L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 25 settembre 2021

Bolivar prevedeva la costruzione di un blocco multinazionale dei popoli americani di tradizione ispanica, che permettesse di unire le risorse umane, naturali e economiche e formare alternative valide agli imperi europei e al nascente impero anglo-americano

24 Settembre 2021 17:56
Celac, unità nella diversità. L’eredità di Bolivar

Geraldina Colotti

Unità nella diversità. Questo l’intento espresso nel vertice della Celac, la Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici che si è concluso in Messico. Un proposito che, diversamente articolato perché rivolto più ai popoli che ai governi, il presidente Nicolas Maduro aveva già espresso a conclusione del Congresso Bicentenario, e che ha ripetuto anche in Messico con un discorso concreto e prospettico al tempo stesso.

Un discorso nel solco di Hugo Chávez e nello spirito di Bolivar. A mostrare quanto grande sia la diversità - di intenti, vedute e scelte politiche – con alcuni degli Stati membri (16 i presenti, sui 33 complessivi, ovvero tutti quelli americani, esclusi Stati Uniti e Canada), è bastato il rumoroso ostruzionismo dei presidenti neoliberisti di Uruguay e Paraguay, e i commenti in rete della Colombia. A loro ha risposto per le rime il presidente cubano Miguel Diaz Canel, ricordando che, prima di parlare dei presunti problemi in casa d’altri, avrebbero dovuto occuparsi di quelli in casa propria, considerando il forte rifiuto che ricevono le loro politiche.

Un tema affrontato anche nel programma Dando y dando, condotto settimanalmente dalla giornalista e deputata venezuelana, Tania Diaz. L’uruguayano Ruben Suarez, di Conaicop, ha analizzato la svolta securitaria e l’attacco ai diritti sindacali del governo di Lacalle Pou, e la conseguente (e massiccia) reazione popolare. L’attivista paraguayana, Fatima Rallo, ha parlato del livello di “democrazia” del governo di Mario Abdo Benitez, in forte eredità con la passata dittatura, come testimonia il caso delle due ragazzine scomparse, fatte passare per “terroriste”. L’analisi di Juan Carlos Tanus, direttore di Colombiani e colombiane in Venezuela ha evidenziato quanto pesi la pervicace chiusura degli spazi di agibilità politica sulla possibilità di uno spostamento a sinistra in Colombia.

I governi di Uruguay, Paraguay e Colombia, seppur rimasti nell’organismo - a differenza del Brasile di Bolsonaro, che l’anno scorso ha portato fuori dalla Celac il suo paese, ovvero la seconda economia della regione dopo il Messico -, hanno d’altronde rivendicato appieno il loro ruolo di portatori d’acqua di Washington. Di sicuro, per quanto subalterni, si sentono più affini a quella classe oligarchica che, in Europa, al di là della retorica stucchevole sui sacrifici comuni, ingrassa sulle sofferenze che provocano quei sacrifici alle classi popolari per le “riforme strutturali” volute dai decisori sovranazionali.

Il presidente messicano Amlo ha detto che la Celac potrebbe prendere a modello “qualcosa di simile alla Ue, ma con caratteristiche legate al contesto”. Di quale ispirazione può essere l’Unione europea per i paesi del sud? Nella Ue non esiste “unione” ma competizione sfrenata: basata sulla compressione del costo del lavoro, sull’assenza di sovranità e sui processi di privatizzazione che monetizzano al rialzo le politiche pubbliche a vantaggio dei pochi. Mentre aumentano le “piccole patrie” xenofobe e si erigono muri contro la libera circolazione delle persone, a essere senza frontiera sono solo i movimenti del capitale finanziario. E per raggiungere quel “pareggio in bilancio” agitato come una scure sulle conquiste operaie, le classi popolari devono pagare il “debito sovrano”, come grottescamente viene chiamato il tributo che, da veri sudditi, devono versare ai loro grassatori.

Il sogno bolivariano della “Patria grande” implica un altro indirizzo. A partire dal congresso di Panama, Bolivar prevedeva la costruzione di un blocco multinazionale dei popoli americani di tradizione ispanica, che permettesse di unire le risorse umane, naturali e economiche e formare alternative valide agli imperi europei e al nascente impero anglo-americano. Il suo progetto fu respinto dalle oligarchie nazionali.

Quel blocco si sarebbe creato a partire dalle rivoluzioni indipendentiste dell’epoca che avevano trionfato in tutta l’America ispanica, tranne che a Cuba e Porto Rico. L’ultima battaglia del libertador Simon Bolivar e del maresciallo Antonio José de Sucre fu per liberare l’Alto Perù (la Bolivia). Tuttavia, il 3 ottobre del 1821, nel suo discorso di fronte al Congresso della Gran Colombia, a Rosario de Cucuta, Bolivar dichiarò: “Preferisco il titolo di cittadino a quello di Libertador, perché questo emana dalla guerra, quello emana dalle leggi. Cambiami, Signore, tutti i miei titoli con quello di buon cittadino”.

A quell’epoca, Marx, che avrebbe criticato la nozione astratta di cittadino in base alla divisione in classe della società, aveva 3 anni, e poi verrà sviato dalle fonti dell’epoca nel suo giudizio su Bolivar. Il congresso di Panama venne chiamato anche anfizionico, in omaggio alla Lega Anfizionica dell’Antica Grecia, per sottolineare un’idea di integrazione basata su regole condivise. Quell’unità sudamericana, che avrebbe facilitato anche accordi di difesa comune, si frammentò allora in nove stati totalmente distanti dalle loro realtà nazionali e regionali, agganciati agli interessi strategici dei nuovi imperi mondiali.

Agli interessi imperialisti è saldamente agganciata la Colombia di Ivan Duque, il primo stato latinoamericano entrato a far parte della Nato dal 2018. Duque ha appena firmato un memorandum di intesa con la Ue, che lo considera un “partner strategico” nonostante i quotidiani massacri che il suo narco-governo perpetua contro il popolo colombiano. Lo ha fatto nell’ambito dell’Assemblea annuale dell’Onu, in corso a New York, durante la quale Biden ha “lodato il coraggio” di chi destabilizza i governi di Cuba, Venezuela, Nicaragua perché si riconosce “nella vera democrazia” modello USA. E, nel frattempo, il capo del Comando Sur è atterrato a Bogotà, per rafforzare il suo principale gendarme in America Latina, i cui aerei hanno violato ancora una volta lo spazio venezuelano.

Anche nell’Assemblea Generale dell’Onu, si è levata la voce dei paesi socialisti contro le misure coercitive unilaterali imposte dall’imperialismo nordamericano in spregio delle norme internazionali. L’appoggio che hanno riscontrato da parte di quei governi, come Russia e Cina, che si muovono per la costruzione di un mondo multicentrico e multipolare, ha mostrato anche in questo contesto la crisi di egemonia in cui si dibatte l’imperialismo Usa, la crisi strutturale del modello che rappresenta. Contro la retorica sui diritti umani, strombazzata a partire dai pulpiti che meno avrebbero dovuto permetterselo, sono emersi i dati dei rapporti indipendenti sulle conseguenze delle “sanzioni”, e sulle gravi illegalità imposte dagli Stati Uniti con la complicità dei governi e delle istituzioni subalterne.

Un esempio eclatante riguarda il diplomatico venezuelano Alex Saab, sequestrato sull’isola di Capo Verde, gravemente malato e in procinto di essere estradato illegalmente negli Usa per la subalternità delle istituzioni capoverdiane. Una vicenda che sta pesando anche sulle trattative in corso in Messico tra l’opposizione golpista diretta dagli Usa e il governo bolivariano, che esige la liberazione del diplomatico, e che ha chiesto il sostegno della Celac nella difesa del processo di pace.

E se aver indotto anche i governi neoliberisti presenti a firmare la dichiarazione finale, che comprende questioni come il debito estero o la condivisione dei vaccini è stato sicuramente importante, ancor più importante è far sì che non rimangano lettera morta. E qui la parola passa alla forza organizzata e cosciente del potere popolare.

Mattarella Mattarella fa strame della Costituzione e abdica al suo ruolo di garante per favorire Draghi, lo stregone maledetto, che toglie reddito a chi non vuole far da cavia ai vaccini sperimentali. Lo strumento costituzionale è l'obbligo di legge con la riserva costituzionalmente sancita da: La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana

24 Settembre 2021 09:00
Green Pass e lavoro: perché è una misura incostituzionale

Savino Balzano


Penso che la scelta di prevedere, a queste condizioni, il green pass obbligatorio su tutti i luoghi di lavoro sia profondamente sbagliata.

Come tutti sanno, il certificato è ottenibile seguendo tre percorsi alternativi: tutti leciti e previsti dalla legge.

L'introduzione del green pass secondo le attuali regole è gravemente discriminatoria: favorisce chi, come me, ha deciso di sottoporsi gratuitamente alla vaccinazione, a scapito di chi invece legittimamente decida di ricorrere al tampone.

