L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 30 ottobre 2021

Povero diesel

Esperto denuncia la bugia del diesel: “Si tratta in realtà della fine del trasporto privato

Maurizio Blondet 30 Ottobre 2021

da DWN, piuttosto tecnico ma prezioso:

La lotta alla tecnologia diesel ha assunto caratteristiche surreali. Tuttavia, non si tratta affatto di proteggere l’ambiente, afferma il giornalista scientifico e tecnologico Holger Douglas, autore del libro “Die Diesel-Läge”. Si tratta piuttosto di limitare il traffico individuale e la libertà di circolazione dei cittadini.

Notizie economiche tedesche: quanto sono dannosi i moderni motori diesel?

Holger Douglas: Cosa significa dannoso? Ogni volta che ci muoviamo, quando trasportiamo carichi, abbiamo bisogno di energia per farlo. Cavalli o buoi hanno bisogno di energia sotto forma di avena o fieno. Il motore a vapore, il motore a combustione interna di Nikolaus Otto e infine il motore diesel di Rudolf Diesel sono stati quindi in grado di utilizzare sempre meglio l’energia e convertirla in potenza. Il diesel è sempre stato considerato un motore molto economico. Oggi, gli sviluppatori di motori hanno reso il motore diesel uno dei motori termici più efficaci e migliori che abbiamo.

Mentre il diesel un tempo spingeva le nuvole fuori dal tubo di scarico, oggi non ne esce praticamente nulla. Adesso c’è una vera e propria piccola fabbrica chimica sotto il pianale dell’auto, che pulisce i gas di scarico secondo tutte le regole dell’arte. Un moderno filtro antiparticolato non consente praticamente più la fuoriuscita di particelle di polvere fine.

Un motore – come una candela, tra l’altro – produce ossidi di azoto, NO, ogni volta che viene bruciato. Si combinano rapidamente con l’ossigeno nell’aria per formare NO2. Questi ossidi di azoto vengono resi innocui in un’altra fabbrica chimica sotto il pavimento dell’auto. Tutto quello che devi fare è riempire di tanto in tanto il liquido blu AdBlue, una miscela di acqua-urea. Questa è solo una fase preliminare; In una prima reazione chimica, l’idrolisi, viene convertita in ammoniaca. I gas di scarico caldi forniscono l’energia necessaria per questa reazione. L’ammoniaca rompe quindi gli ossidi di azoto e li rende innocui.

Gli sviluppatori hanno dovuto impegnarsi molto in questo, perché AdBlue si congela a temperature inferiori a -11 ° C. Il serbatoio è solitamente riscaldato in inverno: quando si disinserisce l’accensione, una pompa convoglia i resti del liquido dalla linea nel serbatoio in modo che la linea non possa gelare. Inoltre, la reazione chimica funziona solo in un determinato intervallo di temperatura. Pertanto, il convertitore catalitico è ancora riscaldato quando il motore è freddo.

Gli ingegneri sono quindi riusciti a ridimensionare questa tecnologia molto complessa e renderla funzionale nelle condizioni molto mutevoli dell’automobile. È costoso, ma significa che praticamente nessuna sostanza nociva esce dallo scarico di un moderno diesel. In determinate condizioni operative, i gas di scarico più puliti dell’aria interna della città possono persino uscire dal centro della città.

Alla fine tutto ciò che rimane è CO2, che viene prodotta ogni volta che viene bruciata, anche durante la respirazione, tra l’altro. Se vogliamo seppellirlo per sempre, solo il cimitero può aiutarci.

Notizie economiche tedesche: organizzazioni come Deutsche Umwelthilfe affermano, tuttavia, che l’inquinamento atmosferico è drammatico e fanno riferimento ai risultati delle stazioni di misurazione dell’aria.

Holger Douglas: Da un lato, abbiamo a che fare con valori limite estremamente bassi che sono stati fissati arbitrariamente e non coperti da nulla, e dall’altro, con – per dirla con cautela – metodi di misurazione selvaggi. Il modo in cui sono state installate le stazioni di misurazione, ad esempio, non è stato ulteriormente discusso in pubblico all’epoca. Solo a Stoccarda ci sono state diverse discussioni in consiglio comunale sulla posizione del punto di misura, che ha prodotto costantemente valori molto alti e quindi ha attirato l’attenzione a livello nazionale.

Ogni analista sa che quando si misura un inquinante, dipende sempre da dove si trova il dispositivo di misurazione. Esistono precise linee guida dell’UE che devono essere recepite nel diritto nazionale. Qui in Germania i dispositivi di misurazione sono generalmente posizionati in modo tale da produrre valori limite più elevati. Ad esempio, la direttiva UE afferma che il flusso d’aria intorno all’ingresso dell’apertura di misurazione non deve essere compromesso entro un raggio di 270 °. Il regolamento tedesco lo trasforma in “Nei punti di campionamento sulla linea dell’edificio, l’aria dovrebbe fluire liberamente in un arco di almeno 270 gradi o 180 gradi”.

Un cambio di parola apparentemente insignificante, ma che apre una serie di possibilità di manipolazione della misurazione. Inoltre, non è un regolamento “must” come quello dell’UE, ma un regolamento “can”. Le deviazioni sono quindi consentite, quindi le persone interessate non possono facilmente citare in giudizio. In molti luoghi è stato confermato il sospetto che le stazioni di misurazione siano state spesso allestite in modo tale da produrre risultati elevati. Quindi servono i sindaci rossi e verdi come motivo per restrizioni o addirittura divieti di circolazione.

Questo può essere visto bene anche nel punto di misurazione “più famoso” della Germania in Germania, Stoccarda, Neckartor. Il punto di misurazione si trova in un angolo della casa, dove le misurazioni degli ingegneri del Karlsruhe Institute of Technology (KIT) hanno mostrato che la situazione appare completamente diversa a pochi metri dalla stazione di misurazione. Jürgen Pfeil di KIT ha dichiarato al “Welt”: “Le nostre misurazioni mostrano che i valori di ossido di azoto sono già dimezzati a 20-25 metri di distanza dalle strade”.

C’erano anche misurazioni di controllo casuali da parte delle autorità nelle vicinanze del Neckartor. Risultato: la concentrazione di ossido di azoto nell’adiacente Schubartstrasse è del 60 percento inferiore a quella del punto di misurazione Neckartor. Il capo dell’istituto, Thomas Koch, trae la conclusione: “Sulla base di questo sviluppo, bisogna affermare che la discussione fondamentale sul diesel è completamente sfuggita di mano e i divieti di circolazione sono completamente esagerati”.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: Saremmo teoricamente in grado di sostituire tutti i motori a combustione con motori elettrici?

Holger Douglas: Conosce il signor Carnot? Nicolas Léonard Sadi Carnot era un famoso fisico e ingegnere francese che, all’inizio del XIX secolo, fece “riflessioni sulla forza motrice del fuoco e sulle macchine adatte a sviluppare questa forza” – come era il titolo del suo libro. In esso ha mostrato perché una macchina a vapore può svolgere un lavoro meccanico e, soprattutto, cosa ne determina l’efficienza e i suoi limiti. Chiunque lo capisca non avrebbe mai l’idea di vietare le auto con motori a combustione interna e di prescrivere in alternativa auto elettriche.

Carnot riconobbe che ovunque c’è una differenza di temperatura, può essere generata una forza meccanica. Aveva anche descritto come una macchina debba essere progettata con un grado di efficienza significativamente più elevato per estrarre dal carburante una quantità significativamente maggiore rispetto a prima.

I progettisti dei primi motori a vapore non potevano fare nulla con queste basi teoriche. Allora, in assenza di materiali migliori, non avevano altra scelta che provare quanto spessa o sottile, per esempio, dovesse essere la lamiera della caldaia a vapore. Con conseguenze a volte disastrose se una caldaia a vapore ad alta pressione esplodeva perché lo spessore della parete era troppo piccolo o l’acciaio era difettoso. Inoltre, i produttori di motori a vapore non sono riusciti ad aumentare significativamente l’efficienza delle loro macchine. Convertono solo circa il 10-15 percento dell’energia del carbone in energia meccanica. Il motore a vapore era quindi una macchina relativamente inefficiente che utilizzava molto carbone per una modesta generazione di energia.

Il motore a benzina ha quindi convertito molta più energia dal carburante in energia meccanica, ma non era ancora efficiente come sognava Rudolf Diesel. Voleva costruire la sua macchina termica ideale secondo la teoria del ciclo ideale di Carnot. Un motore diesel comprime l’aria e la riscalda fino al punto in cui l’olio iniettato si accende. Ha chiesto un brevetto il 27 febbraio 1892. Esattamente in questo giorno, 126 anni dopo, il colpo di grazia giudiziaria per il motore diesel: la Corte costituzionale federale ha autorizzato i comuni a emanare il divieto di circolazione per i veicoli diesel.

Carnot descrisse anche i limiti di questa conversione di energia. Ciò dimostra che non è possibile far funzionare le auto elettriche in modo più efficace attraverso la deviazione della generazione di elettricità dal carbone o dall’energia nucleare, dalle linee terrestri e persino dall’utilizzo di batterie rispetto alla combustione diretta di benzina o diesel. Ogni volta che l’energia viene convertita in lavoro meccanico, solo una parte può essere utilizzata, il resto evapora come calore inutile. Ciò limita il consumo di energia.

L’idea di immagazzinare elettricità da turbine eoliche o fotocellule e usarla per guidare auto elettriche è completamente illusoria. Il fattore decisivo qui è la densità di energia. Il vento e il sole hanno solo una bassa densità di energia. Questo è un bene, altrimenti non potremmo più sdraiarci sul prato al sole, bruceremmo. D’altra parte, hanno un’ottima riserva di energia con gli idrocarburi. Ogni scienziato sa che l’energia è immagazzinata chimicamente e non elettricamente.

Con 50 o 60 litri di gasolio, ad esempio, puoi guidare un’auto da due tonnellate per 600-700 km. Una batteria comparabile semplicemente non può immagazzinare così tanta energia. Neanche lo potrà fare, perché anche qui le leggi della natura pongono limiti ristretti.

Notizie economiche tedesche: l’attacco alla tecnologia di azionamento diesel non è quindi affatto giustificato per ragioni ecologiche. Perché allora?

