L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 14 agosto 2021

17 settembre 2019 entra in funzione la stamperia della Fed che è dovuta intervenire per la crisi di liquidità interbancario e a gennaio scatta l'operazione influenza covid con l'avallo anche della Cina. E noi poveri comuni mortali ci troviamo a combattere dopo 1 anno e mezzo di paure e angosce a quel buffone, perchè sa e non dice, del governo Draghi, lo stregone maledetto, il vaccino sperimentale si vaccino no. E la paura e il terrore diventano metodo di governo

Paradigma Covid: collasso sistemico e fantasma pandemico

di Fabio Vighi
22 giugno 2021


A un anno e mezzo dall’arrivo di Virus, qualcuno forse si sarà chiesto perché la classe dominante, per sua natura senza scrupoli, abbia messo nel congelatore la macchina del profitto a fronte di un patogeno che si accanisce quasi esclusivamente contro i soggetti improduttivi – quegli ultra-ottantenni che, tra l’altro, da tempo mettono a dura prova il sistema pensionistico. Perché, improvvisamente, tutto questo zelo? Cui prodest? Solo chi non conosce le mirabolanti avventure di GloboCap (capitalismo globale) può illudersi che il sistema chiuda i battenti per spirito caritatevole. Ai grandi predatori del petrolio, delle armi, e dei vaccini, non frega proprio niente dell’umanità.

Quale emergenza?

Prima di entrare nel vivo della discussione facciamo un passo indietro all’estate 2019, quando l’economia mondiale, a 11 anni dal collasso del 2008, era di nuovo sull’orlo di una crisi di nervi.

Giugno 2019: La ‘Banca dei Regolamenti Internazionali’ (BRI), potentissima ‘banca centrale di tutte le banche centrali’, con sede a Basilea, lancia un grido d’allarme sulla sostenibilità del settore finanziario. Nel suo Rapporto Annuale la BRI evidenzia il forte rischio di “surriscaldamento [...] nel mercato dei prestiti a leva”, dove “gli standard del credito si sono deteriorati” e “sono aumentate le obbligazioni garantite da collaterale (CLO).” Si tratta di prestiti erogati a società iper-indebitate che vengono poi messi sul mercato come bond. In parole povere, la pancia dell’industria finanziaria è di nuovo piena di spazzatura.

9 agosto 2019: Sempre la BRI pubblica un working paper in cui si chiedono esplicitamente “misure non convenzionali di politica monetaria” finalizzate a “isolare l’economia reale da un ulteriore deterioramento delle condizioni finanziarie”.

15 agosto 2019: BlackRock, il fondo di investimento più potente al mondo, pubblica un documento ufficiale in cui si ‘suggerisce’ alla Federal Reserve di iniettare liquidità direttamente nel sistema finanziario per prevenire “una drammatica recessione”. Confermando l’allarme della BRI, BlackRock sostiene che “è necessaria una risposta senza precedenti”, ovvero “un’azione diretta [going direct]”, da parte della banca centrale. Un piano che, come tale, comporta un rischio ben preciso: “l’iperinflazione. Gli esempi includono la Repubblica di Weimar negli anni ’20, così come, più di recente, l’Argentina e lo Zimbabwe.”

22-24 agosto 2019: I banchieri centrali del G7 si incontrano a Jackson Hole, nel Wyoming, per discutere il suddetto documento di BlackRock a fronte di una crescente volatilità finanziaria. James Bullard, presidente della Federal Reserve di St Louis, afferma: “Dobbiamo smettere di pensare che il prossimo anno le cose saranno normali”.

15-16 settembre 2019: La crisi finanziaria viene ufficialmente inaugurata da un picco dei tassi repo, che schizzano dal 2% al 10,5% nel giro di poche ore. ‘Repo’ sta per repurchase agreement, contratto finanziario in cui i grandi fondi di investimento prestano denaro dietro collaterale (tipicamente bond governativi). Al momento dello scambio, l’operatore finanziario (banca) si impegna a riacquistare il collaterale a un prezzo più alto, tipicamente nel giro di poche ore (overnight). In breve, i repo sono prestiti garantiti, l’equivalente dei nostri ‘pronti contro termine’. Fanno parte dello shadow banking system, gigantesco apparato di intermediazione finanziaria parallelo e complementare alla rete tradizionale, ma libero da vincoli di vigilanza. La funzione dei repo è consentire alle banche di ottenere liquidità a breve termine per rimanere attive nel settore speculativo, soprattutto nella galassia dei derivati. Una mancanza di liquidità nei repo, che solo negli USA muovono circa 3.000 miliardi di dollari al giorno, può scatenare una devastante reazione a catena su tutti i principali mercati. L’impennata dei tassi nella notte tra il 15 e il 16 settembre 2019 finisce per prosciugare l’erogazione del credito. La notizia fa il giro del mondo (vedi qui, qui, e qui) ma viene sottostimata dal mainstream.

17 settembre 2019: La Fed inaugura un programma monetario emergenziale che prevede la creazione settimanale di centinaia di miliardi di dollari da iniettare nel sistema finanziario, esattamente come suggerito da BlackRock. Non sorprende che, nel marzo 2020, la Fed affidi proprio a BlackRock la gestione del pacchetto di salvataggio in risposta alla ‘crisi pandemica’.

18 ottobre 2019: a New York viene simulata una pandemia zoonotica globale nell’ormai celebre Event 201, esercizio strategico coordinato dal Johns Hopkins Biosecurity Center e dalla Bill and Melinda Gates Foundation.

21-24 gennaio 2020: A Davos, in Svizzera, il World Economic Forum (WEF) discute di economia e di vaccini.

23 gennaio 2020: La Cina chiude Wuhan insieme a altre città della provincia di Hubei.

11 marzo 2020: Il direttore generale dell’OMS definisce il Covid-19 una pandemia. Il resto è storia.

Se colleghiamo i fatti sopracitati, emerge un’ipotesi riassumibile nel modo seguente: i lockdown, e dunque la sospensione globale delle transazioni economiche, hanno permesso alla Fed di inondare i mercati finanziari di denaro fresco di stampa arginando il rischio iperinflazione, che si sarebbe scatenata se quella massa di denaro avesse raggiunto l’economia reale. Tra settembre 2019 e marzo 2020 la Fed ha pompato più di 9.000 miliardi di dollari nel sistema interbancario, pari a più del 40% del PIL statunitense.

Per comprendere le ragioni della pandemia dobbiamo inserirla nel contesto economico che le spetta. Pochi mesi prima della comparsa del SARS-CoV-2, la Fed stava cercando di domare l’incendio che divampava nel sistema interbancario. Sappiamo che nel magico mondo della finanza, tout se tient. Uno battito d’ali di farfalla in un certo settore può far crollare l’intero castello di carte; a maggior ragione in un sistema drogato di debito, sorretto cioè da credito erogato a tassi vicini o pari a zero. Se lasciato al suo corso, l’incendio avrebbe contagiato i cicli economici globali legati a produzione e distribuzione, attraverso un effetto domino di insolvenze e default di tale portata da minare persino la tenuta del dollaro quale valuta di riserva globale.

Ci sono buone ragioni per sospettare che la crisi di liquidità nei circuiti finanziari fosse divenuta esiziale, al punto da imporre l’extrema ratio del congelamento dell’economia. Solo un coma economico indotto avrebbe garantito alla Fed lo spazio d’azione necessario a sbrogliare la matassa finanziaria. Dietro il paravento pandemico la Fed ha lavorato alacremente a tappare le voragini apertasi nel sistema dei prestiti interbancari, aggirando sia l’iperinflazione che il Financial Stability Oversight Council (agenzia federale per il monitoraggio del rischio finanziario creata nel 2010). Come ha scritto l’economista Ellen Brown, si sarebbe trattato di un altro bailout (salvataggio), ma questa volta sotto le mentite spoglie di un virus. John Titus, che da anni vigila sulle operazioni della banca centrale americana, non ha dubbi: “La pandemia virale è la narrazione di copertura [cover story] che ha permesso alla Fed di dare il via al piano BlackRock con un’ondata di acquisti massicci e del tutto senza precedenti.” Altri sono arrivati alla medesima conclusione.

In questa sede non importa stabilire dove esattamente si trovasse la miccia, perché quando l’aria è satura di materiali infiammabili qualsiasi scintilla può causare l’esplosione. Preme piuttosto constatare che nell’autunno del 2019 il sistema finanziario avesse raggiunto un’altra volta il punto di non ritorno. La vulgata del mainstream andrebbe dunque rovesciata: la finanza non è crollata perché è stato necessario imporre i lockdown; piuttosto, è stato necessario imporre i lockdown perché la finanza stava crollando. Il congelamento delle transazioni commerciali ha infatti drenato la circolazione del denaro e la richiesta di credito. Ciò ha permesso la ristrutturazione dell’architettura finanziaria attraverso manovre monetarie straordinariamente aggressive, possibili solo all’ombra di un’economia bloccata. E se oggi si comincia a riaprire, lo si fa con estrema cautela, evocando ‘varianti’ che andrebbero interpretate come sintomi dissimulati del rischio inflazionistico, autentica spade di Damocle da cui non si capisce come potremo liberarci.