A prescindere dal fatto che nessuno strumento è sicuro quanto il tampone nel prevenire il contagio (e vale per tutti: vaccinati e non), ciò che più di ogni altra cosa mi indigna è la chiara volontà di eludere una previsione costituzionale.

Di fatto il green pass sul lavoro obbliga alla vaccinazione: pochi possono permettersi la spesa di tutti quei tamponi e pertanto si è letteralmente costretti a percorrere la via del vaccino.

Il punto è però questo: l'articolo 32 della Costituzione stabilisce come tale obbligo non possa che essere esplicitamente individuato da una legge specifica.

Il green pass a queste condizioni rappresenta una misura irresponsabile e surrettizia di obbligo vaccinale, incostituzionale e al quale potranno sottrarsi solo i più ricchi.

Pertanto profili di incostituzionalità a mio avviso si registrano anche in relazione al principio di eguaglianza, oltre che al diritto al lavoro.

È una misura sbagliata, incostituzionale, iniqua e nemica della comunità del lavoro: nonostante questo capace di incidere persino su un altro diritto costituzionale, quello alla retribuzione.

Inoltre è una misura profondamente divisiva, supportata infatti da una narrazione violentissima, diramata attraverso un sistema mediatico completamente asservito al governo.

Il tampone, salivare (più economico e soprattutto meno invasivo) deve essere gratuito e nella disponibilità di tutti. Questo per garantire a chiunque il diritto alla salute, come forma di prevenzione e di contrasto al contagio, e come garanzia di equità e libertà.

È semplice, è sempre facile: basta leggere la Costituzione.

Attacco in campo aperto all'ideologia dei vaccini sperimentali

Dichiarazione di Roma contro il divieto di cura



Migliaia di medici e di scienziati stanno firmando in queste ore la “Dichiarazione di Roma” per la libertà di cura, guidata dal dottor Robert Malone che come è noto è l’inventore delle tecnologie necessarie per la creazione di vaccini a mRna dunque una delle persone più informate sui fatti che esistano sul pianeta. La dichiarazione ( qui il testo italiano e qui la pagina di sottoscrizione ) . Ecco in poche parole i punti salienti del documento nel loro significato:
  • C’è un attacco senza precedenti alla nostra capacità di prenderci cura dei nostri pazienti.
  • La politica ha scelto di ignorare i concetti fondamentali di scienza, salute e benessere, abbracciando invece una strategia di trattamento “taglia unica” con i vaccini che si traduce in troppe malattie e morte quando invece l’approccio individualizzato e personalizzato di assistenza sanitaria è sicura ed ugualmente o addirittura più efficace visto che le persone muoiono per i vaccini, non per i farmaci come l’ivermectina.
  • A migliaia di medici a causa delle barriere poste da ospedali, ordini professionali, farmacie, agenzie di sanitò pubblica viene negato il diritto di cura, rendendo impotente la stragrande maggioranza degli operatori sanitari di proteggere i propri pazienti di fronte alla malattia. I medici sono costretti a dire ai loro pazienti di andare semplicemente a casa (permettendo al virus di incubare) e tornare quando la loro malattia peggiora, causando centinaia di migliaia di morti inutili.
  • I medici devono difendere il loro diritto a prescrivere un trattamento, osservando il principio PRIMO, NON DANNEGGIARE. Ai medici non deve essere impedito di prescrivere trattamenti sicuri ed efficaci diversi dai vaccini ed essi devono difendere i diritti dei pazienti dopo averli pienamente e realisticamente informati sui rischi e sui benefici di ciascuna opzione.
  • Invitiamo i pazienti, che credono nell’importanza della relazione medico-paziente e nella capacità di partecipare attivamente alla loro cura, a richiedere l’accesso a cure mediche basate sulla scienza.
L’ultimo punto è un richiamo alla quasi totale assenza di argomentazioni valide in favore di vaccini che oltre a causare una enormità di reazioni e di morti non sono uno strumento idoneo a eradicare un virus la cui patogenicità è comunque assai debole: considerando che vengono tuttora considerati morti covid tutti quelli che hanno positività al virus anche se sono nella fase terminale di altre malattie gravi o in qualche caso anche vittime di incidenti, la mortalità rimane dello 0,22 che potrebbe tranquillamente essere divisa per dieci. Se si vanno a vedere le poche cifre reali che circolano si vede che per esempio in Austria nessuno è morto di Covid sotto i 30 anni e che nel 2020 in Germania il massimo di pazienti Covid negli ospedali è stato dell’ 1,9 per cento. Il resto è sceneggiatura.

E' il CAPITALISMO GLOBALE TOTALIZZANTE il totem che impedisce la crescita della COMUNITA' non avere la consapevolezza di questo impedirà sempre il cambiamento. Ha il dominio culturale basato sul profitto per scrollarselo di dosso bisogna creare alternative che attraggono/sottraggono le masse e certamente non abdicherà al potere senza lottare. Solo i rapporti di forza stabiliranno vinti e vincitori

Società
Rajan: «Rianimare le comunità, per riaccendere il senso del bene»

di Redazione 24 settembre 2021

Intervenuto oggi al Festival dell'Economia civile, in corso a Firenze, l'economista indiano Raghuram Rajan ha rimarcato l'importanza del "terzo pilastro" tra Stato e mercato: la comunità

Fiducia, senso, comunità. Sono queste le tre parole chiave per l'economia civile. Per andare oltre lo Stato e oltre il mercato. Ne è convinto Raghuram Rajan, economista indiano, professore alla Booth School of Business dell’Università di Chicago intervenuto oggi al Festival Nazionale dell'Economia Civile.

Raghuram Rajan

La pandemia, ha spiegato Rajan, non ha cambiato la globalizzazione. Semplicemente perché «la globalizzazione ha cominciato a cambiare prima della pandemia». In particolare, a partire dalla crisi finanziaria del 2008. La pandemia, però, «evidenziato le linee di faglia già presenti». Su tutte: ha accelerato la scomparsa di impieghi a medio reddito, lasciando che proliferassero quelli a basso e a bassissimo reddito.

Che cosa è accaduto, allora, in questa “nuova normalità”? Nei fatti è accaduto, aggiunge l’economista indiano, che «le persone che restano indietro chiedono di più. Chiedono di migliorare le proprie condizioni di vita». Spesso, però, imboccano strade sbagliate: la richiesta di statalismo o il populismo.

Se la risposta è sbagliata, però, la domanda è cruciale. Si chiede, infatti, un riequilibrio nelle opportunità di formazione, così come di apprendimento e sviluppo di nuove competenze. Qui diventa determinante il ruolo delle comunità che, tra Stato e mercato, sono potenti riequilibratori di senso.

Festival Nazionale dell'Economia Civile
2021

Questo in termini di formazione e di lavoro. In termini finanziari e di finanza etica, invece, Rajan ha ricordato le problematiche legate al sistema degli ESG che, secondo alcuni interpreti, rischiano di diventare una bolla finanziaria. Perché non diventi tale occorre moderazione. Soprattutto nell’uso in chiave di finanza pubblica.

La comunità, però, è il perno del discorso di Rajan. Solo la comunità genera fiducia e solo la fiducia genera senso e cambiamento. La conoscenza reciproca, la vicinanza locale-locale, non solo genera affidamento, ma ci rende più inclini ad assumerci rischi insieme.

Investire significa, prima di tutto, «investire su di te», fare delle proprie relazioni economiche vere relazioni. Mettere le persone al centro, non oltre le imprese. «Questa - ha concluso Rajan, con Deaton e Case che parleranno domani uno degli ospiti più attesi di questa bella edizione del Festival - è la forza del movimento cooperativo». Nel credito, nel lavoro, nell'innovazione. Nella tenuta del legame sociale. Perché «solo se sapremo rianimare le comunità, potremo riaccedere il bene».