Holger Douglas: La lotta contro il motore diesel e, tra l’altro, contro il motore a benzina è solo superficialmente una battaglia tra le ONG verdi, la protezione dell’ambiente e le associazioni di conservazione della natura sui valori limite, le emissioni di particelle e gli ossidi di azoto. Piuttosto, l’intero modello dell’auto è in palio. La mobilità individuale dovrebbe scomparire. “Persone senza auto” è in realtà il titolo di un libro in cui si loda l’addio individuale alla mobilità individuale. Ed è proprio di questo che si tratta: l’abolizione del trasporto privato e una restrizione alla libertà di movimento, un effetto che si può osservare anche nel corso della crisi del Corona.

Queste fantasie sul trasporto collettivo di folle in autobus e treni affollati sembrano particolarmente bizzarre, specialmente ora durante la crisi di Corona, poiché il confinamento spaziale è considerato un terreno fertile per la diffusione del virus, così come per altre malattie.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: Quali conseguenze avrebbe per l’economia tedesca la fine dei motori a combustione interna?

Holger Douglas: Avrebbe effetti molto drammatici. L’auto non è mai stata messa a fuoco come oggi. L’industria automobilistica lo sta già notando in tutta la sua drammaticità. I fornitori in particolare sono particolarmente colpiti e in alcuni casi devono chiudere. Allo stesso modo, c’è ululato e sbattimento di denti nel piano tecnico delle principali case automobilistiche perché non sanno cosa fare dopo.

L’industria automobilistica è una delle industrie chiave nel nostro paese e gli ingegneri hanno una competenza speciale nel confronto internazionale nello sviluppo di motori a benzina e diesel puliti. Ciò ha rappresentato parte del successo delle esportazioni. Tutto questo è in grave pericolo e significa ingenti danni economici per la Germania come località industriale.

Per inciso, è un errore credere che l’industria automobilistica stia dormendo troppo su nuovi sviluppi come l’auto elettrica o, come è stato più volte menzionato di recente, l’auto a idrogeno. Detiene uno dei più brevetti in entrambe le tecnologie. Tuttavia, gli ingegneri sono bravi in ​​aritmetica e sanno che non si andrà molto lontano con un’auto elettrica e che nemmeno l’idrogeno è la soluzione. Le prime auto a idrogeno erano già in circolazione 30,40 anni fa, ma si sono rivelate poco pratiche e quindi sono state riposte in un angolo.

Deutsche Wirtschaftsnachrichten: Quali sono le conseguenze sociali della fine del motore a combustione interna?

Holger Douglas: Una cosa è chiara: un sistema di trasporto come il nostro non può essere mantenuto con le auto elettriche. Non puoi immagazzinare abbastanza energia con le batterie. La grande conquista del nostro tempo che ognuno può andare dove vuole e quando vuole senza chiedere il permesso al Commissario Politico verrebbe meno. A piedi, a cavallo, in treno, aereo e automobile, abbiamo raggiunto un’agilità che non ha eguali nella storia.

Negli ultimi 120 anni, le persone hanno imparato a usare il potere del fuoco non solo per cucinare, riscaldare e sciogliere, ma anche per guidare veicoli mobili. Un sofisticato meccanismo con pistoni, alberi a gomito e valvole converte l’enorme quantità di energia contenuta nel petrolio greggio in un costante movimento in avanti. L’energia chimica viene convertita in energia meccanica.

Un principio che si è dimostrato il migliore rispetto ad altri azionamenti come quello elettrico. Anche il motore rotativo, con il quale i movimenti apparentemente assurdi verso l’alto e verso il basso di grandi masse dovrebbero essere trasformati in un movimento rotatorio uniforme, fallì. Il motore a pistoni si è rivelato un principio ingegnoso.

E infine c’era una fonte di potere che non era mai stata conosciuta prima. Poteva guidare non solo automobili, ma anche trattori, locomotive e persino aeroplani. Lo spettacolare aumento della produttività in agricoltura, i servizi di trasporto di autocarri pesanti, potenti locomotive merci e enormi navi portacontainer – inimmaginabili senza l’invenzione di Rudolf Diesel. Difficilmente esiste un modo più efficace per trasportare le merci. La logica conseguenza, se si trattasse davvero di ridurre le emissioni di CO2, sarebbe solo quella di tagliare il libero commercio mondiale. Ognuno può capire da sé cosa significa.

Notizie economiche tedesche: ancora una parola sul nuovo standard cellulare 5G. È necessario anche perché è un prerequisito per le auto autonome in futuro.

Holger Douglas: Dovrebbero anche essere in grado di guidare autonomamente senza collegamento radio. Il 5G dovrebbe supportare i sensori di bordo e, ad esempio, fornire protezione dalle collisioni, si dice, cioè dovrebbe garantire la comunicazione car-to-car (C2C). Ma collega anche l’auto a tutti i tipi di servizi. Ecco dove diventa molto interessante. Perché durante la guida vengono generate enormi quantità di dati. Chi guida come, quando, a quale velocità, con quale sicurezza guida, cosa sente alla radio: praticamente tutti i dati della vita dell’auto e del conducente possono essere sfruttati.

Le auto del futuro saranno quindi come stazioni radio su ruote. In alcuni casi, nelle auto moderne sono già installati tre o quattro trasmettitori radiomobili con schede SIM. L’unica cosa che viene lodata è la funzione che in caso di incidente l’auto può chiamare rapidamente e autonomamente i soccorsi e trasmettere la posizione esatta. Ma non hai bisogno di così tanti trasmettitori in macchina per questo.

In teoria tutto è meraviglioso. Ausili come il riconoscimento dei segnali stradali o il sistema di avviso di deviazione dalla corsia stanno già mostrando cosa può fare la tecnologia informatica nelle auto. Questi ausili funzionano straordinariamente bene, sono molto utili e pericolosi allo stesso tempo. L’auto moderna è un dispositivo di archiviazione dati come nessun altro. Il monitoraggio di tutti i percorsi ovviamente “solo” per ottimizzare i consumi registra anche senza pietà il viaggio verso la fidanzata o il limite di velocità…

I dati sono il nuovo “petrolio”, si dice nell’industria automobilistica e informatica. Tesla è all’avanguardia: il software viene aggiornato via radio, così come tutti i dati operativi dall’auto alla sede di Tesla. Di conseguenza, gli sviluppatori sono seduti su un tesoro davvero prezioso di dati sul comportamento di guida degli utenti e conoscono molto bene le reazioni delle loro batterie, come lo sviluppo della temperatura nelle singole celle. Come è noto, durante l’uragano del 2017 a Miami, Tesla ha “sbloccato” in modalità wireless le batterie dei conducenti Tesla in fuga dalla tempesta in modo che potessero utilizzare una portata maggiore. Probabilmente temevano i titoli “Immagina in arrivo un uragano e la tua Tesla è ancora attaccata al compressore”. Al contrario, puoi ovviamente anche ricordare che le auto possono essere spente in questo modo,

Ma c’è ancora molta strada da fare prima di poter realizzare una vera “auto autonoma” – che tautologia.

Posso immaginare che i grandi sogni esploderanno con la realtà. I codici sorgente dei programmi per computer riempiono già metà delle biblioteche. Sempre meno specialisti hanno una visione d’insieme delle strutture complicate, che sono state sviluppate come una trapunta patchwork da molti fornitori diversi e che spesso non sono state adeguatamente documentate. VW sta avendo notevoli difficoltà con la sua nuova auto elettrica, anche perché il software non funziona. Comprensibile: il controllo di un’auto è impegnativo e non esiste la schiera di sviluppatori di software molto specializzati per il suo sviluppo. Almeno non qui. Google & Co hanno sviluppato notevoli capacità di sviluppo per la mobilità, ma a loro volta non capiscono nulla di ingegneria automobilistica. Fortunatamente per le case automobilistiche tedesche.

Già ora quasi nessuno è in grado di tenere d’occhio i sistemi e, soprattutto, i loro errori. Mi piace citare mio figlio, uno specialista IT con una grande conoscenza del software automobilistico, quando gli ho chiesto se si sarebbe seduto in un’auto a guida autonoma: Mai! Troppi bug!

Ma la sorveglianza funzionerà splendidamente. I sistemi antifurto consentono di spegnere le auto da remoto. In Russia, tutte le nuove auto devono essere dotate anche del sistema satellitare ERA-GLONASS. Ciò consente alla polizia di verificare se il conducente sta rispettando le regole del traffico, ad esempio se sta sorpassando nella corsia di marcia in arrivo, ma anche di accedere all’auto, ad esempio per poter fermare a distanza l’auto durante l’inseguimento. Anche le autorità europee lo trovano interessante e valutano come potrebbero essere gli standard.

Bella idea in relazione a quel “social scoring” in Cina: troppi punti negativi, notati sgradevolmente, non aver applaudito abbastanza a lungo il grande presidente – poi, botto, accensione spenta. La macchina si ferma. Mobilità solo se ti comporti bene.

***

Holger Douglas è un giornalista scientifico e tecnologico e autore del libro “Die Diesel-Lüge.

+++ Questa intervista è stata pubblicata per la prima volta il 15 aprile 2020. Data la sua attualità, verrà ripubblicato su richiesta dei nostri lettori +++

G20

IL SUMMIT


G20, CHE COS'È, A COSA SERVE E COME FUNZIONA

30/10/2021 
È il principale forum di cooperazione economica e finanziaria a livello globale. Si tiene ogni anno, e riunisce le principali economie del mondo. È nato nel 1999. Ma non mancano le critiche di essere poco rappresentativo e inclusivo


Il G20 significa “Gruppo dei 20”, ed è il principale forum di cooperazione economica e finanziaria a livello globale. Si tiene ogni anno, e riunisce le principali economie del mondo, ovvero Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti (cioè i paesi del G7), i paesi del gruppo “BRICS” – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – e anche Arabia Saudita, Australia, Argentina, Corea del Sud, Indonesia, Messico e Turchia. A questi si aggiunge anche l’Unione Europea. Si tratta di un gruppo di paesi che costituiscono l’80% del PIL globale, nonché il 60% della popolazione del pianeta.

