L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

mercoledì 9 marzo 2022

Gli oligarchi della finanza globale totalizzante si sono accorti che senza la manifattura la partita è persa, da qui la rincorsa spasmodica e comunque perdente per ricreare un minimo di tessuto industriale che poi contraddice il mandato dato a Draghi di distruggere quello italiano che invece è vivo, esporta e produce prodotti affidabili e innovativi. Non se ne esce da questo Occidente pasticcione e contraddittorio fino all'ennesima potenza. È come il sistema autoimmune che i farmaci sperimentali covid scatenano verso i suoi stessi organi sani

THE WESTERN COMECON
By Redazione CDC On 09 Marzo 2022 693


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Di Guido Salerno Aletta, Agenzia Teleborsa

L’Occidente ha perso la sfida della globalizzazione, avendola interpretata come una competizione senza frontiere basata sul mercantilismo, sull’export che si conquista attraverso la riduzione dei costi anziché sulla crescita della domanda interna.

Il paradosso è rappresentato degli Usa, la punta di diamante dell’Occidente capitalistico: ha abbandonato completamente la produzione manifatturiera, la Old Economy, immaginando che la New Economy le avrebbe regalato un nuovo Secolo di prosperità: ed invece è diventata la Nazione più indebitata del mondo, con una posizione finanziaria netta negativa per 13 mila miliardi di dollari ed un deficit commerciale strutturale che nel 2021 è arrivato alla astronomica cifra di 859 miliardi di dollari, di cui ben 353 miliardi nei confronti della Cina (+14,5%). Gli Usa comprano a debito, per loro fortuna denominato in dollari: stampando moneta, lo rimborserebbero.

Anche l’Europa è in enormi difficoltà.
Il saldo attivo della bilancia dei pagamenti correnti dell’Eurozona deriva principalmente da quattro paesi: al termine del terzo trimestre 2021, la somma dei risultati dei quattro trimestri precedenti portava l’Eurozona a +333 miliardi di euro complessivi. La Germania ha contribuito con +249 miliardi, l’Olanda con +78 miliardi, l’Irlanda e l’Italia con +68 miliardi.

La Francia ha invece registrato nel 2021 un nuovo record negativo della bilancia commerciale, con -84,7 miliardi euro rispetto ai -75 miliardi del 2020, peggiorando ancora la sua posizione finanziaria netta sull’estero, ormai negativa per 800 miliardi di euro. E’ superata solo dalla Spagna che ha un passivo rovinoso di 909 miliardi di euro. L’Italia ha invece recuperato i precedenti disavanzi commerciali strutturali, con enormi sacrifici sul piano dei salari e della crescita, registrando ora una posizione finanziaria netta positiva per 106 miliardi di euro.

La Germania ha approfittato enormemente della relativa debolezza dell’euro, riuscendo ad accumulare un astronomico saldo finanziario netto positivo verso l’estero: ora è pari a 2.300 miliardi di euro, quando era a zero nel 2001.

Questi sono i numeri dell’Occidente: dimostrano che Usa ed Unione europea hanno perso malamente la sfida di vent’anni di globalizzazione.

Il processo di riequilibrio dell’Occidente viene ora ipotizzato attraverso l’isolamento geopolitico di Russia e Cina, con un processo di decoupling economico e finanziario nei confronti del Resto del Mondo.

Si sta creando una sorta di Western Comecon: una forma di economia autarchica, come ai tempi dell’Unione Sovietica e dei suoi pochi Paesi satelliti. L’Occidente sta creando una rete di relazioni interne volte ad eliminare le sue due dipendenze fondamentali, quella tecnologica in campo ICT dalla Cina e quella energetica dalla Russia.

Siamo tornati indietro al TTIP (Trans Atlantic Trade and Investment), alla strategia che fu impostata dalla Amministrazione Obama per legare l’Europa agli Usa isolando la Russia, ed al TPP (Trans Pacific Partnership) volto ad isolare la Cina dal resto dei Paesi del Pacifico.
Il processo di isolamento della Cina era continuato con l’Amministrazione Trump, neppure tanto in sordina, vietando l’importazione delle sue produzioni nel settore delle telecomunicazioni, mettendo all’indice i sistemi di rete e la tecnologia 5G di ZTE e di Huawei, in quanto non assicuravano ai gestori occidentali la assoluta integrità delle comunicazioni, per via di possibili intercettazioni. Subito dopo fu messa sotto controllo la esportazione americana di microchip alla Cina: rappresentano il cuore di ogni dispositivo elettronico, la leva indispensabile per qualsiasi applicazione di Intelligenza Artificiale, su cui Pechino ha fatto giganteschi passi in avanti.