Il rito solenne della Supplica, 3 ottobre 2021, che avrà inizio alle 10.40 con la Messa, sarà presieduto dall'Arcivescovo di Napoli, monsignor Domenico Battaglia

 


Supplica, è già post-Covid, a Pompei la veglia senza green pass

Cerimonia religiosa in piazza e veglia in Santuario senza Green pass, anche se con i dovuti distanziamenti, con il limite dei posti a sedere e la mascherina. I [...]


https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/supplica_veglia_senza_green_pass-6216921.html

Grazie a Draghi, lo stregone maledetto, con il codazzo di tutti i partiti, il mancato ruolo di garante di Mattarella Mattarella della Costituzione italiana, il 15 ottobre si tolgono gli stipendi a chi non vuole fare da cavia ai vaccini sperimentali, prostrando il paese a prostituirsi all'ideologia dei vaccini, la Norvegia si scrolla di dosso la cappa della narrazione che ha fatto diventare l'influenza covid una pandemia

Covid: la Norvegia torna alla normalità


(ANSA) – ROMA, 24 SET – La Norvegia torna alla vita di tutti i giorni: da domani verranno eliminate nel Paese le restanti misure restrittive anti Covid, incluso il distanziamento sociale. Lo ha annunciato la premier Erna Solberg, secondo quanto riporta il Guardian. Si tratta della quarta ed ultima tappa del Paese verso il traguardo della normalità, che arriva dopo numerosi rinvii a causa di ricorrenti focolai di infezioni: oltre all’abolizione dell’obbligo di distanziamento sociale, i locali notturni potranno riaprire e i ristoranti potranno tornare alla loro piena capacità, ha detto Solberg durante una conferenza stampa. “Sono trascorsi 561 giorni da quando abbiamo introdotto le misure più severe in Norvegia in tempo di pace… ora è giunto il momento di tornare a una normale vita quotidiana”, ha detto la premier. “In breve, ora possiamo vivere normalmente”, ha aggiunto. Secondo l’istituto di sanità pubblica norvegese, circa il 76% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino anti Covid, mentre il 67% è completamente vaccinato. (ANSA).

Contro corrente - e quattro - La Norvegia si aggiunge all'Islanda, all'Ungheria e alla Russia (Brasile e Corea del Sud), aumenta i tassi d'interessi

La Norvegia rialza i tassi e apre strada a Fed e Boe

Prima tra gli istituti centrali occidentali dopo la pandemia di Covid, la Norge Bank ha ritoccato all'insù il costo del denaro, portandolo da zero allo 0,25%

aggiornato alle 17:08 24 settembre 2021

© Olivier DOULIERY / AFP
- L'edificio della Federal Reserve a Washington

AGI - La banca centrale norvegese è la prima tra gli istituti centrali occidentali a rialzare i tassi dopo la pandemia di Covid. In precedenza l'avevano già fatto Brasile e Corea del Sud, ma quella norvegese è la prima banca a promuovere una stretta monetaria tra i 10 Paesi con le valute più scambiate. Inoltre la mossa della Norvegia apre così la strada a Fed e Boe, le quali si stanno avviando in questa direzione.

Ieri la Norge Bank ha ritoccato all'insù il costo del denaro, portandolo da zero allo 0,25%, preannunciando una nuova probabile stretta a dicembre e avvertendo che i tassi potranno salire all'1,7% alla fine del 2024. Si tratta di una decisione attesa visto che l'istituto norvegese aveva preannunciato a giugno una simile mossa.

E sulla scia dell'istituto scandinavo sono pronte a inserirsi Fed e Boe. La Federal Reserve ha riunito il Fomc mercoledì scorso e ha chiarito che il tapering, il ritiro del programma di acquisti da 120 miliardi di dollari al mese messo in campo per sostenere l'economia durante la crisi pandemica, potrebbe essere avviato "presto", forse già a novembre. Dai 'dot plot', le previsioni trimestrali dei componenti del Fomc, emerge inoltre che un primo rialzo dei tassi sui Fed Funds, lasciati ancora una volta fermi tra lo 0 e lo 0,25%, è ora atteso nel 2022 e non più nel 2023, anno entro il quale i ritocchi potrebbero essere addirittura tre.

Ieri è invece toccato alla Banca d'Inghilterra (Boe) lasciare il suo tasso guida invariato allo 0,1% e confermare anche il suo obiettivo di acquisto di asset per 895 miliardi di sterline. I componenti del board della Boe hanno votato all'unanimità per mantenere invariati i tassi di interesse, ma Dave Ramsden si è unito a Michael Saunders nel votare per la fine anticipata del programma di acquisti della banca centrale, un segnale importante in vista delle future mosse dell'istituto. E non si esclude che già a novembre la Boe possa annunciare una riduzione del Qe.

Come aver fiducia nell'Impero statunitense?

Rilasciata Lady Huawei: sta tornando in Cina. Pechino libera due canadesi

25 set 2021 - 15:20©Ansa

Un giudice canadese ha rilasciato la direttrice finanziaria del colosso delle telecomunicazioni, Meng Wanzhou, chiudendo il procedimento di estradizione poche ore dopo la conclusione di un accordo tra Washington e Huawei che consente alla donna, finora in libertà vigilata in Canada, di tornare a casa. Poco dopo il premier Trudeau ha reso noto che Pechino ha rilasciato due cittadini canadesi detenuti in Cina dal 2018, Michael Kovrig e Michale Spavor, che sono arrivati a Calgary

Un giudice canadese ha rilasciato la direttrice finanziaria del colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei, Meng Wanzhou, chiudendo il procedimento di estradizione in una breve udienza davanti alla Corte Suprema della British Columbia. L'udienza a Vancouver, alla presenza di Meng Wanzhou, si è svolta a poche ore dalla conclusione di un accordo tra Washington e Huawei che consente alla donna, finora in libertà vigilata in Canada, di tornare in Cina. Il primo dicembre 2018 era stata arrestata all'aeroporto su richiesta di Washington, che voleva processarla per vari reati, tra cui frode bancaria. Meng Wanzhou ha lasciato il Canada ed è in volo verso la Cina. La figlia 49enne di Ren Zhengfei, il miliardario fondatore di Huawei, è stata ripresa dalla tv canadese mentre si imbarcava su un volo per la città di Shenzhen. Nelle stesse ore, il primo ministro del Canada Justin Trudeau ha annunciato che due cittadini canadesi detenuti in Cina dal 2018, Michael Kovrig e Michale Spavor, sono stati liberati da Pechino. I due sono atterrati nel primo pomeriggio (ora italiana) a Calgary. Nel corso di una conferenza stampa, il premier ha detto: "Questi due uomini hanno vissuto per più di 1.000 giorni una terribile prova. Hanno mostrato determinazione e resilienza giorno per giorno e sono un'ispirazione per tutti noi". L'ex diplomatico Michael Kovrig e l'uomo d'affari Michael Spavor erano stati arrestati nel dicembre 2018 in Cina per spionaggio, causando una crisi diplomatica senza precedenti tra Ottawa e Pechino. La loro detenzione è stata vista dal Canada come una misura di ritorsione dopo l'arresto di Meng Wanzhou su richiesta degli Stati Uniti.

Nella giornata di ieri è emerso che Meng Wanzhou ha raggiunto un accordo con il Dipartimento di Giustizia americano che le ha consentito di rimpatriare dopo quasi tre anni di domiciliari in Canada su richiesta delle autorità statunitensi, che l'hanno accusata di aver violato le sanzioni all'Iran. In base all'intesa, Meng si è detta d'accordo su alcuni dei fatti riguardanti il suo caso, quali l'aver frodato HSBC e altre banche fornendo informazioni false sui rapporti fra Huawei e Skycom, società affiliata che vende apparecchiature di telecomunicazione all'Iran. In cambio la donna ha ottenuto la sospensione del procedimento nei suoi confronti fino all'1 dicembre 2022 e, in caso rispetti alcune condizioni, il ritiro delle accuse.

Meng a Cina: "Senza Paese forte non avrei libertà"

"Senza un Paese forte non avrei oggi la mia libertà". È il ringraziamento rivolto alla Cina da Meng Wanzhou, parlando sul volo che la sta riportando in patria. Meng, secondo i media cinesi, ha ringraziato anche il Partito comunista e il governo di Pechino. "È il brillante rosso cinese che ha acceso il fuoco della fede nel mio cuore, ha illuminato i momenti più bui e mi ha condotto nel lungo viaggio verso casa. Nonostante tutti i colpi di scena, questo viaggio di ritorno è il più dolce verso casa", ha aggiunto Meng.

Cina: persecuzione politica, accuse inventate

E da Pechino arriva il commento della Cina sul caso: la posizione di Meng Wanzhou "è coerente e chiara: i fatti hanno pienamente dimostrato che si tratta di un episodio di persecuzione politica contro cittadini cinesi, con lo scopo di sopprimere le imprese high-tech della Cina". L'accusa di frode, si legge in una breve nota del ministero degli Esteri, "è puramente inventata" e le azioni di Usa e Canada "sono una tipica detenzione arbitraria".

L'accordo potrebbe risolvere uno dei nodi di maggiore tensione nei rapporti fra Stati Uniti e Cina, le cui relazioni sono ulteriormente deteriorate nelle ultime settimane con l'intesa fra Washington, Gran Bretagna e Australia sui sottomarini nucleari nell'area dell'indo-pacifico proprio per contrastare Pechino. La soluzione del caso Lady Huawei fa tirare un sospiro di sollievo anche al Canada, finito al centro dello scontro Stati Uniti e Cina, e all'appena rieletto Justin Trudeau. L'arresto di Meng in risposta alla richiesta statunitense è stato in parte responsabile del crollo degli scambi commerciali fra Ottawa e Pechino. L'intesa raggiunta è simile a quella che l'amministrazione Trump stava negoziando con Meng prima che le trattative naufragassero. Lady Huawei si sarebbe invece mostrata più aperta a un'intesa spinta dalla voglia di riabbracciare il marito e i figli.