Quest’anno la presidenza del G20 è dell’Italia e per questo motivo si svolge a Roma sotto il coordinamento del presidente del Consiglio, Mario Draghi.Il G20, infatti, non ha una propria sede fisica e la sua presidenza viene rotata di paese in paese tra i membri, esclusa l’UE, che la detengono dall’1 dicembre dell’anno precedente al 30 novembre dell’anno successivo. L’Italia ha ereditato la presidenza dall’Arabia Saudita e nel 2022 la passerà all’Indonesia.

QUANDO E PERCHÉ È NATO

Il G20 è nato nel 1999 come forum internazionale in cui si riunivano i ministri delle Finanze e i rappresentanti delle banche centrali dei venti paesi membri. Fu concepito durante una riunione del G7 dall’allora primo ministro canadese Paul Martin e dal segretario del Tesoro degli Stati Uniti Lawrence Summers, convinti che in un mondo sempre più globalizzato i forum G7, G8 e il sistema di Bretton Woods non fossero sufficienti a garantire la stabilità finanziaria a livello globale. Venne così pensato di allargare il forum di cooperazione, cercando di assicurare maggiore inclusione e rappresentanza, anche se entrambe sono state più volte messo in dubbio.

Nel 1999 l’economia mondiale usciva da diverse crisi finanziarie: quella del peso messicano del ’94, quella sud-est asiatica del ’97 e quella russa del ’98. È per questo che i primi summit ebbero come tema centrale la governance e l’economia globale, che hanno occupato l’agenda anche negli anni successivi, sebbene ogni anno l’edizione sia stata dedicata a questioni più specifiche. Dal 2008, per ricercare soluzioni alla crisi finanziaria mondiale, il forum fu elevato al livello di capi di stato e di governo.

Oltre ai venti membri fissi vi partecipano diverse organizzazioni e istituzioni internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale; inoltre, vi sono dei paesi “ospiti”, tra cui la Spagna, che lo è in modo permanente, e altri che vengono invitati ad ogni edizione

DI COSA SI PARLA

Sin dall’inizio, il forum dedicava gran parte dell’agenda al debito pubblico nazionale, soprattutto delle economie emergenti, e alla stabilità finanziaria globale. Con gli anni, gli obiettivi si sono concentrati anche sulla regolamentazione del commercio internazionale e dei mercati finanziari.

Dal 2015, con l’adozione da parte delle Nazioni Unite dei 17 “Sustainable Development Goals” e dopo la firma dell’Accordo di Parigi sul clima, l’agenda del G20 ha cominciato a concentrarsi su questioni di più ampia rilevanza globale. La lotta al cambiamento climatico, le migrazioni, la digitalizzazione, l’occupazione, i sistemi sanitari, la parità di genere e gli aiuti allo sviluppo hanno iniziato ad essere temi trattati al forum internazionale. In un mondo sempre più globalizzato, queste questioni, insieme a quelle più prettamente finanziarie, risultano essere trasversali e tra loro interconnesse, imponendo quindi la necessità di una risposta collettiva a livello mondiale.

LE ACCUSE DI ESSERE POCO RAPPRESENTATIVO: ESCLUSI L'AFRICA E 173 PAESI ONU

Tuttavia, il G20 non è esente da critiche. In primis, di essere un’istituzione esclusivista. Anche se i venti membri rappresentano circa i due terzi della popolazione globale, l’Africa è quasi totalmente assente. Solo un paese su 54, il Sudafrica, è membro del forum. Eppure, il continente africano, con una popolazione di 1,3 miliardi (17% del mondo), è il più giovane e quello più afflitto da ogni crisi di dimensione mondiale. Conseguentemente, il forum è stato spesso accusato anche di non avere legittimità internazionale. Ben 173 paesi dell’ONU non ne fanno parte e, stando ad alcune critiche, questo rappresenta una battuta d’arresto rispetto al multilateralismo inaugurato dopo la Seconda guerra mondiale, in quanto i venti membri non sono stati scelti che da se stessi, ricordando un po’ la natura del Congresso di Vienna del 1815.

Questa critica venne mossa in passato innanzitutto dalla Norvegia che, nonostante sia un paese ricco e sviluppato e nella top 10 degli sponsor ONU, non partecipa al forum nemmeno indirettamente, non essendo nell’UE.

I GRUPPI DI LAVORO OLTRE AI CAPI DI STATO E DI GOVERNO

Nel corso degli anni, nella prospettiva di aumentare l’inclusività del processo decisionale del forum, ai meeting tra capi di stato e di governo sono stati affiancati degli “Engagement Groups”. Sono dei gruppi di lavoro settoriali che seguono in modo indipendente specifici filoni tematici e forniscono le proprie raccomandazioni ai governi membri prima del vertice finale. Tra questi, Y20 (che si occupa della gioventù), W20 (di emancipazione delle donne), L20 (di occupazione), ma anche T20 – ovvero Think20 – gruppo di lavoro che riunisce think tank e centri di ricerca di tutto il mondo con l’obiettivo di fornire proposte e idee relative ai temi della governance globale da sottoporre ai leader del G20.

Difficile che Asimov ci possa aiutare, l'albero della storia è sempre verde

Su “Il mercato rende liberi”

di Gennaro Zezza
15 ottobre 2021

Mauro Gallegati, Il mercato rende liberi. E altre bugie del neoliberismo, Luiss University Press, Roma, 2021, pp.126

Quella che segue è la mia recensione, in pubblicazione su la Rivista Economica del Mezzogiorno.

Per chi non conosce Mauro Gallegati – uno dei maggiori riferimenti internazionali per la letteratura sui modelli ad agenti (agent based models, ABM) – il titolo di questo libro potrebbe far pensare all’ennesimo pamphlet contro gli eccessi del capitalismo finanziario, ed alcuni recensori, alfieri delle virtù dei mercati, hanno infatti lamentato che nel testo non si trovi traccia di una discussione sulla relazione tra mercato e libertà, e neanche si definisca con precisione cosa si intenda per neoliberismo, se non vagamente come quella teoria che “prescrive alle imprese private di creare ricchezza e di lasciare allo Stato l’intervento in economia solo per cercare di risolvere i problemi quando si presentano” (p.18)

Il volume è invece una critica radicale alle teorie economiche su cui si basano le ricette del neoliberismo, che l’A. chiama – a ragione – mainstream, e che fa risalire ai contributi di Arrow e Debreu (p.54).

A ragione, data la assoluta prevalenza di economisti che si riconoscono in questo approccio nelle università, e di conseguenza nelle riviste considerate “fascia A” su cui è necessario pubblicare per intraprendere la carriera universitaria, in un sistema che tende ad auto-perpetrarsi ed emarginare studiosi che si rifanno ad approcci metodologici diversi.

Come l’A. ricorda, e come sottolinea subito nella prefazione Francesco Saraceno, la crisi partita nel 2007 negli Stati Uniti, oggi nota come la Grande Recessione, ha colto di sorpresa il mainstream, mostrato l’inadeguatezza dei modelli macroeconomici basati su queste teorie, ed avviato un salutare processo di ripensamento, ed il volume di Gallegati fornisce un contributo prezioso a questo processo.

Aggiungerei che anche il Mezzogiorno ha pagato un prezzo salato dalle politiche economiche – o meglio dalla assenza di politiche economiche di riequilibrio – degli ultimi decenni, che a mio avviso sono riconducibili alla stessa matrice teorica.

L’introduzione al volume fornisce una interessante ricostruzione dell’evoluzione del pensiero economico che ha portato alle teorie più recenti su cui si basano le ricette neoliberiste. Una ricostruzione ricca di riferimenti ai più importanti contributi nella letteratura scientifica, e che fornisce una ottima base di partenza per chi voglia approfondire l’evoluzione del pensiero economico. Allo stesso tempo, l’A. sottolinea gli aspetti critici di queste teorie, che verranno discussi nei capitoli successivi. Il “peccato originale” è la trasformazione della Political Economy in Economics, sul finire dell’Ottocento con Walras e Pareto: la decisione di mutuare – per l’elaborazione di una scienza sociale come l’economia – le metodologie di analisi e la formalizzazione matematica proprie della fisica e di altre scienze “dure”.

Nel mio corso di introduzione all’economia metto in guardia gli studenti: la microeconomia può sembrare una scienza inutile, se non folle: nei modelli introduttivi si ipotizza che tutti siano onniscienti, e che i mercati siano perfettamente concorrenziali. Queste ipotesi, completamente irrealistiche, servono a poter derivare – con un’algebra relativamente semplice – le implicazioni delle scelte ottimali degli individui, e mostrare che tali decisioni portano al migliore dei mondi possibili. La “scienza economica” costruisce in questo modo un mondo immaginario, e i nuovi contributi scientifici vengono validati non valutando il loro realismo, ma in base alla coerenza formale con l’impianto già consolidato. L’ottimalità dei risultati ottenibili nel mondo immaginario dovrebbe costituire la motivazione dell’approccio, e di conseguenza fornire i suggerimenti di policy: quando nella realtà non si raggiunge la piena occupazione, la stabilità dei prezzi, ecc., le cause vanno cercate nella bassa concorrenzialità dei mercati – in particolare di quello del lavoro – o in altre imperfezioni che possono essere sanate da opportune riforme strutturali. Gli economisti che adottano questa metodologia hanno cercato di colmare Il gap tra il mondo immaginario e la realtà rendendo progressivamente più complessa la descrizione del mondo immaginario, aggiungendo comportamenti strategici tramite la teoria dei giochi, l’eterogeneità degli agenti e quant’altro fosse necessario per rendere conciliabili i risultati dei modelli con gli accadimenti del mondo reale. In questo modo, ex-post – ma solo ex-post! – riescono a spiegare una crisi economica.

Il volume di Gallegati spiega in modo chiaro ed efficace perché questo approccio metodologico non funzioni e non possa funzionare. In primis, perché l’ipotesi che gli agenti economici prendano decisioni ottimali in modo indipendente gli uni dagli altri – ipotesi necessaria per rendere i modelli trattabili formalmente – non corrisponde ai processi non lineari della realtà, caratterizzati da interazioni tra individui che modificano le loro decisioni in base ai risultati delle loro interazioni. In secondo luogo, l’ottimalità dei risultati nel mondo immaginario richiede la conoscenza del futuro, o meglio la formazione di aspettative ottimali, che sono difficilmente conciliabili con il tempo storico. “Il tempo nell’economia di Arrow e Debreu non c’è. E quindi non c’è spazio per le banche, la moneta e il credito” (p.30). E di fatto l’assenza del settore finanziario nei modelli mainstream è stata – ex-post! – universalmente riconosciuta come uno dei motivi per cui i modelli adottati dalle Banche centrali non siano stati in grado di prevedere la Grande Recessione.

