L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 27 agosto 2022

La Fed ha creato l'inflazione e ora la combatte, alzando i tassi d'interessi, esportandola nel resto dell'Occidente. Esporta anche recessione e questa più l'inflazione ci regala la STAGFLAZIONE. La Bce annichilita impossibilitata a fare una politica monetaria valida per diciannove paesi con interessi divergenti econtrapposti

Cambio euro-dollaro sotto la parità spia di una catastrofe economica
Il cambio euro-dollaro è sceso sotto la parità questa settimana, segnalando quanto malmessa sia l'economia nell'Eurozona
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 24 Agosto 2022 alle ore 06:23


Ieri, il dato sul PMI composito ha dimostrato che l’economia francese si sia contratta nel mese di agosto per la prima volta da un anno e mezzo. L’indice è sceso dai 51,7 punti di luglio a 49,8. Ancora più giù la manifattura a 44,4 punti. Sotto 50 è recessione del settore privato. E l’indice composito dell’Eurozona è sceso a 49,2. Il cambio euro-dollaro non poteva che reagire accentuando i cali di questi ultimi giorni e portandosi fino a 0,99. Resta sotto la parità, un fatto che per alcuni economisti sarebbe solo l’inizio di una discesa ancora più eclatante. Probabile, infatti, che a causa della crescente divergenza monetaria tra Federal Reserve e BCE, il cross si porti a 0,95 entro le prossime settimane.

Cambio euro-dollaro debole accentua inflazione

Da Francoforte nessuna presa di posizione ufficiale e neppure ufficiosa. La BCE non persegue formalmente alcun target per il cambio euro-dollaro, ma tutti sanno che lo monitora per preservare la stabilità dei prezzi. In effetti, una moneta unica così debole non fa che aumentare il costo dei beni importati, alimentando ulteriormente l’inflazione nell’Eurozona.

Volete un esempio: Brent a +33% su base annua, ma a causa del -15% accusato dal cambio euro-dollaro negli ultimi dodici mesi, un barile di petrolio costa sui mercati a noi europei quasi il 50% in più. In generale, i rincari delle materie prime risultano più cospicui per via dell’euro debole. Ma la BCE non sta affatto rafforzando la sua retorica sui tassi d’interesse, l’unica risposta efficace nel breve per arrestare la caduta del cambio. Non lo fa, perché teme di peggiorare la situazione.

Da un lato, l’inflazione nell’Eurozona corre a livelli spaventosamente alti (8,9% a luglio), ma dall’altro l’economia nell’area sta rallentando e, in alcuni casi, andando in recessione.
La Germania sembra la più colpita, causa crisi energetica. Se Francoforte alzasse i tassi più velocemente delle previsioni, rischierebbe di aggravare la crisi dei consumi. Il credito a famiglie e imprese si ridurrebbe, a discapito degli investimenti e degli acquisti di beni durevoli.

BCE paralizzata da paura

E’ vero anche, però, che l’inazione finirebbe per provocare ugualmente la recessione per effetto della caduta del potere di acquisto. L’alta inflazione sta già facendo stringere la cinghia alle famiglie, alle prese con il caro bollette. Poiché la crescita dei redditi non sta minimamente tenendo il passo, chi può attinge ai risparmi, gli altri riducono i consumi.

La BCE non si mostra capace di battere un colpo. E’ paralizzata dalla paura di sbagliare. Teme che il rialzo dei tassi impatti sul debito pubblico italiano, fomentandone la crisi sui mercati finanziari come nel 2011. Ma il cambio euro-dollaro sotto la parità ci segnala che la fiducia verso Francoforte stia venendo progressivamente meno. Da mesi la FED alza il costo del denaro per battere l’inflazione, lo stesso stanno facendo quasi tutte le altre principali banche centrali, eccetto quella del Giappone. La BCE a luglio ha alzato i tassi di mezzo punto percentuale, sopra il +0,25% atteso dal mercato. Ma la direzione non è chiara, né si sa come i governi vogliano affrontare la crisi energetica sempre più grave. Il razionamento dei consumi non sarà la soluzione, ma servirà semmai per mandare l’Eurozona in recessione. L’incubo stagflazione si sta materializzando sotto i nostri occhi.

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