Le possibili critiche a Biden

Fin dal suo arresto Meng è divenuta il volto delle tensioni commerciali e tecnologiche fra Stati Uniti e Cina, in particolare sotto l'amministrazione Trump. La Casa Bianca del tycoon aveva infatti etichettato Huawei come una minaccia alla sicurezza nazionale e descritto l'operato di Meng con l'Iran come l'esempio degli illeciti della società. La liberazione di Lady Huawei rischia di scatenare una nuova ondata di critiche a Joe Biden, già accusato da molti repubblicani di essere troppo indulgente con Huawei.

Il timore reale, della Banca popolare di Cina, è che alla Fed sfugga di mano la situazione. Il CAPITALISMO GLOBALE TOTALIZZANTE sta percorrendo un sentiero stretto, uscire con minori danni possibili dalla creazione e immissione nel Casinò di Wall Street di miliardi e miliardi al mese. La decisione della Fed è quella di prendere tempo, MENTRE la Banca Popolare di Cina è intenzionata a far scoppiare la bolla, perché ritiene che è ancora controllabile

Perché la Cina ha fretta di potenziare la facility che fornisce liquidità al mercato?

25 Settembre 2021 - 13:00

Evergrande è un problema. Ma non è mai stata una Lehman. In compenso, le Banche centrali stanno lavorando a un processo di vasi comunicanti sui tassi senza precedenti. E senza più margine di errore


Evergrande non è Lehman. Non lo è mai stata. Semplicemente, faceva comodo che venisse percepita come tale. Ieri era il giorno del giudizio: dopo aver annunciato il pagamento del coupon dovuto sui bonds onshore in yuan ma non quello per la carta denominata in dollari, tutti gli occhi erano puntati sulla reazione di Wall Street alla conferma dell’inadempienza del colosso cinese.

Risultato? La mostra questo grafico:

Andamento dello spread Libor-Ois Fonte: Refinitiv/Fathom

uno dei principali proxy relativi alla tensione sui money market, lo spread OIS-LIBOR, è calato a 3.2. Ad aprile dello scorso anno, nel pieno della pandemia, era arrivato a 135.213. Calma piatta. In compenso, la facility di reverse repo della Fed di New York esplodeva di liquidità depositata dalle banche stracariche di cash e a corto di Treasuries, in attesa che il Tesoro torni a emettere. Insomma, chi si ricorda il congelamento dell’interbancario che anticipò il crollo Lehman capisce intuitivamente che quanto stiamo raccontando da almeno dieci giorni rappresenta una storia totalmente diversa.

Quantomeno, ad oggi il rischio contagio appare inesistente. Il perché ce lo mostrano questi altri grafici,

Spread di rendimento fra bond junk e investment grade cinesi Fonte: Deutsche Bank
Comparazione fra controvalori del comparto HY statunitense e asiatico Fonte: Goldman Sachs

i quali spazzano via altre leggende metropolitane assortite. Alla base del caso Lehman/subprime c’era infatti una politica di rating poco accurata, tanto per usare un eufemismo, che classificava il junk come investment grade. Di fatto, fu il totale fallimento - altro eufemismo - delle agenzie di valutazione nel compiere il loro lavoro a far saltare i modelli di risk management e value at risk. Non è palesemente il caso della Cina, come mostra lo spread evidenziato nella prima immagine. La seconda, poi, parla da sola: non solo l’alto rendimento cinese è certamente ben segnalato dai valori di premio che deve pagare per il proprio collocamento ma opera in un universo di controvalore asiatico nettamente più basso di quello statunitense.

Insomma, Evergrande è stata una preoccupazione. E continua ad esserlo, non fosse altro per l’esposizione dei cittadini cinesi al real estate attraverso prodotti di investimento e le acclarate difficoltà finanziarie dell’unità dedicata all’auto elettrica, la quale ha già sospeso il pagamento di stipendi e forniture. Ma non è mai stata Lehman. Questo, però, non significa che qualcosa sottotraccia non stia cominciando a mostrare delle crepe. Sempre più evidenti. Perché se nei giorni scorsi ha fatto sensazione l’intervento da 71 miliardi di dollari messo in campo in pochi giorni dalla Banca centrale cinese (Pboc) per mantenere liquido il mercato in un momento che vedeva sovrapporsi le scadenze di Evergrande con quelle tipiche di fine mese/trimestre e una settimana di festività prevista in Cina a inizio ottobre, è altro che deve fare riflettere.

Ovvero, questo:

Volumi di utilizzo della facility cinese per la fornitura di liquidità Fonte: Bloomberg

la stessa Pboc ha colto al balzo la palla dell’interventismo di necessità per operare una riforma del meccanismo di fornitura emergenziale di liquidità al mercato (SLF). In sostanza, ora le richieste di prestiti da parte degli istituti di credito potranno essere inoltrate anche per via elettronica, un cambiamento operativo finalizzato alla stabilizzazione delle aspettative di mercato e al mantenimento del grado di funzionamento dei tassi nei money markets che non patisca picchi di volatilità. Perché ora, quando si è appena iniettato un diluvio di cash nel sistema e il caso Evergrande pare contenuto nei suoi spillovers?

C’è di più. Nel suo comunicato, la Pboc invita le banche a utilizzare per intero i 300 miliardi di yuan (46 miliardi di dollari) della cosiddetta re-landing quota destinata alle piccole e micro imprese e all’accelerazione del processo di estensione del credito. Di fatto, la Pboc ha creato le condizioni per evitare un liquidity crunch e ha rafforzato il ruolo dell’SLF come upper limit del corridoio dei tassi. Insomma, a Pechino si attendono qualcosa di strutturale. Ma non da Evergrande, probabilmente.

Il timore reale è che sfugga di mano la situazione alla Fed, la quale nell’ultima conferenza stampa ha reso palese il ruolo di capro espiatorio che ormai il taper ha assunto nella narrativa ufficiale. La realtà è altra: la Banca centrale Usa parla di ritiro dello stimolo e aumento anticipato dei tassi, quando - in realtà - sta operando disperatamente per evitare che quelli reali passino in negativo. Non a caso, il reverse repo esplode. Non a caso, prima Evergrande, poi il bando sulla transazioni con criptovalute. Cortine fumogene a sicuro impatto mediatico. Ma destinate, appunto, unicamente a distogliere l’attenzione dal disinnesco di ordigno monetario in atto.

La Pboc, infatti, ha vietato le transazioni in Bitcoin e affini ma non il loro possesso. Tradotto, da un lato getto una bomba nello stagno solo per fare rumore, dall’altro evito fin da subito eventuali fughe dalla moneta fiat che possano esacerbare crisi di liquidità. Detto fatto, l’intervento sulla facility di SLF. E Oltreoceano, il raddoppio del limite di utilizzo di quella reverse repo della Fed di New York. Nei meandri del mercato è in corso un processo di vasi comunicanti senza precedenti, il quale necessita appunto di assoluta calma e nessuna pressione esterna.

Si parli d’altro, ci si spaventi per Evergrande o si finga timore per il taper tantrum innescato da quella previsione di rialzo dei tassi Usa già nel 2022. La battaglia in atto è un’altra: uscire, limitando al minimo possibile i danni, dal labirinto del Qe perenne e strutturale così impostato e resettare il sistema su un nuovo regime che non contempli il pericoloso gioco delle emergenze cicliche. In questo, Usa e Cina divergono. Pericolosamente. I primi pensano che sia comunque meglio prendere tempo, Xi Jinping pare invece intenzionato a far scoppiare la bolla ora, finché è ancora controllabile. Immobiliare in testa. Tutt’intorno, un mondo che pare ignorare il crinale su cui sta camminando.

L'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai è una realtà certa e in crescita

Pechino, commercio con il Paesi Sco cresciuto di 20 volte dal 2001

Pubblicato: 24 Settembre 2021

Il commercio della Cina con altri stati membri dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Sco) o Patto di Shanghai, è cresciuto di ben ben 20 volte dal 2001 al 2020. È quanto emerge dai dati ufficiali. Secondo il Ministero del Commercio, il volume d'affari tra la Cina e questi Paesi

ha raggiunto infatti 245 miliardi di dollari l'anno scorso, rispetto ai 12 miliardi di dollari registrati nel 2001.