Mi sembra che la macroeconomia mainstream stia ignorando le critiche metodologiche profonde avanzate da Gallegati, per privilegiare lo studio di estensioni dei modelli esistenti per incorporare questo o quell’altro aspetto dei mercati finanziari, o della eterogeneità degli agenti, per rattoppare gli strumenti che non hanno funzionato. Condivido invece l’invito di Gallegati ad interrogarsi sulla opportunità di un deciso cambiamento di prospettiva metodologica.

Mentre il volume dell’A. fornisce una utile guida al lettore per approfondire l’evoluzione nel tempo del pensiero mainstream, la parte finale del libro, dedicata alle alternative basate sui modelli ad agenti eterogenei (Agent-Based Models, ABM) non è altrettanto estesa, anche se l’A. fornisce gli elementi di base per invogliare ad ulteriori letture.

Gli ABM sono strumenti utilizzati in diverse discipline, perché consentono di analizzare come dalla interazione tra singoli componenti di un sistema possano scaturire delle proprietà emergenti per il sistema nel suo complesso. E’ un approccio che ha potuto svilupparsi solo in anni relativamente recenti, con la diffusione di sistemi di calcolo computazionale a basso costo. In economia, un ABM può anche essere considerato come la costruzione di un “mondo immaginario” che funziona con regole diverse da quelle del mainstream: gli autori stabiliscono le ipotesi di comportamento, la numerosità degli agenti, la tipologia delle istituzioni, ecc., ma i criteri di validazione del modello dovranno necessariamente basarsi sul realismo, e cioè sul fatto che le proprietà emergenti del modello siano quelle dell’economia del mondo reale.

In economia, gli ABM che hanno incorporato i principii della coerenza macroeconomica stock-flussi, basata sui contributi di Cripps, Godley e Lavoie, e coerente con il sistema dei conti nazionali, hanno fatto un ulteriore salto di qualità, unendo l’analisi microeconomica della complessità dei comportamenti tra agenti che interagiscono con le regole macroeconomiche dei vincoli di bilancio e della coerenza tra decisioni di spesa e risparmio da un lato, e creazione di debiti e crediti dall’altro.

Come Gallegati ammette, è presto per suggerire che gli ABM saranno la base per rifondare la scienza economica con un approccio in grado di trattare la complessità del reale. Come Krugman, anche chi scrive è stato influenzato dalla psicostoria di Hari Seldon, protagonista della famosa saga di Asimov: una scienza in grado di prevedere e influenzare il destino dell’umanità in base a regole suggerite dall’economia, dalla sociologia, dalla psicologia. Mi sembra che l’approccio degli ABM, da questo punto di vista, sia molto più promettente rispetto a quello dell’homo oeconomicus, e anche per questo motivo il volume di Gallegati merita una ampia diffusione.

Il passaporto dei vaccini sperimentale è un non senso per combattere il virus. è più semplice l'obbligo

Contro il Green Pass. La posta in gioco: disciplina e sorveglianza

di Giovanna Cracco
26 ottobre 2021

Gli ultimi studi su vaccini, contagiosità e immunità naturale, la blockchain europea del Green Pass con le ‘condizionalità’ che implementa e l’identità digitale, i corpi docili e la disciplina come pratica di potere


“Il corpo è anche direttamente immerso in un campo politico: i rapporti di potere operano su di lui una presa immediata, l’investono e lo marchiano, lo addestrano, lo suppliziano, lo costringono a certi lavori, l’obbligano a delle cerimonie, esigono da lui dei segni. Questo investimento politico del corpo è legato, secondo relazioni complesse e reciproche, alla sua utilizzazione economica. È in gran parte come forza di produzione che il corpo viene investito da rapporti di potere e di dominio, ma, in cambio, il suo costituirsi come forza di lavoro è possibile solo se esso viene preso in un sistema di assoggettamento: il corpo diviene forza utile solo quando è contemporaneamente corpo produttivo e corpo assoggettato.” Michel Foucault, Sorvegliare e punire

“Chi non astrae da ciò che è dato, chi non collega i fatti ai fattori che li hanno prodotti, chi non disfà i fatti nella sua mente, in realtà non pensa.” Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione

Ciò che ruota attorno a Covid-19, vaccini e Green Pass andando a investire le sfere politiche, economiche e sociali, è molto ampio. Circoscrivere un’analisi a un focus è inevitabile. Su ciò che è stata la gestione politica della pandemia abbiamo già scritto ad aprile 2020 (1), e con il passare del tempo la situazione non è affatto cambiata. La novità degli ultimi mesi sono i vaccini. Non si intende qui approfondire l’intricata questione – sperimentazione, produzione, brevetti, effetti collaterali, sviluppo alternativo del protocollo per le terapie di cura ecc. – ma la campagna vaccinale italiana e l’introduzione del Green Pass, con la tecnologia blockchain e la rete europea Gateway che lo caratterizzano.

Partiamo dai punti fermi.

1. Vaccinazione e Green Pass sono due atti differenti. La scelta di vaccinarsi contro il virus Sars-Cov-2 tocca aspetti intimi e personali quali le ataviche paure della malattia e della morte, a cui ciascuno risponde con le proprie, insindacabili, scelte. Quanto la martellante propaganda politica e mediatica abbia alimentato ad arte tutte le possibili paure umane in questi quasi due anni, è un discorso che esula dalla riflessione che si vuole qui affrontare: resta l’esistenza del sentimento con cui ognuno deve scendere a patti, e la vaccinazione è uno dei patti possibili. Il Green Pass è un’altra cosa: pur vaccinandosi, si può decidere di non scaricarlo e di non utilizzarlo. Sulla sua divenuta obbligatorietà di fatto, legata all’università e al lavoro, torneremo più avanti, ma la questione focale è che vaccinazione e Green Pass sono due azioni separate, due decisioni diverse in capo a ogni persona, e la prima non implica per forza la seconda.

2. La libertà individuale non è assoluta: all’interno di una comunità deve fare i conti con la dimensione collettiva, ossia deve limitarsi.

Stabilito questo, si tratta di ragionare.

Il sonno della logica

Due sono gli aspetti che investono la vaccinazione: protezione personale e circolazione del virus (ossia protezione degli altri). Su questi temi, aggiungiamo altri punti fermi.

3. Il vaccino tutela il vaccinato dal contrarre la malattia in forma grave e quindi, in teoria, dal ricovero ospedaliero e, si spera, dalla morte. L’ultimo studio al momento disponibile (21 luglio 2021) dell’Istituto Superiore di Sanità (2) analizza le caratteristiche dei 127.044 pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 (sono lo 0,21% della popolazione italiana, secondo i dati Istat): l’età media è 80 anni e, su un campione rappresentativo di ogni fascia di età, il numero medio di patologie presenti è 3,7. Sono numeri che, a distanza di 16 mesi dall’inizio dell’epidemia, confermano il dato che i decessi colpiscono gli anziani, prevalentemente con patologie, e le persone non anziane già compromesse da patologie.

4. Si moltiplicano studi e dichiarazioni che fissano a sei mesi la protezione degli attuali vaccini, periodo dopo il quale l’efficacia progressivamente diminuisce in modo importante. Una ricerca pubblicata su Lancet e confermata da Luis Jodar, vicepresidente senior e direttore medico di Pfizer Vaccines, afferma che dopo sei mesi l’efficacia di due dosi Pfizer decade dall’88% al 47% e che “le infezioni da Covid-19 nelle persone che hanno ricevuto due dosi di vaccino sono pertanto molto probabilmente dovute alla diminuzione di efficacia e non causate dalla Delta o altre varianti che sfuggono alla protezione del vaccino” (3): da qui l’avvio della campagna per la terza dose.

5. Anche le persone vaccinate possono trasmettere il virus. Al momento non si hanno ancora studi con numeri definitivi, ma la contagiosità sembra essere inferiore rispetto ai non vaccinati. Quello della Oxford University del 29 settembre, pubblicato in preprint su MedrXiv (4) – quindi ancora privo della peer-reviewed – sembra essere l’ultimo e più completo studio sul tema: basato sul tracciamento di un campione di 95.716 casi indice, ha rilevato una minore contagiosità rispetto alla variante Delta del 65% per Pfizer e del 36% per AstraZeneca. Da una parte quindi si conferma che i due principali vaccini non bloccano la trasmissione, dall’altra è comunque positivo, soprattutto per il dato di Pfizer – molto meno per quello di AstraZeneca – poter ridurre la circolazione del virus. Tuttavia il tracciamento operato ha evidenziato anche che dopo appena 12 settimane (meno di tre mesi) non si misura più alcuna differenza tra vaccinati e non vaccinati nella trasmissione della variante Delta. In altre parole, i due vaccini presi in esame proteggono dal contagio per appena tre mesi.

Lo studio rileva inoltre che gli eventi di contatto si sono verificati “prevalentemente all’interno delle famiglie (70%), nei visitatori delle famiglie (10%), in eventi e attività (10%) e al lavoro/scuola (10%)”: ci si contagia dunque all’80% nell’ambiente domestico e solo per il 20% nei luoghi pubblici (dove ora è necessario il Green Pass).

Infine un dato estremamente significativo: la contagiosità degli asintomatici. Il tracciamento ha mostrato che, nel caso dei vaccinati, la trasmissibilità del virus (variante Delta) da parte degli asintomatici era ridotta del 39%; contemporaneamente però si è rilevato che “le cariche virali nelle infezioni della variante Delta che si verificano dopo la vaccinazione sono simili negli individui vaccinati e non vaccinati, anche se la durata dello spargimento virale può essere ridotta. Ciò mette in dubbio che la vaccinazione possa controllare la diffusione della Delta con la stessa efficacia di Alpha (la precedente variante, n.d.a.) e se, con una maggiore trasmissibilità, ciò spieghi la rapida diffusione globale della Delta nonostante la crescente copertura vaccinale”. Ripetiamo che è uno studio recente che attende la peer-reviewed, e quindi dati definitivi sulla questione ancora non esistono, ma indubbiamente i ricercatori sono autorevoli e il campione preso in esame è ampio.