A mio modo di vedere siamo di fronte a un cambio di paradigma. La gestione autoritaria di economia e società si impone come condizione necessaria alla sopravvivenza (distopica) del capitalismo stesso, che non è più in grado di riprodursi attraverso il lavoro salariato di massa e l’annessa utopia consumistica. L’agenda che ha partorito il fantasma della pandemia come religione sanitario-vaccinale nasce dalla percezione della sopravvenuta impraticabilità di un capitalismo a base liberal-democratica. Mi riferisco al crollo di redditività di un modello industriale reso obsoleto dall’automazione tecnologica, e per questo sempre più vincolato a debito pubblico, bassi salari, centralizzazione di ricchezza e potere, stato d’emergenza permanente, e alla creatività del settore finanziario, dove il denaro si moltiplica da sé, per partenogenesi.

Se partiamo da questo assunto, noteremo che il blocco dell’economia subdolamente attribuito all’emergenza sanitaria ha ottenuto risultati tutt’altro che disprezzabili in termini capitalistici. Ne sottolineo rapidamente quattro: 
1) Ha permesso alla Fed di riorganizzare il settore finanziario grazie alla stampa di miliardi di dollari a getto continuo; 
2) Ha accelerato il processo di estinzione delle piccole e medie imprese, consentendo ai maggiori gruppi di potere di monopolizzare i flussi di commercio, legandoli alle politiche monetarie delle banche centrali; 
3) Ha ulteriormente alleggerito il costo del lavoro, facilitando inoltre cospicui risparmi attraverso lo smart working (che è smart soprattutto per chi lo impone); 
4) Ha favorito la crescita dell’e-commerce, l’esplosione dei Big Tech, e la proliferazione del farma-dollaro – inclusa la tanto denigrata industria della plastica, che ora produce milioni di mascherine e guanti alla settimana, molti dei quali finiscono in mare (per la gioia dei green new dealers). 

Nel solo 2020, la ricchezza dei circa 2.200 miliardari del pianeta è cresciuta di 1.9 trilioni di dollari, aumento senza precedenti storici. Tutto ciò grazie a un virus talmente devastante che, stando ai dati ufficiali (OMS), almeno il 99.8% degli ‘infetti’ guarisce.

L’ipotesi del motivo economico deve dunque essere inserita in un più ampio e complesso contesto di trasformazione sociale. Lo scenario che ci si prospetta, se solleviamo il velo di Maya, è di carattere marcatamente neo-feudale. Masse di consumatori sempre meno produttive vengono regimentate, semplicemente perché i nuovi glebalizzatori non sanno più che farsene. Insieme ai sottoccupati e agli esclusi, il ceto medio impoverito diventa un problema da gestire con il bastone del lockdown (a breve anche in versione climatica [CROLLO CLIMATICO]), del coprifuoco, della propaganda, e della militarizzazione della società, piuttosto che con la carota del lavoro, del consumo, della democrazia partecipativa, dei diritti sociali (sostituiti nell’immaginario collettivo dai diritti civili delle minoranze), e delle ‘meritate vacanze’.

È dunque da illusi pensare che lo scopo delle chiusure sia terapeutico e umanitario. Quando mai il capitale si è preso cura dei suoi sudditi? Indifferenza e misantropia sono da sempre i tratti tipici del nostro modo di produzione, la cui unica vera passione è il profitto, e il potere che ne deriva. Oggi la classe dominante fa capo ai tre maggiori fondi di investimento al mondo: BlackRock, Vanguard e State Street Global Advisor. Questi giganti, posizionati al centro di un’enorme galassia di entità finanziarie, gestiscono una massa di valore vicina alla metà del PIL globale, e sono i maggiori azionisti in circa il 90% delle società quotate in borsa. Attorno a loro gravitano istituzioni transnazionali come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, il Forum Economico Mondiale, la Commissione Trilaterale, e la Banca dei Regolamenti Internazionali, la cui funzione è coordinare il consenso all’interno della costellazione finanziaria. Non è difficile ipotizzare che in tale ambito vengano prese tutte le principali decisioni strategiche, non solo di carattere economico ma anche politico e militare.

D’altra parte, come potremmo fidarci di un mega cartello farmaceutico (l’OMS) che si occupa non di ‘salute pubblica’, ma di commercializzare prodotti privati in tutto il mondo alle tariffe più redditizie possibili? I problemi di salute pubblica, semmai, derivano da condizioni di lavoro ignobili, cattiva alimentazione, inquinamento di aria, acqua e cibo, e soprattutto da una dilagante povertà; eppure nessuno di questi ‘patogeni’ rientra nella lista delle preoccupazioni umanitarie dell’OMS. L’enorme conflitto di interesse tra i predatori lombrosiani dell’industria farmaceutica, le agenzie mediche nazionali e sovranazionali, e gli esecutori politici, è ormai un segreto di Pulcinella. Non deve stupire che il giorno in cui l’OMS ha classificato COVID-19 come pandemia, il WEF, insieme all’OMS stessa, ha lanciato la Covid Action Platform, una coalizione per la “protezione della vita” gestita da oltre 1.000 tra le aziende private più potenti al mondo.

Mettiamoci in testa che l’unica cosa che conta per chi dirige l’orchestra emergenziale è soddisfare la fame di profitto e potere, e dunque ogni mossa è programmata in tal senso. D’altronde, se chi produce armi provoca guerre, chi produce farmaci deve inventarsi malattie. Non a caso la ‘salute pubblica’ è il settore di gran lunga più remunerativo dell’economia mondiale, al punto che Big Pharma spende circa tre volte più di Big Oil e il doppio di Big Tech in finanziamenti lobbistici. La domanda potenzialmente infinita di vaccini e intrugli genici vari offre ai cartelli farmaceutici la prospettiva di flussi di profitto pressoché illimitati, specie quando garantiti da programmi di vaccinazione di massa sovvenzionati da denaro pubblico (altro debito che ricadrà sulle nostre teste).

Perché tutte le cure precoci al Covid, dall’efficacia comprovata, sono state criminosamente sabotate? Come ammette candidamente la FDA (Food & Drug Administration, organo ufficiale americano in materia di salute pubblica) l’utilizzo di vaccini emergenziali è possibile solo se “non ci sono alternative adeguate, approvate e disponibili”. Le terapie domiciliari avrebbero aiutato a ridurre i ricoveri, mettendo fine all’emergenza ospedaliera. Ma l’operazione Covid mira a salvaguardare i privilegi economici, non la salute dei cittadini. Chi ancora si ostina a negarlo diventa complice di un sistema che, per sopravvivere, deve terrorizzare.

D’altra parte, la messinscena emergenziale attecchisce grazie a un palese difetto democratico, che si evidenzia nella feroce manipolazione dell’opinione pubblica. Ogni ‘dibattito pubblico’ è spudoratamente privatizzato, ovvero monopolizzato dalla religiosa osservanza di un Verbo tecnico-scientifico a libro paga delle élites economiche. Ogni ‘libera discussione’ è legittimata dall’adesione a postulati pseudo-scientifici accuratamente depurati sia dal contesto socio-economico che dalla possibilità del dubbio e del confronto. Il pensiero unico dei virologi di regime, talmente bislacchi da cambiare opinione con la frequenza con cui si cambiano i calzini, si fonda sulla censura di premi Nobel come Luc Montaigner, o giganti della microbiologia come Didier Raoult; per non citare dozzine di altre eccellenze scientifiche silenziate dal mainstream.

La salute pubblica privatizzata è da tempo un mezzo di ingegneria sociale, oltre che di leva economica. Si può dire che abbia sostituito la religione come avanguardia ideologica dell’imperialismo capitalista, come ben comprese il filantropo Frederick T. Gates, nonno di Bill e principale consigliere commerciale del grande industriale del petrolio John Rockefeller. Nel 1901, Gates nonno convinse Rockefeller a fondare una struttura di ricerca di medicina sperimentale contro le malattie infettive, il Rockefeller Institute for Medical Research (poi Rockefeller University) – buon sangue non mente.

In breve, per COVID-19 non ci è difficile immaginare il seguente quadro strategico. Si prepara una narrazione fittizia sulla base di un potenziale rischio epidemico presentato in modo tale da favorire comportamenti di estrema sottomissione. Per far questo basta un virus influenzale di ambigua collocazione epidemiologica, su cui costruire un’aggressiva narrazione di contagio relazionabile a aree geografiche in cui è alto l’impatto di polmoniti e malattie respiratorie o vascolari nella popolazione anziana e immunodepressa, magari con l’aggravante del forte inquinamento. Non c’è neppure bisogno di inventarsi granché, visto che le terapie intensive in paesi ‘avanzati’ come l’Italia erano già al collasso negli anni precedenti all’arrivo del Covid, con picchi di mortalità per i quali nessuno si era però sognato di riesumare la quarantena.

Ma questa volta si fa sul serio: si dichiara uno stato di emergenza che scatena il panico generalizzato, l’intasamento di pronto soccorso, ospedali e case di cura (in Italia, le sole infezioni ospedaliere causano circa 50.000 decessi annui), l’applicazione di nefasti protocolli terapeutici, e la sospensione della medicina di base. In queste condizioni, la pandemia diventa una profezia che si auto-avvera. La propaganda che impazza nei centri nevralgici del potere finanziario (Nord America e Europa zona Euro) è da subito essenziale al mantenimento dello stato di crisi, accettato come unica forma possibile di razionalità politico-esistenziale. Le moltitudini esposte a bombardamento mediatico non solo si piegano, ma addirittura si auto-disciplinano, aderendo con grottesco entusiasmo identitario a forme di civismo in cui la coercizione diventa altruismo, a tal punto che la lotta per il bene comune resuscita persino la pratica infame della delazione.

