L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 2 ottobre 2021

Linee rosse - Giù le mani dai nostri bambini. Neanche in camera operatoria si tengono le mascherine per ore e ore. Bestie al governo

5:57 am
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Basta mascherine a scuola – Mille Avvocati per la Costituzione

Dal 2020 ad oggi si sono susseguiti vari interventi normativi (DPCM del 3 novembre e successivi, nonché da ultimo il D.L. 111/21) volti a disciplinare l’obbligo di indossare i dispositivi di protezione individuale a scuola da parte degli alunni. E’ passato più di un anno e ad oggi gli studi scientifici espressi dal Comitato Tecnico Scientifico in ordine alla necessità di imporre tale obbligo ai giovani studenti appartenenti alla fascia 6-11 anni non sono mutati. Da tali studi ed evidenze scientifiche, che hanno ravvisato la necessità di prevedere l’uso dei dpi solo quando non è garantita tra gli studenti la distanza di un metro tra le rime buccali, il Governo nella sua attuale attività di legiferazione si è sempre discostato, in ultimo proprio con il D.L. 111/21.

Nel frattempo sono state emesse dal Giudice Amministrativo due trancianti pronunce, la Sentenza Tar del Lazio del 9 agosto n. 9343/2021 e la Sentenza Tar del Lazio del 19 febbraio n. 02102/2021, che hanno dichiarato l’illegittimità dell’obbligo di indossare la mascherina a scuola in condizione di staticità al banco per mancanza di allegazione da parte del Governo di evidenze scientifiche idonee a supportare un obbligo di siffatta specie, nonché per violazione dei principi di precauzione e di proporzionalità nell’adozione di tali eccessive ed esagerate misure.

Nonostante ciò, il Governo è rimasto inerte e indifferente di fronte alle su indicate pronunce giurisprudenziali. I Dirigenti Scolastici continuano a comportarsi da meri burocrati e seguono ciecamente indicazioni spesso equivoche ed errate e senza sviscerarne il reale contenuto, ed esercitando il loro ufficio in modo acritico e non autonomo rispetto alle condizioni di fatto che continuano ad arrecare un danno fisico e psicologico ai nostri figli, nipoti e alunni in generale. Tant’è che, ad un anno di distanza, i D.S. non hanno ad oggi predisposto controlli più adeguati per misurare la distanza di un metro tra le rime buccali degli studenti allorquando sono seduti al banco in posizione statica, in modo da consentire loro di poter respirare finalmente in modo sano e libero.

Come per l’uso dei dpi a scuola, analogamente si continua a dare seguito ad una erronea informazione attraverso i media mainstream anche per ciò che concerne l’uso della mascherina all’aperto. La campagna informativa mediatica ha erroneamente indotto la collettività a ritenere obbligatorio (vedasi ordinanza del Ministero della Salute del 22 giugno 2021) l’uso dei dpi all’aperto quando in realtà tale obbligo non è mai esistito. La mascherina va portata con sé ma va indossata all’aperto solo in presenza di altri soggetti e in mancanza di distanziamento.

Il medesimo problema si pone anche riguardo i tamponi salivari, previsti dal D.L. 52/21 conv. in L. 87/21 che, nonostante siano stati scientificamente riconosciuti come valido strumento di accertamento della positività al sars-cov-2 (vedasi anche ordinanza del Ministero della Salute del 14 maggio 2021), tuttavia il nostro Governo si ostina ad insistere nella richiesta di effettuazione di tamponi rino-faringei, oltre che più costosi anche più invasivi, dei quali è ormai nota la sofferenza sia fisica che psicologica che arrecano alla collettività specie se eseguiti su bambini e adolescenti.

Per Mille Avvocati per la Costituzione questo costituisce un limite invalicabile. Non è accettabile che si faccia credere alla collettività che l’uso delle mascherine a scuola sia obbligatorio per tutto l’orario scolastico, anche quando i bambini sono distanziati tra loro.

Alla stregua di quanto precede, siccome i dati ad oggi esistenti impongono di disapplicare l’ordine fallace contenuto nei decreti legge riguardanti l’uso costante della mascherina in classe, Mille Avvocati per la Costituzione diffida il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Min. della Salute, il Min. dell’Istruzione e gli altri Organi Ministeriali e Uffici Territoriali e tutti i Dirigenti Scolastici a dare una esecuzione corretta dell’obbligo in questione sensibilizzando una applicazione corretta e conforme ai verbali del CTS e all’attuale dettato giurisprudenziale.

Estensore Avv. Nicoletta Bellardita

2 ottobre 2021 - Luogo Comune

 

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Draghi, lo stregone maledetto, ci prende in giro anche sull'Irpef

Il taglio dell’IRPEF sarà una barzelletta, ecco perché

Il governo Draghi punta a varare il taglio dell'IRPEF per il terzo scaglione di reddito. I contribuenti non dovranno aspettarsi quasi nulla.

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 02 Ottobre 2021 alle ore 16:25


Governo Draghi al lavoro per la delega fiscale. Diversi i fronti d’intervento, alcuni molto delicati e problematici, come la riforma del catasto. Qualche altro preoccupa molto meno la maggioranza, non fosse altro per la sostanziale unità d’intenti, pur essendo molto differenti le impostazioni sul taglio dell’IRPEF. La Lega vorrebbe la “flat tax”, il PD il modello tedesco. Ma a mettere tutti d’accordo ci pensa l’esiguità delle risorse a disposizione. In pratica, nessuna riforma organica sarà possibile, per cui inutile accapigliarsi sulle teorie economiche.

Il taglio dell’IRPEF dovrebbe riguardare il terzo scaglione, quello per i redditi lordi compresi tra 28.000 e 55.000 euro all’anno. Il budget disponibile sarà di appena 3 miliardi. Peccato che tagliare un solo punto già costi altrettanto. L’obiettivo del governo Draghi sarebbe di ridurre l’aliquota del 38%, mitigando quel “salto” rispetto al 27% che grava sul secondo scaglione per i redditi tra 15.000 e 28.000 euro.

Taglio IRPEF, ecco i benefici per i contribuenti

Dunque, l’ipotesi di cui stiamo discutendo sarebbe di abbassare l’aliquota del 38% al 37%. Grande attenzione al ceto medio. In pratica, un contribuente che guadagna 3.000 euro lordi al mese si vedrebbe ridurre le tasse della bellezza di 80 euro all’anno, circa 6,67 euro al mese. Sarà più fortunato chi ha un reddito pari ad almeno l’estremo superiore dello scaglione, cioè di 55.000 euro. Potrà vantare un risparmio d’imposta di 270 euro all’anno, 22,50 euro al mese. “Potenza di fuoco” la definirebbe un ex premier non privo di fantasia e senso dell’umore.

Ma il paradosso di questo mini-taglio è che non risolve per nulla il problema del salto tra secondo e terzo scaglione.Resta il disincentivo a produrre, lavorare o anche solo a dichiarare redditi superiori ai 28.000 euro. Eppure, il premier Mario Draghi aveva parlato di 18 miliardi all’anno disponibili per i prossimi anni, in sede di presentazione delle nuove stime macro con il NaDef. Sembra che gran parte di tali risorse sarà assorbita dalla cancellazione dell’IRAP a carico di professionisti e società di persone. Resta un “gruzzoletto” di 4,4 miliardi derivante dalla lotta all’evasione fiscale. In più – difficile ammetterlo – ma anche l’eventuale riforma del catasto comporterebbe l’aumento del gettito.

Il taglio dell’IRPEF, a dire il vero, non sarà la priorità per il governo Draghi, più preoccupato di mantenere la pace sociale in questa fase di ripartenza per l’economia italiana. E vai con l’assegno unico per i figli e con il potenziamento del reddito di cittadinanza, pur in versione teoricamente rivisitata. Per i contribuenti resteranno le noccioline. E quel beneficio marginale, impercettibile di cui sopra rischia di svanire o di essere più che compensato dall’atteso taglio delle detrazioni fiscali permesse dal legislatore. Il ceto medio può continuare ad arrangiarsi.

I politici decisori sposi serventi dell'ideologia dei vaccini hanno perso una grande battaglia, pensavano che con il passaporto dei vaccini sperimentali di sbaragliare i milioni di italiani che stanno resistendo tranquillamente alla paura&terrore, alla bolla della narrazione dell'influenza covid che da più di un anno e mezzo tracima attraverso le televisioni nelle menti di tutti. Hanno raschiato il fondo del barile e si illudono che inasprendo obblighi convincono la resistenza anzi otterranno l'effetto contrario, più questa sarà messa all'angolo e più le convinzioni diventeranno ferme e refrattarie alla forza che li vuole chiudere. Anzi si apriranno ancora più spazi e contraddizione nella bolla della narrazione che convinceranno sempre di più gli italiani delle falsità e menzogne a cui ci hanno sottoposto. Mattarella Mattarella, la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana, è una riserva di legge costituzionale che il Passaporto dei vaccini sperimentali deborda, LEI è il garante della COSTITUZIONE

Green pass: perché rischiamo nuovi obblighi

2 Ottobre 2021 - 16:06

Rallenta la campagna vaccinale. Nonostante si avvicini il 15 ottobre, giorno in cui il green pass sarà obbligatorio a lavoro, non si registrano incrementi nelle vaccinazioni nella fascia Over 50.


Non ha sortito l’effetto sperato l’estensione del green pass. Se il Governo Draghi si aspettava che questa decisione potesse accelerare l’adesione dei più restii alla campagna vaccinale ne sarà rimasto deluso.