Alla fine di luglio, l'investimento totale cinese in altri stati membri dell'Organizzazione ha superato i 70 miliardi di dollari e i progetti appaltati dalle aziende cinesi in tali nazioni sono stati valutati con un valore di oltre 290 miliardi di dollari. La Shanghai Cooperation Organization (SCO), è un'alleanza economica e di sicurezza lanciata nel giugno del 2001 e di cui oggi fanno parte nove Paesi, cioè Cina, Russia, India, Iran, Pakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan, Kazakistan, più Afghanistan, Bielorussia e Mongolia come Paesi osservatori. (ICE SHANGHAI – ANSA – XINHUA)

L'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai integra l'Iran. Con l'Afghanistan l'Eurasia si proietta nel Mediterraneo

La risposta di Russia e Cina all’AUKUS

Maurizio Blondet 24 Settembre 2021

Integrano l’Iran

Il magistrale pezzo di Pepe Escobar che ha seguito l’incontro della Shanghai Cooperation Organization e Dushanbe. Titolo originale:

L’Eurasia prende forma: come la SCO ha appena ribaltato l’ordine mondiale

Sotto lo sguardo di un Occidente senza timone, la riunione del ventesimo anniversario dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai è stata focalizzata su due risultati chiave: dare forma all’Afghanistan e dare il via a un’integrazione eurasiatica a spettro completo.

Pepe Escobar

I due momenti salienti dello storico vertice del 20° anniversario dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO) a Dushanbe, in Tagikistan, dovevano venire dai discorsi programmatici di – chi altro – i leader del partenariato strategico Russia-Cina.

Xi Jinping: “Oggi avvieremo le procedure per ammettere l’Iran come membro a pieno titolo della SCO”.

Vladimir Putin: “Vorrei sottolineare il Memorandum d’intesa firmato oggi tra il Segretariato della SCO e la Commissione Economica Eurasiatica. È chiaramente progettato per promuovere l’idea della Russia di stabilire un partenariato della Grande Eurasia che copra la SCO, l’EAEU (Unione economica eurasiatica), l’ASEAN (Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) e l’iniziativa Belt and Road della Cina (BRI).”

In breve, durante il fine settimana, l’Iran è stato sancito nel suo legittimo ruolo eurasiatico principale e tutti i percorsi di integrazione eurasiatica sono convergenti verso un nuovo paradigma geopolitico e geoeconomico globale,.

(MB – L’Iran ha oggi due alleati veri, che si chiamano Russia e Cina. Sarà più difficile per Israele indurre gli americani a “bomb, bomb, bomb Iran” e fare canagliate come a uno stato-paria e isolato. Anche la speranza di Biden di trattare di nuovo gli accordi sul nucleare iraniano (che Teheran ha adempiuto fedelmente e Trump ha rotto) strappando a Teheran in cambio della levata delle sanzioni, in più, la rinuncia di missili di portata tale da colpire Israele, non è più praticabile. L’Iran con a fianco la Cina, cliente del suo petrolio e largitrice di investimenti, + può resistere a questo genere di ricatti)

“Dushanbe si è rivelato come l’ultimo crossover diplomatico. Il presidente Xi ha rifiutato con fermezza qualsiasi “lezione supponente” e ha sottolineato percorsi di sviluppo e modelli di governance compatibili con le condizioni nazionali. Proprio come Putin, ha sottolineato il focus complementare di BRI e EAEU, e di fatto ha sintetizzato un vero Manifesto multilateralista per il Sud del mondo.

Proprio sul punto, il presidente Kassym-Jomart Tokayev del Kazakistan ha osservato che la SCO dovrebbe promuovere “lo sviluppo di una macroeconomia regionale”. Ciò si riflette nella spinta della SCO a iniziare a utilizzare le valute locali per il commercio, aggirando il dollaro USA.

Guarda quel quadrilatero

Dushanbe non è stato solo un letto di rose. L’Emomali Rahmon del Tagikistan, fedele musulmano laico ed ex membro del Partito Comunista dell’URSS – al potere da non meno di 29 anni, rieletto per la quinta volta nel 2020 con il 90% dei voti – ha subito denunciato la “sharia medievale” dei talebani 2.0 e hanno affermato di aver già “abbandonato la loro precedente promessa di formare un governo inclusivo”.

Rahmon … era già al potere quando i talebani conquistarono Kabul nel 1996. Era obbligato a sostenere pubblicamente i suoi cugini tagiki contro l'”espansione dell’ideologia estremista” in Afghanistan – che di fatto preoccupa tutti i membri della SCO -afferma quando si tratta di distruggere loschi abiti jihadisti di stampo ISIS-K.

La polpa della questione a Dushanbe era nei bilaterali – e un quadrilatero.

Prendi il bilaterale tra il ministro degli Esteri indiano S. Jaishankar e il FM cinese Wang Yi. Jaishankar ha affermato che la Cina non dovrebbe vedere “le sue relazioni con l’India attraverso la lente di un paese terzo” e si è preoccupato di sottolineare che l’India “non sottoscrive alcuna teoria dello scontro di civiltà”.

È stata una vendita piuttosto difficile considerando che il primo vertice Quad si svolge questa settimana a Washington, DC, ospitato da quel “paese terzo” che ora è immerso nel profondo della modalità di scontro di civiltà contro la Cina.

Il primo ministro pakistano Imran Khan è stato in una serie di bilaterali: ha incontrato i presidenti di Iran, Bielorussia, Uzbekistan e Kazakistan. La posizione diplomatica ufficiale del Pakistan è che l’Afghanistan non dovrebbe essere abbandonato, ma impegnato.

Quella posizione aggiungeva sfumature a quanto aveva spiegato l’inviato presidenziale speciale russo per gli affari della SCO Bakhtiyer Khakimov sull’assenza di Kabul al tavolo della SCO: “In questa fase, tutti gli Stati membri hanno capito che non ci sono ragioni per un invito finché non c’è un legittimo, governo generalmente riconosciuto in Afghanistan”.

E questo ci porta all’incontro chiave della SCO: un quadrilatero con i ministri degli Esteri di Russia, Cina, Pakistan e Iran.

Il ministro degli Esteri pakistano Qureshi ha affermato: “Stiamo monitorando se tutti i gruppi sono inclusi o meno nel governo [afgano]”. Il nocciolo della questione è che, d’ora in poi, Islamabad coordinerà la strategia della SCO sull’Afghanistan e farà da intermediario nelle trattative talebane con i leader di spicco tagiki, uzbeki e hazara. Questo alla fine aprirà la strada verso un governo inclusivo riconosciuto a livello regionale dai paesi membri della SCO.

Il presidente iraniano Ebrahim Raisi è stato accolto calorosamente da tutti, specialmente dopo il suo energico discorso programmatico, un classico dell’Asse della Resistenza. Il suo rapporto bilaterale con il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko ruotava attorno a una discussione sul “confronto delle sanzioni”. Secondo Lukashenko: “Se le sanzioni hanno fatto del male alla Bielorussia, all’Iran e ad altri paesi, è stato solo perché ne siamo responsabili noi stessi. Non sempre siamo stati negoziabili, non sempre abbiamo trovato la strada da percorrere sotto la pressione delle sanzioni».

Considerando che Teheran è pienamente informata sul ruolo della SCO di Islamabad in termini di Afghanistan, non ci sarà bisogno di schierare la brigata Fatemiyoun – informalmente conosciuta come Afghan Hezbollah – per difendere gli Hazara sciiti. Fatemiyoun si è formata nel 2012 ed è stata determinante in Siria nella lotta contro Daesh, soprattutto a Palmyra. Ma se ISIS-K non scompare, questa è una storia completamente diversa.

Particolarmente importante per i membri della SCO Iran e India sarà il futuro del porto di Chabahar. Questa rimane la mossa cripto-Via della seta dell’India per collegarla all’Afghanistan e all’Asia centrale. Il successo geoeconomico di Chabahar dipende più che mai da un Afghanistan stabile – ed è qui che gli interessi di Teheran convergono pienamente con la spinta SCO di Russia-Cina.

Ciò che la Dichiarazione SCO di Dushanbe del 2021 ha enunciato sull’Afghanistan è rivelatore:
L’Afghanistan dovrebbe essere uno stato indipendente, neutrale, unito, democratico e pacifico, libero da terrorismo, guerra e droga.
È fondamentale avere un governo inclusivo in Afghanistan, con rappresentanti di tutti i gruppi etnici, religiosi e politici della società afgana.
Gli Stati membri della SCO, sottolineando l’importanza dei molti anni di ospitalità e assistenza efficace forniti dai paesi regionali e vicini ai rifugiati afghani, considerano importante che la comunità internazionale si impegni attivamente per facilitare il loro ritorno dignitoso, sicuro e sostenibile al loro patria.

Per quanto possa sembrare un sogno impossibile, questo è il messaggio unificato di Russia, Cina, Iran, India, Pakistan e i vari ‘stan’ dell’Asia centrale. Si spera che il primo ministro pakistano Imran Khan sia all’altezza del compito e pronto per il suo primo piano della SCO.

Quella tormentata penisola occidentale

Le Nuove Vie della Seta sono state lanciate ufficialmente otto anni fa da Xi Jinping, prima ad Astana – ora Nur-Sultan – e poi a Giacarta.

Questo è il modo in cui l’ho segnalato all’epoca.