Ai registi del piano pandemico va dunque riconosciuta una certa sadica genialità, per quanto il crimine non possa dirsi perfetto. Da un punto di vista dialettico, qualsiasi forma di dominio che ambisce a totalizzarsi è destinata a fallire, e questo vale anche per i burattinai della finanza, e tutti i pupazzi di cui si servono per tenere in piedi l’operazione di guerra psicologica che ipnotizza le masse da più di un anno. Il potere, in fondo, tende sempre a illudersi sulla propria onnipotenza, innanzitutto perché, paradossalmente, è anch’esso eterodiretto. Oggi, le decisioni prese da chi siede nella stanza dei bottoni hanno come fine la riproduzione dell’ingranaggio socio-economico che chiamiamo ‘capitalismo’. Il potere, in altre parole, è la macchina impersonale del profitto, il cui unico scopo è continuare la sua folle corsa. E nell’attuale fase storica, lo stato d’emergenza globale rappresenta l’assetto politico che meglio garantisce la riproducibilità del dispositivo economico, indipendentemente da chi lo sta pilotando e dalle contraddizioni generate.

La grande simulazione, ovvero: presi per il Covid

Chiunque abbia conservato un minimo di indipendenza intellettuale dai media di regime dovrebbe aver compreso che l’emergenza da coronavirus è un artefatto. Di seguito farò un breve inventario delle principali evidenze di cui disponiamo.

Come ammesso dall’OMS, il tasso di letalità del misterioso patogeno, che colpisce quasi esclusivamente soggetti anziani affetti da comorbidità gravi, è paragonabile a quello di un’influenza stagionale (0.23% a fine 2020, e 0.15% a marzo 2021). Nulla a che vedere con le stime monstre di Neil Ferguson, padre di tutti i modellisti apocalittici sponsorizzati da Big Pharma. A causa della sua bassa letalità, SARS-CoV-2 rientra nel penultimo livello dei cinque stilati dalle autorità sanitarie statunitensi; un livello che, secondo le linee guida dell’OMS, richiede solo l’isolamento facoltativo dei malati, mentre esclude categoricamente misure emergenziali come lockdown, mascherine, chiusura delle scuole, distanziamento, e vaccinazioni. O meglio, le escludeva fino a quando non si sono cambiate le carte in tavola per legittimare la più grande campagna vaccinale di tutti i tempi, la cui assurdità è riassumibile nella seguente domanda: perché l’umanità intera (inclusi i bambini!) dovrebbe iniettarsi un siero sperimentale dagli effetti avversi sempre più inquietanti e fuori norma,1 quando almeno il 99.8% dei contagiati, di cui la stragrande maggioranza asintomatici, guarisce? La risposta è lapalissiana: perché i vaccini sono il vitello d’oro del terzo millennio, e l’umanità-gregge è carne da profitto di ‘ultima generazione’, ovvero in versione cavia.

Proprio alle cavie parlava Mario Draghi (l’uomo della provvidenza delle banche) inaugurando il Global Health Summit di Roma il 21 maggio scorso: “dobbiamo vaccinare il mondo contro il coronavirus, e farlo velocemente”. Parole sante, subito ribadite in accorato appello da Ezio Mauro: “abbiamo il dovere di salvare il mondo.” In un esercizio di impareggiabile ipocrisia, Mauro ci dice che “il gap tra i Paesi Poveri e i Paesi Ricchi si supera con un’inversione culturale”, che ovviamente consiste nell’abbracciare la teologia dell’universalismo vaccinale: “All’universale si risponde solo con l’universale”. Amen, con buona pace di Hegel.

Per chi non lo sapesse, in Europa il passaporto sanitario digitale era stato programmato nel 2018, con attuazione prevista per il 2022. A ridosso dalla ‘pandemia’ si erano tenuti grandiosi eventi promozionali come il Global Vaccination Summit (Commissione Europea, Bruxelles, 12 settembre 2019); e il Global Vaccine Safety Summit (OMS, Ginevra, 2-3 dicembre 2019). Negli USA, il 19 settembre 2019 Donald Trump firmava l’Ordine Esecutivo 13887, in cui veniva istituita una Task Force con l’obiettivo di lanciare un “piano nazionale quinquennale per la promozione dell’uso di tecnologie vaccinali più agili e scalabili” per contrastare l’impatto di “una pandemia influenzale”, che, “può diffondersi rapidamente in tutto il mondo, infettare un numero maggiore di persone e causare alti tassi di malattia e morte nelle popolazioni senza immunità”. Insomma, la tavola era stata apparecchiata con largo anticipo.

Basta poi osservare che la sintomatologia ufficiale del Covid e delle sue varianti (stanchezza, febbre, tosse secca, perdita di gusto e olfatto, ecc.) è talmente generica che tutti, anche i più sani, vi si possono riconoscere al primo sternuto; allo stesso tempo, rende la malattia facilmente riclassificabile come causa di decesso di chi sarebbe comunque passato a miglior vita, sia per anagrafe che per quadro patologico ampiamente compromesso. La stessa trasmissione per via respiratoria si sposa perfettamente con le ragioni dell’isolamento, per giustificare il quale si arriva persino a inventare la categoria molieriana del ‘malato asintomatico’.

C’è poi il punto dirimente, la leva di Archimede del ‘paradigma corona’. Tutta la sceneggiatura pandemica – dalla ‘curva del contagio’ ai ‘decessi da Covid’ – si regge sulla farsa del test PCR, strumento autorizzato alla rilevazione del SARS-CoV-2 da uno studio prodotto in tempi record dall’equipe del virologo berlinese Christian Drosten, su commissione dell’OMS. Come molti ormai sapranno, l’inaffidabilità diagnostica del test PCR fu già denunciata dal suo stesso inventore, il premio Nobel Kary Mullis (malauguratamente scomparso il 7 agosto 2019), e di recente ribadita, tra gli altri, da 22 esperti di fama internazionale che hanno chiesto lo stralcio dello studio in questione per evidenti difetti scientifici. Ovviamente la richiesta è caduta nel vuoto.

Autentico motore della pandemia, il test PCR (tampone) si presta a essere abusato in modo simile a come da bambini si abusava del termometro al mercurio, mettendolo sul termosifone per fingere la febbre e saltare la scuola. Si tratta di uno strumento che funziona attraverso gli ormai celebri ‘cicli di amplificazione’ (cycle thresholds): più se ne fanno, più si sfornano falsi positivi, come incautamente ammesso persino dal guru Anthony Fauci quando ha affermato che sopra i 35 cicli i tamponi non hanno alcun valore. Orbene, perché durante la pandemia, nei laboratori di tutto il mondo, si sono fatti di norma amplificazioni pari o superiori a 35 cicli? Persino il New York Times – non certo un covo di pericolosi negazionisti – l’estate scorsa aveva sollevato la questione.

Grazie alla sensibilità del tampone la pandemia si può aprire e chiudere come un rubinetto (considerando i percorsi obbligati per effettuare il tampone fasullo), cosa che permette al regime sanitario di esercitare un controllo assoluto sul mostro numerologico del contagio e della mortalità da Covid – gli strumenti chiave del terrore quotidiano. Così non deve stupire che nel gennaio del 2021, a inizio campagna vaccinale, l’OMS abbia messo in guardia sul rischio dei falsi positivi generati dall’uso improprio del test. A conferma di questa nuova prassi, nell’aprile-maggio di quest’anno il CDC americano ha chiesto sia di abbassare il numero dei cicli PCR laddove si sospettassero nuove infezioni, che di sospendere la conta delle infezioni asintomatiche o lievi di coloro che sono stati vaccinati. Tutto ciò per dimostrare che i vaccini funzionano.

Ricordiamo poi che a gonfiare la bolla dei decessi ha contribuito l’introduzione di nuovi protocolli medici (marzo 2020) che istruiscono a certificare ‘COVID-19’ come causa di morte anche laddove si presume abbia causato o contribuito al decesso, e senza necessità di verifica clinica. Lo scrive l’OMS ai medici legali: “applicate sempre queste istruzioni, che siano corrette o meno dal punto di vista medico”; e lo ratifica l’ISTAT: “anche se non c’è una diagnosi confermata.” Interessante, poi, come il Covid abbia ‘curato’ l’influenza, che è miracolosamente scomparsa. È stato inoltre dimostrato che la trasmissione asintomatica è statisticamente inesistente, e che i lockdown sono sia inefficaci che socialmente distruttivi, non ultimo nel causare migliaia di decessi attraverso la sospensione delle cure mediche. Sappiamo, per ammissione dello stesso CDC americano, e della Commissione Europea, che il patogeno in questione non è mai stato isolato né purificato, e che quindi ci si presenta con tutti i crismi di un virus-fantasma.