Il report settimanale del Governo ha confermato il trend di stasi e rallentamento della campagna vaccinale, come era stato anticipato dalla Fondazione Gimbe. Ancora un’importante fetta nella fascia a rischio degli Over 50 rimane scoperta e anche tra gli adolescenti il fenomeno sembra diffondersi.

Un segno di certo non positivo giunti alle soglie del 15 ottobre, giorno in cui il green pass sarà obbligatorio per accedere ai luoghi di lavoro pubblici e privati. Davanti a un possibile stallo, il Governo dovrà sicuramente rivedere la propria strategia e potrebbe optare per misure ancora più stringenti con nuovi obblighi.

L’obbligo di green pass inutile: la campagna vaccinale rallenta

Non rincuorano di certo gli ultimi risultati emersi dal report settimanale del Governo. La campagna vaccinale sembra aver subito una brusca frenata, allontanando sempre di più l’Italia dall'obiettivo di poter ripartire senza il certificato verde anti-Covid.

L’obiettivo della campagna vaccinale è quello di raggiungere un elevato numero di vaccinati in modo da poter abbandonare le restrizioni che da marzo 2020 sono presenti nel Paese, come ha fatto lo stesso Portogallo, il paese più vaccinato al mondo che ha raggiunto l’immunità di gregge con quasi l’86% della popolazione completamente vaccinata.

Per potersi assicurare il raggiungimento di tale obiettivo il Governo Draghi ha optato per una strategia di nudging non del tutto velata. Tramite una “spinta gentile”, estendendo l’obbligo di green pass ai luoghi di lavoro pubblici e privati, il Governo sperava di poter raggiungere anche i cittadini più restii alla vaccinazione.

Così non è stato. Infatti la fascia Over 50, indicata come una di quelle a rischio nello sviluppo di una sintomatologia più grave, rimane scoperta e lo stesso sta accadendo tra gli adolescenti. Specialmente per i giovani compresi tra i 12-15 anni di cui oltre il 40% risulta totalmente scoperto.

Vaccini: gli Over 50 sono la fascia a rischio più scoperta

Il dato più allarmante resta quello raccolto per la fascia degli Over 50. Il report della Struttura commissariale del generale Figliuolo ha registrato ancora 3.101.079 cittadini totalmente scoperti. Negli ultimi 7 giorni solo 48.633 prime dosi sono state inoculate, rimanendo in linea con i dati raccolti nelle settimane precedenti. Guardando in dettaglio questi dati è possibile registrare dove si trovino le più grandi sacche di resistenza dei no vax.
Per quanto riguarda gli Over 80 il numero di vaccinati è ormai stabile e rimangono scoperti solo 236.501 no vax, 7mila in meno del 24 settembre;
Lo stesso vale per Over 70 con 494.003 senza una dose, 14mila in meno di una settimana fa.

La maggior parte delle nuove vaccinazioni avviene quindi nelle fasce tra i 60-69 anni e i 50-59 anni.
Tra gli Over 60 solo 35mila sono state le nuove prime dosi ma i non vaccinati restano comunque molti: 866.836, pari all’11,48% della popolazione di questa fascia.
Tra gli Over 50 a essere scoperti sono 1.503.739 abitanti, circa 90mila in meno della settimana scorsa, il 15%. Un dato di certo non rincuorante.

Vaccini: anche tra gli adolescenti pochi vaccinati

Inaspettato è stato invece il risultato della campagna vaccinale per gli Under 19 che ha subito un grave rallentamento. Infatti, a essere completamente immunizzati sono circa 2.740.257 ragazzi, circa il 59,2% degli adolescenti in Italia; resta quindi scoperta una buona fetta, pari al 40%.

Tra i 12-15enni è vaccinato solo il 47,68% mentre devono ancora cominciare il ciclo vaccinale 965.464 giovani (e purtroppo solo 31mila sono state le dosi inoculate questa settimana).

Nella fascia 16-19 anni la percentuale dei vaccinati è molto più alta ed è pari al 70,68% mentre solo 21% del totale non ha ancora ricevuto la prima dose: si sta parlando in numeri assoluti di 486.468 ragazzi. Anche in questo caso le dosi inoculate questa settimana sono piuttosto magre: appena 27mila sono i ragazzi che si sono recati ai centri vaccinali per ricevere la prima dose.

Green pass: nuove restrizioni all’orizzonte?

A fronte di quanto emerso nell’ultimo report si può quindi dedurre che l’obbligo del green pass non stia sortendo gli effetti sperati e l’unica possibilità per aumentare la popolazione vaccinata sembrerebbe essere quella di nuovi obblighi e restrizioni come ad esempio l’obbligo di green pass su mezzi pubblici, per adesso esclusi in quanto la certificazione è richiesta solo per gli spostamenti tra regioni.

Ciò che preoccupa di più non sono solo le sacche di resistenza dei no-vax, ma la possibilità che a causa di una non elevata protezione vaccinale si potrebbe tornare a registrare un’impennata nei contagi.

Questo risultato non potrebbe far altro che aumentare gli obblighi e restrizioni anche in altri settori come quello, già da tempo colpito, della ristorazione e non solo. Sembrerebbe quindi che l’Italia sia finita in un cerchio continuo senza via d’uscita: tra restrizioni, radicalizzazione dei no vax e un probabile aumento delle norme e restrizioni anti-Covid a causa di un eventuale aumento dei contagi.

La bufera innestata da Xi Jinping pare che acquisti forza e sicurezza e colpisca chirurgicamente a ondate vari settori. interni e per converso esterni. Al Casinò di Wall Street non rimane altro che guardare e vedere dove andrà a calare la prossima scure nel silenzio tombale della Sec il suo controllore

L’ombra di un Archegos 2.0 svela la mira chirurgica cinese nel colpire Wall Street

2 Ottobre 2021 - 13:00

Il fondo dell’ex socio di Bill Hwang patisce un -32% annuo a causa dell’esposizione (a leva) al tutoring on-line messo nel mirino da Xi Jinping. Chi altro rischia? E ora, tocca a Tesla preoccuparsi?


Siamo alla vigilia di un Archegos 2.0? O, forse, l’attenzione morbosa per il caso Evergrande è riuscita a nascondere l’ennesimo, strano caso di commistione fra abuso di leverage, mercato azionario Usa ed hedge funds focalizzati sulla Cina con capacità di ammassare posizioni che forse meriterebbero un’occhiata dalla Sec?

A puntare il faro su quanto accaduto ci ha pensato Bloomberg con un lungo articolo nella sezione wealth, sfuggito così all'attenzione del grande pubblico ancora in attesa della Lehman cinese ma non a quello di moltissimi traders. E studi legali. Già, perché con la Golden Week che la prossima settimana vedrà chiusi mercati azionari della Cina continentale e solo Hong Kong sotto i riflettori, qualcuno potrebbe cominciare a porsi delle domande. La storia, in sé, è di quelle che appaiono destinate a una narrazione romanzesca.

Al centro della quale si staglia la figura del 41enne Tao Li, manager di hedge fund con base a New York e sodale di quel Bill Hwang recentemente balzato agli onori delle cronache per i disastri legati al suo fondo Archegos. Meno noto di quest’ultimo al grande pubblico di mercato, Li è però ritenuto un vero e proprio fuoriclasse del trading su securities cinesi, tanto da essersi guadagnato l’appellativo di Mr. China fra gli investitori maggiormente focalizzati sulle piazze del Dragone. Fama meritata, poiché il suo fondo negli ultimi dieci anni ha garantito returns di circa il 30%. Partner di Hwang nel Tiger Asia Fund dal 2004 al 2011, in quell'anno Li decise di mettersi in proprio e fondare il Teng Yue Partners.

Ma rapporti fra i due non si incrinarono. Anzi, fino al tonfo di Archegos, le loro chiacchierate erano pressoché quotidiane. E anche molti investimenti li vedevano ancora operare in tandem. Uno in particolare, quello sull’azienda di tutoring on-line cinese, GSX Techedu, di cui i due players arrivarono ad ammassare quasi il 40% delle azioni totali sul mercato. Ed ecco che questo grafico

Andamento del titolo di tutoring on-line cinese GSX TechEdu Fonte: Bloomberg/Zerohedge

mostra quanto accaduto: quando lo scorso marzo le margin calls di un gruppo di banche sottoscrittrici delle scorrerie a leva costrinsero Archegos a scaricare titoli, il valore dell’azione di GSX si schiantò. D’altronde, dall’alto di una posizione di portfolio simile, difficilmente sarebbe potuto accadere il contrario.

Ma ecco che dopo un primo rimbalzo che sembrava sancire la fine della bufera e il ritorno del sereno, a mettere il carico da novanta ci pensò Xi Jinping con la sua politica di Prosperità comune, lanciata in grande stile con la crociata contro lo strapotere di Jack Ma e del comparto tech con eccessive mire finanziarie e passata subito dopo - non troppo stranamente o in punta di bizzarria, ragionando con il senno di poi e alla luce di questi fatti - proprio al tutoring on-line. Le aziende del ramo educational che operano in regime profit non possono interagire con il sistema educativo nazionale, decise il leader maximo di Pechino.

Il titolo di GSX, fra i numeri uno del settore, si inabissò. Ed ecco che, stante le cifre relative rese note nei bilanci, si scopre come il Teng Yue Partners, dopo un decennio di successi, alla fine dello scorso agosto scontasse perdite tali da registrare un -32% su base annua. Il tutto alla luce di 10 miliardi di AUM (Assets-Under-Management), compreso il leverage. Un massacro, figlio legittimo dal bagno di sangue patito dal titoli di tutoring on-line affondato - con tempismo da trader navigato - da Xi Jinping e dalla sua campagna di regolamentazione del mercato.

