L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 18 settembre 2021

Libano in ginocchio, tutti a strepitare e ad urlare che bisogna aiutarlo e poi chi lo fa davvero per le sanzioni, atti di guerra, degli Stati Uniti, questo paese rischia a sua volta di essere sanzionato. La beffa il danno l'incongruenza internazionale

Libano: le forniture petrolifere iraniane rafforzano Hezbollah, ma Beirut rischia sanzioni

I primi due convogli di olio combustibile e carburante hanno fatto il loro ingresso in Libano dal confine siriano

16 Set 2021 • Redazione


I primi due convogli di forniture di olio combustibile e carburante iraniano hanno fatto il loro ingresso oggi in Libano dal confine siriano, rafforzando la posizione del movimento sciita Hezbollah a pochi giorni dalla formazione del nuovo governo guidato da Najib Miqati. Secondo l’emittente “Al Manar”, appartenente al movimento sciita libanese, questa mattina sono giunte in Libano ben 40 autocisterne cariche di olio combustibile e carburante iraniano attraverso il confine con la Siria. Le 40 cisterne dovrebbero contenere parte del carico di prodotti petroliferi di una petroliera iraniana attualmente attraccata nel porto siriano di Baniyas per evitare al Libano di incorrere nelle sanzioni economiche per i Paesi che commerciano con l’Iran. In base ai dati di tracciamento di “Tanker Trackers” l’Iran ha inviato in Siria quattro navi cisterna contenenti 33.000 tonnellate di prodotti petroliferi con l’obiettivo di alleviare la crisi energetica del Libano. Per trasferire in Libano via terra il carico sono necessarie circa 792 autocisterne. Sebbene la petroliera iraniana non abbia attraccato a Beirut, il Libano potrebbe rischiare di subire sanzioni dato che il carburante è stato finanziato, trasportato e distribuito tramite entità sanzionate dagli Stati Uniti.

Il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah ha detto in un discorso all’inizio di questa settimana che la fornitura di un mese di carburante iraniano sarebbe stata donata a istituzioni come ospedali pubblici, Croce Rossa libanese, forze di protezione civile e orfanotrofi. Secondo il leader di Hezbollah, ospedali privati, panetterie, fabbriche che producono medicinali e altre istituzioni potranno acquistare il carburante a basso costo in sterline libanesi. Nasrallah ha affermato di non aver ancora determinato il prezzo, ma ha affermato che sarebbe molto conveniente e senza alcun scopo di lucro. La crisi energetica che sta attraversando il Libano è il risultato di un tracollo finanziario che ha devastato l’economia libanese dal 2019, facendo crollare la valuta di circa il 90 per cento e rendendo circa tre quarti della popolazione in stato di povertà. Le forniture di carburante si sono esaurite perché il Libano non ha abbastanza valuta pregiata per coprire le importazioni, costringendo i servizi essenziali, compresi alcuni ospedali, a ridimensionare le proprie attività o chiudere.

La decisione di importare carburante segna un’espansione del ruolo svolto dal movimento Hezbollah sostenuto dall’Iran in Libano. L’annuncio del movimento sciita è giunto poche ore prima della votazione da parte del governo della sua dichiarazione ministeriale, un documento chiave che delinea le priorità del gabinetto e sarà vagliato dai parlamentari prima di concedere la fiducia all’esecutivo, e ha anticipato la spedizione di forniture petrolifere dall’Iraq concordata dal governo uscente. Lo scorso 12 settembre, l’ormai ex ministro dell’Energia Raymond Ghajar ha annunciato che la prima spedizione di carburante iracheno sarebbe arrivata questa settimana. L’accordo tra il Libano e l’Iraq è stato da più parti accusato di opacità e di miopia considerato che Baghdad fornirebbe olio combustibile ad alto contenuto di zolfo incompatibile con le centrali elettriche del Paese. Per ovviare al problema, le autorità libanesi hanno raggiunto un accordo con la compagnia emiratina Enoc per scambiare le forniture irachene con prodotti a basso contenuto di zolfo compatibili con i generatori libanesi.

In questo contesto le forniture iraniane sono le uniche in grado di rifornire nel breve periodo stazioni di servizio carburanti e consentire il funzionamento dei generatori a olio combustibile. Intervistata dall’emittente qatariota “Al Jazeera”, l’esperta di politiche energetiche Jessica Obeid ha sottolineato che “queste sono tutte soluzioni rapide per mantenere l’elettricità, ma non risolveranno i problemi del settore energetico”. “Il problema – ha dichiarato – non è da dove otteniamo il carburante o l’elettricità, ma come lo pagheremo”. Secondo l’analista, il carburante iraniano, non cambierà le regole del gioco in termini di soddisfazione della domanda, ma serve solo per aumentare la popolarità di Hezbollah. Infatti, con il petrolio iraniano Hezbollah sta cercando di sfruttare la crisi a proprio vantaggio in qualche contrastando l’iniziativa annunciata lo scorso 8 settembre ad Amman dai ministri dell’Energia di Libano, Egitto, Siria e Giordania per fornire gas egiziano al Libano e alleviare la crisi elettrica che sta attraversando il Paese.

La proposta fa parte di uno sforzo coordinato dagli Stati Uniti con Egitto e Giordania per aiutare ad alleviare la crisi elettrica del Libano fornendo gas naturale attraverso l’Arab Gas Pipeline, che va dalla penisola egiziana del Sinai alla Giordania, alla Siria e al Libano. Secondo il piano degli Stati Uniti, il gas dovrebbe passare attraverso la Siria per raggiungere il Libano, che potrebbe poi essere utilizzato dalle centrali elettriche libanesi per generare energia a livello nazionale. Il gas egiziano dovrebbe essere pompato attraverso un gasdotto esistente che si estende da Al-Arish a Taba in Egitto, quindi ad Aqaba e da lì a Rehab in Giordania, e da Rehab attraverso Jaber fino alla regione di Homs, in Siria, e poi a Deir Ammar in Libano. La lunghezza dell’infrastruttura è di 1.200 chilometri e la sua capacità è di 7 miliardi di metri cubi di gas all’anno.

16 settembre 2021 - vietato curarsi

 

Mauro Rango riferisce sulla 3 giorni dell'International Covid Summit tenutosi a Roma il 12-14 settembre 2021.

https://luogocomune.net

Giugno è passato e l'Ema ha deciso di non decidere, per scelta ideologica, sullo Sputnik V, solo vaccini statunitensi con modificazione genetiche


16 SETTEMBRE 2021

Dove eravamo rimasti con lo Sputnik V? Lo scorso inverno, quando la comunità scientifica e gli enti regolatori occidentali stavano ragionando su quali vaccini anti Covid approvare, il prodotto russo e i suoi omologhi cinesi finirono nell’occhio del ciclone. Nonostante la necessità di accelerare le campagne vaccinali appena iniziate, c’erano troppe poche informazioni per concedere il semaforo verde ai vari Sinopharm, Sinovac e Spunik.

L’Unione europea e gli Stati Uniti preferirono puntare sui propri vaccini. Anche se sarebbe più corretto dire sui vaccini americani, visto che AstraZeneca, l’unico realizzato nel Vecchio Continente, finì presto cannibalizzato da Pfizer, Moderna e Johnson & Johnson, e che i tanto attesi vaccini francesi e tedeschi non riuscirono a vedere la luce in tempo per far fronte alle fasi più acute dell’emergenza (li stiamo aspettando ancora oggi).

In quelle settimane convulse, lo Sputnik venne approvato da un numero via via crescente di Paesi, tra cui San Marino e l’Ungheria. Nel marzo 2021, l’Ema iniziava la revisione ciclica dello Sputnik per valutarne la conformità agli standard dell’Unione europea “in materia di efficienza, sicurezza e qualità”, mentre il 20 dello stesso mese l’Istituto Spallanzani di Roma ne annuncia la sperimentazione al fine di constatare la sua efficacia sulle varianti e sull’uso come richiamo per chi ha ricevuto la dose di un altro vaccino. La strada sembrava in discesa.
Il primo studio

Lo Sputnik uscì tuttavia gradualmente dai radar. Del resto, la carenza di vaccini non era più una spada di Damocle, e i governi potevano pur sempre contare sul trio Pfizer-Moderna-Johnson & Johnson. La Russia cercò quindi di spingere lo Sputnik in altri scenari, come in America Latina, Africa e Sud Est Asiatico. Nel frattempo, a maggio, le autorità russe registravano il vaccino monodose Sputnik Light. Come ebbe modo di spiegare il Fondo per gli investimenti diretti, mentre Sputnik V era formato da due dosi di altrettanti adenovirus, la versione Sputnik Light impiegava come dose unica la prima dose di Sputnik V.

La nota che accompagnava l’uscita di quel vaccino spiegava che il prodotto aveva dimostrato “un livello di efficacia di quasi l’80%” e altrettanto efficace “contro tutti i nuovi ceppi di coronavirus”. Niente da fare: lo Sputnik (entrambe le versioni) continuava ad essere un vaccino esotico, destinato ad altri Paesi e ad altre latitudini.