Se ciò non bastasse, pensiamo per un attimo all’evoluzione del significato di pandemia prima del 2020, rispetto all’influenza aviaria (2003) e alla suina (2009). Nel corso di quest’ultima, l’OMS decise di cambiare la definizione del termine, eliminando il riferimento all’“alta mortalità”. In sostanza, “diffusione epidemica di una malattia” divenne criterio sufficiente a far scattare l’allarme pandemico, insieme ai succulenti contratti vaccinali. E se aviaria e suina non portarono le vagonate di morti pronosticati dagli apprendisti stregoni dell’industria farmaceutica (celebri i 150 milioni di decessi pronosticati da David Nabarro, OMS, riguardo l’aviaria), furono comunque funzionali sia a sdoganare il business miliardario di mascherine, vaccini et similia, che nell’introdurre nelle popolazioni il tarlo del virus apocalittico, che ci attende sulla soglia di casa nonché ogni volta che incrociamo altri esemplari di Homo pandemicus; e dal quale, pare, non ci libereremo mai.

Negli ultimi anni, l’attesa per il grande evento era divenuta spasmodica, a un punto tale che si era preso a simularla, come in un blockbuster hollywoodiano: prima con il Clade X (maggio 2018), poi con il già citato Event 201 (ottobre 2019), esercizi strategici promossi dal WEF dell’ubermensch Klaus Schwab in collaborazione con il centro di biosicurezza della Johns Hopkins University e con l’immancabile Bill and Melinda Gates Foundation. Peraltro, già dal 2014 i meeting WEF a Davos promuovevano con insistenza il Great Reset, rivoluzione socio-economica a loro dire resa inevitabile dall’avvento di nuove tecnologie tra cui Intelligenza Artificiale, robotica, 5G e Blockchain. E nel 2010 la Rockefeller Foundation aveva pubblicato Scenarios for the Future of Technology and International Development, in cui si vaticinava, insieme alla quarta rivoluzione industriale, un’imminente pandemia che avrebbe spedito all’altro mondo 8 milioni di persone. Invece, cos’è successo?

Nel gennaio 2020 arrivarono sui nostri schermi immagini sconvolgenti di cinesi che “cadevano come birilli” per mano di un virus fulminante – situazioni da cinematografia fantascientifica mai più verificatesi in nessun’altra parte del mondo. Tant’è che in Cina il lockdown fu circoscritto a Wuhan e alla provincia di Hubei, di cui è capitale. La Cina, insomma, attivò e quasi subito disattivò l’emergenza. Dopo soli due mesi, quando Virus con un balzo prodigioso era sbarcato nel nord Italia, Wuhan tornò alla normalità.

Per comprendere il ruolo della pandemia nell’accelerare la transumanza verso il Nuovo Medioevo sarebbe utile rileggere Jean Baudrillard, il filosofo che meglio di tutti ha capito che nell’epoca del digitale la realtà finisce per sovrapporsi alla sua simulazione, divenendo così iper-reale, e in quanto tale incontestabile. Non c’è dubbio che la crisi sanitaria, vera in quanto simulata, sia dell’ordine dell’iper-realtà, proprio perché ci appare come un dogma inconfutabile: gli scettici e i dubbiosi sono eretici, e come tale vanno bruciati sul rogo. Altrimenti detto: abbiamo interiorizzato la nostra dominazione al punto tale da non poterla più riconoscere.

È lecito supporre che la maggior parte delle élites politiche fossero state informate sulla necessità di questa operazione. Ciò spiegherebbe perché tutti i capi di governo direttamente coinvolti, da tempo ridotti al ruolo di camerieri dell’alta finanza, abbiano recitato esattamente lo stesso copione. Il lancio di Virus gli dev’essere stato presentato come opzione molto meno traumatica rispetto a uno tsunami finanziario capace di mettere in ginocchio le maggiori economie occidentali, con annessi scenari da guerra civile. D’altronde, la stabilità finanziaria è nell’interesse di tutte le grandi potenze, incluse Cina e Russia, che per questo si suppone abbiano accettato di stare al gioco, anche se defilandosi quasi subito. Sicuramente più convinta la complicità degli alleati più fedeli degli Stati Uniti – sia quelli inseriti nell’alleanza dei ‘5-eyes’ (Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda) che quelli de facto sotto egemonia economica e militare americana, tra cui il ‘laboratorio Italia’.

Indipendentemente da quest’ultima ipotesi, puramente speculativa, riflettere sulla causa finanziaria sollecita una considerazione di natura socio-ontologica. Per comprendere la portata di ciò che stiamo vivendo dobbiamo allargare lo sguardo sull’intera struttura di riproduzione sociale. Ci sarà allora impossibile ignorare come l’emergenza covidiana sia sintomo di implosione sistemica: siamo entrati in una nuova fase storica caratterizzata dalla bancarotta del modo di produzione fondato sulla dialettica lavoro-capitale. Il blocco dell’economia ci ha detto che il lavoro salariato non è più la base della produzione di ricchezza nelle società capitalistiche. Questo perché il capitalismo può ormai solo affidarsi ai salti mortali della finanza, che, oltre a essere cinica e bara, è sempre più incompatibile con la struttura liberal-democratica di società fondate sul lavoro. Alla base del cambiamento di rotta verso il dominio totalitario del ‘capitale fittizio’ (Marx) c’è il crollo di redditività del capitale investito nell’economia reale.

Depurare il capitalismo dalla sua escrescenza finanziaria è dunque una pia illusione, per il semplice motivo che l’ingranaggio che muove le criminali speculazioni finanziarie è lo stesso che da sempre muove la ricerca del profitto. Parafrasando la formula di Marx nei Lineamenti, diremmo che l’anatomia della finanza è la chiave per comprendere l’anatomia del capitalismo sfruttatore di lavoro. Il capitale, indipendentemente da come si manifesta, è sempre denaro che crea altro denaro. E se fino a ieri lo sfruttamento del lavoro è stato il mezzo ideale per generare plusvalore e profitto, oggi, all’epoca dell’automazione e dell’intelligenza artificiale, il capitale a trazione tecnologico-finanziaria tende a liberarsi del lavoro salariato. Ma non possiamo illuderci che, con la fine della società del lavoro, il capitalismo crolli. Piuttosto, come ha sempre fatto, si auto-rivoluziona, inaugurando ora una nuova fase che ha tutti i crismi di un ritorno alle origini, cioè a un regime leviatanico di predazione diretta. Questa fase richiede nuovi strumenti critici e nuove logiche di opposizione.

Diciamolo più chiaramente: per sopravvivere all’attuale implosione sistemica, il capitalismo deve distruggere la sovrastruttura liberale e promuovere un regime subdolamente oligarchico. Dovrebbe essere chiaro che ci stanno confezionando addosso un capitalismo basato sul signoraggio monetario, a scapito di un’umanità ridotta a 
1) Un immensa mandria di sottoccupati in condizioni neo-schiavistiche (i cui pionieri sono gli operatori di Amazon costretti a orinare in bottiglie e defecare in sacchetti di plastica); 
2) Disoccupati a sussidio; 
3) Masse di reietti di cui nessuno ha più interesse a occuparsi. Anche per questo le teorie di Malthus sul depopolamento rimangono attuali.

Questa deriva non sarebbe possibile senza il potenziamento della propaganda: i media oggi operano come il clero in epoca medievale. L’evoluzione stessa del sistema-mondo ha reso possibile la messa in atto del più grande progetto propagandistico di tutti i tempi. Le possibilità di manipolazione sono aumentate vertiginosamente con la diffusione capillare di nuove tecnologie, che entrano direttamente nelle menti dei più giovani. La materia prima, peraltro, è sempre la stessa: l’intima e irrefrenabile vocazione al conformismo della specie umana.

Jacques Lacan sosteneva che la più grande passione dell’essere senziente è l’ignoranza. Nulla è più irresistibile della nostra volontà di non sapere, di spegnere il cervello dinanzi all’ipotesi che la realtà possa essere diversa rispetto a come ci viene narrata. L’adattamento, fatto di tanti piccoli comportamenti ostinatamente meccanici, è da sempre l’opzione esistenziale prediletta di Homo sapiens, per il semplice motivo che il pensiero critico richiede uno sforzo piuttosto doloroso, che costringe alla solitudine. Molto più semplice unirsi al coro, specie quando fondato sul ricatto morale di una guerra sanitaria per la difesa dell’umanità. A quel punto diventa persino gratificante obbedire a moralizzatori imbellettati che si auto-proclamano salvatori del mondo, pur essendo gli stessi che da tempo lo devastano.

Il Covid è una forma di dominio reale fondata su un preciso linguaggio, un arsenale di armi semantiche usate con cinismo su popolazioni preparate da decenni a vivere nell’insicurezza e nel conformismo. Il successo di questo linguaggio si misura sulla capacità di installare una vera e propria liturgia covidiana, un culto fatto di nuove abitudini che ci accomunano solo nell’alienarci, nell’allontanarci ulteriormente da noi stessi e l’uno dall’altro: dalla mascherina al distanziamento, dal coprifuoco ai vaccini, dal ‘green pass’ alla sanificazione compulsiva delle mani. “Inginocchiati e prega, e la fede verrà da sola” – il vecchio monito di Blaise Pascal oggi potrebbe tradursi così: “metti la mascherina e mantieniti a distanza dal tuo prossimo, e la fede (nel Covid) verrà da sola.”

