la polemica non è un male, è solo una forma di confronto crudo sincero, diciamo tutto quello che pensiamo fuori dai denti, e vediamo se riusciamo a far venir fuori le capacità di cui siamo portatori e spenderle per il Bene Comune. Produrre, organizzare, trovare soluzioni, impegnarci a far rete, razionalizzare e mettere in comune, attingere alle nostre risorse. CUI PRODEST? Pensa cchiu' a chi o' dicè ca' a chello ca' dice
L'albero della storia è sempre verde
L'albero della storia è sempre verde
"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"
sabato 17 luglio 2021
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Lo stregone maledetto c'è riuscito ha privatizzato la sanità pubblica. Sancito anche nella pubblica amministrazione il precariato a vita. Il voto inutile ai partiti attuali succubi della finanza internazionale
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Macron dovrà soccorrere l’industria auto della Francia? Report Le Monde

In Francia l’industria dell’auto chiede aiuto a Emmanuel Macron di fronte ad una transizione energetica “devastante”. L’articolo di Le Monde
La filiera francese dell’industria automobilistica – scrive Le Monde – chiede 17,5 miliardi di euro di sostegno statale per accompagnare la graduale scomparsa del motore a combustione senza rotture sociali.
Il Presidente della Repubblica dovrebbe ricevere, lunedì 12 luglio, all’Eliseo, un’industria automobilistica particolarmente preoccupata. Emmanuel Macron dovrebbe fare il punto della situazione del settore un anno dopo l’attuazione del piano di salvataggio nell’estate del 2020 e soprattutto in vista degli arbitrati del “Green Deal” della Commissione europea, previsto per mercoledì 14 luglio. Tutti si aspettano decisioni radicali: riduzione drastica delle emissioni di CO2 dell’automobile e divieto del motore a combustione entro il 2035.
“Questa accelerazione avrà conseguenze devastanti”, avverte Luc Chatel, presidente della Plateforme filière automobile (PFA), l’ente pubblico che rappresenta il settore e i suoi 400.000 posti di lavoro in Francia. “Se a questo aggiungiamo il futuro standard Euro 7 in preparazione, che si preannuncia molto severo, e le decisioni locali di divieto, come la fine del diesel nel 2024 a Parigi, ci ritroviamo con l’obbligo di muoverci molto rapidamente verso un’unica soluzione tecnologica che è l’auto elettrica a batteria. In altre parole, la Commissione getta via cento anni di know-how europeo e sceglie invece una tecnologia in cui i cinesi sono dieci anni avanti a noi”.
Il signor Chatel, con una delegazione di alcuni dei principali capi e sindacalisti del settore, perorerà quindi la causa di un’industria centenaria coinvolta in un vortice di trasformazioni senza precedenti. “Ci sono due scenari: quello del declino, con il rischio di vedere scomparire 100 000 posti di lavoro entro il 2035, ma anche quello del recupero, che implica un forte sostegno dello Stato che stimiamo in 17,5 miliardi nei prossimi quattro anni”.
Per “fare un successo della batteria elettrica”, il PFA ritiene che le autorità pubbliche dovrebbero iniziare accelerando – con una A maiuscola – l’attuazione delle stazioni di ricarica rapida pubbliche. “Alla fine di marzo 2021, la Francia ne aveva solo 31.000. Dovremmo avere 100.000 stazioni di ricarica entro la fine dell’anno”, nota il signor Chatel, “e ne abbiamo bisogno di 700.000 entro il 2030. C’è stato uno sforzo, ma siamo ancora lontani. Abbiamo bisogno di un vero cambio di passo, un piano Marshall di 8,5 miliardi di euro per i terminali entro il 2025”.
Il settore vuole anche evitare una retrocessione della Francia nella seconda divisione dell’industria delle auto a zero emissioni. La PFA ritiene che per mantenere la sua posizione, la Francia dovrebbe essere in grado di rappresentare il 20% del mercato europeo delle batterie, il 25% del mercato dell’idrogeno e il 25% del mercato dell’elettronica di potenza, che è una componente essenziale di un’auto elettrica, entro il 2030. Per sostenere questa ambizione, il settore avrebbe bisogno di aiuti per 9 miliardi di euro da qui al 2025, di cui 6,6 miliardi solo per l’industria delle batterie.
Ridurre il divario di competitività all’interno dell’Unione Europea
L’altra grande richiesta dei produttori del settore è una riduzione del divario di competitività all’interno dell’Unione Europea. “In Francia, il prezzo di costo della fabbricazione di un veicolo è di 600 euro più alto che nell’Europa dell’Est e di 300 euro più alto che nell’Europa del Sud”, spiega Luc Chatel. Il PFA chiede anche un aiuto alle PMI francesi per la loro robotizzazione, che è molto in ritardo rispetto agli equivalenti paesi industrializzati (compresa la Cina), così come un aumento del fondo sociale per sostenere questi cambiamenti, che attualmente ha 50 milioni di euro.
Al fianco del signor Chatel e degli appaltatori del settore, i rappresentanti dei lavoratori porteranno le loro rivendicazioni. “Se la fine dell’energia termica è annunciata per il 2035, ne prenderemo atto”, dice Valentin Rodriguez, segretario federale della federazione FO-Metals, “ma deve essere fatto senza rotture sociali e con un buon livello di aiuti per la transizione. La questione per i sindacati sarà soprattutto la localizzazione francese della produzione di auto elettriche e dei loro componenti. Su questo punto, i produttori devono anche cambiare il loro programma”, nota il signor Rodriguez. Sarebbe utile creare o rilanciare il marchio Made in France.
Su questo tema del “made in France”, la questione del futuro delle auto ibride ricaricabili, dotate di un motore a combustione interna che dovrebbe essere vietato, sarà probabilmente un tema scottante. “Molti di loro escono dalle fabbriche francesi”, sottolinea Luc Chatel. D’altra parte, i sostenitori di una transizione rapida ritengono che sarebbe un errore strategico aggrapparsi ad essa. “Gli ibridi non soddisfano gli obiettivi climatici”, dice Diane Strauss, direttore per la Francia della ONG Transport & Environment. “Per essere competitivi e raggiungere la parità di prezzo tra auto a combustione ed elettriche nel 2026, i produttori devono concentrarsi sul 100% elettrico”.
(Estratto dalla rassegna stampa di Epr)
è proprio il vaccinismo così cieco e assoluto da tollerare anche preparati non sperimentati e da ignorare il numero assolutamente abnorme di reazioni avverse, la scarsa efficacia dei preparati e i dubbi sulla loro azione, ad essere tipico del pensiero magico

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Non oggi ma da sempre le multinazionali vengono in Italia fanno i loro interessi anche con i lauti e gustosi aiuti di stato e poi se ne vanno, una lezione che la politica dei nostri politicanti non riesce ad imparare ma che a ogni pie sospinto apre bocca e riempie l'aria di rendere l'Italia sempre più appetibile per gli investitori esteri. Stupidi patentati!