Il problema? Più di uno, in realtà. Primo, lo Teng Yue Partners ha operato su total return swaps come Archegos per costruire quella posizione dominante su GSX? Secondo, stando alla denuncia del noto ribassista Carson Block, la Sec dovrebbe smetterla di guardare dall’altra parte di fronte a certe operatività a dir poco sospette e in grado di creare posizioni dominanti su singoli titoli, casualmente gli stessi messi nel mirino proprio dagli short sellers. Terzo, a fronte di un titolo GSX che oggi viaggia a circa 3 dollari per azione, -98% dal picco solo di gennaio scorso, il caso Tao Li pare non essere ancora esploso del tutto per una ragione decisamente preoccupante, quantomeno alla luce dei fatti. Il Teng Yue Partners, forte dei risultati passati, impone infatti periodi di lock-up più lungo della media per gli investitori.

Tradotto, c’è il rischio che il contenimento delle perdite - anche a livello mediatico - sia unicamente frutto di un blocco delle redemptions. Ma una volta esaurito l’arco temporale per il mantenimento dei gates e l’innalzamento per legge delle paratie, la marea potrebbe salire. E molto. Quarto, esiste un’esposizione a rischio da parte di soggetti bancari, esattamente come accadde con Archegos e con le perdite patite da Nomura e Credit Suisse a causa del loro pessimo timing nell’accodarsi alla margin call degli altri brokers?

Quinto e più sistemicamente importante: cosa annuncerà a novembre al Sesto Plenum del Partito comunista cinese, Xi Jinping? Quale sarà il prossimo bersaglio, dopo tech, tutoring, videogame e immobiliare? Perché una cosa appare certa: Pechino sembra mirare con precisione chirurgica alle bolle sugli assets, sia a livello interno dove il fall-out è ovviamente più controllabile sia sul mercato nemico di Wall Street. Se davvero Joe Biden dovesse superare la red line su Taiwan, dopo il patto trilaterale con Australia e Regno Unito, qualcosa potrebbe muoversi.

E questo grafico

Performance comparate di Ark ETF, Tesla e Nasdaq nel mese di settembre 2021 Fonte: Bloomberg

sembra dare un indizio: a fronte di outflows da 660 milioni di dollari solo la scorsa settimana dal suo Ark Innovation ETF, Cathie Wood sembra aver mostrato i primi segnali di cedimento. Il 28 settembre, infatti, ha venduto altri 270 milioni di azioni Tesla: casualmente, lo stesso giorni le fughe di capitali interne pesarono per 297 milioni. Ovviamente, nulla di epocale, poiché anche dopo le vendite il peso di Tesla rimane attorno all’11% del portfolio totale di Ark Innovation ETF e Cathie Wood ha come abitudine quella di sfoltire le posizioni quando superano il 10%. Ma, finora, il mantra era stato quello di andare long a prescindere sul titolo di Elon Musk. Anzi, gridare ai quattro venti i propri acquisti convinti sui minimi, durante i tonfi. Qualcosa è cambiato o sta per cambiare?

L'ideologia dei vaccini sperimentali ha perso il suo propellente, la propaganda sull'influenza covid avanza per forza d'inerzia e anche questa sta terminando. La sbornia di potere sta finendo anche se cercheranno in tutte le maniere di mantenere come metodo di governo la paura&terrore. Difficilissimo che ci riusciranno è la stessa natura del CAPITALISMO GLOBALE TOTALIZZANTE che lo impedisce per troppo tempo, hanno bisogno delle masse bue che pascolino nei loro recinti in apparenza libertà e ciò crea varchi inaspettati e imprevisti non controllabili sempre

Big Pharma si converte alle cure, ma i governi restano al diktat vaccinale



Tra fine settembre e inizio ottobre c’è una straordinaria e inaspettata valanga di annunci: dopo Pfizer che ha comunicato di stare per lanciare una pillola anticovid basata guarda caso sull’ivermectina, ma ovviamente molto più costosa che dovrebbe garantire un’efficacia di oltre il 50 per cento nell’evitare morte e ospedalizzazione, anche Merk ha annunciato la sua pillola magica così come ha fatto anche Roche: dunque siamo alla svolta e pare che finalmente ci avvii fare ciò che fin dal primo momento doveva essere fatto, ossia curare la malattia, risparmiando centinaia di migliaia di morti, compresi quelli da vaccino che ufficialmente tra Europa e Nord America si avvicinano ormai ai 50 mila, ma che sono certamente molti di più. L’uscita in massa di cure dichiarate efficaci dopo che per un anno e mezzo le autorità sanitarie occidentali le avevano proibite con pretesti scientificamente inconsistenti e moralmente vergognosi, sostenendo che solo il vaccino era la soluzione alla pandemia, costituisce di fatto una sconfessione di questi preparati genici, rivelatisi rischiosi oltre che impotenti a fermare il virus. Anzi si fa intendere tra le righe che adesso le cure, alcune delle quali molto costose ( per esempio gli anticorpi monoclonali) , costituiranno una fonte di profitto probabilmente più alto dei vaccini. E lo si può facilmente credere visto che ormai le dosi che servivano per terza, quarta, quinta iniezione , sono già stati comprati. Personalmente so di informatori scientifici che stanno andando dai medici a dire che siamo di fronte a un nuovo colossale affare, a un nuovo eldorado, anche perché queste pillole, avendo un effetto profilattico verranno prescritte e comprate al minimo starnuto: la paura del Covid è ormai così’ ben conficcata nelle menti da non poter essere estirpata facilmente.

In questa situazione di cambiamento di paradigma ci si può legittimamente chiedere perché mentre alcuni stati occidentali stanno sbaraccando il circo, come accade in Scandinavia molti altri , compreso il nostro, cerchino disperatamente di rendere ancora più stringente e odioso il regime vaccinale o addirittura di trascinare in questa danza mortale anche i bambini che non hanno nulla da temere dal Covid, proprio alla vigilia della uscita di cure che potrebbero, anzi da un punto di vista legale ( per quello che conta ormai la legalità, cioè zero) dovrebbero, far decadere l’autorizzazione di emergenza dei vaccini.

In effetti avrebbe poco senso se non fosse che si vuole uscire dalla vaccinazione di massa e dal pericolo che le “autorità” vengano sgamate come braccio acefalo di una elite ormai priva di freni, senza però far venire meno l’impianto autoritario e di controllo affermatosi durante la pandemia. Questo lo si può ottenere anche con un trucco psicologico: forzare la situazione sino all’estremo in maniera che nel momento in cui allenteranno le briglie tutti tireranno un sospiro di sollievo e i responsabili eluderanno la pressante richiesta di verità sui quasi due anni di pandemia, eviteranno di dover giustificare errori ed omissioni, ma soprattutto la costante manipolazione dei dati per trasformare una sindrome influenzale in una peste: il potere sa bene che il vero nemico non viene dalla politica ormai comprata a prezzo di saldo e alle volte addirittura interpretata da personaggi palesemente in preda a delirio senile e teleguidati dietro le quinte, ma dalla possibile creazione di una nuova opposizione reale, quindi cercherà la strada più facile per evitare la nascita di un forte movimento antagonista rispetto allo status quo e alla degenerazione autoritaria. Per il resto la vaccinazione rimarrà come elemento endemico, come qualcosa di simile all’antinfluenzale, ma comunque legata a divieti e ubbidienze simboliche: uso di mascherine, quarantene magari ogni tanto a qualche segregazione, insomma a quel tanto che basta per mantenere lo stato di eccezione e di incostituzionalità fino alla prossima crisi, di qualunque natura essa sia, senza però la situazione così dura e insopportabile da produrre un rifiuto da parte di una vasta area di popolazione. Il metodo della stretta cui segue un allentamento adottato sino ad ora è quello certamente più funzionale ad ottenere questo scopo che è anche quello che riesce a confondere meglio il sistema cognitivo delle persone e quindi continuare nell'inganno.

Il Venezuela che resiste e si impone

01 Ottobre 2021 16:55
"Contro il Venezuela un assedio per riportarci al colonialismo". Intervista alla deputata Tania Díaz

Geraldina Colotti

Tania Díaz, nota giornalista e dirigente politica della rivoluzione bolivariana, ha ricoperto diversi incarichi sia durante i governi di Hugo Chávez che in quelli di Nicolás Maduro. Attualmente è a capo della Commissione Propaganda Agitazione e Comunicazione del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), deputata all'Assemblea nazionale, e continua a condurre il popolare programma radiofonico Dando y Dando.

Cosa significa stare in prima linea durante un attacco multiforme e continuato come quello a cui deve far fronte la rivoluzione bolivariana? Quali sono stati i momenti più difficili?