L’annuncio è arrivato vicino a un vertice della SCO, poi a Bishkek. La SCO, ampiamente liquidata a Washington e Bruxelles come un semplice talk shop, stava già superando il suo mandato originale di combattere le “tre forze del male” – terrorismo, separatismo ed estremismo – e comprendeva la politica e la geoeconomia.

Nel 2013 c’è stata una trilaterale Xi-Putin-Rouhani. Pechino ha espresso pieno sostegno al programma nucleare pacifico dell’Iran (ricordate, questo è stato due anni prima della firma del Piano d’azione congiunto globale, noto anche come JCPOA).

Nonostante molti esperti all’epoca lo negassero, c’era davvero un fronte comune Cina-Russia-Iran in Siria (Asse di Resistenza in azione). Lo Xinjiang veniva promosso come snodo chiave per l’Eurasian Land Bridge. Il gasdotto è stato al centro della strategia cinese, dal petrolio del Kazakistan al gas del Turkmenistan. Alcune persone potrebbero persino ricordare quando Hillary Clinton, in qualità di Segretario di Stato, si è pronunciata in modo lirico su una Nuova Via della Seta a propulsione americana.

Ora confrontare il Manifesto del Multilateralismo di Xi a Dushanbe otto anni dopo, e ricordare come la SCO “ha dimostrato di essere un ottimo esempio di multilateralismo nel 21 ° secolo”, e “ha svolto un ruolo importante nel migliorare la voce dei paesi in via di sviluppo. ”

L’importanza strategica di questo vertice SCO che si terrà subito dopo l’Eastern Economic Forum (EEF) a Vladivostok non può essere sopravvalutata abbastanza. L’EEF si concentra, ovviamente, sull’Estremo Oriente russo e sostanzialmente promuove l’interconnessione tra Russia e Asia. È un fulcro assolutamente chiave del partenariato eurasiatico della Russia.

Una cornucopia di accordi è all’orizzonte: l’espansione dall’Estremo Oriente all’Artico e lo sviluppo della rotta del Mare del Nord, e coinvolgendo tutto, dai metalli preziosi e l’energia verde alla sovranità digitale che scorre attraverso i corridoi logistici tra Asia ed Europa attraverso la Russia.

Come ha suggerito Putin nel suo discorso programmatico, questo è ciò che riguarda la Greater Eurasia Partnership: l’Unione economica dell’Eurasia (EAEU), la BRI (Belt and Road Initiative), l’iniziativa dell’India, l’ASEAN e ora la SCO, che si sviluppa in una rete armonizzata, gestita in modo cruciale da “sovrano centri decisionali”.
Grande Asia di sovrani ed eguali

Quindi, se la BRI propone una “comunità di futuro condiviso per il genere umano” molto taoista, il progetto russo, concettualmente, propone un dialogo di civiltà (già evocato dagli anni di Khatami in Iran) e progetti economico-politici sovrani. Sono, infatti, complementari.

Glenn Diesen, professore all’Università della Norvegia sudorientale e redattore della rivista Russia in Global Affairs, è tra i pochissimi studiosi di spicco che stanno analizzando in profondità questo processo. Il suo ultimo libro racconta in modo straordinario l’intera storia nel suo titolo: L’ Europa come la penisola occidentale della Grande Eurasia: regioni geoeconomiche in un mondo multipolare .

Non è chiaro se gli eurocrati di Bruxelles – schiavi dell’atlantismo e incapaci di cogliere le potenzialità della Grande Eurasia – finiranno per esercitare una reale autonomia strategica.

Diesen evoca in dettaglio i paralleli tra la strategia russa e quella cinese. Fa notare come la Cina “sta perseguendo un’iniziativa geoeconomica a tre pilastri sviluppando la leadership tecnologica attraverso il suo piano China 2025, nuovi corridoi di trasporto attraverso la sua Belt and Road Initiative da trilioni di dollari e stabilendo nuovi strumenti finanziari come banche, sistemi di pagamento e internazionalizzazione. dello yuan. Allo stesso modo, la Russia sta perseguendo la sovranità tecnologica, sia nella sfera digitale che oltre, così come nuovi corridoi di trasporto come la rotta del Mare del Nord attraverso l’Artico e, soprattutto, nuovi strumenti finanziari”.

L’intero Sud del mondo, stordito dal crollo accelerato dell’Impero occidentale e dal suo ordine unilaterale basato su regole, sembra ora pronto ad abbracciare il nuovo solco, pienamente mostrato a Dushanbe: una Grande Eurasia multipolare di sovrani eguali.


Con l’arrivo dell’Iran, gli stati membri della SCO ora sono nove e sono concentrati sulla correzione dell’Afghanistan e sul consolidamento dell’Eurasia.


In attesa delle elezioni tedesche c'è tregua in Euroimbecilandia

Bce (falchi compresi) pronta a prolungare il Pepp. Un dividendo politico per Draghi?

24 Settembre 2021 - 10:19

Il membro estone del board conferma la discussione sull’ampliamento dell’APP dopo il marzo 2022. E la scarsa domanda alla nona asta TLTRO conferma. Ma quale sarà il prezzo per i Paesi indebitati?


In principio, gli indugi sono stati rotti da Yannis Stournaras, governatore della Banca centrale greca. Il 21 settembre, approfittando di un’intervista, lanciò il seguente messaggio: Sarebbe molto arrogante da parte nostra dichiarare vittoria sulla pandemia proprio ora. E per questo motivo ritengo precipitoso trarre ora qualsiasi conclusione sul fatto che il Pepp possa terminare o meno nel marzo 2022. E ancora: L’APP dovrebbe beneficiare di un volume superiore di acquisti e di alcuni requisiti di flessibilità importanti, già contenuti nel Pepp... D’altronde, l’aumento dei prezzi ha davanti a sé ancora un po’ di strada da percorrere prima di sostanziare preoccupazioni inflazionistiche.

Tradotto, occorre andare oltre il 31 marzo con gli acquisti straordinari, occorre prolungare ad libitum l’inclusione del debito greco (già prevista nel Pepp) nella platea del collaterale accettato dalla Bce e soprattutto il mantra delle prossime settimane, sicuramente caratterizzate da tensioni sui costi energetici, dovrà essere quello della transitorietà. Insomma, un’uscita interessata. In grado però di tradire tensione, non fosse altro per la sua quasi concomitanza con il voto legislativo in Germania e con il peso che questo avrà nel bilanciamento tra falchi e colombe all’Eurotower.

Ma a mostrare una prospettiva differente, ci hanno pensato il giorno seguente proprio due esponenti del fronte rigorista. In primis, Joachim Wuermeling, membro del board di Bundesbank. a detta del quale l’Europa non è ancora fuori dalla crisi pandemica, la quale potrebbe nuovamente rendersi responsabile e operare da detonatore per significativi default creditizi. Praticamente, Atene chiama e Francoforte risponde con il medesimo tono. Ma è con l’intervista a Bloomberg del membro estone del Consiglio Bce, Madis Muller, che qualcosa vacilla: La Bce discuterà di un aumento degli acquisti di assets regolarmente operativi sotto il regime dell’APP una volta che lo stimolo pandemico sarà giunto alla fine, poiché un «cliff effect» troppo estremo legato al termine del Pepp potrebbe rappresentare un problema.

E di cosa si tratta, cosa sarebbe questo effetto burrone che richiama alla mente le corse perdifiato di Will Coyote dietro a Bip Bip? Lo mostra questo grafico:

Ammontare combinato di APP e Pepp sul bilancio Bce Fonte: Bloomberg

se i controvalori di intervento sul mercato secondario dell’APP dovessero rimanere quelli pre-pandemici, una volta esaurito il ciclo vitale del Pepp, l’espansione della stato patrimoniale della Bce subirebbe un taper drastico. E l’effetto scudo su spread e costi di finanziamento dei Paesi più indebitati svanirebbe nell’arco di poche settimane, polverizzato dal ritorno in grande stile della risk discovery.

Certo, Madis Muller ha cercato di salvare le apparenze, sottolineando come la discussione che si terrà in seno all’Eurotower non deve essere interpretata come una garanzia automatica di ri-modellamento dell’APP sul profilo e gli ammontare del Pepp ma resta il fatto: dopo la consonanza con Francoforte, il grido di dolore di Atene ha trovato un interlocutore attento anche a Tallin. E se questo grafico

Controvalori degli acquisti settimanali della Bce (Pepp) Fonte: Bce/Pictet

mostra come la BCE intenda sfruttare fino all'ultimo giorno la finestra di liberi tutti sugli acquisti settimanali che, formalmente, dovrebbe terminare con il quarto trimestre, ecco che questa tabella

Controvalori degli allotment in seno alle aste Tltro Fonte: Bce

pare mostrare un’altra faccia della medaglia. Dopo i 79,3 miliardi di rimborso anticipato delle aste TLTRO di rifinanziamento bancario a lungo termine, giovedì si è tenuto il nono allotment: 152 istituti di credito europei hanno preso solo 97,6 miliardi a 3 anni e costo praticamente zero dall’Eurotower, portando il netto della liquidità implicitamente immessa nel sistema a soli 18,3 miliardi di euro.