6. L’immunità naturale offre una protezione più duratura rispetto ai vaccini, e la acquisiscono anche gli asintomatici e i paucisintomatici. Il 7 luglio 2021 l’Istituto Mario Negri affronta il tema (5) mettendo a confronto diversi studi internazionali, e aggiunge: “I dati ufficiali riportano che circa il 10% della popolazione italiana ha avuto una diagnosi di laboratorio di positività al SARS-CoV-2. Questa percentuale, in realtà, potrebbe essere molto più alta dato che la maggior parte delle infezioni (si stima tra l’80 e il 90%) rimane asintomatica e non viene quindi diagnosticata”. Per quanto sia una stima, è un numero impressionante; anche fosse solo il 40-50%. Perché significa, dopo 19 mesi di pandemia e tre ondate, che oggi una parte niente affatto irrilevante della popolazione – milioni di persone – è già protetta dall’immunità naturale senza saperlo, e altri milioni di cittadini potrebbero acquisirla entrando in contatto con il virus evitando di ammalarsi. Una immunità a lungo termine, che potrebbe durare addirittura anni grazie alle “cellule della memoria” che si rifugiano nel midollo osseo, e proteggere anche dalle varianti (quelle finora conosciute, ovviamente: non si può studiare ciò che ancora non esiste): si rimanda direttamente al link in nota per i dettagli scientifici. L’Istituto Negri evidenza inoltre che nelle persone già in possesso dell’immunità naturale la vaccinazione aumenta la protezione dal virus, ed è ovvio: produce gli anticorpi a breve – quelli che decadono dopo sei mesi circa – sommandoli alla protezione delle cellule della memoria. Ma il punto è che gli studi effettuati finora mostrano che l’immunità naturale di durata già offre, di per sé, la protezione.

7. Quando ragioniamo in termini di trasmissibilità/circolazione del virus, quindi, la semplice equazione “non-vaccinato = maggiore contagiosità rispetto al vaccinato” è errata: sia perché non tiene conto dell’immunità naturale già acquisita inconsapevolmente da milioni di persone rimaste asintomatiche nelle precedenti ondate, sia perché la minore contagiosità dei vaccinati potrebbe durare appena tre mesi (a fronte di un Green Pass che ne dura dodici). Certo il Pass viene rilasciato anche a chi ha una diagnosi di guarigione dal Covid, dunque a chi ha l’immunità naturale, ma è evidente che un asintomatico non può avere una diagnosi di guarigione da una malattia di cui non ha manifestato sintomi.

Tirando le somme, il vaccino protegge se stessi dalla malattia grave ma non protegge in egual misura gli altri; pur diminuendo la diffusione del virus (forse per appena tre mesi), non ne blocca la circolazione – né l’eventuale creazione di varianti –; milioni di persone hanno inconsapevolmente già acquisito una immunità naturale che li pone sullo stesso piano dei vaccinati ed è durevole (a differenza di quella data dai vaccini, a quanto pare); gli asintomatici vaccinati hanno cariche virali simili a quelle dei non vaccinati, e questo incide nella trasmissibilità del virus; la mortalità per Covid-19 colpisce i ‘fragili’, ossia anziani (prevalentemente con patologie) e non anziani già compromessi da patologie.

La prima considerazione è ovvia: le categorie ‘fragili’ possono proteggersi. Questo è il dato principale e positivo della vaccinazione. E significa anche, parallelamente, che non si pone alcun dilemma etico tra libertà individuale e collettività, perché le conseguenze della scelta di non immunizzarsi con il siero ricadono unicamente sulla persona che opera tale scelta: l’altro, che ha optato per la vaccinazione, è protetto. Dunque, come è insindacabile la decisione personale di vaccinarsi, lo è quella contraria.

È privo di fondamento ribattere che la mancata inoculazione è comunque un atto egoista e irresponsabile in quanto, se si contrae la malattia, si contribuisce a intasare gli ospedali, pesando quindi economicamente sul sistema sanitario e togliendo posti letto ad altre patologie: al di là del fatto che il ragionamento apre a una pericolosa deriva da Stato etico, che impone una condotta sanitaria ai cittadini in nome dell’utilitarismo (non fumare perché il tuo eventuale tumore ai polmoni inciderà sul sistema sanitario, non ingrassare, non bere ecc.), quanti 12enni, 20enni, 30enni, 40enni, 50enni hanno intasato gli ospedali nelle precedenti ondate, occupando posti letto? I dati dell’ISS (6) danno la risposta. Dal 23 febbraio 2020 al 4 ottobre 2021 (19 mesi) i ricoveri totali sono stati 433.835: appena il 17,16% hanno riguardato la fascia di età 12-50 anni (0,91% per 12-20 anni; 2,79% per 21-30 anni; 4,74% per 31-40 anni; 8,71% per 41-50 anni). Se guardiamo alle terapie intensive, negli stessi 19 mesi il totale degli ingressi è stato di 58.950: solo il 10,16% relativo a persone tra 12 e 50 anni (0,25% nella fascia di età 12-20; 0,82% per 21-30 anni; 2,41% per 31-40 anni; 6,68% per 41-50 anni). Numeri che nulla hanno intasato.

La seconda considerazione investe la scelta politica di mettere in atto una campagna vaccinale sull’intera popolazione sopra i 12 anni – mentre si sta studiando anche il siero per i bambini –: sulla base dei dati e dei fattori sopra analizzati, è una decisione che non ha alcun fondamento logico. Una cosa è rendere disponibile il vaccino a tutti i cittadini, dando la priorità alle categorie ‘fragili’: questo approccio consente a ognuno di fare insindacabilmente la propria libera scelta (libera significherebbe informata, l’esatto contrario della propaganda da cui siamo stati martellati, ma è un diverso discorso che qui non affrontiamo); un altro è obbligare di fatto tutta la popolazione a vaccinarsi, con l’introduzione del Green Pass – che vedremo.

A sostegno della inoculazione di massa si continua a portare il rapporto rischi/benefici, ma è una narrazione falsata in partenza perché mistifica i fattori di realtà fino a oggi conosciuti: anche escludendo i recenti dati acquisiti nello studio della Oxford University sopra riportato (soprattutto la decadenza del minor contagio da vaccinazione dopo 12 settimane, poi la questione degli asintomatici), da una parte abbiamo l’immunità naturale duratura già acquisita da milioni di persone e il loro contributo al rallentamento della circolazione del virus, dall’altra c’è l’attuale impossibilità a conoscere gli effetti a lungo termine della vaccinazione; un aspetto che non può essere messo da parte con superficiale rapidità, soprattutto per adolescenti e giovani – per non parlare dei bambini.

Vale la pena ricordare che l’EMA ha rilasciato a tutti i vaccini una “autorizzazione condizionata” (conditional marketing authorization) proprio per l’assenza delle informazioni relative ai rischi a lungo termine: Pfizer, per esempio, prevede di terminare i trial clinici il 2 maggio 2023 (7). Una criticità evidenziata sia dall’OMS (“Non sono ancora disponibili dati sulla sicurezza a lungo termine e il tempo di follow-up rimane limitato” [8]) che dall’EMA (“Al momento della disponibilità del vaccino, la sicurezza a lungo termine del vaccino BNT162b2 mRNA [Pfizer] non è completamente nota […] le informazioni mancanti riguardano: dati di sicurezza a lungo termine; uso in gravidanza e durante l’allattamento; uso in pazienti immunocompromessi; uso in pazienti fragili con comorbilità […] uso in pazienti con disturbi autoimmuni o infiammatori; interazione con altri vaccini” [9]). Ora, detta brutalmente: una persona anziana può a ragion veduta ritenere poco rilevanti gli eventuali effetti a lungo termine del vaccino, a fronte di un rischio molto più concreto di malattia grave Covid-19; un adolescente o un 50enne inverte i fattori dell’equazione.

Certo esiste una parte di popolazione che per ragioni di salute non può vaccinarsi, ma purtroppo è un aspetto che i vaccini non hanno affatto risolto, vista la loro incapacità a bloccare la circolazione del virus. È infatti un ulteriore dato che avrebbe dovuto incentivare investimenti e attenzione sullo studio dei protocolli di cura, rimasti invece al palo: i vaccini ci salveranno è stato l’unico approccio sanitario, fin dall’inizio. E se gettiamo uno sguardo al domani, l’impostazione non sembra cambiare: il 4 ottobre l’Ema ha approvato la terza dose per tutti gli over18 mentre Ugur Sahin, amministratore delegato di BioNTech (in un’intervista al Financial Times), Albert Bourla, amministratore delegato di Pfizer (alla ABC) e Stéphane Bancel, CEO di Moderna (al quotidiano svizzero Neue Zuercher Zeitung) hanno già messo le mani avanti dichiarando in coro che il futuro sarà la vaccinazione annuale (10). Affermazione che è scappata di bocca anche a Draghi, nella conferenza stampa dell’8 aprile scorso: “Dovremo continuare a vaccinarci negli anni a venire perché ci saranno delle varianti, quindi questi vaccini vanno adattati”. Approccio valido per i ricchi Paesi che possono acquistare e pagare alle società farmaceutiche le dosi di vaccino, ovviamente: i cittadini ‘fragili’ dei Paesi poveri possono sperare e attendere (11).

A supporto dell’imposizione di una vaccinazione di massa non può essere richiamato nemmeno l’eventuale fattore ‘long covid’, non essendoci ancora studi in grado di fotografarlo con dati certi, e nemmeno il tema ‘varianti’: gli attuali sieri sono stati sviluppati precedentemente all’individuazione delle varianti. L’apertura della campagna vaccinale in queste condizioni è stata una scommessa: solo dopo infatti i dati hanno mostrato che i vaccini danno protezione anche dalla variante Delta. Una scelta decisamente discutibile sul piano del rapporto rischi/benefici.

