinisce organizzazione umanitaria, che dà aiuti per lo sviluppo dei paesi poveri. In realtà è stata determinante nel finanziare una serie di operazioni di cambio di regime in tutto il mondo. I fondi dell’USAID sono stati utilizzati per sostenere le insurrezioni dell’opposizione in Venezuela e Nicaragua, ad esempio, mentre l’organizzazione ha continuato a utilizzare le sue sovvenzioni per fornire formazione alla leadership ai suoi candidati politici preferiti a livello globale. Allen Weinstein, co-fondatore del National Endowment for Democracy, un’organizzazione finanziata dall’USAID, ha detto al Washington Post: “Molto di quello che facciamo oggi è stato fatto sotto copertura dalla CIA 25 anni fa”.

La nomina di Power è stata fortemente sostenuta dal vicepresidente di Biden Kamala Harris. “Una delle sfide più urgenti che la nostra nazione deve affrontare è ripristinare e rafforzare la leadership globale dell’America come sostenitrice della democrazia, dei diritti umani e della dignità di tutti”, ha detto Harris.

L’USAID, insieme alle altre ONG americane National Endowment for Democracy (NED), Project for the New American Century (PNAC) ha sostenuto l’Open Society Institute dell’investitore statunitense George Soros nell’organizzare le manifestazioni in Macedonia.

Secondo Wikileaks, Soros e le ONG hanno utilizzato il Center for Applied Nonviolent Action and Strategies (Canvas) per il progresso. Dai documenti di Wikileaks risulta che Canvas è finanziato in parte dalle organizzazioni statunitensi Freedom House, International Republican Institute, NED, Open Society Institute, United States Institute of Peace e USAID. L’istituto francese ” Centre français de recherche sur le renseignement (CF2R)“Riferisce che l’ex direttore della CIA James Woolsey è responsabile della formazione degli attivisti operativi sulla Rete.


Stati Uniti, vietato tassare il sistema finanziario che può scorazzare libero per il mondo a ingozzarsi di soldi

Confronto di cifre

Maurizio Blondet 15 Gennaio 2021 

Dal Financial Times:


Sembra – ed è – una cifra astronomica , inimmaginabile. Un trilione sono mille miliardi di dollari. Nel disegno di legge Biden , di questi 1,9 oltre 1 trilione andrebbe per aiuti diretti, e 440 miliardi di dollari per enti locali e imprese – più del doppio del disegno di legge bipartisan da 900 miliardi di dollari approvato il mese scorso.

Cifra fantastica per i poveri e gli impoveriti. Ma confrontiamola con


La corsa record del mercato azionario è un’ottima notizia per BlackRock:

BlackRock ( BLK ) , la più grande società di gestione del denaro al mondo, ha chiuso l’anno con quasi $ 8,7 trilioni di attività totali, un aumento del 17% rispetto a un anno fa.

Circa 2,7 trilioni di dollari degli asset gestiti da BlackRock sono negli ETF iShares della società. È aumentato del 19% dalla fine del 2019. Gli investitori hanno investito quasi 79 miliardi di dollari di nuovi fondi nei fondi iShares solo nel quarto trimestre.

Le azioni di BlackRock sono aumentate di quasi il 50% negli ultimi 12 mesi, mentre il Financial Select Sector SPDR Fund ( XLF ) , un ETF che detiene la maggior parte delle principali banche americane, è cresciuto solo dell’1%.

Dunque il fondo finanziario speculativo ha in pancia quasi 5 volte l’enorme, astronomica, inaudita cifra che Biden vuole creare dal nulla per alleviare la condizione del popolo americano devastato dal covid-collasso. Si aggiunga che la proposta di Biden verrà sicuramente silurata dai repubblicani.

In un mondo reale, la soluzione sarebbe auto evidente: un prelievo fiscale su Blackrock basterebbe a finanziarie gli aiuti promessi da Biden. Ma, strano, nessuno lo propone.

In banconote da 100 dollari, che volume occupa un milione, un miliardo, un trilione?