Adesso sono stati diffusi un paio di studi che confermano le buone capacità del vaccino russo, molte delle quali, in parte, già annunciate illo tempore dagli stessi russi. Partiamo dal primo, intitolato Vaccine Effectiveness against Referral to Hospital and Severe Lung Injury Associated with COVID-19: A Population-Based Case-Control Study in St. Petersburg, Russia, e pubblicato come documento preprint. In seguito a uno studio realizzato da un gruppo indipendente di ricercatori in quel di San Pietroburgo, è emerso che l’efficacia dello Sputnik contro l’ospedalizzazione su 13,893 individui (1,291 vaccinati; 495 ospedalizzati) è risultata pari all’81%. La stessa, sarebbe compresa tra il 68% e l’88% con probabilità del 95%.
Il secondo studio

Arriviamo così al secondo paper, intitolato Effectiveness of the first component of Gam-COVID-Vac (Sputnik V) on reduction of SARS-CoV-2 confirmed infections, hospitalisations and mortality in patients aged 60-79: a retrospective cohort study in Argentina, pubblicato da EclinicalMedicine di The Lancet. In uno studio effettuato in Argentina su 40mila anziani, Sputnik Light ha mostrato un’efficacia compresa nella fascia 78,6-83,7%, cioè un intervallo superiore a quello dei vaccini a due iniezioni.

In particolare, l’efficacia del vaccino per prevenire le infezioni confermate in laboratorio è stata del 78,6%, mentre per la riduzione dei ricoveri e dei decessi, rispettivamente dell’87,6% e dell’84,8%. Ricordiamo che Sputnik Light è registrato in molti Paesi come vaccino autonomo, ma può anche essere impiegato come richiamo. Vari studi clinici hanno dimostrato che un mix tra Sputnik Light e vaccini come AstraZeneca e Moderna, fornisca ottimi risultati nella lotta contro il coronavirus. Non sappiamo se in futuro ci saranno altre ondate consistenti di Covid ma, in relazione al passato, sappiamo che Sputnik era ed è un vaccino sul quale sarebbe servito e servirebbe fare maggiore chiarezza. Tanto da Mosca che dagli enti regolatori occidentali.

ÚLTIMA HORA | RDIF: EClinicalMedicine de @TheLancet: la vacuna de dosis única Sputnik Light, componente 1 de #SputnikV, entre 40 000 personas mayores, mostró una eficacia del 78,6-83,7% frente a #COVID, mucho más alta que la de vacunas de 2 inyecciones.

— Sputnik V (@sputnikvaccine) September 13, 2021

Euroimbecilandia continui a trattare la Russia con sufficienza e a toglierle dignità, la risposta minimale è l'aumento del gas. Sulla buona strada per il suicidio

La crisi energetica sta colpendo queste grandi industrie in Europa

17/09/2021 - 14:14

Europa intrappolata nella crisi energetica, con i prezzi di gas ed elettricità in corsa, a oscurare la ripresa. Intanto, l’impennata dei costi sta fermando grandi industrie europee: che succede?


Crisi energetica e prezzi alle stelle di gas ed elettricità in primo piano in Europa.

I livelli record dei costi stanno schiacciando i profitti di alcuni dei giganti industriali del continente, minacciando di far deragliare la ripresa economica della regione.

Cosa sta succedendo in Europa e quali colossi hanno già ridimensionato la produzione a causa dell’impennata dei prezzi energetici? La crisi si aggrava nel vecchio continente.
Queste aziende europee fanno i conti con i prezzi energetici alle stelle: il punto sulla crisi

I prezzi del gas in Europa sono più che triplicati quest’anno, mentre i costi dell’energia sono quasi raddoppiati: questa è la situazione della regione, che sta affrontando una crisi dell’offerta con il rischio di sconvolgere i piani di ripresa.

A testimoniare il momento concretamente difficile, ci sono le ultime notizie riguardanti colossi industriali del vecchio continente.

La principale azienda chimica europea BASF ha affermato di non essere stata in grado di evitare completamente l’impatto dei prezzi record dell’elettricità, nonostante la produzione dell’80% della propria energia. Il suo impianto di Ludwigshafen è il più grande per la produzione chimica integrata al mondo e utilizza 6 terawattora di elettricità all’anno, equivalenti all’energia contenuta in circa 3,5 milioni di barili di greggio.

Aurubis, il maggiore produttore di rame del continente, ha evidenziato che i costi energetici hanno già ridotto i profitti e continueranno a pesare sui margini per il resto dell’anno.

L’azienda chimica norvegese Yara International ASA ha dichiarato che ridurrà circa il 40% della sua produzione di ammoniaca a causa degli alti prezzi del gas.

CF Industries Holdings - fornitore di fertilizzanti - ha fatto sapere che interromperà le operazioni nei suoi complessi di produzione di Billingham e Ince in Gran Bretagna dopo che i costi del carburante sono rimbalzati.

Non solo, Il principale produttore di zucchero francese, Tereos, ha già avvertito dell’aumento dei prezzi del gas che fa aumentare fortemente i costi di produzione per l’azienda.

Il produttore di amido Roquette Freres, con sede nel Nord della Francia, ha dichiarato che gli alti prezzi dell’energia stanno creando finiranno per essere trasferiti ai clienti.

CropEnergies AG, uno dei maggiori fornitori europei di etanolo, questa settimana ha affermato che l’aumento dei costi energetici ha ridotto i suoi profitti rispetto all’anno precedente.
Europa in affanno nella ripresa economica?

Le difficoltà affrontate dai giganti industriali europei indicano ostacoli ancora maggiori per le piccole imprese ad alta intensità energetica, che in genere non dispongono di propri impianti di produzione di energia e hanno meno accesso a sofisticati strumenti di copertura che possono aiutare a compensare i guadagni di prezzo.

Con queste premesse, il cammino dell’Europa verso la ripresa potrebbe subire una brusca frenata.

Goldman Sachs Group ha ipotizzato un vero e proprio blackout per l’Europa questo inverno, se il clima dovesse diventare freddo.

Il continente sta esaurendo il tempo per riempire i suoi siti di stoccaggio ormai esauriti, prima dell’inizio della stagione invernale, con le scorte al livello più basso in oltre un decennio. La crisi energetica è già qui, in Europa?

La guerra tra i capitali in Euroimbecilandia è sempre più manifesta

Bce: gaffe capo economista scuote l'euro e fa saltare in aria sforzo Lagarde su maggiore trasparenza

Laura Naka Antonelli 17 settembre 2021 - 10:02

MILANO (Finanza.com)

Le ultime rivelazioni del Financial Times mandano all'aria gli sforzi di Christine Lagarde, numero uno della Bce, tesi a rendere la banca centrale europea più trasparente e più facile da capire: colpa del capo economista della stessa Bce, Philip Lane che, stando a quanto ha rivelato il quotidiano britannico, avrebbe fornito informazioni di politica monetaria non ufficiali nel corso di una riunione privata con alcuni economisti di banche tedesche.

Una vera e propria gaffe, quella di Lane, come commenta qualcuno, che ha confuso trader, analisti ed esperti di politica monetaria: secondo l'FT, nel corso di quell'incontro privato, l'economista avrebbe detto che la Bce prevede che il nuovo target di inflazione fissato da Lagarde al 2% verrà centrato entro il 2025 e che il tasso sui depositi, che viaggia al minimo record pari al -0,50%, potrebbe essere alzato ben prima delle previsioni, tra poco più di due anni, in base a quanto emerge da alcuni modelli interni dell'istituzione di Francoforte: la stretta arriverebbe insomma prima di quel 2024 che molti esperti prevedono essere l'anno in cui il tasso potrebbe essere aumentato, dieci anni più tardi da quando è stato tagliato l'ultima volta, nel 2014.

Gaffe di Lane, rialzo tassi Bce anticipato di un anno? Euro reagisce

In realtà, sottolinea il Financial Times, outlook su una stretta monetaria entro la fine del 2023 non mancano.

Ma, in generale, le previsioni sono più di un aumento a partire dal 2024 che non dal 2023: di conseguenza, le rivelazioni dell'FT, che pongono interrogativi anche di natura etica, visto che Lane avrebbe dato informazioni riservate a un gruppo limitato di economisti, hanno confuso un po' i mercati.

Nella giornata di ieri l'euro, dopo la pubblicazione dell'articolo dell'FT, è schizzato al rialzo, sebbene per poco, fino a quota 1.1820, prima di scendere dai massimi intraday e oscillare attorno a $1,1750, complice anche il rafforzamento del dollaro.

I buy sul biglietto verde, vale la pena di precisare, sono stati scatenati ieri dalla pubblicazione del dato relativo alle vendite al dettaglio Usa, che hanno letteralmente stracciato le stime degli analisti.

La moneta unica oggi avanza a $1,178.

Sale oggi lo spread BTP-Bund, che per due sessioni aveva oscillato sotto la soglia di 100 punti base e che stamattina sale a 101,20, in crescita dell'1,43%, e a fronte di tassi sui BTP decennali allo 0,72%.

Evidentemente stizzita, la Bce si è fatta sentire dopo la pubblicazione dell'articolo:

"Lane non ha riferito in alcuna conversazione con gli analisti che l'area euro centrerà l'inflazione del 2% dopo la fine dell'orizzonte di proiezioni della Bce (che è di tre anni, e che vede dunque l'attuale outlook coprire i tre anni 2021-2022-2023).

Il portavoce di Francoforte ha continuato, affermando che "la conclusione a cui è giunta l'Ft, ovvero quella secondo cui l'aumento dei tassi di interesse potrebbe verificarsi già nel 2023, non è in linea con la nostra forward guidance. Lane è stato chiaro nel dire, in un evento ufficiale di mercoledì che, grazie alla persistenza con cui assicurerà un livello elevato di stimoli monetari, la Bce potrà raggiungere il suo target del 2% nel corso del tempo, senza menzionare una data specifica".