In conclusione, la realtà che viviamo è nebulosa e illogica: nebulosa per tutto ciò che ancora non è chiaro, illogica per tutto ciò che già lo è. E anziché agire con cautela, riservare il vaccino alle categorie ‘fragili’ di tutti i Paesi del pianeta, informare adeguatamente i cittadini, rafforzare la sanità di territorio e lo studio dei protocolli di cura, rendere accessibili tamponi gratuiti, l’Unione europea si è inventata il Green Pass e governo e Parlamento italiano l’hanno trasformato in un obbligo vaccinale.

L’obbligo vaccinale del Green Pass

Si parla di “spinta gentile” e di “obbligo surrettizio”, invocando perfino una legge che renda l’obbligo trasparente. Il Green Pass è un ricatto: esteso a università (1 settembre) e lavoro (15 ottobre) si configura come un obbligo vaccinale che discrimina chi non accetta un trattamento sanitario.

È un obbligo perché non lascia scelta a milioni di persone, coloro che non possono permettersi di pagare due/tre tamponi a settimana, operando una discriminazione di tipo economico su un bisogno fondamentale: il lavoro. (E non chiamiamolo diritto perché raggira la realtà: diritto è qualcosa che mi appartiene e posso scegliere se rivendicare o meno, bisogno è qualcosa che non mi lascia scelta. Diverso è ciò che Marx definiva “attività” in una società non capitalistica, ma è un altro discorso…) Il lavoro è un bisogno perché per vivere, pagare il cibo, l’affitto e le bollette, si deve lavorare. Al prezzo calmierato di 15 euro a tampone si sommano 45 euro a settimana, 180 euro al mese. Per una persona. In ottica familiare, magari con figli all’università, la spesa può moltiplicarsi. La scelta che viene data a queste persone, nella situazione nebulosa e illogica in cui ci troviamo, è accettare un trattamento sanitario che non vogliono o non avere i soldi per sopravvivere.

C’è poi l’aspetto della gestione: cercare la farmacia che applica il prezzo calmierato, prenotare il tampone ogni due giorni, calcolare l’orario – compatibilmente con quello lavorativo – per poter sfruttare a pieno le 48 ore… quanto tempo si può resistere prima di cedere al ricatto? Al momento, l’Italia è l’unico Paese al mondo che ha esteso il Green Pass ai luoghi di lavoro, mentre solo quattro Stati hanno imposto l’obbligo vaccinale direttamente per legge: Indonesia, Turkmenistan, Tagikistan e Micronesia.

Per non parlare del paradosso che prende vita: all’interno dei luoghi ‘solo Green Pass’ sono i vaccinati a poter portare il virus; chi sceglie di non farlo ha in mano un tampone negativo e quindi tutela davvero gli altri.

Tamponi e protocolli di cura infatti, accanto alla vaccinazione delle persone ‘fragili’, sono strumenti sanitari; il Green Pass è un lasciapassare politico.

“L’Assemblea esorta gli Stati membri e l’Unione europea” afferma la Risoluzione 2361 del 27 gennaio 2021 del Consiglio d’Europa (12) “a garantire che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno è sottoposto a pressioni politiche, sociali o di altro tipo per essere vaccinato se non lo desidera; a garantire che nessuno venga discriminato per non essere stato vaccinato, per possibili rischi per la salute o per non volersi vaccinare; […] a distribuire informazioni trasparenti sulla sicurezza e sui possibili effetti collaterali dei vaccini […] a comunicare in modo trasparente i contenuti dei contratti con i produttori di vaccini e renderli pubblicamente disponibili per l’esame parlamentare e pubblico” (13). Parole vuote, prive della forza di imporre alcunché ai governi dei Paesi e aggirabili con la fasulla alternativa del tampone.

C’è altro: il Green Pass non rappresenta solo l’obbligo vaccinale. È insieme una tecnologia e una pratica di potere. Partiamo dalla prima.

La blockchain del controllo

Il Green Pass entra in vigore il primo luglio, ed è una creazione europea: il Parlamento Ue lo approva e viene presentato come una “facilitazione” per i viaggi tra Paesi all’interno della Ue, perché elimina quarantene e tamponi. Tutti gli Stati europei lo abilitano: alcuni lasciano i cittadini liberi di scaricarlo, altri (per ora Francia, Irlanda, Austria, Olanda, Portogallo, Grecia, Romania, Danimarca, Croazia) lo legano all’accesso a ristoranti, cinema, musei ecc. Tra il 22 luglio e il 16 settembre il governo Draghi approva una serie di decreti legge – convertiti in legge dal Parlamento con una rapidità che raramente si è vista – che lo rende obbligatorio prima per ristoranti al chiuso, cinema, musei ecc., poi per treni a lunga percorrenza e università, infine per i luoghi di lavoro, pubblici e privati.

Il Green Pass si basa su una tecnologia blockchain a crittografia asimmetrica, ossia a doppia chiave, pubblica e privata (14). Senza entrare in eccessivi tecnicismi, permette di collegare determinate ‘condizioni’ a un individuo, il quale, scaricando il Pass, apre la propria identità digitale sulla relativa piattaforma di rete europea (la DGCG, Digital Green Certificate Gateway, anche detta Gateway, gestita direttamente dalla Commissione Ue: permette l’interoperabilità delle reti nazionali Digital Green Certificate-DGC) (15). Oggi la ‘condizione’ implementata è sanitaria: la vaccinazione o il tampone negativo o la guarigione dal Covid-19 abilitano il soggetto a entrare in determinati luoghi, ottenendo il via libera all’accesso dal software VerificaC19 che controlla il QR code del Pass. Le ‘condizioni’, lo abbiamo visto, sono state decise da governo e Parlamento italiani per via legislativa, e allo stesso modo possono mutare. L’eccezionalità del Green Pass è infatti la sua caratteristica tecnica che lo rende uno strumento dinamico, il cui utilizzo potrà estendersi e arricchirsi nelle forme più diverse: potrà abilitare il soggetto in base a condotte di comportamento (oggi la vaccinazione, domani pagamenti…) o a status (residenza, occupazione, dichiarazione dei redditi, fedina penale… qualsiasi cosa).

Non solo. La struttura a blockchain permette una raccolta dei dati (potenzialmente infinita) che non è aggregata: la blockchain individualizza i dati, legandoli all’identità digitale creata, e come tali li conserva. Il Green Pass quindi sta attuando una schedatura di massa. Nella migliore delle ipotesi sta testando la funzionalità dell’infrastruttura – che potrebbe essere la base del futuro euro digitale – nella peggiore sta già creando le identità digitali dei cittadini e implementando il database di una piattaforma che potrà essere utilizzata per gli usi più diversi. Al Green Pass si affianca infatti un cambiamento legislativo sull’utilizzo dei dati.

Con il decreto legge n. 139 dell’8 ottobre, il governo ha messo mano alla legge 196/2003 sulla privacy: con l’articolo 9, il nuovo decreto stabilisce che “il trattamento dei dati personali da parte di un’amministrazione pubblica […] nonché da parte di una società a controllo pubblico statale […] è sempre consentito se necessario per l’adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l’esercizio di pubblici poteri a essa attribuiti. La finalità del trattamento, se non espressamente prevista da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento, è indicata dall’amministrazione, dalla società a controllo pubblico in coerenza al compito svolto o al potere esercitato”. Viene inoltre abrogato l’articolo 2 quinquesdecies del codice della Privacy, che consentiva al Garante di intervenire preventivamente sull’attività della pubblica amministrazione imponendo “misure e accorgimenti a garanzia” dei dati dell’interessato se il trattamento dei dati presentava “rischi elevati”, anche se svolto “per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico”. In altre parole, ora qualsiasi ente pubblico o società a controllo statale potrà decidere autonomamente (“la finalità del trattamento è indicata dall’amministrazione stessa”) di utilizzare tutti i dati personali del cittadino per qualsiasi obiettivo (la vaghezza della dicitura “pubblico interesse”); per di più eludendo il controllo preventivo del Garante della Privacy.

L’accoppiata Gateway/modifica legislativa mette le basi per una nuova realtà. L’incrocio dei dati è infatti sempre stato il principale problema dell’amministrazione pubblica: lo Stato già detiene molte informazioni personali del cittadino, ma su database separati. Il Digital Green Certificate nazionale è la piattaforma nella quale poter trasferire, e poi via via aggiornare, tutti i dati dei cittadini (catasto, motorizzazione, Agenzia Entrate, fascicolo sanitario, dati giudiziari… per non parlare delle informazioni in mano alle diverse società partecipate dallo Stato), collegandoli alle loro identità digitali; il Gateway europeo permetterà l’interoperabilità tra le reti nazionali; la blockchain consentirà l’emissione di Pass ‘condizionati’.

Anche la conservazione dei dati diventa potenzialmente infinita. A oggi, il Green Pass e i dati di contatto forniti (telefono e/o email), così come le informazioni che hanno generato il Pass (vaccino, tampone o guarigione) sono conservate fino alla scadenza del Pass stesso, dopodiché “vengono cancellate”; queste ultime, tuttavia, possono essere conservate nel caso “siano utilizzate per altri trattamenti, disciplinati da apposite disposizioni normative, che prevedono un tempo di conservazione più ampio” (16).

Si aggiunge infine la questione del tracciamento. Oggi la app VerificaC19 lavora offline: la legge raccomanda di connettersi al Gateway almeno una volta nell’arco di 24 ore e aggiornare, in locale, i codici dei Green Pass esistenti. Non potrebbe fare diversamente, la rete non reggerebbe. Ma è facile ipotizzare che quando sarà attivo il 5G il tracciamento diventerà possibile, accanto alla creazione di nuovi Pass, nuove ‘condizionalità’ e nuove app di verifica che lavoreranno online.

Il costante controllo della nostra vita operato da Google, Facebook, Microsoft ecc. a fini economici è divenuto ‘usuale’ e difficilmente aggirabile; anche l’utilizzo dei dati raccolti da Big Tech per obiettivi politici è qualcosa con cui abbiamo già fatto i conti (vedi Cambridge Analytica); ma il controllo da parte dello Stato è un’altra cosa. Non si tratta di scomodare il Grande Fratello di Orwell – anche perché sarebbe piuttosto il “mondo nuovo” di Huxley, vista la remissività con cui il Green Pass è stato accettato dalla popolazione – ma di essere consapevoli che il campo di potere politico è sempre, in potenza, quello dominante: perché detiene il monopolio della violenza e perché emette le leggi, ossia stabilisce cosa è legale e cosa non lo è; a quale condotta corrisponde un reato e quindi una pena, detentiva o meno. Con Gateway, blockchain e Green Pass lo Stato potrà operare un controllo capillare e individualizzato su ogni cittadino, preventivo o a posteriori, e attuare discriminazioni (come già ha fatto). Senza nemmeno la necessità dello smartphone, perché il QR code può essere verificato anche su carta.