E’ dunque sul controllo della produzione dei microchip, che vede a Taiwan la concentrazione di più alto livello qualitativo e di dimensioni maggiori, che si gioca gran parte della partita nei confronti della Cina: la competizione in campo tecnologico si trasforma in conflitto geopolitico.

D’altra parte, la colpa è dell’Occidente, che ha abbandonato sin dagli anni Sessanta il comparto delle manifattura dell’elettronica di consumo: prima le radio, i televisori ed i videoregistratori; poi i lettori CD ed i personal computer; infine i tablet e gli smartphone. All’inizio, i più forti erano i produttori giapponesi e sud coreani, poi sono arrivati i cinesi, con una capacità travolgente e prezzi imbattibili.

L’Europa è uscita di scena: i suoi marchi tradizionali, da Nokia ad Ericsson, da Alcatel ad Italtel, passando per Siemens, sono stati travolti. L’America è riuscita a mantenere una forte capacità produttiva solo nei mainframe, gli elaboratori di grandi dimensioni, i sistemi di raccolta e di elaborazione dati che rappresentano la forza delle piattaforme di e-commerce come eBay oppure Amazon, ovvero dei social network come Facebook e Twitter. Ma se in Cina esistono altrettante capacità di realizzazione e sviluppo, di quanto accade in Russia non si racconta molto sui media occidentali, se non per sottolineare la estrema pericolosità degli hacker che scatenano attacchi informatici continui su scala globale.

Ora si cerca di riavviare le produzioni nel settore dell’ICT, ma tra immense difficoltà. Il NGUE, il Piano europeo di recovery e resilienza, destina infatti ingenti risorse al settore della tecnologia informatica e della Intelligenza Artificiale. Lo stesso si fa negli Usa con il programma federale “3B, Built Back Better“, voluto dall’Amministrazione Biden.
Senza questi enormi investimenti pubblici, tra contributi a fondo perduto e commesse all’industria europea ed americana, sarebbe impossibile ricostituire un sistema produttivo distrutto dalla globalizzazione mercantilistica.

Questo è il primo aspetto del Western Comecon, un sistema di relazioni industriali e commerciali chiuse e sovvenzionate nel settore delle tecnologie informatiche con il quale gli Usa e l’Ue stanno cercando di ricostruire nel settore dell’ICT un sistema produttivo autonomo rispetto al resto del mondo, soprattutto dalla Cina e dai partner asiatici, come il Giappone e la Corea del Sud, e dalla stessa India. E, naturalmente, impermeabile a qualsiasi presenza della Russia.
C’è poi il tema della transizione energetica.

Si punta alla decarbonizzazione della produzione per contrastare la tendenza all’aumento della temperatura terrestre: ma i tempi previsti dagli Accordi sul Clima, che traguardano il 2050, non sono compatibili con il processo geopolitico di isolamento dell’Europa dalla Russia.

Il conflitto in Ucraina è l’occasione giusta per accelerare il processo di riduzione della dipendenza dal gas russo, soprattutto dopo che il gas stesso era stato giudicato dalla Unione europea come una fonte compatibile con il processo di transizione energetica, che prevede di abbandonare solo il carbone ed il petrolio come fonti fossili di produzione dell’elettricità.

Le risorse del NGUE in materia di transizione energetica rappresentano dunque il secondo pilastro della medesima strategia, con cui l’Europa si isola innanzitutto dalla Russia: si tratta di contributi a fondo perduto e di commesse riservate alle imprese europee per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Una impresa ciclopica, una sfida tecnologica e finanziaria senza precedenti.
Anche in questo caso, gli Usa e l’Europa stanno costruendo un sistema chiuso, una sorta di Comecon energetico indipendente ed autonomo, che avrà costi di produzione e di consumo completamente fuori mercato, in cui non ci seguirà quasi nessuno. L’auto elettrica e la produzione di energia da fonti esclusivamente rinnovabili comportano infatti investimenti e costi insostenibili: sono il frutto di una pianificazione velleitaria.

Nel frattempo, i contraccolpi immediati delle sanzioni irrogate alla Russia per il suo intervento militare in Ucraina penalizzano l’Europa assai più che l’America, visto che solo quest’ultima è autosufficiente sia dal punto di vista energetico che agricolo, al pari della Russia.

Le Borse europee cedono, insieme all’euro, mentre salgono le quotazioni del dollaro e quelle a Wall Street: quando c’è pericolo, i capitali della periferia si riversano verso il centro dell’Impero.

All’Occidente non resta che l’autarchia tecnologica ed energetica

The Western Comecon.

Di Guido Salerno Aletta, Agenzia Teleborsa



08.03.2022

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