La vera malattia è la nostra assuefazione alla farsa globale. Storicamente, essa è frutto di un’affabulazione emergenziale cresciuta di intensità a partire dall’11 settembre 2001, data d’inizio di una ‘guerra globale al terrore’ che ha sterminato milioni di innocenti. La paura di un nemico esterno caricaturizzato all’inverosimile (da Bin Laden alle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein) rende il gregge particolarmente docile e pronto al sacrificio di tutto ciò che rende ancora vivibile la vita, poiché l’alternativa viene sempre dipinta come qualcosa di mostruoso, al limite dell’immaginazione, come appunto la ‘spaventosa morte da Covid’. La guerra epidemiologica, indipendentemente da dove e come sia partita, è oggi una guerra psicologica totale, surrogato dell’improbabile conflitto militare globale. Non illudiamoci, l’assedio è destinato a durare. La concessione di qualche ora di libertà vigilata servirà a indorare la pillola di nuove forme di coercizione.

Il destino del modo di produzione su cui si reggono le nostre società è l’implosione. Non se ne esce. La crisi da coronavirus conferma che il capitale dipende sempre più dal debito pubblico, dunque dalla creazione di denaro virtuale delle banche centrali, che finisce per svilire la moneta fiat (le valute nazionali per come le conosciamo dal 1971, quando fu interrotta la convertibilità dell’oro in dollaro). L’arrivo di una devastante iperinflazione legittimerà il consolidamento di valute digitali controllate dall’alto. Probabilmente si tratterà di un evento a tappe che il capitalismo potrà affrontare solo cavalcando nuove iterazioni di autoritarismo mascherato da una qualche ragione etica e umanitaria. L’unica reale alternativa al signoraggio monetario sarà abbattere definitivamente il sistema di produzione di merci a scopo di lucro, ma per far questo occorrerà una convergenza popolare tra tutti coloro che avranno compreso che il senso delle loro vite non è più gestibile dal capitalismo.

Note
1 A maggio 2021, il sistema di segnalazione passiva VAERS, che registra solo una piccolissima parte degli eventi reali, ha contabilizzato un numero di decessi dopo vaccinazione Covid negli USA superiore ai decessi per tutti i vaccini riscontrati nei precedenti 21 anni messi assieme.

I vaccinati sperimentalmente si ammalano, i non vaccinati si ammalano ai primi sono concessi dei diritti ai secondi li hanno tolti. E la mascherata deve continuare

Lo studio americano "cambia la guerra contro il Covid"
E suggerisce che i green pass europei sono inutili...

di Natasha Donn
8 agosto 2021

Il quotidiano online Portugal Resident riporta i commenti di studiosi e ricercatori sull'impatto del nuovo studio americano sulla carica virale e trasmissibilità del virus da parte delle persone vaccinate. Con sfumature diverse, tutti ritengono che lo studio logicamente dovrebbe portare a un ripensamento sui certificati digitali adottati in diversi paesi europei, tra cui il nostro, che discriminano (e in Italia in maniera pesantissima) tra vaccinati e non vaccinati senza una reale base scientifica

Un nuovo studio proveniente dallo Stato americano del Massachusetts ha cambiato la guerra contro il Covid-19, dimostrando che la carica virale di una persona vaccinata che finisce per contrarre il virus è "identica" a quella di una persona non vaccinata.

L'immunologo portoghese Manuel Santos Rosa ammette che questo ha "cambiato molte cose" - non ultima la "strategia" secondo cui i certificati digitali sono una valida arma per combattere la Covid.

"Il certificato di vaccinazione dovrebbe essere uno strumento che ci dice che, in questo momento, vi è la quasi certezza che tale persona non sia infetta e non possa trasmettere il virus", dice al quotidiano portoghese Diário de Notícias.

“Questa nuova informazione dimostra che quello che sembra essere un certificato di garanzia che non ci sono rischi, in realtà non lo è.

“Quello che prova il certificato è che la persona vaccinata è protetta e che, probabilmente, non svilupperà malattie gravi (mantra). Ma quando si tratta del concetto di trasmissione, credo che le strategie per combattere le infezioni necessitino di un ripensamento.

“In questo momento, un test negativo ci dice molto di più del semplice certificato sullo stato di una persona che sta per fare un viaggio, che si trova in un ristorante, a uno spettacolo o a un evento in famiglia”.

Un test negativo «ci dice che la persona non è infetta». Un certificato digitale Covid che riporta la prova della vaccinazione con doppia dose, no.

Secondo il pensiero di Manuel Santos Rosa, questo nuovo studio (clicca qui) è “molto importante e dovrebbe essere preso in considerazione”.

Se lo sarà o meno è una "domanda da un milione di dollari", poiché molto in questa pandemia sembra essere stato piegato a interessi politici.

Negli Stati Uniti, la prima conseguenza di questo studio è stata che le autorità sanitarie hanno ribaltato la loro precedente decisione che consentiva alle persone di non indossare mascherine in ambienti pubblici. Come spiega Diário de Notícias, la mascherina è tornata ad essere “obbligatoria”.

Questo non significa in alcun modo che i vaccini non siano importanti.

Come spiega Manuel Santos Rosa, i vaccini sono “molto importanti, ma prima (dello studio) pensavamo che la carica virale di una persona vaccinata fosse ridotta, che non permettesse la trasmissione. Ora, a giudicare dai dati, non è affatto così...”

Miguel Guimarães del General Medical Council (Ordem dos Médicos) è convinto che le mascherine debbano rimanere, indipendentemente dal fatto che le persone siano completamente vaccinate o meno.

Per quanto riguarda lo studio, Guimarães ha affermato che i risultati “mettono sul tavolo" due domande: l'importanza dei certificati digitali Covid e l'importanza di una terza vaccinazione di richiamo (che alcuni paesi stanno già somministrando alle loro popolazioni).

"Queste informazioni ci hanno offerto una nuova sfida che avrà delle conseguenze nella strategia da seguire per controllare la pandemia", ha detto a Diário de Notícias.

Guimarães è meno critico nei confronti dei certificati digitali Covid di Manuel Santos Rosa, e afferma: “Le persone devono capire che il certificato di vaccinazione ci dà alcune garanzie sul fatto che la persona sia più protetta contro la malattia grave. Ma non sostituisce l'uso della mascherina. Questa è la misura che tutela di più”.

Tuttavia, la sua conclusione è stata che ha "molti dubbi sul fatto che i certificati digitali Covid continueranno a essere richiesti", poiché un test di laboratorio "è più importante".

Uno degli aspetti più rilevanti di questa notizia è che nessuno sta mettendo in discussione lo studio. Nessuno scienziato si è fatto avanti per dire che è sbagliato o che giunge a risultati esagerati.

Lo studio si basa su vari casi di Covid-19 in persone completamente vaccinate, in uno Stato con tassi di vaccinazione stellari. I casi erano dovuti a un grande focolaio del mese scorso nella località turistica di Cape Cod. Sono state contagiate più di 900 persone, tre quarti delle quali completamente vaccinate con due dosi.

Diário de Notícias riporta: "questo è stato il motivo che ha condotto gli scienziati a voler scoprire come mai questo focolaio si è verificato in un paese dello Stato con il più alto tasso di vaccinazione e con la maggior parte delle persone infette già vaccinate con due dosi".

“Le conclusioni sembrano non lasciare dubbi: l'epidemia è stata associata ai festeggiamenti a Princetown, dove si sono svolti degli eventi con molte persone in spazi chiusi e all’aperto, nei bar, ristoranti, alloggi in affitto e altre abitazioni.

I ricercatori "hanno trovato all'incirca lo stesso livello di virus nelle persone che erano state vaccinate e nelle altre" (non vaccinate).

“Di più”, aggiunge il giornale: “Tra coloro a cui erano state somministrate due dosi di vaccino, circa l'80% ha avvertito sintomi, come tosse, mal di testa, febbre, mal di gola e dolori muscolari”.

Il Washington Post ha seguito gli eventi e afferma che uno dei motivi principali sembra essere la trasmissibilità associata alla variante Delta.

Diário de Notícias riporta la conclusione del Washington Post: "la guerra al Covid è cambiata e ora c'è una crescente preoccupazione per la possibilità che le persone vaccinate possano essere una fonte di infezioni generalizzata".

In realtà questa non è una novità: lo specialista in vaccini biotecnologici Geert Vanden Bossche ha continuato per mesi a lanciare questo allarme. Ma i media mainstream sono talmente concentrati soltanto sui canali ufficiali, che i suoi avvertimenti sono stati ignorati (nella migliore delle ipotesi), se non derisi.

La carriera del dottor Bossche lo ha visto collaborare con diverse società di vaccini (GSK Biologicals, Novartis Vaccines, Solvay Biologicals) ricoprendo vari ruoli nel campo della ricerca e sviluppo di vaccini, comprese le ultime tecnologie innovative. Ha lavorato anche per il team Global Health Discovery della Bill & Melinda Gates Foundation a Seattle (USA) come Senior Program Officer prima di assumere un incarico presso la Global Alliance for Vaccines and Immunization (GAVI) a Ginevra come Senior Ebola Program Manager. Al GAVI ha monitorato le ricerche per un vaccino contro l'Ebola. Ha anche rappresentato GAVI nei forum con altri partner, tra cui l'Organizzazione mondiale della sanità, per esaminare i progressi nella lotta contro l'Ebola e progettare dei piani in preparazione ad una pandemia globale.

In altre parole, i suoi avvertimenti sulle vaccinazioni di massa in caso di pandemia non avevano alcuna probabilità di essere delle tesi deliranti (clicca qui, per le traduzioni di Vocidallestero vedi qui e qui ).