Bce: Lagarde parla di target inflazione, criptovalute, debito pubblico

Dal canto suo, nel corso di un'intervista rilasciata a Bloomberg il 13 settembre scorso, e pubblicata sul sito della Bce nella giornata di ieri, Lagarde ha parlato sì di tassi, ma anche di pandemia e di debito pubblico , criptovalute, confermando la maggiore chiarezza che, a suo avviso, la Bce ha fatto su alcuni temi di politica monetaria, laddove ha messo in evidenza il nuovo target di inflazione della banca centrale del 2% simmetrico.

"Certamente, quello che abbiamo deciso di fare è avere un target che fosse semplice, facile da capire, simmetrico e focalizzato nel medio termine", ha detto la numero uno della banca centrale, continuando: "Invece di avere quel complicato 'inferiore, ma vicino al 2%', frase un po' incerta e confusa, abbiamo deciso di scegliere qualcosa di più diretto, semplice: un 2% simmetrico".

Questo significa, ha continuato Christine Lagarde, che "deviazioni al rialzo o al ribasso rispetto al 2% sono entrambe non desiderabili; questa è la definizione su cui ci siamo trovati d'accordo".

Trovati d'accordo, ha precisato la numero uno della Bce, anche sulla decisione di fissare il target "nel medio termine, che importa soprattutto perchè siamo particolarmente preoccupati sulle aspettative di inflazione. Credo che quella decisione, insieme alla forward guidance, che abbiamo deciso qualche settimana più tardi dopo la diffusione della revisione della strategia della Banca centrale europea, ha convinto in modo sufficiente i mercati, gli analisti e gli osservatori, che hanno apprezzato la nostra serietà, dunque il nostro impegno (a raggiungere) verso il 2%".

La Bce è davvero più trasparente e più chiara?

L'FT ricorda che la banca centrale tende a pubblicare le stime sull'economia -Pil e inflazione in particolare - per i tre anni successivi, aggiornandole ogni trimestre.

Ma forse non tutti sanno che lo staff degli economisti compila anche "uno scenario di riferimento di medio-termine" che riferisce a un arco temporale di cinque anni. E questo report, di solito, non viene reso pubblico.

Invece Lane lo avrebbe fatto, secondo il quotidiano finanziario made in UK, tra l'altro a un gruppo ristretto di economisti di banche tedesche, e proprio in un momento in cui da più parti arriva l'alert inflazione. I

nflazione che, in Eurozona, è volata ad agosto del 3%, al record in dieci anni. Tanto da portare la Bce di Lagarde, nell'ultima riunione del Consiglio direttivo dello scorso 9 settembre, ad annunciare la riduzione degli acquisti di asset che vengono effettuati nell'ambito del PEPP, il bazooka anti Covid noto anche come QE pandemico. Ma che non si parli di tapering.

La politica sanitaria imposta dal CAPITALISMO GLOBALE TOTALIZZANTE viene sconfitta in Nicaragua

16 Settembre 2021 17:32
No a isterismi e lockdown. Covid, l'esempio virtuoso del Nicaragua

La Redazione de l'AntiDiplomatico


Tutela della salute pubblica o scelte dettate da una ben determinata agenda politica? Sin dall’inizio di questa pandemia ci si arrovella intorno a questo interrogativo. In particolare quando taluni governi insistono nel portare avanti ben determinate politiche affermando che si tratta di misure assolutamente necessarie per contrastare la pandemia e fermare il diffondersi dei contagi.

Molti governi hanno puntato sin dall’inizio su limitazioni generalizzate, restrizioni, confinamenti dal sapore mediavela affermando che si trattava di misure dolorose ma necessarie per fermare il contagio. In realtà abbiamo constatato che si tratta di scelte politiche tutt’altro che necessarie. Ci sono infatti paesi che pur adottando strategie diverse, senza confinamenti o lockdown, hanno fatto registrare ‘performance’ finanche migliori a quei paesi, - come l’Italia - dove ci sono state chiusure lunghe rigorose.

Tra questi paesi sicuramente possiamo annoverare il Nicaragua. Il governo sandinista del Comandante Daniel Ortega ha scelto di non procedere verso chiusure, pur adottando misure precauzionali di buon senso. Il risultato è che nel paese centroamericano i contagi sono sotto controllo, gli ospedali non in sofferenza. Insomma, il paese ha retto bene l’urto della pandemia, nonostante si trovasse anche ad affrontare l’ostilità statunitense, dei paesi vassalli di Washington e delle immancabili ONG sempre attive nella destabilizzazione di paesi indipendenti e sovrani come il Nicaragua sandinista.

L'organizzazione non governativa Observatorio Ciudadano Covid-19 del Nicaragua ha chiesto urgentemente alla popolazione - questo mercoledì - di avviare una quarantena volontaria, visto quello che considerano "un picco di pandemia" che sta attraversando il Paese e che ha causato, si dice, un "crollo del sistema sanitario”.

"A 17 mesi dall'inizio della pandemia di coronavirus in Nicaragua, è stata evidenziata la mancanza di volontà delle autorità nazionali e sanitarie di adottare le misure necessarie per preservare la salute e la vita della popolazione nicaraguense, motivo per cui è urgente che il popolazione civile si organizzi e si disponga all'assistenza collettiva e autogestita", afferma l'Osservatorio in una nota.

Secondo il comunicato dell'Osservatorio, le stesse autorità sanitarie hanno segnalato tra novembre 2020 e aprile 2021 una media di 60 nuovi contagi a settimana, mentre in un rapporto di questo martedì hanno segnalato 568 casi l'ultima settimana di agosto. In totale, il Ministero della Salute riconosce 11.916 casi e 200 decessi dalla comparsa della pandemia nel marzo 2020.

Il Comandante Daniel Ortega, però, in occasione di un evento pubblico ha colto l’occasione per chiari sulla situazione e ribadire che il Nicaragua non implementerà misure di confinamento: “I cittadini del Nicaragua hanno affrontato la pandemia con grande maturità, responsabilità, consapevoli che rinchiudersi è come seppellire la testa come lo struzzo e morire. E' stato dimostrato nei Paesi che volevano sottomettere, costringere le persone, anche incarcerando chi non ha rispettato il confinamento; che quella non era la soluzione. Piuttosto, ha causato più morti e problemi intrafamiliari (…) Bisogna saper uscire in strada, farlo con attenzione, bisogna saper andare al lavoro, farlo con attenzione. Ogni giorno, anche senza epidemia, se non ci si muove con attenzione si muore per incidente”.

Dalle parole di Ortega si evince che il Nicaragua grazie alla sua indipendenza e sovranità riesce a decidere autonomamente la propria strategia di contrasto al Covid. Con una politica che ascolta i medici ma poi prende le decisioni necessarie e capaci di conciliare la tutela della salute pubblica con i l diritto delle persone a poter vivere e lavorare. Insomma, la politica ascolta i consigli e le raccomandazioni dei medici, ma poi assume le decisioni necessarie. Al contrario di quanto avviene alle nostre latitudini.

Se il Parlamento di Euroimbecilandia tratta così la Russia nessuna meraviglia che poi il suo gas schizza alle stelle e le bollette diventano impossibili da pagare

17 Settembre 2021 09:00
Nuove punte di folle russofobia del Parlamento europeo

Marinella Mondaini

Mentre negli Stati Uniti definiscono la Russia «la più grande minaccia militare per la regione euroatlantica”, in Europa il Parlamento Europeo adotta una dottrina per “democratizzare la Russia”, approvando una nuova vergognosa relazione contro la Russia che alimenta la già folle russofobia, portata a livelli estremi e pericolosi. Si tratta a mio parere di una dichiarazione di guerra sempre più palese.

Senza nemmeno aspettare l’esito delle elezioni per il parlamento in Russia di lunedì prossimo, l’Ue definisce già adesso le elezioni russe “falsificate e illegali”, chiama la Russia “la più grande sfida alla sicurezza mondiale”, definisce il “regime di Putin: una autoritaria cleptocrazia, che Putin a vita capeggia, contornato da oligarchi”. Il Parlamento Europeo “deve rafforzare la pressione sul regime del Cremlino”, sostenere i paesi del partenariato orientale: Ucraina e Georgia.

Fondata sulla ormai trita menzogna che la Russia vuole indebolire le democrazie e destabilizzare l’ordine politico europeo questa relazione intende “respingere le politiche aggressive di Mosca e gettare le basi per la cooperazione con una futura Russia democratica”.

Nel testo si fa una netta distinzione tra il popolo russo e il regime di Putin e senza nemmeno nasconderlo dice apertamente che l’Europarlamento deve supportare le tendenze democratiche interne alla Russia e anche che è importante stabilire un’alleanza con gli Stati Uniti che includa sanzioni, politiche e aiuto gli attivisti per i diritti umani.

Questa relazione è stata approvata dall’Europarlamento con 494 voti favorevoli 103 contrari e 72 astensioni.

L’Ansa.itEuroparlamento riporta: “La Relazione ricorda l’importanza di fermare i flussi di denaro sporco dalla Russia e di ridurre la dipendenza energetica europea da Mosca, sottolineando come il Green Deal europeo possa svolgere un ruolo geopolitico cruciale nel raggiungimento di tale obiettivo. Riguardo le elezioni parlamentari previste in Russia per questo fine settimana, l’eurodeputato della Lituania e relatore del testo Andrius Kubilius (Ppe) ha ribadito che se le elezioni parlamentari vengono riconosciute come fraudolente, la Ue non dovrebbe riconoscere la Duma russa e dovrebbe chiedere la sospensione del paese dalle assemblee parlamentari internazionali, compresa quella del consiglio d’Europa”. Gli Euro deputati della Lega si sono dissociati dal loro gruppo “Identità e democrazia” (ID) e hanno votato a favore della Relazione sui rapporti Ue-Russia. Il resto del gruppo ID ha votato contro e solo 7 si sono astenuti”.