Nei suoi vent’anni di vita, la rivoluzione bolivariana è stata oggetto di un'aggressione continua, ovvero di una strategia di guerra permanente, prima contro il comandante Chávez e ora contro il presidente Nicolás Maduro, poiché entrambi incarnano e guidano il processo di profondi cambiamenti che sta vivendo il Venezuela. Una rivoluzione che il popolo venezuelano si è dato, da protagonista, e che implica uno scontro di modelli. Un cambiamento che ha ribaltato le regole della politica nazionale nel 1998, attraverso i canali elettorali, e che continua per la via democratica, in senso opposto a quello dei grandi capitali transnazionali e delle oligarchie locali che vi si sottomettono. Ecco perché l'aggressione è sempre stata continua e spietata, con picchi molto duri come quelli vissuti alla fine del 2001, aprile 2002 e all'inizio del 2003. Furono anni di profonde turbolenze contro il comandante Chávez per aver preso il governo di aree nevralgiche dell'economia nazionale, come la terra e il petrolio, quando la Legge fondiaria e la Legge sugli idrocarburi furono approvate appena all'inizio del suo mandato. Quando queste leggi furono approvate, l'oligarchia e i suoi mandanti del nord decisero di agire contro Chávez: perché non erano disposti a lasciarsi strappare quella ricchezza che significava, per loro, la garanzia di sopravvivenza egemonica, e per noi rivoluzionari e rivoluzionarie un passo da gigante verso l'emancipazione e la sovranità. Sono stati momenti difficili.

È stata anche un'aggressione nello spazio politico e comunicativo. Abbiamo dovuto resistere negli unici due media ufficiali che esistevano all'epoca, Venezolana de Televisión e Radio Nacional de Venezuela. Onestamente, per la nostra esperienza nella comunicazione e nel giornalismo, la cosa più difficile è stata vedere quel fiume di odio sprigionarsi attraverso tutti i media disponibili all’epoca, vedere come quella strategia di propaganda di guerra riuscisse a inocularsi in settori della popolazione che non ci riconoscevano più come loro fratelli, che erano disposti ad attaccare violentemente con tutte le loro forze altri venezuelani e venezuelane, che non si riconoscevano più loro stessi come venezuelani e venezuelane, che si stava perseguitando una parte della popolazione. Vedere quella manifestazione di odio e violenza deflagrare senza freno attraverso i diversi canali di comunicazione e anche per le strade del paese, è stato per noi sorprendente. Era la prima volta che lo vedevamo in modo così sfacciato e aperto, come risultato di una strategia di propaganda di guerra contro il paese che si è aggiunta a un colpo di stato economico - hanno paralizzato e sabotato Petróleos de Venezuela - e a una prolungata e illegale insurrezione contro il quadro istituzionale del Paese.

Indubbiamente, allora abbiamo vissuto il preludio di una guerra. L'intera scena è stata impostata per scatenare una guerra fratricida, una guerra civile che avrebbe realizzato gli obiettivi delle grandi potenze interessate a rubare la ricchezza venezuelana, che doveva porre fine alla rivoluzione bolivariana, invertire lo spostamento del potere dei settori oligarchici proni all’imperialismo e sottomettere la popolazione venezuelana, annullare la speranza di milioni di persone che, per mano del comandante Chávez, avevano riconquistato il diritto alla cittadinanza, alla dignità, all'orgoglio nazionale, alla ferma convinzione e all'azione - con il processo costituente – di essere padroni del proprio destino e di poter decidere il futuro del nostro Paese, della nostra comunità e della nostra famiglia. Questo è ciò che ha causato più dolore in quel momento, un momento molto duro della Rivoluzione, indubbiamente, ma anche molto bello perché abbiamo visto il risultato di tutta l'azione di creazione collettiva che avevamo costruito insieme a Chávez. Lì, come tutti sanno perché è già storia, il popolo venezuelano ha dato un'enorme lezione politica: quel popolo, armato della Costituzione, è sceso in strada con la Legge in mano, senza violenza, per la via elettorale democratica, per ripristinare il filo costituzionale.

L'altro momento molto difficile, il più difficile di tutti e senza dubbio il più triste, è stata la perdita fisica del comandante Chávez. Non ci è mai passato per la mente che il comandante Chávez potesse andarsene da questa terra, che fosse un essere umano e avesse una vita fisica limitata. La sua malattia fu un periodo di profonda riflessione. Lui stesso ha guidato il processo di introspezione e di revisione politica che abbiamo dovuto vivere come società per prepararci al momento in cui non sarebbe stato più in prima linea e non avrebbe più potuto guidarci personalmente ad ogni passo, com’eravamo abituati a fare da quasi due decenni. Attraverso la letteratura, ad esempio, il comandante Chávez ci ha parlato a suo modo della teoria dell'Eterno Ritorno di Nietzsche, ci ha fatto leggere la Bibbia, siamo entrati in un processo di re-incontro con l'essenza stessa della Rivoluzione e di preparazione a un momento che non avevamo mai preparato, che mai avremmo voluto vivere.

Quando il comandante Chávez se ne andò – lui lo sapeva e noi, forse, non lo avevamo supposto con certezza -, quello fu il punto di svolta, il segnale di partenza per l'impero nordamericano e l'intera rete del capitale egemonico mondiale per infierire contro il Venezuela. Tanti e tante di noi pensano che la morte del Comandante sia stata provocata. Ci crediamo perché - come ben esprimeva lo slogan della sua ultima campagna elettorale - Chávez era ed è ancora oggi il Cuore del popolo, della gente comune del Venezuela, dell'uomo e della donna della strada, degli operai, dei contadini, dei lavoratori. Per questo credevano che, togliendocelo, sarebbe finita anche la nostra forza politica, e Barack Obama ha lanciato nel 2015 lo sfortunato decreto che dichiarava il Venezuela una minaccia per gli Stati Uniti. Sono iniziate le cosiddette sanzioni, ci hanno bollato come paese “canaglia”, ci hanno perseguitato, per giustificare il reato di aggressione permanente che persiste a tutt’oggi sul nostro Paese.

Ancora una volta, però, il popolo ha dato una grande lezione, sotto ogni punto di vista. Tanto per fare un esempio, c'è stato un pellegrinaggio di 10 giorni per partecipare al funerale di Chávez. Da ogni angolo del Paese, e con ogni mezzo, sono arrivate le persone semplici, gli ultimi fra gli ultimi, e hanno fatto lunghe file nella capitale per salutare il loro Comandante. Una dimostrazione di fratellanza e solidarietà nei momenti difficili per andare avanti, come è consuetudine nella nostra cultura venezuelana.

Il terzo momento più difficile è quello che stiamo vivendo, dal 2013 in poi. La guerra non dichiarata ma brutale, ibrida, spietata che hanno lanciato al Venezuela e che si esprime in vari scenari: quello economico, attraverso il blocco di tutte le nostre entrate, il sabotaggio indiscriminato della nostra capacità produttiva, il furto delle nostre risorse; il campo politico, con il rifiuto di riconoscere le nostre istituzioni democratiche e la creazione artificiale di altre parallele per accompagnare lo spoglio economico, la persecuzione dei nostri dirigenti, la criminalizzazione dell'intera leadership della Rivoluzione. Sotto l'aspetto militare, vi sono state incursioni nel territorio, tentato omicidio con droni, penetrazione paramilitare, “guarimbas” terroristiche; Nell'aspetto simbolico, culturale, si è scatenata la guerra psicologica: operazioni di propaganda bellica pianificate e concatenate in modo tale che in questa fase colpiscano gli affetti più vicini, l'emotività più intima perché attaccano direttamente la famiglia e la comunità. Forzare un collasso economico significa attaccare il lavoro dignitoso, il reddito familiare che così è diminuito, la piccola produzione che sopporta la parte peggiore di questa guerra. Questo significa vedere la figlia o il figlio che se ne vanno, spesso senza meta, a causa delle difficoltà economiche che esistono, ma soprattutto sono indotte da un'enorme operazione di guerra psicologica integrata nel suo piano di aggressione, destinata a derubarci anche della gioventù formata e educata durante vent’anni di rivoluzione, mediante studi universitari, formazione tecnologica e linguistica. Cercano anche di svuotarci della risorsa più preziosa che abbiamo, che è la nostra gente. Una buona parte della popolazione è stata colpita da questa perversione molto ben orchestrata, in cui è stato investito molto denaro, ma l'altra parte, la maggioranza, non si è arresa. È stato difficile, duro, ma è stato anche un momento di grande crescita, di esplosione creativa, di imprenditorialità, di forza, di esempio, di dignità, di coraggio e lealtà. Andiamo avanti sostenendoci, spalla a spalla e, come dice la poesia di Benedetti, “In strada fianco a fianco siamo molto più di due”.

In qualità di vicepresidenta dell'Assemblea nazionale costituente, sei stata direttamente colpita dalle "sanzioni" degli Stati Uniti. Puoi spiegare cosa comportano queste misure coercitive unilaterali e perché colpire una rappresentante del popolo come te significa ledere i diritti fondamentali di quel popolo?

A livello personale, quelle cosiddette sanzioni non significano nulla. L'Unione Europea, la Svizzera e il Canada mi hanno incluso in un elenco di venezuelane e venezuelani che, dicono, non potranno effettuare transazioni commerciali o spostare conti bancari in quei paesi. Non ho un conto all'estero. Dicono che non possiamo acquistare armi o svolgere attività per conto del governo nazionale. Non mi corrisponde, sono una legislatrice, non agisco in funzioni di governo. Ma credo che la strategia di censura che applicano illegalmente al parlamento venezuelano, usando queste misure coercitive unilaterali come scusa, dev’essere denunciata. Non solo siamo stati “sanzionati” noi deputati e deputate chavisti, ma è stata “punita” anche oltre una dozzina di parlamentari dell'opposizione, nel 2019, dopo la debacle politica di Juan Guaidó, quando ha perso la maggioranza alla camera e non ha ottenuto la rielezione come presidente dell'Assemblea nazionale. Coloro che hanno assunto la carica di direttori e presidenti di commissioni per l'anno 2020 (tutti uomini) sono stati minacciati, ricattati e infine sanzionati dagli Stati Uniti e da altri paesi. Alcuni di questi deputati sono stati rieletti per questo nuovo periodo 2021-2025. Dobbiamo poi denunciare che queste misure coercitive unilaterali riducono il nostro diritto di portare la voce delle persone che ci hanno eletto a livello internazionale. In breve, è una censura diretta della voce della rivoluzione e dell'opposizione democratica venezuelana, la cui partecipazione agli organismi politici multilaterali è severamente limitata.