Paura angoscia terrore nuovo metodo di governo

Il re è nudo

di Salvatore Bravo
13 agosto 2021

“Il re è nudo”, se lo si vuole guardare e riconoscere: il re ammalato è la democrazia, dinanzi a noi in questi giorni pandemici la democrazia e le istituzioni rivelano il loro stato di salute. La democrazia sociale e comunitaria della nostra Costituzione declina sotto i colpi della nuda vita e della tracotanza del potere. L’indifferenza verso provvedimenti dal sapore ricattatorio e liberticida è il segno della profondità del problema. Sulla Gazzetta ufficiale è stato pubblicato il decreto che di fatto obbliga i docenti alla vaccinazione, ad essere oggetto del vaccino/siero sperimentale. La persuasione costrittiva avviene all’interno di un processo di infeudazione della società iniziato da decenni. Il decreto è un valido esempio della crisi della democrazia, in teoria non vi è obbligo al vaccino, poiché l’alternativa è il tampone, è stato scelto il tampone nasale a quello salivare, anche questo non è un caso. Il tampone ogni 48 ore, naturalmente un tampone invasivo ogni 48 ore e a carico del docente, i cui redditi sono, se va bene nella media nazionale a fine carriera, costringe ad accettare la sperimentazione.

Vi è di più, qualora si rifiuti il tampone e la vaccinazione vi è la sospensione di ogni emolumento. Solo coloro che posseggono personali ricchezze potranno liberamente scegliere, gli altri dovranno subire. Se si ha da pagare affitto o mutuo non si può reggere a tale disposizione in vigore fino al 31 dicembre, ma che potrebbe essere riconfermata nei tempi successivi. Se come spesso accade il reddito è un mezzo per sostenere parenti e genitori con poco reddito, non si può che obbedire e deprimersi. Ci sono condizioni di salute dubbie, ed i medici non possono assicurare che non vi siano effetti collaterali, perché il vaccino non è conosciuto totalmente nei suoi effetti, non a caso i bugiardini sono stati spesso aggiornati. Il decreto tratta le persona come folla anonima, ma la condizione materiale rende ogni caso unico. Uno Stato che spinge alla miseria, affama i suoi pubblici impiegati, e sotto tale ricatto afferma che vi è libertà, mostra la sua verità e la sua violenza inaudita. L’Europa tace, interviene giustamente contro Orban, ma che un’altra minoranza venga di fatto indotta a vaccinarsi contro la volontà o emarginata non sembra interessarle. In una società in cui l’inclusione dipende dal denaro, togliere gli emolumenti significa emarginare. L’indifferenza con cui la popolazione terrorizzata dal virus, accetta tutto anche l’inaudito, è il sintomo della decadenza della democrazia, la quale non è il perseguire i propri interessi, ma difesa comunitaria degli interessi collettivi. Nel frattempo si negano le cure domiciliari, e non vi è nazione europea che ha messo in atto eguale provvedimento che discrimina una parte della popolazione, e forse, la rende anche odiosa a tutti, in quanto pare che siano gli untori e la causa del problema.

Demansionamento della democrazia

Il decreto è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il 7 agosto, un sabato estivo, una data che non permette ai singoli di organizzarsi in vista degli adempimenti di settembre e forse, finalizzata, a neutralizzare ogni manifestazione pubblica di dissenso. Non resta molto della democrazia, si allungano ombre inquietanti, più si appartiene ad una categoria debole tanto più il potere si mostra forte nel dominio. Ai medici obbligati al vaccino è stata data l’opzione del demansionamento, i docenti hanno come alternativa la fame nel silenzio dei sindacati tutti e della politica: il provvedimento è passato all’unanimità. Non vi è opposizione, ma solo complicità generalizzata. Il provvedimento colpisce circa il 10% dei docenti, alunni e genitori non vaccinati potranno continuare a circolare per la scuola, per cui lo scopo, si può ipotizzare non è fermare la circolazione del virus, ma altro. Il clima di aggressività si estende ai media nei quali si invoca che coloro che non si sono vaccinati e si ammalino paghino le cure (1000-2000 euro al mese). Con tale criterio se per distrazione si cade, il fratturato deve pagare. La democrazia dell’orrore non discute degli effetti collaterali, dei contratti secretati, della condizione della sanità dopo i tagli e, specialmente, del destino di se stessa, ma si concentra sui non vaccinati senza comprenderne le ragioni ed individuare un’uscita dal problema nel rispetto della volontà di tutti. Una nazione non po’ essere governata da ragionieri, necessita di un rapporto osmotico tra l’alto ed il basso e della partecipazione dei corpi medi che invece tacciono e sostengono il dominio. Dopo la pandemia non resterà che una nazione abbrutita ed infeudata nella quale esercenti e presidi sono diventati controllori. Il Panopticon ha i mille occhi di Argo, ma nessuno può sentirsi sicuro ed accolto se la parola è sostituita dai decreti legge che silenziano il parlamento e persuadono con l’inganno ad obbedire. L’epoca dei sofisti è tra di noi, la parola non è più comunicazione, ma un mezzo per dividere e mortificare. Oggi siamo sempre meno comunità, e sempre più “Regno animale dello Spirito”, il punto di caduta, forse, non è stato raggiunto, di questa realtà bisogna prendere atto per evitare il crollo sostanziale dei valori democratici. Attendiamo anche noi la voce dell’innocenza che indichi che il re è nudo, senza verità, non vi è dialettica, ma solo sofismi, nel frattempo usciamo dalla caverna della disinformazione e della paura per guardare il re nudo:

"Ma l'imperatore non ha nulla addosso!", disse a un certo punto un bambino. "Santo cielo", disse il padre, "Questa è la voce dell'innocenza!". Così tutti si misero a sussurrare quello che aveva detto il bambino. "Non ha nulla indosso! C'è un bambino che dice che non ha nulla indosso!".

Il medagliere della democrazia ha sempre meno medaglie e sempre più decreti.

Aumentano i vaccinati sperimentalmente aumentano i ricoveri


Covid: in Italia 7.409 casi e 45 morti, stabile il tasso di positivita al 3,3%

Il numero dei tamponi eseguiti è di 225.486, i ricoveri in area medica aumentano di 58 unità, le terapie intensive di 17. La Regione con più casi giornalieri è la Sicilia con 1.101 nuovi positivi

aggiornato alle 18:10 13 agosto 2021

© MARCO SABADIN / AFP
- Passeggeri in attesa di imbarco nel porto di Venezia

AGI - Prosegue il lento aumento del numero dei positivi al Covid 19 in Italia con 7.409 nuovi casi nelle ultime 24 ore (+139 rispetto alle 24 ore precedenti).

Il numero dei tamponi eseguiti è di 225.486 e il tasso di positività resta stabile a 3,3%. È quanto emerge dal bollettino quotidiano del ministero della Salute.

Il numero dei decessi è di 45 (+15) che porta il numero dei morti dall'inizio della pandemia a 128.379. Per il numero dei decessi odierni va considerato che la Regione Campania ha comunicato che 5 degli 8 morti registrati oggi sono riferibili ad un periodo compreso tra marzo ed i primi 10 giorni di agosto 2021.

In aumento i ricoveri: in area medica i ricoveri sono aumentati di 58 unità, per un totale di 3.033; in terapia intensiva l'aumento dei ricoveri è di 17 unità per un totale di 369 e con 35 ingressi giornalieri.

La regione con più casi giornalieri è ancora la Sicilia con 1.101 nuovi positivi, seguita dalla Toscana (+819); il Veneto (+771); la Lombardia (+661); l'Emilia Romagna (+656) e la Campania (+622).

I casi totali salgono a 4.427.827. I guariti sono 4.388, ieri 4.715, per un totale dall'inizio della pandemia di 4.175.198.

Gli attualmente positivi sono 2.965, ieri erano 2.524, per un totale di 124.250 di cui 120.848 in isolamento domiciliare.

I talebani sono i partigiani della Resistenza ad un'invasione voluta dagli Stati Uniti per ragioni geopoliche in cui ha trascinato con se i servi della Nato. La fuga disonorevole e codarda dimostra che la strategia statunitense è fallita e questo incide e inciderà sempre più profondamente negli equilibri internazionali

Tutti gli errori Usa in Afghanistan


14 agosto 2021

Il fallimento Usa e Nato in Afghanistan visto dall’analista Guido Salerno Aletta

È durato vent’anni l’intervento americano e della Nato in Afghanistan: era il 2001 quando, per rispondere (con la scusa fornita l'11 settembre 2001 quando due aerei fanno crollare tre torri) all’attentato alle Torri Gemelle di New York. Il presidente americano George W. Bush lanciò una offensiva senza precedenti per stanare i Talebani nascosti nei loro santuari in Afghanistan.

Una Coalizione di Volenterosi seguì l’appello americano, dando luogo ad un intervento militare che non è riuscito a battere la loro resistenza: dal Pakistan alla Cina, alla Russia, troppi interessi internazionali hanno tifato e sostenuto il naufragio dell’iniziativa.

È stato tutto inutile: anche i migliori generali americani hanno fallito nel loro intento di mobilitare la popolazione contro i Talebani, che rimangono una minoranza. La loro determinazione nel perseguire gli obiettivi rivoluzionari, unita agli appoggi esterni, è riuscita a rendere vano il tentativo di creare il consenso attorno ad uno Stato democratico sul modello occidentale. Non si è riusciti a dar vita ad un assetto capace di battere la corruzione delle élite e gli interessi legati al traffico di droga.