Il deputato della Slovacchia, Milan Urik è intervenuto all’Europarlamento esprimendosi contro questa Relazione Ue, dicendo che sette anni di sanzioni europee contro la Russia "non hanno prodotto nulla, ha stancato fino alla nausea questa russofobia, basta ascoltare l’America, dobbiamo fare i nostri interessi…”; Clare Daly, eurodeputato per l’Irlanda, anch’essa ha fatto un infuocato intervento: “questa relazione non infonde alcuna fiducia, anzi è un “grugniore xenofobo”, la maggior parte delle cose scritte sono menzogne, circondiamo la Russia di basi Nato e poi la chiamiamo aggressore, sosteniamo i suoi oppositori interni e poi accusiamo la Russia di ingerenza negli nostri affari! Si tratta di un testo cinico che noi rifiutiamo perché contiene stupidità dalle quali guadagnerà solo l’industria bellica! Dobbiamo fermare questa isteria russofoba, l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che questa guerra fredda si trasformi in guerra calda”.

E adesso passo a esporre il commento ufficiale delle autorità russe in risposta a questa Relazione europea.

Il Capo Commissione del Consiglio per la Difesa della Sovranità Statale della Federazione Russa, Andrej Klimov, ha dichiarato: “Questo rapporto era stato preparato a inizio estate, ora sono state introdotte delle modifiche che portano all’estremo l’indirizzo antirusso del testo. Nella sostanza, il Parlamento Europeo ha approvato un documento che esorta alla gestione estera della Russia. Propongono al popolo russo di rifiutare la legislazione che garantisce la sovranità del paese e di introdurre negli organi del potere persone che nel proprio dossier hanno casi, certificati dal Tribunale, di attività estremista. Ma il colmo è che in questa Relazione allo stesso tempo si sottolinea la lotta Ue contro qualsiasi tentativo di ingerenza della Russia negli affari dell’Unione Europea, questo è il massimo del cinismo!” - ha sottolineato Klimov.

Gli eurodeputati propongono alla Russia di prendere come modello a cui aspirare: l’Ucraina di oggi!

Klimov ha anche sottolineato che l’esortazione a non riconoscere le elezioni parlamentari russe costituisce un elemento di influenza sugli elettori russi ed è un’ingerenza negli affari della Federazione Russa”.

La relazione dell’Europarlamento verrà sottoposta alla Duma di Stato e al Consiglio della Federazione, la Commissione si riunirà il 21 settembre per dare una valutazione politica a questo documento.

L'ingenuità di Mattarella Mattarella è colossale. Prima di parlare di esercito e politica estera di Euroimbecilandia, questa dovrebbe buttare via dai propri territori le basi e militari statunitensi che da settant'anni vi bivaccano a gratis

Europa tradita da Biden e dalla propria stupidità



Prima gli Usa di Biden hanno fatto di tutto per impedire che l’Europa nel suo complesso e i singoli Paesi che la compongono stabilissero solidi accordi con la Cina in nome della “solidarietà atlantica” , facendo di fatto saltare l’“accordo globale di investimento” (CAI), un accordo redditizio che avrebbe dato alle aziende europee un migliore accesso ai mercati cinesi rispetto a quello che hanno attualmente gli Stati Uniti. Poi hanno tradito con il nuovo accordo militare anticinese tra Gran Bretagna, Usa e Australia che non solo fa sapere quali sono le vere priorità statunitensi, ma che diche chiaramente che l’Europa ormai non conta nulla e deve soltanto adeguarsi a ciò che dice il padrone. Le spese di tutto questo le fa in termini economici immediati la Francia che aveva siglato con l’Australia un accordo per la costruzione di 12 sommergibili a propulsione nucleare per un valore di 43 miliardi dollari. E questo fa fallire i legami transatlantici con l’Europa, con il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian che afferma: “Questa decisione unilaterale, brutale e imprevedibile è molto simile a quella che stava facendo Trump”.

Del resto tutto questo era nelle cose ed è stato semplicemente nascosto da una narrazione fasulla e francamente, anzi americanamente stupida secondo la quale il deterioramento dei rapporti tra Europa ed Ue era da addebitarsi all’America first di Trump e che dunque tutto sarebbe rientrato nella normalità con Biden. Però il problema non è questo o quel presidente, ma l’America stessa che fa esclusivamente i propri ossessivi interessi di potere planetario: adesso che il nuovo nemico è la Cina, l’Europa è costretta a far parte dello spettacolo di Washington, ma solo come comparsa che le prende da tutte le parti. La minimizzazione di Trump della Nato non era semplicemente dovuta alla sua natura erratica e imprevedibile, ma era un’espressione del cambiamento di interessi strategici degli Stati Uniti non più concentrati sull’Europa, cosa che è rimasta sottotraccia per 4 anni senza che i poteri europei lo comprendessero. E del resto a vederli e sentirli, la cosa non stupisce affatto, come non stupisce che troppo a lungo non si sia afferrato come .Washington abbia una lunga storia di comportamenti in malafede nei confronti del continente, che l’America non è affatto il il “salvatore” dell’Europa, ma il suo sfruttatore e chi ha lavorato nel campo dei brevetti – tanto per dirne una- capirà immediatamente il senso del discorso.

Ad ogni modo la disdetta della commessa dei sottomarini non è per nulla marginale risoetto al significato di questa nuova alleanza anglosassone perché ci dice immediatamente che gli Usa intendono usare da presso la minaccia nucleare. Infatti i sottomarini francesi che gli australiani volevano comprare erano sì a propulsione nucleare, ma l’Australia non poteva armarli con armi atomiche che non possiede, almeno sulla carta e non potrebbe comprare ufficialmente dalla Francia. Se al contrario usasse sottomarini americani così come accade per i quattro Vanguard della Gran Bretagna che in realtà obbediscono al Pentagono rendendo un po’ ridicola la Global Britain di Johnson, la cosa potrebbe essere possibile con il sistema della doppia chiave: ufficialmente i sottomarini sarebbero australiani, ma di fatto verrebbero controllati dagli Usa. Questo è essenziale visto che comunque l’Australia ha un forte legame con la Cina con la quale ha il proprio maggior interscambio commerciale, tra l’altro raddoppiato dal 2016 al 2019. Dunque in un certo senso il Paese è “inaffidabile” per una mentalità padronale come quella di Washington perché potrebbe tentare di fare anche i propri interessi invece di quelli Usa: esattamente come per la Nato non siamo di fronte non a una vera e propria alleanza militare sia pure ad alta asimmetria, ma di fatto a una sorta di protettorato forzoso.

Tutto questo rende però evidente la differenza tra un progetto di pace e di crescita come quello cinese e l’improvvisazione armata degli Usa, ma soprattutto della sua elite nel tentativo di conservare un potere planetario che non è più nelle cose, non nella demografia, non nelle tecnologie, non nelle capacità di adattamento ai cambiamenti, men che meno nell’intelligenza Questo lo capiscono in molti, ma solo l’Europa non riesce ad afferrarlo.

Linea rossa - Non toccate i bambini - Il putridume della palude dell'influenza covid rilascia sempre più miasmi maleodoranti, istituzioni e multinazionali farmaceutiche unite nell'unico disegno di attaccare il sistema immunitario del genere umano. Primo step

Cavaleri (Ema) “Vaccino ai bambini? Valuteremo in autunno”/ “In arrivo tre farmaci”

Pubblicazione: 17.09.2021 - Silvana Palazzo

Marco Cavaleri (Ema) sul vaccino ai bambini: “Valuteremo in autunno”. E anticipa che arriveranno tre farmaci antivirali per curare il Covid: “In pillola, facili da assumere”

Marco Cavaleri (La7)

La terza dose è necessaria, ma non per tutti. A dirlo è Marco Cavaleri, responsabile della task force per i vaccini e le terapie Covid-19 dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema), che ha parlato anche di vaccino ai bambini e farmaci anti Covid. Ma torniamo alla terza dose: prima di prendere una posizione ufficiale stanno facendo ordine tra i dati. «Un certo calo di efficacia lo vediamo, ma fatichiamo a distinguere fra il ruolo del tempo che passa e riduce la protezione e il ruolo della variante Delta, un cliente più difficile per i vaccini». Ne ha parlato a Repubblica, spiegando che ci sono i dati di Gran Bretagna, Usa e Israele, dove si sta rimostrando un aumento di contagi e forme lievi tra i vaccinati. «La protezione nei confronti della malattia grave invece resta molto alta, e questo è sempre stato il nostro obiettivo». Solo in Israele c’è un calo sopra i 65 anni, un caso isolato ma che viene osservato con attenzione, «perché potrebbe indicare che la diga ha bisogno di essere rafforzata in alcuni punti, o con una terza dose o con un vaccino aggiornato alle varianti». Di sicuro i vaccini ci hanno dato una protezione importante in questi mesi.

Senza, infatti, l’ondata per la variante Delta sarebbe stata «enorme, probabilmente catastrofica come la prima o forse più, perché la Delta è molto più contagiosa delle varianti precedenti». In ogni caso, per la terza dose l’orientamento dell’Ema è quello di evitare di raccomandare richiami per chi non ne ha bisogno.

