L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

giovedì 17 marzo 2022

Energia pulita - negli anni '60 costruivamo le centrali idroelettriche, negli anni duemila non abbiamo voluto sfruttare la filiera l'eolico offshore, di vento maestrale e non solo ne abbiamo tanto tanto tanto, e tutta la filiera dell'idrogeno verde. Il raddoppio della Torino-Lione è una speculazione che dura da decenni, il ponte sullo Stretto è necessario

L’Italia della ‘decrescita felice’ ci ha spinto tra le braccia di Putin
L'Italia vive la sua peggiore crisi energetica da almeno mezzo secolo e che sta provocando stagnazione del PIL e inflazione alle stelle
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 14 Marzo 2022 alle ore 10:32


Benzina verso 2,30 euro al litro, bollette di luce e gas da far paura, imprese che sospendono al produzione e consumatori atterriti. E’ la crisi energetica italiana più grave almeno degli ultimi 50 anni. Il fenomeno riguarda tutta Europa e coinvolge anche altre materie prime, come i metalli industriali, il grano e la farina. Ma non c’è dubbio che l’Italia sia posizionata peggio delle altre economie. Dal gas russo dipendiamo per oltre il 38% del nostro fabbisogno.

La situazione è così grave, che il governo Draghi ha disposto persino la riapertura delle miniere di carbone, così come in precedenza aveva fatto la Germania. In più, le estrazioni di gas potranno aumentare sul suolo italiano. Gli ambientalisti à la Greta sono serviti. Certo, è stata la guerra ucraina a farci piombare nel disastro di una crisi energetica del tutto inopportuna dopo un biennio di pandemia. Ma le responsabilità di questo supplizio sono più casalinghe di quanto vogliamo credere.

L’Italia si affacciava agli anni Duemila con estrazioni di gas pari a una media di 20 miliardi di metri cubi all’anno. Nel 2021, eravamo scesi a 3,34 miliardi. Ovunque, le trivelle sono state fermate dalle proteste di associazioni, sindaci e governatori. La Regione Emilia-Romagna è arrivata a “scoprire” il legame tra estrazioni di gas e terremoti. In Puglia, il completamento del gasdotto TAP, che consente all’Azerbaijan di fornirci la materia prima, è stato accompagnato da proteste vivaci di una popolazione locale agguerrita e istigata da politici regionali e sindaci del tutto ignoranti in materia e che hanno paventato danni ambientali e conseguenze nefaste per la salute pubblica.
Crisi energetica dal “no” al nucleare

In Piemonte, da anni l’Alta Velocità tra Torino e Lione è oggetto persino di attentati terroristici di gruppi che speculano su un ambientalismo salottiero, quando spesso celano pure speculazioni politiche ed economiche.In Sicilia, non si riesce da decenni ad avviare la costruzione del Ponte sullo Stretto, che avrebbe il pregio di ridurre tempi e costi di trasporto delle merci, a causa di resistenze fortissime sui territori e a Roma. E l’ambiente è spesso la foglia di fico dietro cui celare altri obiettivi.

Nel 1987, sull’onda emotiva dell’incidente nella centrale ucraina di Chernobyl, fu indetto un referendum per dire “no” all’energia nucleare. Vinsero i contrari e da allora l’Italia è rimasta priva di strategie alternative. Nel 2011, un altro referendum bloccò definitivamente il tentativo dell’allora governo Berlusconi di riattivare la costruzione di centrali nucleari. Nel frattempo, abbiamo dovuto legarci ancora più saldamente alla Russia di Vladimir Putin, dato che non abbiamo puntato su altre vie. E il 10% dell’energia la importiamo dalla Francia, che la produce grazie alle sue 54 centrali nucleari. E così, i francesi stanno affrontando molto più attrezzati di noi italiani la crisi energetica. L’inflazione transalpina è salita al 3,6% a febbraio, nel nostro Paese al 5,8%.

L’Italia dei “no” è la stessa che ha consegnato le redini del Paese a un movimento politico che ha fatto per anni propaganda a favore della “decrescita felice”. Eccola servita, signori. Sperando che vi stiate divertendo, in quanto la decrescita c’è stata e continua ad esserci. La logica dei “Nimby” (Not in my back-yard, non nel mio giardino) ha alimentato gradualmente la crisi energetica italiana. E non si è trattato di ambientalismo, bensì di stupidità collettiva: importare gas ed energia nucleare dall’estero non ha ridotto minimamente l’inquinamento globale (anzi!) e neppure i rischi per gli italiani, essendo circondati da stati dotati di centrali nucleari fino a ridosso delle nostre frontiere.
Tra le braccia di Putin per bisogno

Oggi, tutti rimproverano agli altri di essere stati filo-putiniani, ma nessuno rimprovera a sé stesso di avere costretto il sistema Italia a recarsi a Mosca con il colbacco in mano per non restare al freddo e al buio.Una delle nazioni del G7 ha vissuto negli ultimi 35 anni nella vana speranza che gli altri producessero, inquinassero e ci fornissero materie prime a basso costo e garantite per sempre. Siamo finiti col pagare l’energia circa i due terzi in più della media europea, a rendere le nostre imprese meno competitive, a distruggere posti di lavoro, ad azzerare la ricerca che ruotava attorno al nucleare e a dipendere dagli altri, anche quando sul piano geopolitico fossero distanti e oltre una nuova “cortina di ferro”.

I partiti politici hanno gravissime responsabilità in tutto questo, sebbene nessuno di loro chiederà mai scusa. Tuttavia, il disastro è stato avallato e benedetto da noi popolo italiano, che per spirito partigiano e il tifo da stadio vuoto che caratterizza la nostra animosità politica, abbiamo acconsentito a scelte distruttive del benessere nazionale. Oggi sbuffiamo dinnanzi al distributore di benzina e abbiamo paura di scartare la bolletta della luce o del gas. Questa è la fine di un popolo saccente e che per troppo tempo ha pensato di essere più furbo degli altri.

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