Il resto è semplice pubblicità e marketing, vecchia norma anche tipica della propaganda nazista. Si tratta di dare volto, occhi, bocca e naso all'espressione politica che si vuole denigrare (o al prodotto che si vuole vendere, a seconda del caso) attribuendo così a una persona (o a un gruppo politico) tutti i mali e i disagi che possono colpire una società. L'intera strategia di segregazione, criminalizzazione e odio che si intende applicare a un sistema politico è incarnata in una determinata persona rappresentativa, perché in questo modo è più facile inoculare un veleno identico ad ampi settori della popolazione. Un esempio molto chiaro è quel triste e imbarazzante episodio in cui il procuratore generale degli Stati Uniti, William Barr - poi destituito in modo vergognoso da Donald Trump – ha mostrato ai media le fotografie dei rappresentanti dei Poteri Pubblici del Venezuela, compreso il presidente Nicolas Maduro, e ha indicato qual era la taglia posta sulla loro testa offrendo 15 milioni di dollari come ricompensa. Ci si spinge fino a questo estremo, rappresentando una scena logora tipica del cinema western nordamericano, come un colpo simbolico al Paese e alle sue istituzioni.

In che modo colpisce il popolo tutto questo? In tutti i modi, compreso quello di convincere una parte della popolazione che si sta agendo in suo favore e non contro, mentre si tratta semplicemente di una politica di adescamento che serve a giustificare i crimini di guerra scatenati contro una nazione. È la colonizzazione di cui hanno bisogno per dispiegare una strategia di aggressione come quella che stanno attuando contro il Venezuela, per normalizzare davanti agli organi politici delle Nazioni Unite e del sistema internazionale la crudeltà, la crudeltà contro un popolo, anche se viola il diritto internazionale, i diritti umani e gli standard minimi di convivenza.

Uno dei principali fronti dell'aggressione imperialista è costituito dai media. Come lo analizzi come giornalista e responsabile della Commissione di Agitazione, Propaganda e Comunicazione del Partito Socialista Unito del Venezuela?

Il tema della comunicazione va inserito nell'ambito della guerra ibrida, asimmetrica e multimodale, come uno dei teatri fondamentali di questa guerra, allo stesso livello e con la stessa precisione del quadro militare, politico o economico. È il sostegno emotivo degli altri scenari di guerra, il cui obiettivo è la conquista delle nostre menti e dei nostri cuori, del nostro spirito e della nostra speranza. Se non li conquistano, non hanno successo. Non si può mai dire che la rivoluzione bolivariana sia finita perché quella fiamma arderà sempre in alcuni di noi e finché arde, la rivoluzione non finirà. Chávez ha portato Bolívar dal XIX secolo al XXI secolo e, con lui, un accumulo di valori come l'uguaglianza, la sovranità, l'indipendenza, la democrazia popolare, partecipativa e protagonista, il potere costituente e in questo momento tutte quelle idee e quei valori permangono accesi, ardendo come un fuoco sacro nelle coscienze dei venezuelani e delle venezuelane.

Non credo che dovremmo limitarci solo all'analisi dei media. È un piano costruito per agire sulla cultura, sulla comunicazione e sulla politica, che mette in relazione questi fattori per ottenere l'effetto che l'autore cileno Pedro Santander Molina, nel suo libro La Batalla Comunicacional, ha definito “effetto scoramento”. L'autore parte dalla constatazione che, dalla caduta dell'Unione Sovietica, la supremazia del capitalismo neoliberista e della democrazia liberale borghese si sono imposte nel mondo. A questo fine, per istituire questo modello politico, economico e sociale come l'unico, senza alternative possibili, si è dispiegata l'intera industria culturale, a partire da Hollywood. In quello scenario, il Venezuela è stato protagonista della prima ribellione popolare contro il neoliberismo, il 27 febbraio 1989, e Chávez è insorto con la ribellione civile-militare del 4 febbraio 1992, ha conquistato il potere per via elettorale nel 1998 e ha attivato il processo costituente nel 1999, un momento fondamentale di comunicazione e creazione collettiva che dà il tono al nostro processo di emancipazione nel 21° secolo. Stiamo soppiantando il concetto di democrazia rappresentativa, in cui il popolo elegge rappresentanti che governino per lui, per sostituirlo con quello di democrazia partecipativa e protagonista, che "in modo non trasferibile" restituisce al popolo il potere di governare, di esercitare la sovranità e lo rende padrone del proprio destino. È questa idea bolivariana che sta rivoluzionando il continente, portata nel 21° secolo per mano di Chávez e dei suoi ispiratori. È la storia che accende e genera i cambiamenti. Per questo motivo, non dovremmo chiamare Mediatico questo scenario conflittuale, ma Simbolico-Culturale.

Chávez ci ha riportato alle origini; ci ha riportato l'identità nera e indigena e l'essenza della nostra storia libertaria che avevamo seppellito sotto le strutture della controcultura capitalista. Questa rinnovata identità con potenti valori indigeni è altamente pericolosa per l'egemone perché unisce il popolo, lo incoraggia e gli dà gli strumenti per diventare padrone del proprio destino. Ecco perché, nel teatro delle operazioni di guerra contro il Venezuela, viene progettato l'attacco simbolico, culturale e mediatico, che mira specificamente a offuscare quei valori, svalutandoli fino a farli diventare una fonte di vergogna, cercando di indurci di nuovo a negare la nostra stessa storia e origine. Per questo negano anche la portata colossale del pensiero del Liberator Simón Bolívar. Quando hanno ripreso il potere per 48 ore durante il colpo di Stato nell'aprile 2002, hanno tolto l'etichetta di “Bolivariana” dal nome della Repubblica. Ecco perché squalificano il concetto di Patria fino a equipararlo a un rotolo di carta igienica, solo per dequalificare l'ultima parola, l’ultima frase del comandante Chávez: "Oggi abbiamo una Patria, attenzione, oggi abbiamo un popolo, attenzione, perché oggi abbiamo la Patria più viva che mai, ardente di una sacra fiamma”.

Tutto, insomma, fa parte di un quadro culturale politico e semiotico che vuole riportarci sulla via del colonialismo, della sottomissione, sulla via della non indipendenza. Tornando a Santander Molina, la strategia di scoramento implica il disdegno per i nostri valori identitari essenziali e cerca di smobilitare la forza popolare in trasformazione; vuole che non crediamo più in chi siamo e soprattutto che ci sentiamo incapaci di promuovere i cambiamenti necessari per creare una società migliore. Un altro concetto bolivariano, portato anche dal comandante Chávez nel XXI secolo: ottenere per il popolo "la più grande quantità di felicità possibile", è ciò che l’imperialismo si propone di neutralizzare attraverso questa guerra culturale simbolica.

Ora, dall'altra parte ci siamo noi, gravidi di questo compito per il futuro. Abbiamo il dovere di ricrearci permanentemente, organizzarci, allenarci alla conoscenza della nostra storia politica, della posizione che ci spetta occupare e difendere nel mondo, di studiare i processi di emancipazione degli altri popoli. In costante formazione e alla ricerca di forme innovative di organizzazione e costruzione. Il Venezuela ha creato un solido Sistema Nazionale dei Media Pubblici, una rete consistente di Media Alternativi e Comunitari, sono emersi collettivi di comunicazione popolare e digitale di ogni tipo, è stata impiantata la necessità di avere istanze di comunicazione in ciascuno degli spazi di partecipazione popolare propri che diffondono e promuovono la marcia della rivoluzione. Formare, organizzare, creare, mobilitare, per irrompere in questo teatro di guerra simbolico. Dobbiamo schierarci con la nostra strategia e pianificazione, la nostra organizzazione, i nostri attori, soldate e soldate che escono in strada in difesa della speranza e del futuro.

Il Psuv ha un'organizzazione nazionale con il compito di organizzare la comunicazione, che ha i suoi dirigenti in ciascuno dei 24 stati e nei 335 comuni. Adesso si va a formare una unità per la battaglia comunicativa in ognuna delle 280mila strade dove il partito ha già consolidato una struttura di fondo dell'azione politico-sociale. Abbiamo anche creato 4 anni fa le Brigate Internazionali della Comunicazione Solidale, le Brics-Psuv, che sono state un punto di appoggio per intraprendere azioni fuori dai nostri confini. Tu, Geraldina, hai partecipato al 1° Congresso Internazionale di Comunicazione, svoltosi qui in Venezuela nel dicembre 2019, e poi abbiamo organizzato il Capitolo sulla Comunicazione del Congresso Bicentenario dei Popoli, recentemente, nel luglio 2021, con la partecipazione di 8.677 mila persone a livello nazionale e portavoce di 22 paesi. Siamo riusciti a tenere quattro sessioni di lavoro internazionali e a registrare un servizio di volontariato con decine di migliaia di connazionali desiderosi e pronti a unirsi alla battaglia.

