L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

martedì 10 maggio 2022

e son pagati benissimo per portarci guai e dolori. Il 19 settembre 2019 si legge 2019 la Fed ha dovuto iniziare ad inondare il Casinò di Wall Street di miliardi e miliardi di dollari altrimenti ci sarebbe stata la caduta nel burrone. Evitata questa l'effetto collaterale certo ed inevitabile sarebbe stata l'inflazione che è arrivata puntualmente presentando il conto, costringendo la Fed ad aprire gli occhi anche se per mesi ha cercato di chiuderli affermando che l'inflazione era "TRANSITORIA". Lo sapevamo Noi lo sapeva lei che non era vero. Arrivato al punto in cui è stata costretta ad affrontare la realtà ha iniziato ad alzare i tassi d'interessi che automaticamente portano recessione certa. Nel frattempo la macelleria sociale del potere d'acquisto dei redditi è appena iniziata, dobbiamo violentemente stringere la cinta, non Loro ma Noi. In questa babele Gli Stati Uniti perseguono con lucidità folle la volontà di guerra e continuano a sfruculiare la Federazione Russa perchè vogliono continuare a dominare il mondo sfruttandolo per il Loro Benessere, beninteso non per le masse ma per le Loro oligarchie. Tutto il resto e bla bla bla, per carità divina non tocchiamo il tasto dolente del clero televisivo, del Circo Mediatico che ogni momento della giornata ci imbottisce di notizie che deviano i fatti che contano

Ecco perché la FED porterà l’economia americana in recessione
La recessione dell'economia americana è molto probabile con la stretta monetaria della Federal Reserve per battere l'inflazione
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 09 Maggio 2022 alle ore 06:45


Il prossimo rialzo dei tassi negli USA dovrà essere almeno di altri 50 punti base o 0,5%. L’ultima lettura sui posti di lavoro non agricoli (“non farm payrolls”) per il mese di aprile non ha lasciato scampo alla Federal Reserve: +428.000 occupati contro +380.000 attesi. Le retribuzioni orarie sono cresciute dello 0,3% rispetto a marzo, del 5,5% in un anno. Le attese erano superiori, cioè rispettivamente di +0,4% e +5,5%. Soprattutto, a marzo erano cresciute dello 0,5% mensile. E il tasso di disoccupazione è leggermente salito da 3,5% a 3,6%. Piccolissimi appigli per evitare un’accelerazione della stretta sui tassi ve ne sarebbero per il governatore Jerome Powell. Sta di fatto che l’economia americana rimane robusta e non tale da permettersi tassi d’interesse così bassi, a fronte di un’inflazione salita all’8,5% a marzo.

La stangata dei mutui

E’ vero, d’altra parte, che il PIL USA nel primo trimestre sia diminuito dell’1,4% rispetto agli ultimi tre mesi del 2021. Quel dato, però, ha risentito perlopiù del “super” dollaro, che a sua volta ha fatto aumentare le importazioni, accentuando il cronico passivo della bilancia commerciale. In realtà, la recessione dell’economia americana rimane uno spettro, pur forse non dietro l’angolo. Ma essa appare la conseguenza naturale della lotta all’inflazione.

Se volete qualche dato per capire di cosa stiamo parlando, parliamo di mutui. La scorsa settimana, il mutuo a tasso fisso a 30 anni negli USA costava in media il 5,27%. Un anno prima era al 2,96%. Nel frattempo, i prezzi delle case sono aumentati di ben il 20,6% a una media di 337.560 dollari a marzo, secondo l’indice Zillow. E le retribuzioni? Come detto, cresciute del 5,5%, cioè sotto il tasso d’inflazione e, soprattutto, di un quarto rispetto ai rincari delle case. Nel primo trimestre, ammontavano alla media annuale di quasi 54.000 dollari.

Mettendo assieme questi dati, otteniamo quanto segue: accendere in media un mutuo trentennale a tasso fisso comporta oggi il pagamento di una rata di circa 1.495 dollari al mese contro meno di 940 dollari di un anno fa. Su base mensile, l’aggravio ammonta a oltre 555 dollari, pari a 6.664 euro l’anno. In pratica, la rata del mutuo incide per un terzo esatto dello stipendio medio contro il 22% di un anno fa. Il rialzo dei tassi scontato dal mercato, in buona sostanza, si è mangiato più del 10% dello stipendio di un americano medio in appena un anno. E siamo agli inizi della stretta, sebbene il mercato si sia portato avanti e abbia immaginato già i livelli a cui la FED tenderà.

Rischio recessione non solo per economia americana

Questo è solo un esempio di come la lotta all’inflazione finirà con ogni probabilità per portare l’economia americana in recessione. Da un lato, il carovita si mangia una parte degli stipendi, dall’altro il costo del denaro completa l’opera. Pur ancora con numeri di gran lunga inferiori, lo stesso sta iniziando ad accadere nell’Eurozona. I mutui restano a buon mercato, ma da noi a divorare il potere d’acquisto è l’inflazione solo marginalmente compensata dagli aumenti retributivi. L’ISTAT segnala +0,8% per i contratti nazionali nel primo trimestre, a fronte di un’inflazione italiana al 6,2% in aprile. Cambiando l’ordine dei fattori, il risultato non cambia: i bilanci familiari iniziano a non quadrare più. Sarà recessione.

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