Per ottenere una tregua che consenta loro di ritirarsi senza perdite, gli Usa hanno aperto da tempo un canale di trattative con i Talebani: così facendo, non solo hanno delegittimato il governo in carica, ma hanno posto le condizioni per una transizione a cui partecipino. Rincuorati da queste prospettive, i Talebani hanno ripreso il controllo di numerose città, mentre il governo sta cercando di tenere in piedi alcune roccaforti. Riprenderà vigore la guerra civile che in Afghanistan dura ininterrotta da quarant’anni,

Se anche Kabul dovesse cadere militarmente nelle mani dei Talebani, per gli Usa si ripeterebbe la tragedia del Vietnam: ma mentre allora il lavorìo diplomatico nei confronti della Cina apriva una stagione di nuovi equilibri, volti ad isolare l’URSS, stavolta Washington si trova isolata, contro tutti.

Mentre Nuova Dehli tace e Pechino tende già la mano ai Talebani, Mosca assiste con qualche compiacimento alla rovinosa conclusione dell’intervento americano, rammentando il sostegno dato ai Talebani proprio da Washington e che costrinse l’URSS alla fallimentare invasione dell’Afghanistan del 1978. Uno sforzo militare ed economico che accelerò la caduta del regime comunista.

Secondo gli strateghi americani dell’epoca, l’avventura dell’URSS in Afghanistan avrebbe dovuto determinare un catastrofico fallimento politico e miliare simile a quello che era stato determinato dall’intervento americano in Vietnam: mai come durante quella guerra, infatti, l’America si era trovata isolata. La contestazione dilagò, coinvolgendo ampi strati della popolazione giovanile: si moltiplicarono gli slogan antimilitaristi: da “Facciamo l’amore e non la guerra!” a “Mettete dei fiori nei vostri cannoni!”. Era fatta: l’America aveva perso d’un colpo la legittimazione di democrazia che fa la guerra per liberare i popoli dalla schiavitù politica.

Con il ritiro dall’Afghanistan, che segue quello dall’Iraq, si conclude così un’altra e più lunga strategia a lungo termine degli Usa, quella che mirava a circondare da presso sia la Cina che la Russia: quali che siano state le ragioni contingenti che hanno portato ad invadere questi due paesi, l’obiettivo geopolitico era ben chiaro.

Rimane aperta un’area di instabilità che, partendo dai confini orientali della Cina e meridionali della Russia, arriva fino all’Europa, coinvolgendo a nord l’Ucraina e l’intero Mediterraneo, dal Libano alla Siria, dalla Libia alla Tunisia.

Come in Vietnam, le guerre civili e rivoluzionarie non si vincono con le armi.

Da Saigon a Kabul.

(Estratto di un articolo pubblicato su Teleborsa; qui la versione completa)

L'Intervento di Mattarella Mattarella arriva come al solito in ritardo di mesi e mesi dopo che i politicanti mentecatti al governo, Conte prima, Draghi, lo stregone maledetto, dopo hanno fatto strame dei diritti fondamentali in cui la legge qualsiasi tipo di legge " non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana ". E' un intervento che non vuole e non incide sui pasticci di questi politicanti da strapazzo ma fatto essenzialmente per restare agli atti in futura memoria altrimenti sarebbe intervenuto prima e con altro spessore e NON avrebbe promulgato tutto come ha fatto fin'ora

Tutto ok con i decreti sul Certificato verde?


14 agosto 2021

L’analisi di Giuseppe Liturri

Lo scorso 23 luglio, il Presidente Sergio Mattarella non ha festeggiato soltanto il suo compleanno. Ha anche inviato una lettera ai Presidenti delle due Camere ed al Presidente del Consiglio Mario Draghi, chiedendogli di ridurre il sistematico ricorso alla decretazione d’urgenza.

Nella missiva, Mattarella denunciava il numero spropositato di decreti legge emanati da febbraio 2020 a luglio 2021 (65 contro i 31 dei 18 mesi precedenti) e la pioggia di emendamenti che li hanno snaturati, con i relativi nefasti effetti, ed invitava a modificare tale tendenza minacciando di non promulgare in futuro le leggi di conversione, con rinvio del testo alle Camere.

L’atto del Presidente è stato accolto inneggiando al guardiano della Costituzione vigile anche nell’ultimo semestre del suo settennato, nonostante sia privo del potere di scioglimento delle Camere. Il giorno dopo, Marzio Breda (quirinalista del Corriere della Sera) forniva l’interpretazione autentica osservando che “Mattarella mette agli atti la propria indisponibilità ad essere accomodante. […] infatti inserimenti di norme con queste modalità […] possono determinare incertezze interpretative, sovrapposizioni, provocando complicazioni per la vita dei cittadini e delle imprese”. Parole non casuali.

Non si era nemmeno asciugato l’inchiostro sulla lettera del Presidente che, nelle stesse ore, è apparso in Gazzetta Ufficiale il decreto legge n. 105 che ha introdotto dal 6 agosto l’uso del certificato verde per accedere a determinati luoghi ed attività. Tale decreto ha modificato il precedente decreto 52 del 22 aprile – già modificato dal decreto 65 del 18 maggio non convertito ma confluito nel decreto 52 in sede di sua conversione – in seguito convertito in legge il 17 giugno. Tutti sotto il titolo di “misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid 19”. Per chi si fosse già smarrito, si tratta esattamente del gioco di scatole cinesi contro cui Mattarella si era appena espresso ma, in meno di 24 ore, il documento del Colle non valeva più nemmeno la carta su cui era stato scritto. Come se non bastasse, è giunto venerdì scorso il decreto n. 111 che ha disposto l’utilizzo del certificato verde per il personale scolastico e universitario e per l’utilizzo di taluni mezzi di trasporto dal prossimo 1 settembre e, contemporaneamente, all’articolo 7 – sordo all’invito di Mattarella – si è occupato degli effetti dell’attacco ai sistemi informativi della Regione Lazio.

Come autorevolmente sostenuto, questi ultimi decreti appaiono censurabili non tanto con riferimento alla presenza dei requisiti di necessità ed urgenza o al necessario requisito dell’omogeneità. Vizio che solo in parte li caratterizza. Lo sfregio alla Carta ed al Colle è di altra, ben più grave, natura: è l’utilizzo dello strumento del decreto di per sé, che poi è il primo motivo di censura del Presidente. Prima stortura a cui poi fa sempre seguito un processo di conversione che genera solo incertezze, commistioni, sovrapposizioni.

Ma la scelta del decreto legge, soprattutto quando incide sull’esercizio di diritti fondamentali che richiedono un trasparente dibattito pubblico, sottrae al Parlamento gran parte del suo potere di orientamento delle scelte politiche. Non si può incidere su libertà personali e su scelte sanitarie (come la vaccinazione resa di fatto obbligatoria) che determinano conseguenze irreversibili, con una fonte per definizione instabile, passibile di modifiche in sede di conversione o di mancata conversione. Su queste materie, la riserva di legge diventa, per fatti, riserva d’assemblea. In Francia, la legge del 5 agosto, che introduce il passe sanitaire, è transitata prima dal Consiglio di Stato, dal Parlamento e dal Consiglio costituzionale. Col risultato che sono stati evitati provvedimenti sproporzionati (esentando fino al 30 settembre i minorenni con più di 12 anni) o confusionari (consentendo il controllo dei documenti solo alle forze dell’ordine).

Il Garante della privacy nel parere n. 156 del 21 aprile 2021 ha eccepito che “soltanto una legge statale può subordinare l’esercizio di determinati diritti o libertà all’esibizione di tale certificazione”.

Cosa accadrebbe se i genitori – che sono accorsi a far vaccinare i propri figli tredicenni per il timore di vedere compromessa la serenità delle vacanze famigliari o delle loro attività sportive – apprendessero che un emendamento (ne sono stati presentati migliaia) nei prossimi giorni eliminasse l’obbligo di certificato verde per tali attività? Oppure se in futuro intervenisse la Corte Costituzionale? Porterebbero i loro figli a “svaccinarsi”? O, ancora peggio, cosa accadrebbe se malauguratamente in futuro i loro figli manifestassero delle importanti reazioni avverse al vaccino? Quale tutela giuridica avrebbero?

Sotto questo aspetto, a Palazzo Chigi dovrebbero ben sapere che, per pagare i danni, basta solo raccomandare non anche imporre un obbligo formale. L’esemplare sentenza 118/2020 della Corte, emessa in piena pandemia, spiega chiaramente che: “in ambito medico, raccomandare e prescrivere sono azioni percepite come egualmente doverose […] in presenza di una effettiva campagna a favore di un determinato trattamento vaccinale, è naturale che si sviluppi negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie. Questa Corte ha conseguentemente riconosciuto che, in virtù degli artt. 2, 3 e 32 Cost., è necessaria la traslazione in capo alla collettività, favorita dalle scelte individuali, degli effetti dannosi che da queste eventualmente conseguano”. Perché “si impone alla collettività, un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l’integrità psico-fisica derivino da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell’interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale”.