VACCINI IN ARRIVO ANCHE PER I BAMBINI

Ma nell’intervista rilasciata a Repubblica si è parlato anche del vaccino anti Covid per i bambini. «Orientativamente Pfizer ci darà i dati sui 6-11 anni a inizio ottobre. La valutazione da parte nostra prenderà 3 o 4 settimane. A inizio novembre dovrebbe arrivare anche Moderna, con la stessa fascia. Poi progressivamente si scenderà d’età, fino ad arrivare ai neonati», ha dichiarato Marco Cavaleri. Inoltre, ritiene che probabilmente verranno sottoposti anche loro alla somministrazione di due dosi. D’altra parte, «per i bambini potrebbe bastare una quantità più bassa di principio attivo, forse anche di molto, possibilmente anche con meno effetti collaterali». A tal proposito, ha parlato di casi molto rari di miocardite tra gli adolescenti negli Stati Uniti e in Israele, con una frequenza di 60-70 casi ogni milione di vaccinati. «Nulla di grave, generalmente si risolvono in un paio di giorni». Ma Cavaleri ha anche confermato quanto emerso da alcuni studi, cioè che con i vaccini a mRna c’è «un calo degli anticorpi più rapido rispetto a quelli con vettori virali. Ma è vero altresì che il livello di partenza degli anticorpi per il vaccino a Rna è di gran lunga più alto». Ad esempio, ha citato Moderna che ha un dosaggio più alto di Pfizer: «Se all’inizio la protezione dei due vaccini era simile, ora sospettiamo che Moderna dia una copertura un po’ più dura». Riguardo la vaccinazione eterologa, invece, il dibattito si è spento, anche perché c’è un problema di dati. «Noi valutiamo quelli che le aziende ci presentano dopo le loro sperimentazioni, e le aziende in genere non fanno test con vaccini diversi dai propri». Ma Marco Cavaleri ha spiegato anche che l’Ema comunque le incoraggia, anche alla luce dei dati molto incoraggianti che erano emersi.

Nel frattempo, prosegue il dialogo con Russia e Cina, seppur a rilento. Mentre per CureVac e Novavax la valutazione dovrebbe terminare entro la fine dell’anno. Il secondo «è molto interessante perché usa una tecnologia più tradizionale rispetto ai vaccini approvati finora. Se ne possono produrre molte dosi anche al di fuori dell’Europa». Riguardo lo scetticismo dei no vax, Cavaleri ha ricordato che i vaccini a Una sono usati da due anni e ha fatto notare che difficilmente ricevono dossier così ampi. «Abbiamo concordato con le aziende tutti gli ingredienti. Ogni lotto di fiale viene controllato prima dai produttori, poi da un’autorità di sanità pubblica europea». Eppure c’è chi è convinto che l’Rna produca effetti collaterali a lungo termine, timore smentito da Cavaleri: «Si degrada nell’organismo nel giro di pochissimi giorni. Gli effetti collaterali nei vaccini si concentrano nei primi due mesi. (..) Non esiste a oggi alcun motivo immaginabile per cui questi vaccini possano causare problemi a lungo termine». Infine, ha confermato che si sta lavorando anche a farmaci anti Covid. A tal proposito, a ottobre verranno approvati nuovi anticorpi monoclonali utili anche per la prevenzione in alcuni casi, oltre che dopo il contagio. «Saranno importanti per chi ha problemi al sistema immunitario e non riesce a produrre anticorpi con la vaccinazione». Ma arriveranno anche i dati sui nuovi farmaci antivirali: «Ce ne sono tre allo studio, in pillola, molto facili da assumere. Se sicuri e efficaci, si potranno prendere anche a scopo profilattico, se ad esempio c’è un contagio in famiglia, a scuola o al lavoro».

Ivermectina - chi ne parla muore in Euroimbeilandia e negli Stati Uniti - In Perù ridotti 14 volte numero morti

Ivermectina, in Perù ridotti 14 volte numero morti/ Studio: “Con vaccini è efficace”

Pubblicazione: 15.09.2021 - Luca Bucceri

L’ivermectina, un farmaco antimalarico premiato col Nobel nel 2015, ha ridotto la mortalità in maniera significativa in Perù

Ivermectina, farmaco antiparassitario (Web, 2020)

Oltre oceano continua il dibattito sul possibile uso dell’ivermectina nelle cure contro il Covid-19. Il farmaco, per il quale ancora manca il parere della FDA sull’efficacia contro il coronavirus, è somministrato anche alle donne incinta e anche a bambini e neonati, ma nella lotta al virus ha trovato diversi muri alzati dall’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti farmaceutici. Una nuova ricerca, pubblicata su Science Direct prova però a mettere in dubbio l’idea americana, confermando come altri studi l’effettiva utilità del farmaco contro il coronavirus.

Insignito del premio Nobel per la medicina nel 2015, l’ivermectina è un farmaco antimalarico usato principalmente per malattie tipicamente tropicali, ma nel marzo 2020 è stato utilizzato in alcuni casi contro il Covid-19. Dai primi rilievi è stato possibile scoprire inizialmente che i casi trattati con l’antimalarico non si aggravavano e che il numero di decessi fosse sotto controllo, ma dalla Food and Drugs Administration non è mai arrivato il via libera per il trattamento. Nello studio pubblicato dalla piattaforma scientifica è arrivato un chiaro esempio dell’efficacia del farmaco in un paese come il Perù nel quale l’uso dell’ivermectina ha ridotto di 14 volte il numero dei decessi e una volta bandito dal nuovo presidente a fine 2020 i morti sono aumentati nuovamente, con numeri 13 volte maggiori ai mesi precedenti.

In Perù ridotti 14 volte numero morti: “Con vaccini è efficace”

Lo studio pubblicato su Science Direct, condotto dagli studiosi Santin, Scheim, McCullogh, Yagisawa e Borody pubblicato ad agosto, dimostra come l’ivermectina possa avere un’efficacia non trascurabile contro il Covid-19. Stando alla ricerca pubblicata sulla piattaforma scientifica, infatti, primi studi su animali hanno permesso di riscontrare dei miglioramenti nell’infezione da coronavirus. Nello specifico gli studiosi hanno trattato criceti e topi col farmaco, osservando la diminuzione della carica virale e miglioramenti nell’incidenza di anosmia (la perdita dell’olfatto) e riduzione dei danni epatici.

Gli studi, condotti in vari paesi del mondo anche sull’uomo, hanno poi dimostrato che anche il rischio relativo di mortalità con trattamento da ivermectina è stato ridotto, con soli 31 decessi sui 1101 casi trattati. La ricerca si è poi concentrata sui trattamenti combinati tra IVM e coadiuvanti che ne hanno dimostrato l’efficacia. Nello specifico, si evince dallo studio, i dati emersi supportano favorevolmente l’estensione del trattamento insieme alle vaccinazioni, perché il legame con la proteina Spike potrebbe produrre piena efficacia contro i ceppi mutanti del virus. Da Science Direct è arrivata dunque un’altra pagina del dibattito pro o contro ivermectina, con la palla che passa alla FDA per le valutazioni del caso.

Sabra e Chatile - Quasi 40 anni fa, oggi, è stato la scena di un massacro in cui migliaia di uomini, donne e bambini sono stati brutalmente assassinati in una depravata serie di omicidi di tre giorni dalle milizie cristiane falangiste, con la cooperazione delle forze israeliane

16 Settembre 2021 17:24
Sabra e Chatila: “Non è storia per noi: questa è la stessa guerra ogni giorno"

Quasi ignorato dai media, oggi ricorre l'anniversario dell massacro i Sabra e Chatile, dove in 62 ore morirono 3600 palestinesi uccisi dai falangisti libanese mercenari di Israele. Uno degli esecutori materiali di quel massacro fu Ariel Sharon, che 20 anni dopo fu eletto primo ministro del regime israeliano. Questo massacro non è solo nella memoria storica, è in quella di tutti i giorni. Perché ogni giorno lottano i palestinesi contro l'oppressione israeliana e per la liberazione della Palestina. Il giornalista Steve Sweeney ricorda con i sopravvissuti alla strage quei terribili momenti.


"Questa non è storia per noi", dice Zeinab al-Hajj mentre mi afferra il braccio. "Abbiamo bisogno di giornalisti come te per raccontare la nostra storia, per mantenere vivo il ricordo e assicurarsi che questo non accada mai più".

Zeinab è responsabile delle relazioni con i media nel campo profughi palestinese di Shatila, costruito nel 1949 come sito temporaneo ma che ora ospita fino a 22.000 persone nella periferia sud della capitale libanese Beirut.

Quasi 40 anni fa, oggi, è stato la scena di un massacro in cui migliaia di uomini, donne e bambini sono stati brutalmente assassinati in una depravata serie di omicidi di tre giorni dalle milizie cristiane falangiste, con la cooperazione delle forze israeliane.

In foto Nohad Srour aveva solo 11 anni quando è arrivata a Shatila

“Cinque generazioni stanno ancora vivendo la guerra”, continua Zeinab, ripetendo: “Non è storia per noi: questa è la stessa guerra ogni giorno. Ogni storia ha una fine, ma la nostra storia non ha fine".

Siamo in un edificio di Fatah, il partito di governo dell'Autorità Palestinese. Le foto del defunto Yasser Arafat adornano le pareti, insieme ad altri leader caduti della lotta di liberazione.

Non è solo Fatah che è presente nel campo. Sono rappresentate tutte le fazioni palestinesi, con i loro manifesti incollati sugli stessi muri dove uomini, donne e bambini furono allineati e fucilati nel settembre 1982.

Le stime variano sul numero delle vittime della milizia cristiana di destra, che sosteneva di essere entrata nel campo per stanare i restanti "terroristi" dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), accusata di creare "uno stato nello stato" in Libano.

