L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

martedì 1 marzo 2022

Macron l'unico interlocutore serio di Putin, da Biden a Draghi marionette. Le condizioni della Russia sono chiare ed inequivocabili, Ucraina smilitarizzata e denazificata, la Crimea russa


28 FEBBRAIO 2022

Emmanuel Macron chiama Vladimir Putin. È il presidente francese l’unico attore del blocco occidentale ad avere sentito il presidente russo dopo i primi colloqui in Bielorussia. Su iniziativa francese, ribadiscono da Mosca. Ed è lui ad aver sentito il presidente ucraino Volodymyr Zelesnky per capire i margini delle trattative dopo che il capo del Cremlino ha svelato al leader francese le sue condizioni per la fine della guerra.

Una scelta che incuriosisce ma che non deve sorprendere. Mosca e Parigi non hanno rapporti idilliaci, ma sembrano aver costruito una sorta di canale diplomatico di un certo livello pur offuscato, negli ultimi giorni, dal fallimento del viaggio di Macron nella capitale russa. In quell’occasione il presidente francese non era riuscito a strappare alcun tipo di garanzia da parte del leader russo. E dopo alcuni giorni, era stato il cancellerie tedesco Olaf Scholz a provare a far cambiare idea a Putin facendo credere a uno spiraglio di pace che poi non si è più aperto.

Macron ora ci riprova. E in questo non è da sottovalutare il placet di Putin, dettato probabilmente da diversi elementi e che si presta a molteplici chiavi di lettura.

Il presidente francese è sempre stato un interlocutore apprezzato dall’omologo russo, che ha visto in lui il leader che per primo ha perorato la causa dell’autonomia europea, ma anche una potenza nucleare. Due elementi che vanno tenuti in stretta correlazione. Dal punto di vista politico, lo “zar” probabilmente vede nel “president” una figura meno ancorata alle logiche atlantiste e meno aderente al sentimento più intransigente di Nato e Stati Uniti. Le vecchie critiche all’Alleanza Atlantica e il desiderio di un’Europa in qualche modo meno legata agli Usa hanno evidentemente attirato il rispetto e forse anche le attenzioni di un presidente russo in cerca di sponde. Che adesso sono quanto mai necessarie per evitare il completo isolamento. La presidenza di turno francese dell’Unione Europea può essere in questo caso una coincidenza ancora più favorevole, per quanto non necessariamente fondamentale. In questo senso, Macron può chiamare Putin con un ruolo diverso: non da protagonista ma almeno come primus inter pares del consesso europeo.

A questi elementi, si deve aggiungere il tema nucleare. Putin, con quel discorso sulla deterrenza, ha riportato l’idea stessa dell’arma atomica come punto fondamentale della politica mondiale. La Francia è una potenza nucleare con un arsenale autonomo, cosa che rafforza l’immagine di potenza di livello superiore rispetto alle altre europee. E se a questo si aggiunge il fatto non secondario della presenza francese nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e nel cosiddetto “Formato Normandia”, il sistema che prevede(va) l’applicazione degli Accordi di Minsk sull’Ucraina, si comprende l’utilità di avere un interlocutore che parla sia a nome europeo che a nome di un Paese pur di rango diverso rispetto a quello che si percepisce la Russia. Stato che comunque con la Francia ha storicamente rapporti molto particolari.

Questi elementi possono apparire formali. Ma in questa complessa partita che si gioca violentemente in Ucraina e a livello diplomatico nel resto del mondo, anche i simboli hanno un significato. Macron è uno dei pochi rappresentanti europei ad avere assunto in questa fase una postura dura ma non completamente di chiusura. Rispetto alla reazione durissima del premier britannico Boris Johnson, che ha da tempo affondato il colpo nei confronti della Federazione Russa, il capo dello Stato francese ha saputo evitare la retorica più intransigente pur non lasciando mai intendere ambiguità verso Mosca. Una scelta sicuramente apprezzata dal Cremlino che, d’altro canto, si è visto voltare le spalle proprio dal suo principale partner europeo: la Germania.

Possono aver pesato, inoltre, anche i continui rapporti strategici tra le due nazioni, che vedono Francia e Russia coinvolte in molteplici scenari internazionali. In Medio Oriente, dalla Siria al nodo Iran, in Nord Africa, in particolare con la Libia e i rapporti con altre forze, in Africa centrale e in Sahel, e per finire in Europa, i due Paesi si trovano molto spesso su posizioni opposte, ma comunque hanno già instaurato canali di dialogo e di confronto. Cosa che potrebbe aiutare una trattativa su cui Putin ha già posto le sue condizioni: la Crimea russa, l’Ucraina smilitarizzata e “denazificata”.

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