Risultava curioso, infatti, il nome scelto per il lasciapassare: Green Pass. Certo oggi tutto si inscrive nella narrazione green perché ciò che è green è cool, ma ora è evidente che non si tratta solo di marketing: il Pass è qui per restare. Il suo nome non poteva richiamare un evento specifico, per di più drammatico, come una pandemia.

È questa la Rivoluzione Tech? La nuova società digitalizzata che ci attende? Non si dovrebbe mai dimenticare che la privacy non è la nostra dimensione privata ma la relazione di potere tra individuo, Stato e mercato.

Corpi docili

In termini di pratiche di potere, dove si inscrive il Green Pass?

“La disciplina fabbrica degli individui”, “fabbrica corpi sottomessi ed esercitati, corpi ‘docili’. La disciplina aumenta le forze del corpo (in termini economici di utilità) e diminuisce queste stesse forze (in termini politici di obbedienza)”. E ancora: “Il potere disciplinare è un potere che, in luogo di sottrarre e prevalere, ha come funzione principale quella di ‘addestrare’ o, piuttosto, di addestrare per meglio prelevare e sottrarre di più. Non incatena le forze per ridurle, esso cerca di legarle facendo in modo, nell’insieme, di moltiplicarle e utilizzarle”; “non è un potere trionfante, che partendo dal proprio eccesso può affidarsi alla propria sovrapotenza; è un potere modesto, sospettoso, che funziona sui binari di un’economia calcolata, ma permanente”. Sono parole di Michel Foucault, tratte da Sorvegliare e punire (17). Non si può non andare al pensatore francese se si vuole ragionare sulle pratiche di potere. Sono diversi i punti di riflessione che il testo apre, nel momento in cui lo si rilegge immersi nella realtà del Green Pass. Proviamo a toccarli.

Primo punto: correggere.

La disciplina, riflette Foucault, produce corpi pronti a eseguire le prestazioni richieste; mentre la legge vieta o impone e i meccanismi di sicurezza gestiscono una realtà, la disciplina prescrive. Essa include la punizione (la sanzione per chi rifiuta il Green Pass, che da pecuniaria arriva fino alla sospensione dal lavoro senza stipendio) ma il suo obiettivo non è punire, bensì correggere: “Il castigo disciplinare ha la funzione di ridurre gli scarti. Deve dunque essere essenzialmente correttivo”; “la punizione, nella disciplina, non è che un elemento di un sistema duplice: gratificazione-sanzione. Ed è questo sistema a divenire operante nel processo di addestramento e di correzione”. Dopo mesi di lockdown e assenza di socialità, il potere ‘gratifica’ il cittadino con la ‘libertà’: non si impone (legge) con una obbligatorietà vaccinale ma prescrive un comportamento. Tutto tranne un altro lockdown è ciò che probabilmente ognuno di noi si è sentito dire da almeno un amico; Il Green Pass è libertà è stato lo slogan politico servilmente riportato dai grandi media.

Una ‘libertà’ – va da sé, o non si porrebbe la necessità del secondo elemento, la correzione – accessibile solo al buon cittadino, colui che è pronto a eseguire la prestazione richiesta: la vaccinazione. Qualsiasi tipo di potere sa che non potrà mai aspirare a imporsi sulla totalità dei cittadini, e infatti la disciplina riduce gli scarti, non li elimina. Chi invoca la persuasione per convincere i no-vax – non operando in malafede alcuna distinzione tra no-vax e no-pass – finge di non sapere che il potere ha storicamente sempre accettato che una parte della popolazione si sottragga al suo dominio, finendo ai margini della società, nei bassifondi di un ‘mondo altro’ – piccola criminalità, sottoproletariato, poveri, stranieri irregolari… Ciò che conta è la dimensione: questa alterità esclusa deve essere quantitativamente minima per non divenire un problema di difficile gestione. La prima sanzione ha colpito la socialità – il Green Pass di agosto – la seconda ha alzato l’asticella all’università, la terza al luogo di lavoro: aumento progressivamente la sanzione per ottenere più correzione e ridurre gli scarti.

Secondo punto: normalizzare.

“L’arte di punire, nel regime del potere disciplinare,” scrive Foucault, “non tende né all’espiazione e neppure esattamente alla repressione, ma pone in opera cinque operazioni ben distinte: […] paragona, differenzia, gerarchizza, omogeneizza, esclude. In una parola, normalizza. […] Appare, attraverso le discipline, il potere della Norma”. Poco importa se la ‘norma’ creata è del tutto illogica, ciò che conta è che sia percepita dalla popolazione come normale. Ed è la lenta progressione della disciplina a farla percepire come tale, il lento spostamento dei punti di riferimento, l’abitudine che si acquisisce alla nuova realtà, dimenticando quella precedente: la costante mancanza di coerenza nella gestione dell’epidemia è divenuta normale, i vaccini che decadono dopo sei mesi sono normali, offrire il proprio smartphone a uno scanner per entrare in un ristorante, al cinema, al lavoro è normale.

Terzo punto: dividere.

Creata la ‘norma’,la disciplina riproduce, costantemente, “la divisione tra normale e anormale”, e quel che rientra in quest’ultima categoria – creata dalla società stessa – è, ovviamente, ciò che la società mette ai margini ed esclude. È un processo talmente evidente che pochi esempi sono sufficienti: “Propongo una colletta per pagare ai no-vax gli abbonamenti Netflix per quando dal 5 agosto saranno agli arresti domiciliari chiusi in casa come dei sorci” (Roberto Burioni, 23 luglio); “È sbagliato considerare l’attacco no-vax come un attacco perseguibile a querela: oggi è un attacco contro lo Stato e come tale dovrebbe essere perseguito” (Matteo Bassetti, 25 luglio); “Criminali no-vax” (Libero, 31 agosto, titolo di prima pagina); “Escludiamo chi non si vaccina dalla vita civile” (Mattia Feltri, Il Domani, 5 settembre).

Quarto punto: sorvegliare.

“[Il potere disciplinare] si organizza come potere multiplo, automatico e anonimo; poiché se è vero che la sorveglianza riposa su degli individui, il suo funzionamento è quello di una rete di relazioni dall’alto al basso, ma, anche, fino a un certo punto, dal basso all’alto e collateralmente. […] La disciplina fa ‘funzionare’ un potere relazionale che si sostiene sui suoi propri meccanismi e che, allo splendore delle manifestazioni, sostituisce il gioco ininterrotto di sguardi calcolati. Grazie alle tecniche di sorveglianza, la ‘fisica’ del potere, la presa sul corpo, si effettuano tutto un gioco di spazi, di linee, di schermi, di fasci, di gradi, e senza ricorrere, almeno in linea di principio, all’eccesso, alla forza, alla violenza. Potere che è in apparenza tanto meno ‘corporale’ quanto più è sapientemente ‘fisico’”. Spazi (luoghi in cui si può accedere solo con il Green Pass), sorveglianza verticale (Gateway e blockchain) e collaterale (il cameriere, il controllore sul treno, il bigliettaio del cinema, l’impiegato adibito al lavoro, a cui bisogna esibire il Pass): una rete di sguardi che quotidianamente controllano. Potere fisico non solo perché si impone sul corpo, ma perché il corpo è il primo ‘oggetto’ che viene investito dalla disciplina del lasciapassare: deve essere sottoposto a un trattamento sanitario (vaccino) o a un esame diagnostico (tampone).

Quinto punto: utilizzare.

“La disciplina è il procedimento tecnico unitario per mezzo del quale la forza del corpo viene, con la minima spesa, ridotta come forza ‘politica’ e massimalizzata come forza utile”. Abbiamo già visto, nel corso della prima ondata, quali sono stati i punti di crisi dell’epidemia, quelli che hanno mosso le decisioni politiche; sappiamo tutti, tolto il velo dell’ipocrisia pelosa ai discorsi ufficiali e alle lacrime da studio televisivo, che per la classe dirigente politica ed economica di questo Paese il problema non è mai stato la morte di migliaia di anziani in pensione, ma il blocco dell’economia e gli ospedali pieni, la pressione di Confindustria da una parte e il conflitto sociale che ne poteva scaturire, dall’altra. Il Green Pass riesce a massimalizzare l’utilità di tutti i corpi: quelli dei cittadini attivi producono e consumano, vanno a lavorare e al ristorante; quelli degli anziani/’fragili’ fanno pressione affinché il resto della popolazione si disciplini: non ti importa che io possa morire? L’umano sentimento della solidarietà viene trasformato in strumento utile alle pratiche disciplinari e in annullamento del pensiero critico.

Tirando le somme, il Green Pass ha corretto, normalizzato, diviso, sorvegliato e utilizzato i cittadini, disciplinandoli. È, a oggi, l’ultimo atto di una serie di pratiche politiche (18) che hanno creato una popolazione docile perché impaurita, prima shockata e poi normalizzata in una nuova abitudine, che si affida al ‘sovrano’ per la sua salvezza, convinta che la propria vita dipenda da un trattamento sanitario a cui è disposta a sottoporsi annualmente, e da un lasciapassare politico che lo attesti e che le garantisca l’accesso a luoghi nei quali possa interagire solo con persone altrettanto verificate e controllate. Una popolazione che ora si sente corroborata dal calo del numero dei contagi e delle ospedalizzazioni (ma attendiamo la stagione fredda per vedere quel che accade, viste le caratteristiche degli attuali vaccini), e non si domanda se la stessa situazione sarebbe stata raggiunta anche vaccinando solo le categorie a rischio e lasciando la libera scelta: perché eliminando la malattia grave tra anziani e ‘fragili’ gli ospedali sarebbero comunque stati vuoti; perché dopo 19 mesi di pandemia, l’immunità naturale dei milioni di asintomatici avrebbe comunque rallentato la circolazione del virus, garantendo anche la diffusione di una immunità di durata. Non si chiede, insomma, se senza il ricatto e la discriminazione del Green Pass non si troverebbe ora nella stessa situazione di salute pubblica, ma in una società molto diversa: dove le persone, e non lo Stato, possono ancora decidere del rapporto rischi/benefici di un trattamento sanitario sul proprio corpo.