Certo, non possiamo competere alla pari con il potere tecnologico, finanziario e logistico dei nostri aggressori, che hanno il sostegno dell'intera industria capitalista dell'intrattenimento e della comunicazione. E non stiamo parlando in senso figurato. È comune trovare scene sul Venezuela nelle serie televisive, in anteprima per piattaforme come Netflix, episodi in cui Petróleos de Venezuela viene fatto esplodere con esplosivi da "eroi" mercenari che vengono a liberare il paese dalla dittatura, propaganda politica contro lo Stato venezuelano sovrapposta ai videogiochi per bambini. Sono stati impiantati decine di siti web e spazi di comunicazione digitale, troll, laboratori di guerra sporca, finanziati direttamente dalla Ned e dall'USAID. Ci opponiamo all'aggressione con l'organizzazione popolare e la formazione per la comunicazione politica. I collettivi volontari si chiamano non a caso Guerriglia comunicativa.

Dalla proficua interazione generata nei Congressi Internazionali di Comunicazione è nata la proposta di creare l'Università Internazionale della Comunicazione, progetto che è già stato fondato con decreto presidenziale nel suo capitolo venezuelano e che è stato lanciato nel 2020, in piena pandemia, con la realizzazione di 33 webinar e 31.600 partecipanti registrati da 50 paesi in interazione digitale. L'Università di Lanus in Argentina è integrata in questa prima fase di creazione, attraverso il Centro di ricerche Mac Bride, diretto dal filosofo Fernando Buen Abad, ideatore e promotore dell'Università; ne fanno parte anche i Consigli delle Università di Cuba e Nicaragua, oltre a 5 università venezuelane. Entro il 2022, speriamo di avviare un piano accademico formale per diventare una "comunità organica di incontro, azione e riferimento in termini di pensiero, ricerca, produzione e diffusione di conoscenza e contenuti comunicativi", come afferma la dichiarazione di principi, in uno spazio di incontro che contribuisce al pensiero de-coloniale e sostiene le lotte di emancipazione dei nostri popoli.

Nel mezzo di una battaglia permanente e impari, queste forme di organizzazione ci permettono di mostrarci con il nostro volto e di riconoscerci nella conservazione dell'essenza ideologica, culturale e identitaria che hanno cercato di cancellarci per secoli. Dalla proposta che abbiamo sollevato in autodifesa, a cui partecipi tu, Geraldina, avanziamo nella definizione, autoaffermazione, ricerca e crescita di quell'essere sociale, quell'essere collettivo che ci dà forza nella Rivoluzione.

In che momento è ora la Rivoluzione Bolivariana dopo anni di aggressioni e colpi bassi alle conquiste popolari?

Direi che siamo in un momento di riaffermazione. All'inizio dell'intervista, abbiamo ricordato i momenti più difficili che abbiamo dovuto vivere nei 20 anni della Rivoluzione Bolivariana e abbiamo descritto quest'ultima fase come la più difficile, dal punto di vista di ciò che il popolo ha dovuto vivere, più lunga e violenta delle precedenti. Ti dicevo che la guerra, l'attacco, ci ha raggiunto direttamente per strada, al mercato, nel soggiorno di casa nostra, in modo brutale. Ci ha toccato in quanto c’è di più intimo e significativo. Se dovessimo riassumere la strategia in una parola, sarebbe: assedio.

Ecco perché adesso ci tocca assumere un momento di autoaffermazione, dobbiamo buttarci alle spalle i nostri dolori per ricominciare molte volte, ma senza rinunciare al nostro proposito di costruire una nuova società sulla base del socialismo bolivariano del XXI secolo. In questo senso, il Presidente Maduro ha svolto un ruolo decisivo perché ha guidato con caparbietà ed efficacia una politica che si basa sulla convivenza, sull'unità della Repubblica, sulla pace, sulla conservazione dei principi della Rivoluzione. Dal mio punto di vista, ha svolto un ruolo ammirevole, di cura e di sprone del popolo. Richiede ai suoi gruppi di lavoro che si rinnovino permanentemente, che facciano inchieste, che mostrino i risultati. Tutti, dai funzionari del governo ai dirigenti alle dirigenti delle UBCH (le unità di battaglia Hugo Chávez), abbiamo dovuto reinventarci e "spingere a fondo”, come diciamo qui.

Abbiamo ideato i CLAP (Comitati Locali di Approvvigionamento e Produzione) per contrastare il boicottaggio della distribuzione alimentare da parte dell’agroindustria (una delle prime manifestazioni della guerra economica, nel 2016) e le Brigate Popolari di Prevenzione contro il COVID-19, ad esempio, nel 2020. Abbiamo redatto una nuova legislazione, abbiamo creato nuove forme di organizzazione e forme di amministrazione finanziaria nostre per alleviare l'attacco alla moneta. I nostri ingegneri hanno creato macchinari e sviluppato tecnologia autoctona per superare gli effetti del blocco economico, sono sorte imprese di ogni tipo per formare una nuova rete popolare di scambi commerciali e produttivi.

La nuova Assemblea ha approvato la Legge delle Città Comunali e ora siamo in una fase di consultazione pubblica - in tutto il paese - della legge dei Parlamenti Comunali, per avanzare nella nuova struttura statale comunale che abbiamo iniziato con Chávez e che è già presente nel paese sotto forma di più di 3.000 comuni costituite e 47.000 consigli comunali registrati. Abbiamo inventato forme di finanziamento, modi per salvare la produzione di petrolio; i nostri operai, ingegneri e capi, dirigenti e ministri, tutti in una sola azione hanno dovuto creare macchinari da rottami metallici, hanno dovuto creare nuove forme di produzione per andare avanti, ed eccoci qui.

È un momento di riaffermazione perché l'agenda dello sconforto, della guerra e della violenza è stata messa a nudo con tutte le sue miserie, sconfitta dall'azione collettiva. La maggior parte dei venezuelani e venezuelane si è resa conto che la minoranza politica rappresentata da Juan Guaidó e dalla sua banda li aveva ingannati e traditi. Che quella banda si è agganciata a interessi stranieri per attaccarci tutti, che ha agito per i propri interessi e non per la collettività, che ha venduto il proprio paese e causato gravi danni alla Patria. Che i suoi rappresentanti non sono mai venuti all'Assemblea Nazionale per legiferare e fare del bene, ma solo per lavorare secondo quell'agenda di guerra. Ancora una volta siamo riusciti a condurli sul cammino elettorale, ma a prezzo di tanto dolore e sacrificio. Oggi non hanno alternative. Per questo si sono nuovamente riuniti al Tavolo di Dialogo in Messico e hanno dichiarato -per ora- che parteciperanno alla competizione elettorale il 21 novembre, pur sapendo che oggi sono organizzazioni politiche molto indebolite, demoralizzate per non dire prive di morale, che sono passate da essere una minoranza a essere una infima minoranza per via dei propri crimini ed errori.

Quest'anno andremo alle elezioni numero 28, per scegliere governatori e governatrici, sindaci e sindache, e gli organi legislativi di entrambe le istanze di governo, le più vicine alla vita quotidiana delle persone. Nel chavismo, siamo anche impegnati in un'auto-revisione, per via del cambiamento determinato dalla decisione coraggiosa e corretta del presidente Maduro e della Direzione nazionale del Partito Socialista Unito del Venezuela, il PSUV, di organizzare elezioni primarie in un momento così convulso. Lo abbiamo fatto in due fasi: una prima il 27 giugno per nominare i candidati e le candidate, in più di 14.300 assemblee di base simultanee del PSUV, e un'altra l'8 agosto per scegliere i candidati e le candidate con la partecipazione dell'intero Registro Elettorale e sulla piattaforma tecnologica del CNE. Hanno votato 3,5 milioni di persone. Una grande vittoria politica per il Psuv e un colpo inferto, in modo nobile e democratico, all'opposizione radicale violenta.

Il risultato ha prodotto anche un rinnovamento di tutta la direzione: il 45% dei candidati maschi e femmine è costituito da giovani, con una parità di quasi il 50% tra uomini e donne. Sono volti nuovi i candidati e le candidate a sindaco per il 92%, e per il 43% per la carica di governatore. Le mega-elezioni del 21 novembre dovrebbero sancire la fine di questa fase di sanguinoso attacco alle istituzioni democratiche del Venezuela. Così dev’essere e stiamo facendo ogni sforzo perché sia così. E la Rivoluzione è molto ben preparata per questo scenario dopo un processo di revisione, rettifica e riaffermazione. L'aggressione ha generato distorsioni e macchie in tutti i settori, ha colpito anche tra noi, tra le fila della rivoluzione. Ora, passata la bufera, o buona parte di essa, siamo obbligati a “pulire la casa”, “far scorrere l’acqua” e dar luogo a questo nuovo inizio che, come ha detto il nostro Presidente, “deve procedere al recupero del benessere che avevamo raggiunto durante 20 anni di rivoluzione e che fino al 2017 nessun altro Paese della regione aveva”. Dobbiamo recuperare quel modello sociale, colpito al cuore una volta che il comandante Chávez è partito fisicamente. Ecco perché questo è il periodo che suggella la stabilità politica per andare verso la ripresa economica.

Questa è la fase della Rivoluzione Bolivariana e abbiamo tutte le speranze che andrà a finire bene perché ce lo meritiamo. L'abbiamo costruita giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, abbiamo combattuto la battaglia e l’abbiamo vinta, come si dice in linguaggio sportivo “con onore e con dignità”, rispettando le regole del gioco e senza aggredire nessuno, sul piano del lavoro e della creazione collettiva. E ce lo meritiamo.