Il compianto Robert Fisk, uno dei primi giornalisti a entrare nel campo dopo le uccisioni, ha riferito: "Dopo tre giorni di stupri, combattimenti ed esecuzioni brutali, le milizie lasciano finalmente i campi con 1.700 morti". Altri, tra cui la Croce Rossa libanese, hanno contato i morti fino a 3.500.

Il totale esatto potrebbe non essere mai conosciuto poiché i bulldozer forniti da Israele entrarono rapidamente nel campo, scaricando cadaveri in decomposizione in fosse comuni che sono state successivamente colpite dalle bombe.

Ciò che non c'è dubbio è che quello che è successo a Shatila e nel vicino distretto di Sabra nei tre giorni è stato un genocidio: l'assemblea generale delle Nazioni Unite lo ha confermato come tale nel dicembre 1982.

Non c'erano combattenti palestinesi nel campo al momento del massacro - la falange e le forze israeliane che li hanno introdotti lo sapevano, dal momento che la milizia dell'OLP era partita per la Tunisia due settimane prima sotto una tregua mediata dalle Nazioni Unite.

Le vittime erano principalmente donne e bambini, molti trovati nelle proprie case, con le gonne sopra la vita, le gambe divaricate, violentate prima di essere giustiziate.

Dopo che i falangisti ebbero terminato la loro orgia di uccisioni, i corpi dei bambini morti erano disseminati per le strade come bambole scartate, fori di proiettile nella parte posteriore delle loro teste.

Nohad Srour aveva solo 11 anni quando è arrivata a Shatila. La sua famiglia era tra i milioni di palestinesi cacciati dalle loro case durante la Nakba del 1948, quando fu creato lo stato di Israele. Come molti, sogna che un giorno tornerà in una patria che non ha mai visto.


Nohad è nato in un campo a Tiro, nel sud del Libano, vicino al confine palestinese. Suo padre era stato un fedayn di Fatah, membro di una milizia palestinese organizzata dall'OLP e conosciuta come "gli audaci eroi del mondo arabo". Si era addestrato in Giordania, dove risiedevano molti combattenti dell'OLP fino a quando non furono cacciati dopo il Settembre Nero, una guerra tra i fedayn e le forze armate giordane nel 1970-71.

La famiglia fuggì da Tiro nel 1978 dopo che Israele iniziò a bombardare il campo e si diresse a nord verso Shatila, uno dei 12 campi profughi a Beirut e dintorni.

L'attacco è avvenuto durante un'invasione israeliana del sud del Libano; era la prima volta che Nohad vedeva un cadavere, una vicina "con l'intestino esploso". Purtroppo non sarebbe l'ultima.

Come fecero più tardi, nel 1982, le forze israeliane affermarono di muoversi contro l'OLP, che stava usando la regione come base per lanciare attacchi come parte della lotta di liberazione.

Paragona l'essere cacciata dal campo a "una seconda Nakba" - ha dovuto lasciare amici, famiglia e scuola - ma dice che la sua infanzia è stata felice, nonostante le condizioni anguste a Shatila, dove 12 persone hanno condiviso solo due camere.

Noha abbandonato la scuola, lottando per adattarsi alle lezioni tenute in inglese; al campo di Tiro, le lezioni erano state in francese, che era in grado di parlare con una certa scioltezza.


Dato che non aveva un'istruzione a tempo pieno, non era circondata da bambini della sua età, ma è diventata amica di due ragazze che ricorda con affetto. I suoi occhi si rattristano mentre mi dice che sono state entrambe uccise dai Falangisti, uno in un modo quasi troppo orribile per raccontarlo con le parole.

“La mia amica è stata appesa a un albero per il seno ed è stata spogliata nuda. L'hanno violentata prima che le sparassero. Aveva solo 11 o 12 anni", racconta in lacrime.

“Molti sono stati stuprati prima di essere uccisi nelle strade principali del campo. Queste persone erano animali", scatta con rabbia, il mio rudimentale arabo non richiede la traduzione delle sue parole.

Beirut era una città sotto assedio durante i preparativi per il massacro, con navi da guerra israeliane che bloccavano il porto e sparavano frequentemente nella parte occidentale della città ora divisa. Il bombardamento ha persino distrutto una sinagoga che era sorvegliata dai palestinesi.

Nohad afferma che, nonostante la guerra in corso, la vita nel campo era sopportabile. Ma quando il leader falangista Bashir Gemayal è stato assassinato solo 14 giorni dopo essere diventato presidente del Libano, "tutto è cambiato".

È stato ucciso da un'autobomba il 14 settembre davanti agli uffici del suo partito Kataeb nel distretto prevalentemente cristiano di Achrafieh di Beirut. Il partito - falsamente - incolpò l'OLP per la scomparsa di Gemayal e diede ai falangisti la scusa perfetta per trasferirsi nei campi e ottenere la punizione.

"C'erano spari vicino al campo", dice Nohad ricordando la mattina prima dell'inizio del massacro. “Un proiettile è entrato in casa nostra e ci siamo resi conto che proveniva da un cecchino che stava guardando dall'alto di un edificio.

“Prima di tutto, abbiamo pensato che fosse l'esercito israeliano, poiché stavano bloccando il campo. Stavano circondando il campo, hanno detto, per cercare di catturare tutti i fuggitivi rimasti [OLP].

“Pensavamo che non sarebbero stati interessati a donne o ragazze, solo a quelle che sono in grado di combattere. Ma ci sbagliavamo", ricorda.

Non si aspettavano che accadesse "nulla di grosso" durante il giorno: non c'erano combattenti di Fatah nel campo e si sentivano relativamente al sicuro. “Non abbiamo avuto paura fino a dopo il tramonto. Poi il campo è stato illuminato da razzi, pensiamo sparati dai soldati israeliani all'ingresso. Poi abbiamo capito che stava per succedere qualcosa di brutto", aggiunge Nohad.

In questa fase, molte famiglie sono fuggite, spaventate per la propria vita. Ma di notte, i cecchini hanno iniziato a sparare a tutto ciò che si muoveva, quindi la famiglia di Nohad si sentiva incapace di andarsene, nonostante avesse supplicato il padre. Suo fratello minore, temendo che potesse essere preso di mira, si è diretto verso la principale struttura medica del campo, dove pensava di essere al sicuro.


La sorella di Nohad è stata la prima della famiglia a scoprire la gravità della situazione quando è uscita di casa per controllare un'amica. Tornò terrorizzata, dopo aver visto pile di cadaveri e aver sentito una richiesta di aiuto da parte di qualcuno ancora vivo tra i cadaveri.

La famiglia si riunì quella notte e invitò la loro vicina di casa Leyla a stare con loro. “Era incinta e sola perché suo marito aveva lasciato il campo con gli altri combattenti di Fatah. Leyla era libanese", ha detto Nohad. "Ha dormito nella mia stessa stanza."

“Quando è arrivata la mattina, mio ??fratello Nidal, mia sorella e Leyla hanno sentito dei rumori nella casa dei vicini. Hanno trovato un gruppo di miliziani che hanno gridato loro di scendere”.

Nohad dice che sono rimasti inorriditi quando hanno sentito i combattenti parlare in arabo libanese: si sono resi conto che erano falangisti. "Questo ci ha fatto più paura perché odiano i palestinesi", ha detto.

I miliziani sono arrivati ??a casa loro e la famiglia si è nascosta nello stretto corridoio dietro il padre, che ha detto loro di non avere paura.

"Ricordo ancora il viso e la voce dell'uomo alla porta", prosegue Nohad. Chiesero a suo padre se fosse un membro di Fatah e iniziarono a perquisire la casa.

Teneva in braccio sua sorella di 14 mesi mentre irrompevano e gridavano loro di lasciare in pace la famiglia, dato che erano civili. Il soldato rispose che avevano degli ordini.

Sono stati fatti allineare contro il muro del loro soggiorno, precisa Nohad. Diventa in lacrime mentre imita il rumore e l'azione di una mitragliatrice. Non ho dovuto aspettare che l'interprete mi dicesse cosa era successo.

I soldati hanno cercato di violentare lei e sua sorella. Un altro uomo è entrato in casa, chiedendo al soldato perché non erano ancora stati fucilati. “Così gli ha tolto la mitragliatrice e ha sparato a tutta la famiglia. Molti sono stati uccisi, mio ??padre, mia sorella…”

La madre di Nohad è stata colpita alla schiena e ferita. La sua sorellina era ferita e chiamava sua madre. “L'hanno messa a terra, ha fatto due passi e poi è caduta morta”, racconta.

Leyla ha subito un destino orribile. Dopo che i soldati l'hanno violentata, le hanno aperto lo stomaco e tirato fuori il suo bambino non ancora nato, inchiodandolo al muro. Poi l'hanno giustiziata.

Parlando con un membro dell'equipaggio di un carro armato israeliano il secondo giorno del massacro, un falangista ha cercato di giustificare tali azioni depravate dicendo: "Le donne incinte daranno alla luce terroristi - i bambini quando cresceranno saranno terroristi".

Il massacro di Sabra e Shatila ha provocato indignazione globale e Israele ha commissionato un'indagine che ha portato al suo rapporto Kahan del 1983.

Ha scoperto che la responsabilità delle uccisioni era dei falangisti e che le forze israeliane, nonostante la conoscenza di ciò che stava accadendo all'interno del campo, erano solo "indirettamente responsabili".

Il ministro della Difesa israeliano Ariel Sharon è stato giudicato "responsabile personale" per aver ignorato lo spargimento di sangue e, a seguito delle proteste di massa a Tel Aviv, si dimise. Tuttavia, in seguito fu eletto primo ministro.

Zeinab afferma che, quasi 40 anni dopo, i palestinesi non hanno giustizia e "vivono ancora quella storia".