Tradotto, la crisi è finita! Certo, in prospettiva l’ammontare dei rimborsi anticipati rappresenta meno del 5% dei 1.300 miliardi che potenzialmente le banche avrebbero potuto restituire alla Bce

Totale dei prestiti bancari della Bce tramite aste di rifinanziamento Fonte: Bce/Pictet

ma resta un fatto: fatto salvo il netting fra restituito e nuovamente ripreso, in modo da prolungare le scadenze del prestito, resta appunto un surplus di poco più di 18 miliardi potenzialmente da destinare a imprese e famiglie per sostenere la ripresa. Come dire, serve solo l’argent de poche. Eppure, i dati PMI compositi di Germania e Francia

Trend del PMI Composito di Germania e Francia Fonte: Bloomberg

parlano di un chiaro rallentamento dell’economia a causa delle criticità sulla supply chain e la stessa Bce continua a mostrare cautela rispetto all’impatto della variante Delta.

Le banche paiono certe: il meccanismo di trasmissione del credito è sufficientemente oliato, non serve altro lubrificante da dover rimborsare. Insomma, gli istituti di credito - in realtà - prezzano come garantita la trasformazione dell’APP richiesta da Yannis Stournaras e di fatto confermata da Madis Muller. In un momento in cui la Fed sventola un taper sempre più vicino e la stessa Bank of England ventila un aumento dei tassi anticipato come risposta al 4% di inflazione, la Bce pare andare in senso opposto, di fatto trovandosi come unico compagno di strada la Bank of Japan, precursore di ogni Qe ed esperimento di monetarismo estremo. Non a caso, oggi Bloomberg pubblicava un articolo dal titolo poco prono alle interpretazioni: ECB is lonelier than ever after a hawkish turn led by the Fed.

Insomma, nel silenzio totale dell’ufficialità e fuori da ogni contesto formale come il board, l’Eurotower starebbe già discutendo su una prosecuzione mascherata del Pepp dopo il 31 marzo, un morphing dell’APP che garantisca emergenzialità di intervento anche dopo la fine dell’emergenza. Gli spread, in effetti, gradiscono. E Mario Draghi pare pronto all’incasso politico, almeno stando alle scene di giubilo che lo hanno accolto all’assise di Confindustria, fra standing ovation e auspici di sua lunga permanenza a Palazzo Chigi.

Resta un dubbio, forse legato al silenzio di Jens Weidmann imposto dalla campagna elettorale più tesa che la Germania abbia vissuto dai tempi di Weimar: quale sarà il prezzo che i Paesi più indebitati - e, quindi, maggiormente beneficiari di questa riforma espansiva dell’APP - dovranno corrispondere all’Europa per sdebitarsi di un tale favore a livello di gestione degli stock di debito e finanziamento dei deficit? Una cosa è certa: nemmeno a Francoforte e Bruxelles esistono pasti gratis. Anzi.

Solo 740 miliardi di dollari al Pentagono il prossimo anno

Maxi budget per il Pentagono. Così il Congresso supera Biden
Di Stefano Pioppi | 24/09/2021 -


La Camera degli Stati Uniti ha approvato un budget per il Pentagono da 740 miliardi di dollari, ben 24 in più rispetto a quelli chiesti da Joe Biden. 181 democratici e 135 repubblicani hanno sostenuto l’incremento delle dotazioni. Di fondo, resta bipartisan l’intenzione di permettere alla Difesa Usa affrontare il confronto a tutto tondo con la Cina puntando sulle tecnologie dirompenti, tra 5G e intelligenza artificiale

Il prossimo anno il Pentagono potrebbe trovarsi con 35 miliardi di dollari in più rispetto a quelli in dotazione nel 2021. È il frutto dell’incremento (leggero) previsto dall’amministrazione e di quello (più importante) in arrivo dal Congresso.

La richiesta presentata a maggio dall’amministrazione guidata da Joe Biden ammontava a 753 miliardi di dollari per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Per il Pentagono si prevedevano 716 miliardi, 11,3 in più rispetto all’anno in corso, sette in meno rispetto ai piani formulati da Donald Trump. L’aumento su base annuale sarebbe pari all’1,6%, pressoché come l’inflazione attesa. Sin dalla sua presentazione, la richiesta si preannunciava soggetta a forte dibattito all’interno del Congresso, con la previsione di modifiche considerevoli nel corso del complesso iter di approvazione parlamentare del National defense authorization act (Ndaa).

Come previsto, a far discutere sono stati i disinvestimenti pianificati sui sistemi “legacy” (-6%), che nella richiesta presentata dall’amministrazione colpiscono diversi grandi programmi per tutte le forze armate (più colpita la US Navy, superando il piano Battle 2045 proposta da Trump). Per Joe Biden e il capo del Pentagono Llyod Austin, il programma di disinvestimento è più che bilanciato dal forte incremento (+5%) delle dotazioni per ricerca, sviluppo, test e validazione (RDT&E), per cui si richiedono 112 miliardi. È la spinta all’innovazione che la Difesa Usa promuove da tempo, nella consapevolezza che la nuova “great power competition” si gioca soprattutto sulle tecnologie dirompenti: 5G, intelligenza artificiale, quantistica e cyber. Sostanzialmente, dunque, la richiesta puntava a ridurre i costi di approvvigionamento e manutenzione sui sistemi attuali, così da spingere sulla ricerca delle nuove tecnologie. Secondo gli esperti, ciò si potrebbe tradurre in una riduzione nel breve/medio termine della prontezza operativa, a favore del mantenimento del vantaggio tecnologico sul lungo periodo, a patto che i programmi di ricerca e sviluppo vengano poi rapidamente inglobati nel procurement di servizi e sistemi.

Tale prospettiva appariva da subito destinata a incontrare diverse resistenze al Congresso, lì dove gli interessi di forze armate e grandi industrie (per nulla disposte a vedere tagliati i programmi sui grandi sistemi d’arma) hanno maggiore capacità di influenza e pressione. Non a caso, a luglio, il comitato Armed services del Senato (a maggioranza repubblicana) ha approvato una bozza di Ndaa che aggiunge ben 25 miliardi di dollari alla richiesta dell’amministrazione, rimpinguando i vari programmi ridimensionati. Aggiunge (tra gli altri) sei F-35, un cacciatorpediniere di classe Burke, 130 milioni per i sottomarini balistici di classe Colombia, cinque F-15EX, due velivoli da trasporto C-130J e due tanker KC-130J.

A inizio settembre lo stesso è accaduto presso l’omologo comitato Armed services della Camera dei rappresentanti, che ha approvato una versione di Ndaa promossa dal leader dell’opposizione repubblicana Mike Rogers con 24 miliardi in più rispetto alla richiesta dell’amministrazione, tra cui 9,8 miliardi per il procurement di sistemi d’arma e 5,2 miliardi per ricerca e sviluppo (a testimonianza che, comunque, l’attenzione alle tecnologie disruptive in campo militare resta bipartisan). Proprio questa versione ha ottenuto il via libera dall’aula della Camera ieri, con 316 voti a favore e 113 contrari. A nulla sono valsi i tentativi dei democratici progressisti (i più determinati a bloccare l’aumento del budget), i cui emendamenti per evitare i 24 miliardi in più sono stati stoppati anche dai colleghi di partito.

A convincere la maggioranza dei dem ad appoggiare la proposta repubblicana sono stati soprattutto tre elementi: la condivisione dell’esigenza di potenziare lo strumento militare per il confronto con la Cina (tema, lo ripetiamo, bipartisan); la volontà di sostenere l’aumento degli stipendi per il personale della Difesa previsto da Biden (+2,7% da gennaio); le novità introdotte dopo l’epilogo drammatico dell’uscita dall’Afghanistan.

Nelle ultime settimane la questione afghana è intervenuto a gamba tesa sul dibattito alla Camera per il Ndaa. I repubblicani hanno proposto decine di emendamenti per contrastare quello che definiscono “il fallimento” della politica estera di Biden, con tanto di richiesta di informativa al Congresso sui dettagli del ritiro, obbligo di informare periodicamente Capitol Hill sui gruppi terroristici che potrebbero proliferare con il regime talebano, e creazione di una commissione parlamentare per affrontare il tema. Molte di queste proposte sono state appoggiate dai dem, e hanno contribuito a compattare il fronte dei favorevoli ai 24 miliardi in più.