Non ci sono risposte. Come sopra già evidenziato, la situazione è nebulosa e illogica. Ma ciò che lascia sconcertati è che non ci siano – e non ci siano state – domande.

Discriminazione

Al 22 luglio, data del primo decreto Green Pass, il 47,6% dei cittadini si erano volontariamente già vaccinati, e arrivavano al 62,4% se aggiungiamo al conteggio l’inoculazione delle prime dosi: quella italiana non si poteva certo definire una popolazione che fuggisse il vaccino. Al 20 luglio erano già stati volontariamente scaricati 36 milioni di Green Pass (19); al 29 luglio, pochi giorni dopo il decreto, erano diventati 41,3 milioni (20). Sorprende che milioni di persone non abbiano battuto ciglio sulla discriminazione che il Pass già operava, accettando supinamente che in alcuni luoghi dove prima tutti i cittadini potevano avere accesso con misurazione della temperatura, mascherina e distanziamento, dal 6 agosto potessero entrare, sempre con misurazione della temperatura, mascherina e distanziamento, solo coloro che avevano acconsentito a un trattamento sanitario o a un esame diagnostico. Poco importa se ristoranti al chiuso, cinema, teatri ecc. non si configurano come diritti o bisogni fondamentali: il principio non cambia. La discriminazione non è qualcosa di quantificabile: è o non è.

Difficile dire se questa arrendevolezza abbia consentito a governo e Parlamento di alzare l’asticella del ricatto al lavoro; sicuramente l’ha facilitato. Incontrando resistenze, forse il potere politico avrebbe abbandonato l’idea (come precedentemente accaduto per la app Immuni) e l’obbligo non sarebbe stato esteso. Il ‘se fosse’ è sempre un gioco inutile perché il filo del tempo non si può riavvolgere, ma nel momento in cui lo si utilizza per un’analisi costruttiva non è affatto una sterile speculazione. L’apertura di un conflitto sociale inizia sempre con una scelta individuale: scioperare, andare in piazza, rifiutarsi, sono innanzitutto scelte – e responsabilità – personali, che solo dopo si trasformano in collettive. Chi lotta sa che l’impotenza e la frustrazione sono sentimenti diffusi, perché nella complessità politica ed economica di oggi è difficile che l’apertura di un conflitto con il potere porti a un cambiamento sociale nel breve termine. Ma il Green Pass, come prima la app Immuni, offriva questa possibilità. Quella di dire NO, di rifiutarsi di avallare con il proprio comportamento – scaricare e utilizzare il Pass – una pratica discriminatoria. Era una scelta politica che, ricordiamo, aveva nulla a che fare con l’insindacabile decisione di vaccinarsi, e non richiedeva certo un gran sacrificio: non andare al ristorante, a teatro, al cinema…

Molti cittadini, in numero maggiore rispetto a quelli che stanno riempiendo le piazze contro il Pass, ora si dichiarano contrari alla sua applicazione al lavoro; eppure, in una incoerenza che sembra non riguardarli, continuano ad avallare la discriminazione utilizzando il lasciapassare per riempire locali serali e ristoranti; non hanno modificato la loro condotta dopo il 16 settembre, quando il governo ha esteso l’obbligo al lavoro a partire dal 15 ottobre e l’asticella della discriminazione si è alzata. Lasciare vuoti ristoranti, cinema, teatri ecc. può diventare un’arma economica di pressione sul potere politico, oltre a rappresentare un atto di protesta collettiva e di coerenza personale.

Non si può né sperare né attendere una chiamata strutturata e organizzata, da sinistra, per questo conflitto: salvo poche realtà o singoli individui, la sinistra movimentista che si riempie continuamente la bocca della parola ‘discriminazione’, dichiarando di volerla combattere, si è appiattita sulle posizioni governative spedendo il cervello in vacanza. Sta, dunque, a ciascuno di noi. Scegliere.

Note
1) Giovanna Cracco, Covid-19. Lockdown, Paginauno n. 67/2020
3) Cfr. Lancet: “Due dosi Pfizer efficaci fino a sei mesi”, Il Fatto Quotidiano, 5 ottobre 2021
4) Cfr. The impact of SARS-CoV-2 vaccination on Alpha & Delta variant transmission, https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2021.09.28.21264260v1.full-text
5) Cfr. Covid-19 ed immunità: quanto a lungo può durare la protezione? https://www.marionegri.it/magazine/covid-19-durata-immunita
6) Per comodità sono stati presi i numeri già elaborati dal gruppo CovidStat dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), basati sui dati acquisiti dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Cfr. https://covid19.infn.it/iss/
10) Cfr. «Varianti, servirà un nuovo vaccino», A. Caperna, Il Giornale, 4 ottobre 2021
11) Vedi Rapporto Oxfam International, pag. 36
12) Il Consiglio d’Europa, nato nel 1949, è un’organizzazione internazionale che promuove la difesa dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto; è composto da 47 Stati membri ed è un organo indipendente dall’Unione europea
14) Abbiamo già parlato di blockchain in relazione ai bitcoin: le caratteristiche tecniche restano le medesime. Cfr. Giovanna Cracco, Bitcoin, tra tecnologia e politica, Paginauno n. 56, febbraio 2018
15) Cfr. Disposizioni attuative dell’articolo 9, comma 10, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52
16) Disposizioni attuative dell’articolo 9, comma 10, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, art. 16
17) Tutti i virgolettati di questa parte dell’articolo sono tratti da: Michel Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi
18) La disciplina sui corpi è iniziata con le limitazioni alla libertà di movimento; l’obbligo di certificare per iscritto il proprio essere fuori di casa tramite un modulo da portare con sé e da esibire, se richiesto, alle forze di polizia; l’imposizione di mascherine e di un distanziamento tra persone. Anche il rituale del bollettino giornaliero sul numero dei contagiati e dei morti rientrava nel meccanismo disciplinatorio: dati privi di coerenza sistemica avevano l’obiettivo di continuare a spaventare una popolazione già totalmente disorientata, rendendola ancora più arrendevole alla disciplina. Cfr. Giovanna Cracco, Covid-19. Lockdown, Paginauno n. 67, aprile 2020

Come abbiamo più volte sottolineato, senza sussidi e regali, l’economia USA è anemica.

AMAZON APPLE …FLOP!

Scritto il 29 Ottobre 2021 alle 08:14 da icebergfinanza

Tutto secondo previsione, aggiustando e correggendo qua e la, sono riusciti ad evitare che l’umore del defunto consumatore non finisca sotto le scarpe, proprio ora che inizia la stagione migliore, tra Halloween e Black Friday, figuriamoci per Natale…



MILANO (Finanza.com) Il prodotto interno lordo reale (PIL) degli Stati Uniti è cresciuto a un tasso annualizzato del 2% nel terzo trimestre del 2021, secondo la prima stima pubblicata dall’Ufficio di analisi economica degli Stati Uniti. Dato in forte decelerazione dalla crescita del 6,7% registrata nel secondo trimestre. Le stime di consensus erano per un rallentamento meno marcato a +2,7%.


Nella sostanza solo le scorte hanno salvato il pil USA da una crescita negativa, hanno riempito i magazzini, ora dovranno provare a vendere, ma la stagione dei sussidi e dei regali è finita, auguri America!



L’aumento come abbiamo suggerito ha riflesso l’aumento degli investimenti in scorte private, della spesa per consumi personali (PCE), spesa del governo statale e locale e degli investimenti fissi non residenziali che sono stati in parte compensati da diminuzioni degli investimenti fissi residenziali, della spesa del governo federale e delle esportazioni . Le importazioni, che sono una sottrazione nel calcolo del PIL, sono aumentate.

Le vendite finali hanno registrato una contrazione, i consumi, soprattutto per beni durevoli sono scesi, di quasi 7 punti rispetto al precedente trimestre, nella sostanza come abbiamo più volte sottolineato, senza sussidi e regali, l’economia USA è anemica.

Il consumo di beni durevoli sul pil è diminuito del 27,2 %, contribuendo a frenare la crescita di 2,7 punti percentuali, con tanti saluti a chi vedeva un rischio per l’inflazione il blocco in alcuni settori della catena di approvvigionamento.

Alla faccia della variante delta i servizi di ristorazione e turismo sono aumentati del 12,4% annuo nel trimestre aggiungendo 0,54 punti percentuali alla crescita.

Come abbiamo visto ieri parlando del deficit, le importazioni hanno sottratto oltre un punto alla crescita, ma qui non si tratta di maggiori consumi americani, richiesta di prodotti, visto che la maggior parte dell’aumento è dovuta all’aumento dei viaggi e turismo negli Stati Uniti dopo le riaperture, con un aumento di oltre il 50 % rispetto al trimestre precedente.

Oggi usciranno dati sull’inflazione che chiariranno molte cose.

Interessanti nel frattempo le trimestrali uscite ieri di Amazon e Apple, che hanno sorpreso negativamente.


Amazon ha fallito le aspettative sia sul fronte dei ricavi che su quello dei profitti, ma quello che conta è che le attese per il 4 trimestre sono pessime.

Apple nel frattempo, ha registrato a proposito di entrate il peggior risultato addirittura dal lontano 2017. Sulle vendite di Iphone, oltre 2,6 miliardi di dollari in meno, tenete conto che per Amazon e Apple, ma in genere per tutto il mercato gli analisti si erano prodigati nello stracciare le previsioni, per far risultare migliori delle aspettative i risultati.

Nessuna previsione per il quarto trimestre, buio completo,

Ricordo a tutti che è inutile in un mondo finanziario dominato dall’econofisica attendersi che i mercati reagiscano ai dati, alle trimestrali a qualunque cosa avvenga fuori dal percorso di un prezzo che nulla ha a che vedere con la realtà.

Solo il medio e il lungo termine, sono figli della verità figlia del tempo.

https://icebergfinanza.finanza.com/2021/10/29/amazon-apple-flop/