Dice che sono stati abbandonati al loro destino dalle forze di pace multinazionali di stanza in Libano, che avevano promesso di proteggere i campi una volta che l'OLP se ne fosse andata. “Non appena Arafat se ne andò, fummo traditi dalle forze internazionali e dagli israeliani”, dice.

“Per prevenire un altro massacro, abbiamo bisogno di autodifesa: ecco perché continuiamo a portare le nostre armi. È d'obbligo perché non sappiamo quando accadrà di nuovo una cosa del genere.

“Ci aspettiamo più dolore. Continueremo la nostra resistenza all'occupazione [israeliana], ma ne pagheremo il prezzo", continua Zeinab. “Tutto ciò che vogliamo è il nostro diritto di tornare. La Palestina è la nostra casa e torneremo", conclude speranzosa.

Ci hanno fagocitati

La nostra vita sempre più virtualizzata – di Miguel Martinez

Maurizio Blondet 17 Settembre 2021


Anzi, la virtualizzazione è ormai una condizione indispensabile per sopravvivere. Non puoi riempire il modulo più semplice, senza dare almeno un indirizzo mail e il numero di un cellulare.

La virtualizzazione assume innumerevoli forme diverse: dalla carta d’identità con il chip elettronico alle istruzioni al drone che porta esplosivi, al navigatore sull’auto…

La cosa fondamentale è capire che queste virtualizzazioni apparentemente diverse, sono separate tra di loro soltanto da un sottile muro di password, o da leggi la cui applicazione è quasi impossibile controllare.

Non possiamo nemmeno contare sul muro della concorrenza, come quello che una volta separava la sfera statunitense da quella sovietica del mondo: Amazon, Google, Facebook/Whatsapp/Instagram, Apple, Samsung, Microsoft sono ciascuno un monopolio nel proprio campo, intimamente legato agli altri monopoli; e tutti sono legati a stati-nazione (USA e secondariamente, Cina) con i propri interessi di dominio militare.

I dati possono scivolare da una categoria all’altra, per negligenza anche nostra, per hackeraggio, per modifica a qualche clausola contrattuale che comunque pochissimi leggono, o magari perché una ditta fallisce e i suoi creditori hanno diritto a spartirsi i capitali, tra cui giocano un ruolo decisivo proprio i dati.

Anzi, possono scivolare per legge:

“Il governo USA il 23 marzo 2018 ha emanato il “Cloud ACT” per il quale le autorità governative (ad esempio la NSA) possono accedere al Cloud (fisicamente i “server”) delle società statunitensi ed accedere ai dati da loro raccolti nei loro server anche se provenienti da paesi europei, cfr. qui: https://www.agendadigitale.eu/…/cloud-act-la-norma…/…

Nessuna legge fisica impedisce di assemblare i dati delle mie preferenze musicali, dei libri che acquisto, delle immagini delle telecamere che mi ritraggono a spasso, del tipo di cibo che acquisto al supermercato, della posizione GPS del mio cellulare, dello smartwatch che misura i passi e i battiti del cuore, delle emozioni che emergono da ciò che scrivo, e di come quelle emozioni variano in rapporto a chi ho incontrato, all’ora, al tempo trascorso dall’ultimo pasto, a quanto ho camminato…

Finché sono solo i dati miei, poco importa.

Ciò che è in ballo è infinitamente più importante: se qualcuno mette insieme quei dati per centinaia di milioni di persone, riuscirà a prevederne e controllarne i comportamenti.

Un conto è sapere che Miguel Martinez ha due gatti e quindi mandargli la pubblicità di cibo per gatti, che probabilmente è ciò a cui pensiamo quando sentiamo parlare di privacy.

Un altro è sapere che per motivi che nessuno capisce, uno studio svolto su mezzo miliardo di casi dimostra che avere un numero pari di gatti e un numero pari di lettere nel cognome comporta un alto rischio assicurativo.

L’esempio è volutamente buffo, perché è esattamente il tipo di dato non intuitivo, da cui noi non ci possiamo difendere preventivamente, se non evitando di mettere il dato stesso nelle mani altrui.

Nessuna legge fisica impedisce poi la conservazione a tempo indeterminato di tutta questa mole di dati:

“In USA nessun dato viene mai eliminato, per la semplice ragione che in USA non esiste il diritto all’oblio. Ne consegue che quando noi cancelliamo qualsivoglia dato, o ad esempio ci cancelliamo da Google, Whatsapp o Facebook, questo NON significa che i dati che abbiamo inserito vengano cancellati ma solo che non sono più resi “pubblici”.

E non sappiamo cosa si potrà fare tra vent'anni con dati che oggi ci appaiono innocui.

Permettetemi di giocare per una volta la Hitler Card, non solo perché voglio vincere facile, ma perché questa volta ha un preciso senso storico: dati insignificanti nel 1918 – la fattura per una circoncisione, l’acquisto di un libro di preghiere in ebraico – avrebbero potuto assumere un valore improvvisamente interessante nel 1938.

Ovviamente non è possibile alcuna resistenza vincente, ma cosa possiamo fare, individualmente, per farci mangiare vivi il meno possibile, e per essere il meno possibile complici?

Cerchiamo, nelle prossime puntate, di scambiarci piccoli consigli di sopravvivenza

venerdì 17 settembre 2021

L'Occidente è morto - “lì dove si bruciano libri, alla fine si bruceranno anche uomini “

I falò dell’Occidente.

Maurizio Blondet 17 Settembre 2021
Roberto PECCHIOLI

Bruciate, bruciate. Fate presto. L’ Occidente che cancella se stesso procede gaio e sicuro verso la fine della sua storia. Dà alle fiamme tutto ciò che possiede e, un falò dopo l’altro, non resterà che cenere. Qualcuno, qualcosa, sopravvivrà e, come la fenice, risorgerà dal fuoco. Siamo giunti alla conclusione che occorre anticipare il più possibile l’atto finale di una civilizzazione spenta, senza accanimento terapeutico, nella speranza che dalle ceneri sorga qualcosa di diverso.

Grazie a Radio Canada si è saputo che nel libero, aperto, tollerante Occidente sono ufficialmente iniziati i roghi della civiltà. Simili ai falò nelle vanità nella Firenze del Savonarola, cancellano non simbolicamente, ma fisicamente, i segni concreti della civiltà, con l’approvazione del potere.

Nel 2019 il Consiglio Scolastico Cattolico (!!!) di Providence, Ontario, ha bruciato trenta libri e fumetti ed ha ritirato dalle biblioteche cinquemila copie degli stessi, giacché “diffondevano stereotipi “Tra essi, spiccano i fumetti di Tintin e Lucky Luke. Tintin è un popolarissimo “comic” del belga Hergè, le avventure di un giovane reporter giramondo, i cui antagonisti sono spie, falsari, trafficanti di droga e schiavisti. Neppure questo è bastato per salvare dal falò il ragazzo dal ciuffetto biondo. Lucky Luke è un pistolero del West tanto abile e veloce da sparare più velocemente della propria ombra, che grazie al suo ingegno riesce spesso a vincere senza ricorrere alle armi, mantenendo sempre un’assoluta imperturbabilità. Nel finale di ogni storia il profilo dell’eroe si allontana cantando una triste ballata: “I’m a poor lonesome cowboy far away from home”, sono un povero cowboy solitario lontano da casa. Neppure questo lato di migrante suo malgrado e l’intenzione di non usare le armi lo hanno salvato dalla furia iconoclasta dei piromani canadesi.

Il falò si è svolto come una cerimonia di purificazione. Dopo aver eseguito il loro compito, gli eminenti consiglieri scolastici hanno sotterrato le ceneri “nella speranza che cresceremo in un paese inclusivo dove tutti possano vivere con sicurezza e prosperità”. Così afferma commosso il video dei fuochisti sulla cerimonia di “purificazione attraverso le fiamme”, con le solite parole d’ordine- fotocopia della galassia progressista: sicurezza, inclusione per “tutti”. Tutti: un pronome dal significato rovesciato. I cattivi sono esclusi e consegnati alle fiamme. Altri falò simili erano in programma, ma sono stati sospesi a seguito della pandemia, la quale ha avuto almeno questo effetto positivo.

Secondo le accigliate indagini svolte dai woke – risvegliati –canadesi, il racconto “Tintin in America” contiene “un linguaggio inaccettabile “, “informazioni erronee” e – ohibò, una “presentazione negativa dei popoli autoctoni “nonché una “rappresentazione difettosa degli autoctoni nei disegni”. Non era cioè politicamente ed artisticamente corretto. Quanto alla libera espressione della creatività, è il retaggio di tempi addormentati, fortunatamente sconfitti dal risveglio.

L’accusa a Tintin, che non può difendersi poiché il suo creatore è deceduto da tempo, è di usare l’espressione “un vero pellerossa!“ e poi correre a fotografarlo. Non sappiamo se l’indignazione riguardi la violazione del diritto di immagine o il fatto che l’ignaro Tintin non abbia impiegato la più corretta definizione di “nativo americano”, oggi obbligatoria. Il Tempio del Sole, altra avventura del reporter, ha avuto miglior sorte. E’ stata ritirata dagli scaffali, ma non è stata oggetto del rogo rituale. Si limitano, bontà loro, a impedirne la lettura: si chiama censura. Ogni nuova religione – pur materialista e invertita, la cultura della cancellazione è una teologia secolarizzata – ha bisogno dei suoi riti, di interdetti e di nemici assoluti, o capri espiatori. Lucky Luke, invece, non è scampato al falò. I “risvegliati” hanno notato nei suoi racconti “uno squilibrio di potere tra i bianchi e gli autoctoni, percepiti come i cattivi “.