Ora si dovrà attendere il Senato, impegnato nello stesso processo di elaborazione del Ndaa. Una volta che l’aula approverà il suo testo, inizieranno i negoziati tra i due rami del parlamento per arrivare a una versione sola entro la fine dell’anno fiscale. Considerando che la versione del comitato Armed services del Senato è molto simile a quella approvata dall’aula della Camera, non si attendono ormai particolari intoppi. Per il Pentagono di Lloyd Austin nel 2022 ci potrebbero essere 35 miliardi in più rispetto a quest’anno.

Il popolo calabrese non ha alternative. Il Sistema massonico mafioso politico copre tutta l'offerta, l'elezioni sono solo un riequilibrio, conti da chiudere fra di loro

Calabria 2021. Centrodestra senza freni, la cena della Impieri con gli indagati di “Appalti e massoneria”

-23 Settembre 2021

Francesca Impieri

di Saverio Di Giorno

Il centrodestra per queste regionali ha deciso di utilizzare tutti i mezzi e gli uomini per vincere. Senza nessuno scrupolo etico. Senza nessuno scrupolo. Ogni giorno che passa ce n’è una e ogni giorno vale la pena dedicarlo ad uno dei protagonisti di questa coalizione imbarazzante.

Dai legami con la Lega con famiglie di ‘ndrangheta a quelli storici e ormai risaputi di Fratelli d’Italia e Forza Italia nel Reggino. Su Cosenza invece c’è l’onnipresenza del cognome Gentile indicato in Rinascita-Scott come appartenente ad una loggia massonica. E per finire su Occhiuto, il candidato presidente, corresponsabile della chiusura degli ospedali e su cui gira un mulinello di denaro su cui indaga l’antiriciclaggio. Questo per i nomi storici e apicali, ma i candidati locali non sono da meno.

Avevamo già parlato di Sabrina Mannarino. Avvocatessa candidata con Fratelli d’Italia. La si descriveva come il simbolo di quell’apparato borghese che fa riferimento a legami, parentele ed amicizie e che hanno il monopolio da anni di fondi e ruoli pubblici “legata al pm Greco che nella procura di Paola fece il bello e cattivo tempo, ma anche a quel Luca Mannarino interessato dalla Corte dei Conti insieme ai suoi colleghi nella FinCalabra per aver distratto fondi europei di diversi milioni” (http://www.iacchite.blog/calabria-il-trionfo-dei-colletti-bianchi-i-mille-intrecci-tra-magistrati-avvocati-politici-e-imprenditori-di-saverio-di-giorno/).

Nello stesso articolo si faceva un memorandum di tutti i legami e le parentele tra imprese, amministratori, avvocati e professionisti vari (dai De Marco, ai Caldiero e via di questo passo). Ci si poneva un dubbio. Anche se è tutto lecito non è quanto meno inopportuno? Soprattutto in periodi di voti chi detiene capitali e legami volente o no ha un potere di contrattazione e di influenza maggiore.

E proprio in questo quadro si inserisce la segnalazione ricevuta in seguito a quel racconto. Questa volta però riguarda la candidata Francesca Impieri (Forza Italia) al centro delle polemiche tra candidati in queste settimane perché supportata dalla clinica Cascini. La Impieri, secondo quanto riferito, ha tenuto una cena politica all’Ottagono (ristorante a Belvedere) alla presenza di collaboratori e imprenditori vari; tutto bene se non fosse quali risultano indagati nell’inchiesta “Appalti e massoneria” della procura di Paola.

Proprio Cascini sulle polemiche aveva risposto qualche giorno fa: “non è un segreto” e rivendicava la legittimità nel sostenere un candidato secondo lui valido. A parte che chiedere il voto mi sembra un’offesa all’intelligenza di coloro ai quali si chiede. Ognuno può giudicare da sé, ma è vero: nulla di illegale se si limita ad una richiesta. Imprenditori e cittadini possono supportare chi vogliono, sono i candidati che dovrebbero avere un’etica maggiore. E non per giustizialismo, ma appunto per buon senso e buon esempio. Quel che vale per la Impieri, vale anche per molti altri. L’etica può e deve arrivare anche dove la legge non può e non deve arrivare. 

Più precisamente:

Se si viene supportati da una clinica privata, se eletti, si avrà la forza di non “ringraziare” quella clinica e dare invece il giusto spazio alla sanità pubblica? Ed è il caso di farsi supportare proprio da una clinica finita al centro di vari organi stampa per la questione della cartolarizzazione di crediti e i legami con società milanesi. Cascini, Morrone e altri. La Tricarico in passato finanziò la Bruno Bossio e non si ricordano grandi interventi di questa per gli ospedali pubblici (http://www.iacchite.blog/sanita-buco-nero-della-calabria-gli-affari-di-luca-morrone-e-cascini-sulla-linea-milano-cosenza/).
Se oltre a sostegni pubblici, tali sostegni sono anche finanziari (e legittimi) il legame è anche più forte.
È il caso di accettare sostegno da parte imprenditori e soggetti indagati? Vale la presunzione di innocenza, ma vale anche il buon senso e la prevenzione: se il vicino di casa è accusato di essere un ladro, fino a quando non sarà dichiarato innocente, chi di voi gli lascia le chiavi di casa? Perché dunque lasciargli le chiavi della regione? Tanto più che l’indagine riguarda proprio la rete di appalti in un territorio già molto intricato.

Magari però è tutta una coincidenza e si trovavano là per caso o ancora erano là come privati cittadini. In tal caso la richiesta di voto è alla pari e non è da imprenditore a dipendente, o da medico a paziente. Tutto può essere e solo i candidati possono rispondere in merito: chi sono i loro sostenitori forti? In America si direbbero lobby e sono pubbliche e consultabili. Che opinione hanno su questi sostenitori e le vicende che li riguardano? Sono questioni importanti ed annose per la Calabria e i calabresi e chiarire pubblicamente sarebbe un atto di trasparenza, memori della lezione di Borsellino che diceva che “chi ha ruolo pubblico non solo deve essere onesto, ma anche apparire tale” richiedendo quindi uno sforzo e una rigidità maggiori.

Linea rossa - NON TOCCATE I NOSTRI BAMBINI - Ad argomentazioni basate sul buon senso e sulle logica, il nostro bottegaio di turno afferma che tutta la sua famiglia utilizza quel prodotto che deve vendere ed è ottimo

Vaia, “sono contrario per due motivi”. Sileri: “Non avrei dubbi a far...

Vaia, “sono contrario per due motivi”. Sileri: “Non avrei dubbi a far vaccinare i miei figli”

Così si esprime il sottosegretario alla Salute parlando di vaccinazioni under 12

-22 Settembre 2021

Foto di Katja Fuhlert da Pixabay

Il vaccino Pfizer per la fascia pediatrica 5-11 anni si è dimostrato sicuro in base agli studi clinici.

Ma Vaia il direttore sanitario dell’Inmi Spallanzani invita alla cautela:

Sono assolutamente contrario alla vaccinazione degli under 12, per due motivi”, lo ha detto a Sky Tg24, ospite di ‘Timeline’. “Nei bambini – ha spiegato – è statisticamente irrilevante non solo il contagio ma anche la malattia al di sotto dei 12 anni. In questo caso quindi la bilancia rischio-beneficio penderebbe tutta sulla parte del rischio. Il problema non è l’Rna che resta nell’organismo per cui domani facciamo i bambini con la testa d’elefante, questa è un’informazione medievale che non c’entra nulla. Il problema è che comunque noi possiamo avere degli effetti collaterali. Nei bambini non c’è questo contagio cosè imponente e non c’è la malattia”.

“Il buon senso dice: aspettiamo sospendiamo, vediamo. Se le autorità regolatorie internazionali e nazionali approveranno il vaccino e si prenderanno la responsabilità, allora sì. Sono un fortissimo sostenitore del vaccino ma non è una pozione magica.”

Ma altri esperti sono di avviso diverso. Alberto Villani, Pediatra del Bambino Gesù, si dice invece favorevole ed osserva: “Credo che nel giro di poche settimane avremo una approvazione all’uso definitiva. Spero che per Halloween potremmo farcela a iniziare a vaccinare la fascia di età che va dai 5 agli 11 anni che fino ad oggi è rimasta esclusa”

Il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, parla poi dell’organizzazione del protocollo vaccinale per gli under 12, che, dice, sarà identico a quello già rispettato per adolescenti ed adulti. Aggiungendo anche che al momento “l’unica certezza è la non obbligatorietà della vaccinazione per i piccoli .”Io non avrei assolutamente nessun dubbio sul fare il vaccino ai miei figli quando arriverà”, ha aggiunto Sileri.

Parlando dei contagi, dice che “il fatto che aumentino nella popolazione pediatrica è abbastanza fisiologico, perché quando hai vaccinato il resto della popolazione (ad oggi 44 milioni di italiani hanno fatto almeno una dose, 41 mln la doppia dose), la popolazione più contagiabile è quella che non ha fatto il vaccino, quindi è chiaro che il virus circolerà di più nei soggetti giovani che però sono anche quelli più resistenti”.