Il CAPITALISMO GLOBALE TOTALIZZANTE ha necessità del controllo totale delle masse, dei suoi pensieri, delle sue azioni, delle sue credenze e basta un nulla per scatenare la sua reazione isterica e mortale. Gli Stati Uniti non stanno bene

Campi di detenzione COVID-19: il governo sta rasternindo i resistori nel nostro futuro?

DI TYLER DURDEN
VENERDÌ, OTT 01, 2021 - 23:40

"Senza dubbio i campi di concentramento erano un mezzo, una minaccia usata per mantenere l'ordine".

Non è più una questione se il governo rinchiuderà gli americani per aver sfidato i suoi mandati, ma quando.


Questo è ciò che sappiamo: il governo ha i mezzi,i muscoli e la motivazione per detenere individui che resistono ai suoi ordini e non rispettano i suoi mandati in una vasta gamma di prigioni, centri di detenzione e campi di concentramento FEMA pagati con i dollari dei contribuenti.

È solo questione di tempo.

Non importa più quale potrebbe essere la questione scottante (mandati sui vaccini, immigrazione, diritti alle armi, aborto, matrimonio tra persone dello stesso sesso, assistenza sanitaria, critica al governo, protesta contro i risultati elettorali, ecc.) o quale partito stia esercitando il suo potere come un martello.

Le basi sono già state gettate.

Secondo la disposizione sulla detenzione a tempo indeterminato del National Defense Authorization Act (NDAA), il presidente e l'esercito possono detenere e imprigionare cittadini americani senza accesso ad amici, familiari o tribunali se il governo li ritiene terroristi.

Quindi non dovrebbe sorprendere che semplicemente criticare il governo o opporsi a un vaccino COVID-19 potrebbe farti etichettare come un terrorista.

Dopotutto, non ci vuole più molto per essere considerato un terrorista, soprattutto considerando che al governo piace usare le parole "anti-governo", "estremista" e "terrorista" in modo intercambiabile..

Ad esempio, il Dipartimento della Sicurezza Nazionale definisce ampiamente gli estremisti come individui, veterani militari e gruppi "che sono principalmente antigovernativi, rifiutando l'autorità federale a favore dell'autorità statale o locale o rifiutando completamente l'autorità governativa".

I veterani militari di ritorno dall'Iraq e dall'Afghanistan possono anche essere caratterizzati come estremisti e potenziali minacce terroristiche interne da parte del governo perché possono essere "scontenti, disillusi o affetti dagli effetti psicologici della guerra".

In effetti, se credi ed eserciti i tuoi diritti ai sensi della Costituzione (vale a dire, il tuo diritto di parlare liberamente, adorare liberamente, associarti a persone che la pensano allo stesso modo che condividono le tue opinioni politiche, criticare il governo, possedere un'arma, richiedere un mandato prima di essere interrogato o perquisito, o qualsiasi altra attività vista come potenzialmente antigovernativa, razzista, bigotta, anarchica o sovrana), potresti essere in cima alla lista di controllo del terrorismo del governo.

Inoltre, come avverte un editoriale del New York Times, potresti essere un estremista antigovernativa (alias terrorista interno)agli occhi della polizia se hai paura che il governo stia complottando per confiscare le tue armi da fuoco,se credi che l'economia stia per crollare e il governo dichiarerà prestola legge marziale, o se mostri un numero insolito di adesivi politici e / o ideologici sulla tua auto.

Secondo l'FBI, potresti anche essere classificato come una minaccia terroristica interna se sposi teorie cospirative o osi sottoscrivere opinioni contrarie a quelle del governo..

Il governo ha anche una lista crescente – condivisa con i centri di fusione e le forze dell'ordine – di ideologie, comportamenti, affiliazioni e altre caratteristiche che potrebbero contrassegnare qualcuno come sospetto e portare a essere etichettati come potenziali nemici dello stato.

Questo è ciò che accade quando non solo si mette il potere di determinare chi è un potenziale pericolo nelle mani delle agenzie governative, dei tribunali e della polizia, ma si dà anche a quelle agenzie l'autorità liberale di rinchiudere gli individui per presunti torti.

È un sistema che implora solo di essere abusato da burocrati assetati di potere che cercano disperatamente di mantenere il loro potere a tutti i costi.

È già successo prima.

Come dimostra la storia, il governo degli Stati Uniti non è contrario a rinchiudere i propri cittadini per i propri scopi.

Basta tornare al 1940, quando il governo federale proclamò che i giapponesi-americani, etichettati come potenziali dissidenti, potevano essere messi in campi di concentramento (alias internamento) basati solo sulla loro origine etnica, per vedere fino a che punto il governo federale andrà per mantenere "ordine" in patria.

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha convalidato il programma di detenzione in Korematsu v. US (1944), concludendo che la necessità del governo di garantire la sicurezza del paese ha prevalso sulle libertà personali.

Sebbene la decisione di Korematsu non sia mai stata formalmente ribaltata,il giudice capo Roberts ha affermato in Trump v. Hawaii (2018) che "il trasferimento forzato di cittadini statunitensi nei campi di concentramento, solo ed esplicitamente sulla base della razza, è oggettivamente illegale e al di fuori dell'ambito dell'autorità presidenziale".

Le dichiarazioni di Roberts forniscono poche garanzie di sicurezza alla luce della tendenza del governo a eludere lo stato di diritto quando si adatta ai suoi scopi. Sottolineando che tali detenzioni palesemente illegali potrebbero accadere di nuovo– con la benedizione dei tribunali – il giudice Scalia una volta ha avvertito: "In tempo di guerra, le leggi tacciono".

In effetti, la creazione di campi di detenzione a livello nazionale è stata a lungo parte del bilancio e delle operazioni del governo, ricadendo sotto la giurisdizione della FEMA, l'Agenzia federale per la gestione delle emergenze.

La torbida storia della FEMA risale al 1970, quando il presidente Carter la creò attraverso un ordine esecutivo che fondeva molte delle agenzie di soccorso in caso di calamità del governo in un'unica grande agenzia.

Durante gli anni 1980, tuttavia, iniziarono a emergere rapporti di esercitazioni segrete di tipo militare svolte dalla FEMA e dal Dipartimento della Difesa. Nome in codice Rex-84, 34 agenzie federali, tra cui la CIA e i servizi segreti, sono state addestrate su come affrontare i disordini civili interni.

Il ruolo della FEMA nella creazione di campi di internamento americani top-secret è ben documentato.

Ma fai attenzione con chi condividi queste informazioni: si scopre che esprimere preoccupazioni sull'esistenza dei campi di detenzione FEMA è tra la crescente lista di opinioni e attività che possono far pensare a un agente federale o funzionario governativo che sei un estremista (alias terrorista), o simpatizzante per le attività terroristiche, e quindi qualificarti per la detenzione a tempo indeterminato ai sensi della NDAA. In quella lista di punti di vista "pericolosi" sono inclusi anche la difesa dei diritti degli stati, credendo che lo stato sia inutile o indesiderabile, "teorizzazione della cospirazione", preoccupazione per i presunti campi FEMA, opposizione alla guerra, organizzazione per "giustizia economica", frustrazione per "ideologie tradizionali", opposizione all'aborto, opposizione alla globalizzazione e stoccaggio di munizioni.

Ora, se hai intenzione di avere campi di internamento sul suolo americano, qualcuno deve costruirli.

Così, nel 2006, è stato annunciato che Kellogg Brown and Root, una sussidiaria di Halliburton, si era aggiudicata un contratto da 385 milioni di dollari per costruire strutture di detenzione americane. Sebbene il governo e Halliburton non fossero disponibili su dove o quando questi centri di detenzione domestici sarebbero stati costruiti, razionalizzarono la necessità di loro in caso di "un afflusso di emergenza di immigrati, o per sostenere il rapido sviluppo di nuovi programmi" in caso di altre emergenze come "disastri naturali".

Naturalmente, questi campi di detenzione dovranno essere utilizzati per chiunque sia visto come una minaccia per il governo, e questo include i dissidenti politici.

Quindi non è un caso che il governo degli Stati Uniti abbia, dal 1980, acquisito e mantenuto, senza mandato o ordine del tribunale, un database di nomi e informazioni sugli americani considerati minacce per la nazione.

Come riporta Salon, questo database, soprannominato "Main Core", deve essere utilizzato dall'esercito e dalla FEMA in tempi di emergenza nazionale o sotto la legge marziale per localizzare e radunare gli americani visti come minacce alla sicurezza nazionale. Ci sono almeno 8 milioni di americani nel database Main Core.

Avanti veloce fino al 2009, quando il Dipartimento per la Sicurezza Interna (DHS) ha pubblicato due rapporti, uno su"Estremismo di destra",che definisce ampiamente gli estremisti di destra come individui e gruppi "che sono principalmente antigovernativi, rifiutando l'autorità federale a favore dell'autorità statale o locale, o rifiutando completamente l'autorità governativa", e uno su"Estremismo di sinistra",che ha etichettato i gruppi di attivisti per l'ambiente e i diritti degli animali come estremisti.

Incredibilmente, entrambi i rapporti usano le parole terrorista ed estremista in modo intercambiabile.

Nello stesso anno, il DHS ha lanciato l'operazione Vigilant Eagle,che chiede la sorveglianza dei veterani militari di ritorno dall'Iraq, dall'Afghanistan e da altri luoghi lontani, caratterizzandoli come estremisti e potenziali minacce terroristiche interne perché potrebbero essere "scontenti, disillusi o affetti dagli effetti psicologici della guerra".