Il Presidente Mattarella queste cose le conosce molto bene e ci auguriamo che se ne ricordi, evitando “complicazioni per la vita dei cittadini” che, peraltro, rischierebbero di essere a carico delle casse statali. La libertà personale e le scelte sanitarie sono cose troppo serie per lasciarle ad un decreto legge.

L'uso politico e strumentale del passaporto dei vaccini sperimentali crea l'ennesimo corto circuito in cui la credibilità dei furbetti al governo scende sempre di più verso il baratro e si diventa automaticamente intolleranti e sprezzanti verso questi veri e propri cogli.ni

Il Green pass è valido anche se siete positivi al Covid


14 agosto 2021

Sorpresa: il Green pass all’italiana resta valido anche se il possessore risultasse positivo al Covid. Tutti i dettagli

Sorpresa: il Green pass all’italiana resta valido anche se il possessore risultasse positivo al Covid.

A sottolineare l’incongruenza è stato Matteo Flora, analista e docente di questioni cyber.

Con Carlo Piana, avvocato esperto di IT, e Stefano Zanero, professore di cibersicurezza del Politecnico di Milano, Flora ha raccontato via YouTube la “novità”. “Il tutto si basa su un equivoco fondamentale: il digital green certificate europeo è, appunto, un certificato e non un pass, a prescindere dall’utilizzo che se ne possa fare. Il codice QR serve ad attestare l’avvenuta vaccinazione, la guarigione dal Covid o il risultato negativo di un tampone, tutti elementi con una data di scadenza naturale (rispettivamente nove mesi, sei mesi e quarantotto ore) entro la quale il Green pass “originario” risulta sempre valido”, ha sintetizzato Formiche.

Come rimarca Flora, il codice sorgente dell’applicazione VerificaC19 (disponibile online) non ha nessuna funzione per controllare la revoca – né sembra che ci sia la volontà di implementarla, per motivi di protezione dei dati sensibili e interoperabilità europea (infatti sta a ogni singola nazione definire quando e come far valere la certificazione). Semplicemente non si può confrontare il pass con una black list di quelli invalidati, non solo perché la verifica avviene offline, ma anche perché una tale lista di “codici paria” non può esistere per motivi di privacy, essendo legata agli identificativi personali dei detentori.

“Il pasticcio è piuttosto grande – ha commentato Federico Fuga, ingegnere elettronico, coordinatore della commissione ICT dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Verona – Da una parte, l’Europa e l’Italia suggeriscono, come naturale, l’implementazione di certificati di revoca. Dall’altra, le linee guida e la protezione dei dati personali imporrebbero di evitare il loro uso; il buon senso fa pensare ancora che la revoca per positività sia una forzatura, lo stato di vaccinazione avvenuta o di guarigione non viene cancellato dalla reinfezione. Del resto il nostro legislatore si è bloccato in un angolo emettendo dei certificati di durata lunghissima che pertanto non possono essere in alcun modo revocati, neppure con la “scappatoia” indicata dalle linee guida. La ratio di questa scelta è palese, in quanto l’uso del DGC italiano è prettamente interno mentre, invece, in origine il DGC è stato pensato per gli spostamenti tra stati. L’uso interno impone un rinnovo frequente degli eventuali certificati in scadenza, cosa che caricherebbe sia le infrastrutture sia gli utenti stessi che spesso si affidano a terzi (farmacie, MMG) per la stampa del certificato”.

Il casinò di Wall Street può continuare a giocare e a divertirsi, la deflazione da debito impedirà alla Fed di avviare qualsiasi tipo di taper anzi probabile, quasi certo i tassi arriveranno in campo negativo

«Cigno nero» all’orizzonte per le opzioni eurodollaro. E c’è la fila per acquistarle

14 Ago 2021

Tutti pazzi per le call con scadenza marzo 2022 che scommettono sul Libor a 3 mesi sotto lo 0,5% nel 2025 (dall’1,46% attuale). E qualcuno va oltre: tassi Usa negativi entro la fine del prossimo anno


Il mercato non grida i suoi timori. Quantomeno, si guarda bene dal farlo in modalità en plein air. Dissimula. Spesso molto bene, come mostra questo grafico:

Fonte: Bloomberg/Zerohedge

nel giorno in cui l’indice di fiducia degli americani tracciato dall’Università del Michigan (UMich) è letteralmente crollato da 81.2 a 70.0, una lettura più debole di quella dell’aprile 2020 e in pieni minimi da lockdown, Wall Street segnava invece nuovi massimi. Formalmente, l’antitesi del panico.

Eppure, come mostra questo altro grafico,

Bloomberg/Zerohedge

qualcuno ha fatto notare come 6 volte su 7 negli ultimi 40 anni in cui l’indice di confidence è crollato a questi livelli, gli Stati Uniti erano in recessione o stavano per entrarci. Ma con i titoli azionari ai livelli attuali, come è possibile? Cosa può andare storto? Qualcosa di decisamente sistemico. Un vero e proprio tail risk. Tale non solo da mandare in archivio il taper prima ancora che entrasse in azione ma, addirittura, da far archiviare ogni possibile proiezione di primo innalzamento dei tassi nel 2022. E aprire la strada all’estremizzazione del Qe perenne, quel regime di Nirp (Negative Interest Rates Policy) che presuppone la discesa in negativo del costo del denaro.

Insomma, un cigno nero. Materializzatosi all’orizzonte dei meandri più tecnici del mercato subito dopo la pubblicazione del dato sull’inflazione Usa, quasi a voler segnalare in codice agli addetti ai lavori che forse è davvero giunto il momento di prepararsi a uno scossone. Questo grafico

Fonte: Bloomberg

mostra l’attuale anticipazione offerta dal mercato futures rispetto alla politica della Fed: un primo innalzamento dei tassi a fine 2022 e un’aspettativa di lungo termine per il raggiungimento dell’1,46% nel primo trimestre del 2025. Cosa è successo, invece, negli ultimi giorni? Lo mostra questo altro grafico:

Fonte: Bloomberg/Zerohedge

un notevole numero di traders ha cominciato a scommettere su opzioni call eurodollaro con scadenza marzo 2022 che implichino una traiettoria di aggiustamento del mercato tale da portare l’aspettativa del Libor a 3 mesi al di sotto dello 0,5%. Dall’attuale attesa di 1,46%.

Tradotto, da qui a sette mesi, lo scenario di mercato sarà talmente ribaltato da portare i futures a prezzare una Fed totalmente immobile sul lungo termine a livello di tassi. Nessun primo rialzo a dicembre 2022. E, anzi, come mostra questo grafico

Fonte: Bloomberg/Zerohedge

un altro - relativamente consistente - drappello di operatori sta scommettendo su tassi negativi negli Stati Uniti entro quella medesima scadenza temporale. Praticamente, una rivoluzione. La quale, per sostanziarsi, necessita però della sua scintilla primordiale.

Cosa potrebbe scatenare uno scenario simile? Le ipotesi sono limitate. In primis, il classico policy error della Banca centrale. Ovvero, la Fed procede con il taper già nel tardo autunno/inverno di quest’anno, scatenando un crash di mercato tale da costringerla a tornare drasticamente sui suoi passi. E rimanerci. Secondo, un rallentamento fino allo stop della ripresa economica globale dovuto a un riesplodere sul larga scala del Covid, principalmente legato alla constatazione in progress dell’inefficacia dei vaccini contro le nuove varianti. Terzo, una crisi di liquidità da qui all’autunno, tale da far evaporare ogni discussione sul taper prima che diventi concreta. E al riguardo, giova ricordare come le ultime tre sessioni di fila di utilizzo della facility di reverse repo della Fed abbiano segnalato un controvalore sopra quota 1 trilione di dollari.

Insomma, stante l’assenza di scadenze di fine trimestre che comportino l’ammassare fuori bilancio di riserve, sembra che qualcuno stia creando i prodromi di un incidente controllato attraverso il drenaggio implicito di liquidità al di fuori del sistema. A quel punto, una margin call anche meno drastica di quella che ha steso Archegos sarebbe sufficiente per creare il casus belli. Quarto, lo mostra questo ultimo grafico:

Fonte: Bloomberg/Zerohedge

qualcuno si è infatti preso la briga di comparare i corsi azionari attuali con quelli del 1987 e la correlazione fa paura. Quantomeno, perché al corrispettivo odierno del Black Monday di quell’anno mancherebbero poche settimane: era infatti il 19 ottobre, quando gli indici Usa persero il 20% in un giorno. E Alan Greenspan si precipitò a tagliare con il machete i tassi.

Nemmeno a dirlo, la terza e la quarta ipotesi sembrano andare idealmente a braccetto, completandosi l’una con l’altra. Insomma, qualcosa pare muoversi sottotraccia. Anzi, sotto il pelo dell’acqua. Dove navigano insidiosi gli iceberg più grossi, quelli che lasciano intravedere in lontananza solo la punta. E che divengono impossibili da evitare, quando ci si è avvicinati troppo. Forse, soltanto una suggestione. O un messaggio in codice inviato dalla componente più influente e meno indulgente del mercato alla Fed e al suo numero uno in attesa di riconferma, affinché eviti azzardi. Magari proprio in vista del simposio di Jackson Hole del 26-28 agosto. Attenzione, quindi, ad attendere il classico attentato di Sarajevo che scateni la guerra. Potrebbe trattarsi di un incendio del Reichstag.