La promotrice dell’iniziativa è una “ricercatrice indipendente “, “guardiana del sapere autoctono “, Suzy Kies. Indipendente non è per nulla, in quanto legata al partito liberal progressista del premier canadese Justin Trudeau. In quanto al sapere “autoctono” degli indiani – pardon nativi americani- è piuttosto una manifestazione ulteriore della consueta ansia di vendetta e autodistruzione (“cupio dissolvi”) dell’Occidente al capolinea. Il sito web del suo partito definisce la Kies “un’autoctona urbana di discendenza abenachi”. Oh, entusiasmante, progressista “contaminazione” postmoderna. Dal 2016, è vicepresidente locale dei liberali canadesi di centrosinistra. La cultura della cancellazione, che chiamiamo “Volontà d’impotenza” ha un indirizzo, nomi, cognomi, protagonisti, comprimari e figuranti. A sinistra e nello screziato universo liberale. La signora Kies lavora a vari progetti simili a quello del falò dei fumetti. A spese e sulle spalle del contribuente canadese. Evviva la democrazia liberale e progressiva.

Nella tragedia Almansor (1823), il poeta romantico tedesco Heinrich Heine- ebreo – scrisse che “lì dove si bruciano libri, alla fine si bruceranno anche uomini “. Non aveva torto. Roghi di libri ce ne sono stati diversi, a cominciare dalla biblioteca di Alessandria, culla del sapere antico, da parte dello sceicco Rahman. Poco più di un secolo dopo Heine, in Germania i nazisti diedero alle fiamme migliaia di libri. Era il 10 maggio 1933, a Berlino, piazza dell’Opera, tempio della cultura musicale. Tanti ispirati nazistelli – animati, sia chiaro, dalle migliori intenzioni “inclusive” per tutti- sonnecchiano ovunque. O forse agiscono degli strani talebani al contrario, con esiti analoghi. Tra chi bruciò libri a Berlino c’erano molti studenti, ma anche insegnanti e uomini di cultura. Gli stessi che avrebbero dovuto insegnare spirito e lettera della cultura e della scienza. Lungi da noi assimilarli all’ “autoctona “canadese, ma il risultato è lo stesso: distruzione fisica e simbolica di ciò che non piace e non corrisponde alla propria visione del mondo. Non è il liberalismo –il partito della Kies- l’ideologia che rispetta e difende ogni idea?

Nel “libero” terzo millennio, nel cuore dell’occidente, Tintin e Lucky Luke, due personaggi dei fumetti, non filosofi o agitatori politici, hanno subito l’ira funesta di sedicenti educatori che preferiscono cancellare la storia che spiegarla. Tintin, un personaggio che amiamo, come Corto Maltese, non ha bisogno della nostra difesa. Ma come si può accusarlo di razzismo –tutti i salmi progressisti finiscono in gloria – se in una delle sue storie più conosciute (Tintin in Tibet) è capace di viaggiare sino all’Himalaya per liberare un amico cinese?

La verità è che il consiglio scolastico (cattolico!) che, su impulso dell’attivista autoctona, urbana e assai liberale, ha pensato che le fiamme condurranno al luminoso futuro di un paese “inclusivo”, in realtà ha applaudito una strada che porta alla violenza, all’intolleranza più cieca, al divieto della libertà. Il pensiero (pensiero?) woke, la pratica della cancellazione e molte altre mode sottoculturali sono la più grave minaccia per le libertà e la ragione, gli “immortali principi” che dicono tanto cari. Scuole, università, mezzi di comunicazione, per non parlare della pubblicità, sono affollati da picchetti moralisti e moralizzatori occupati a sopprimere la conoscenza affinché nessuno si offenda (tranne i bianchi eterosessuali, s’intende). La loro idea di inclusione consistente nell’escludere la conoscenza, il confronto e la ragione da ogni processo educativo, equivale a un processo politico in cui l’accusato è senza difesa e senza parola e l’accusatore è giudice ed esecutore della pena. Nelle società postmoderne, la chiave non risiede nel fatto che uno abbia ragione, ma che l’altro abbia la colpa.

Sappiamo da chi proviene l’iniziativa, chi sono i mandanti, gli esecutori e i mazzieri della cultura della cancellazione. E’ l’ora di risvegliarsi – ma per davvero- da un sonno iniziato con la Rivoluzione francese e andare all'attacco. Basta accomodamenti, reticenze, finte resistenze. Oggi dobbiamo bere l’amaro calice fino in fondo sino ad affrettare il processo dissolutivo in atto, giunto al punto di non ritorno. Per quanto poco valga la distinzione assiale destra-sinistra, resta valido il giudizio di un contemporaneo della rivoluzione francese. Osservando la collocazione delle forze nel parlamento, prendeva atto con sgomento che “la parte destra dell’assemblea è occupata da uomini a cui le opinioni meno pronunciate danno un carattere di pusillanimità, molto funesto nelle attuali circostanze. “

L’iniziativa è sempre nel campo avverso di chi sta completando vittoriosamente un’opera di distruzione plurisecolare. Suo è il dominio simbolico e morale. I risultati li vediamo, non solo in Canada. L’inutile, pletorico, costosissimo parlamento europeo, in questi giorni ci ha riprovato: vuole imporre i matrimoni gay, con l’obiettivo di mettere le mani sui bambini. E’ stato approvato – con una maggioranza in cui gran parte dei liberali si è schierata con il resto della sinistra – una risoluzione che esige di riconoscere in tutto il territorio Ue i coniugi dello stesso sesso in uno qualsiasi degli Stati membri. Per ammissione dei suoi sostenitori, è il primo passo per imporre il riconoscimento dell’omogenitorialità.

“Adesso la Commissione deve dar seguito agli impegni presi con la strategia Lgbti del novembre 2020 e presentare al più presto un’iniziativa legislativa sul riconoscimento reciproco della genitorialità”, ha sentenziato Yuri Guaiana, della segreteria di Più Europa, (liberale e radicale). La risoluzione, incurante che il tema sia di esclusiva competenza degli Stati nazionali, chiede esplicitamente misure contro l’Ungheria, la Polonia e la Romania, colpevoli di non adeguarsi all’agenda anti famiglia e pro gender.

In Italia non va meglio. Il 9 settembre le Sezioni Unite della Corte di Cassazione – l’istanza più alta della giurisdizione italiana– hanno sentenziato, dopo una battaglia legale durata dodici anni, che “il crocifisso a scuola non è un atto di discriminazione”. Alla buon’ora, sembrerebbe. Invece no. La sentenza è un passo ulteriore verso il più totale relativismo culturale, nonché l’intrusione obliqua – l’ennesima – del potere giudiziario nell’ambito del potere legislativo. La Suprema Corte (si dice così…) ha sentenziato che “la circolare del dirigente scolastico, consistente nel puro e semplice ordine di affissione del simbolo religioso, non è conforme al modello e al metodo di una comunità scolastica dialogante”.

No, non è la valutazione del modello di società o dei principi educativi che si chiede ad un organo giudicante, ma di decidere secondo legge. La Corte ha predisposto la trappola con un ragionamento fintamente pilatesco, un esercizio di relativismo morale e valoriale. Così scrive testualmente:” l’’aula può accogliere la presenza del crocifisso quando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, eventualmente accompagnandolo con simboli di altre confessioni presenti nella classe e in ogni caso cercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi.”

Per la Cassazione, il Crocifisso va quindi messo ai voti, tutt’al più esposto in una fiera dei simboli, un gadget tra gli altri, in attesa che qualcuno, ottenuta la rimozione, chieda il falò. Quale “accomodamento”, poi, se la sentenza riconosce che “il crocifisso rappresenta l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo”. Perché mai, dunque, andrebbe equiparato a simboli religiosi che poco o nulla hanno a che vedere con la storia e l’identità italiana? E perché dovrebbe essere ciascuna comunità scolastica, magari sulla base di pressioni, pretese arroganti o minacce, a scegliere se mostrarlo o meno? Il crocifisso, al di là di ogni considerazione confessionale, non si mette ai voti. La volta in cui accadde, una maggioranza facinorosa scelse Barabba.

Siamo di fronte all’ennesimo caso di cancellazione culturale, con l’aggravante di provenire da un pulpito – la Cassazione a sezioni riunite- che fa giurisprudenza. Bene per la decisione sulla permanenza del simbolo di duemila anni di fede e civiltà, ma la questione di fondo resta irrisolta. Esortano, obbligano al dialogo come panacea di ogni problema, ma per dialogare bisogna innanzitutto sapere chi siamo noi. Per accogliere, dobbiamo prima conoscere e rivendicare le nostre radici. Questo deve insegnare la scuola.

In Francia, il presidente Macron offre gratuitamente gli anticoncezionali alle giovani; l’aborto libero è ormai un diritto acquisito ovunque, mentre avanza la richiesta di legalizzare l’eutanasia e liberalizzare alcune droghe. Ovunque in Occidente, con modalità distinte, su temi diversi, dilaga il gaio, sanificato obitorio, il nichilismo della cancellazione, il suicidio felice.

Vorremmo gridare che bisogna resistere, difendere monumenti, denominazioni di strade e piazze, feste, tradizioni spirituali, cinema e letteratura liberi e perfino i fumetti. Purtroppo, l’incendio divampa dappertutto. I falò sono troppi, non vi è abbastanza acqua per spegnerli tutti. In piedi tra le rovine, attendiamo con serena fermezza- noi o la prossima generazione – di trovare nella cenere sparsa linfa nuova. E che il morto Occidente seppellisca i suoi morti.