Questi rapporti indicano che per il governo, il cosiddetto estremismo non è una questione di parte. Chiunque sia visto come oppositore del governo – che sia di sinistra, di destra o da qualche parte nel mezzo – è un bersaglio, il che ci riporta, a chiudere il cerchio, alla domanda se il governo eserciterà il potere che afferma di possedere per detenere chiunque sia percepito come una minaccia, cioè chiunque critici il governo.

La risposta breve è: sì.

La risposta più lunga è più complicata.

Nonostante ciò che alcuni potrebbero pensare, la Costituzione non è un incantesimo magico contro le maledo del governo. In effetti, è efficace solo quanto coloro che lo rispettano.

Tuttavia, senza tribunali disposti a sostenere le disposizioni della Costituzione quando i funzionari governativi la ignorano e una cittadinanza abbastanza informata da essere oltraggiata quando tali disposizioni sono minate, fornisce poca o nessuna protezione contro le incursioni della squadra SWAT, la sorveglianza domestica, le sparatorie della polizia di cittadini disarmati, le detenzioni a tempo indeterminato e simili.

Francamente, i tribunali e la polizia si sono intrecciati nel loro pensiero a tal punto che tutto va bene quando viene fatto in nome della sicurezza nazionale, della lotta al crimine e del terrorismo.

Di conseguenza, l'America non opera più sotto un sistema di giustizia caratterizzato da un giusto processo, un'assunzione di innocenza, una causa probabile e chiari divieti di sconfinamento del governo e abusi della polizia. Invece, le nostre corti di giustizia sono state trasformate in tribunali dell'ordine, difendendo gli interessi del governo, piuttosto che difendere i diritti dei cittadini, come sancito dalla Costituzione.

Sembra che stiamo completando il cerchio su molti fronti.

Si consideri che due decenni fa stavamo discutendo se i non cittadini – ad esempio, i cosiddetti combattenti nemici detenuti a Guantanamo Bay e i musulmani-americani radunati sulla scia dell'11/9 – avessero diritto a protezioni ai sensi della Costituzione, in particolare per quanto riguarda la detenzione a tempo indeterminato. Gli americani non erano eccessivamente preoccupati per i diritti dei non cittadini allora, e ora siamo quelli nella posizione non invidiabile di essere presi di mira per la detenzione a tempo indeterminato dal nostro stesso governo.

Allo stesso modo, la maggior parte degli americani non era eccessivamente preoccupata quando la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dato agli agenti di polizia dell'Arizona il via libera per fermare, perquisire e interrogare chiunque – apparentemente quelli che si adattano a un particolare profilo razziale – che sospettano possa essere un immigrato illegale. Un decennio dopo, i poliziotti hanno in gran parte carta bianca per fermare qualsiasi individuo, cittadino e non cittadino, che sospettano possa fare qualcosa di illegale (intendiamoci, in questa epoca di eccessiva criminalizzazione, potrebbe essere qualsiasi cosa, dall'alimentazione degli uccelli alla coltivazione di orchidee esotiche).

Allo stesso modo, una parte considerevole della popolazione oggi non si preoccupa della pratica del governo di spiare gli americani, essendo stato sottoposto al lavaggio del cervello per credere che se non stai facendo nulla di sbagliato, non hai nulla di cui preoccuparti.

Sarà solo una questione di tempo prima che imparino nel modo più duro che in uno stato di polizia, non importa chi sei o quanto giusti affermi di essere, perché alla fine sarai ammassato con tutti gli altri e tutto ciò che fai sarà "sbagliato" e sospetto.

In effetti, sta già accadendo, con la polizia che si affida a software di sorveglianza come ShadowDragon per guardare i social media delle persone e altre attività sul sito web, indipendentemente dal fatto che sospettino o meno di un crimine, e potenzialmente usarlo contro di loro quando se ne presenta la necessità.

Si scopre che siamo Soylent Green, cannibalizzati da un governo che cerca avidamente di spremere fino all'ultima goccia da noi.

Il film del 1973 Soylent Green, interpretato da Charlton Heston e Edward G. Robinson, è ambientato nel 2022 in una New York City sovrappopolata, inquinata e affamata i cui abitanti dipendono da alimenti sintetici prodotti dalla Soylent Corporation per la sopravvivenza.

Heston interpreta un poliziotto che indaga su un omicidio che scopre la macabra verità sull'ingrediente principale del wafer, Soylent Green, che è la principale fonte di nutrimento per una popolazione affamata. "Sono le persone. Soylent Green è fatto di persone", dichiara il personaggio di Heston. "Stanno facendo il nostro cibo con le persone. La prossima cosa che ci allevano come bestiame per il cibo".

Oh, quanto aveva ragione.

Soylent Green è davvero una gente o, nel nostro caso, Soylent Green sono i nostri dati personali, recuperati, riconfezionati e utilizzati dalle corporazioni e dal governo per intrappolarci in prigioni di nostra creazione.

Senza protezioni costituzionali in atto per proteggersi dalle violazioni dei nostri diritti quando il potere, la tecnologia e la governance militaristica convergono, non passeremo molto tempo prima che ci troviamo, proprio come il personaggio di Edward G. Robinson in Soylent Green, guardando indietro al passato con nostalgia, tornando a un'epoca in cui potevamo parlare con chi volevamo, comprare ciò che volevamo, pensa a quello che volevamo e vai dove volevamo senza che quei pensieri, parole e movimenti venissero tracciati, elaborati e archiviati da giganti aziendali come Google, venduti ad agenzie governative come la NSA e la CIA e usati contro di noi dalla polizia militarizzata con il loro esercito di tecnologie futuristiche.

Non ci siamo ancora, ma come chiarisco nel mio libro Battlefield America: The War on the American People e nella sua controparte immaginaria The Erik Blair Diaries, quel momento della resa dei conti si sta avvicinando di minuto in minuto.

12 ottobre 2021 - Il grande flop dell'Occidente e di Draghi, lo stregone maledetto, sull'Afghanistan

mondo
30 settembre 2021


“Si terrà mercoledì 12 ottobre un incontro straordinario del G-20, cioè una delle più importanti economie del mondo, per parlare sull’Afghanistan. Lo ha detto mercoledì il presidente del Consiglio Mario Draghi”. Così la Reuters del 29 settembre delle ore 18.21, un comunicato che abbiamo riportato per intero per evidenziarne la stringatezza.

La notizia è stata battuta da tutte le agenzie stampa italiane e ripresa dai principali media nostrani, ovviamente. Ciò non solo per la sua importanza, dato il peso che ha l’Afghanistan attualmente, ma anche perché rafforza una narrativa che va per la maggiore sui nostri organi di informazione, i quali accreditano al nostro presidente del Consiglio una rilevanza internazionale di primo piano.

In un tripudio di piaggeria, tale narrativa attribuisce a Mario Draghi imprese titaniche sulla pandemia e meraviglie sul piano economico, finendo per ascrivergli anche i tanti successi dello sport nazionale, dagli Europei di calcio alle Olimpiadi ad altre recenti vittorie (nulla importando, ovviamente, che a certe competizioni ci si prepara da anni). Piaggeria che dovrebbe dar fastidio anche all’interessato, se è intelligente almeno un decimo di quanto dicono le stesse fonti.

In altra nota commenteremo la notizia in sé, cioè il G-20 sull’Afghanistan, sempre che si tenga; a oggi diamo una notizia che, seppur di colore, ci sembra di qualche interesse. Mentre scriviamo queste righe, cioè a un giorno esatto dall’annuncio di Draghi, nessun media internazionale ha rilanciato quanto ha detto il nostro presidente del Consiglio.

Invano abbiamo scorso media americani, russi, cinesi, arabi, israeliani alla ricerca di una nota che riferisse l’annuncio; imbattendoci solo in quelle scarne righe della Reuetrs, peraltro redatte da un italiano.

Né, mettendo l’annuncio nella stringa di ricerca di Google abbiamo trovato traccia della notizia (nelle prime pagine almeno), che non fosse di un media italiano.

Insomma, l’annuncio è stato, a ora, del tutto silenziato sul piano internazionale. Certo, su un eventuale G-20 dedicato all’Afghanistan c’è grande dibattito, dal momento che tanti ambiti erano sfavorevoli. Quindi è possibile che, ad esempio in America, sia passato l’ordine di scuderia di silenziare quanto detto da Draghi.

Ma tanti erano i favorevoli, non solo in America, ma anche nel mondo: dai russi ai cinesi a tanti Stati arabi. Così, nel caso specifico, il silenzio non appare d’oro.

Va da sé che non solo si è silenziato l’annuncio, ma anche il nunzio, cosa impossibile se Draghi fosse stato davvero il faro internazionale che raccontano i nostri media (e i media degli ambiti internazionali dei quali egli è terminale nostrano).

Non si tratta di sminuire la persona, ma di registrare la superfetazione della piaggeria nostrana e ricondurre alla più prosaica realtà il peso specifico del nostro presidente del Consiglio. Tale il destino dei viceré, purtroppo, e tale il destino delle colonie.

Si spera che nelle prossime ore o nei prossimi giorni la notizia abbia una maggiore risonanza.

(1) Non che il G-20 sull’Afghanistan non sia importante. Ed è impossibile che Draghi abbia dato un annuncio di tal fatta, e indicato una data precisa, senza aver prima concordato con altri tutto questo. Ma forse ha immesso in quanto concordato qualcosa di suo, dato che ha riferito dettagli rilevanti, o magari semplicemente ha anticipato i tempi. Vedremo se tutto procederà secondo quanto riferito o meno. Il tema, al di là della nostra nota di colore, resta di grande interesse.