L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 27 agosto 2022

Repetita iuvant è la Fed che crea le crisi - 4 -

 https://www.progettoalternativo.com/2015/12/2015-crisi-economica-la-fed-aumentando.html

venerdì 11 dicembre 2015

2015 crisi economica, la Fed aumentando i tassi svuota i restanti paesi di capitali e da slancio alla sua economia, gli Stati Uniti usciranno dalla crisi a spese degli altri

 
10 dicembre 2015, di Alberto Battaglia
 
NEW YORK (WSI) – Mentre il mondo attende con trepidazione le decisioni di politica monetaria della Federal Reserve e i suoi effetti sull’apprezzamento del dollaro si dovrebbe dare, in verità, un’occhiata più approfondita al futuro dello yuan cinese. A sostenerlo sulle pagine del Telegraph è Ambrose Evans-Pritchard che, con una serie di osservazioni sui fondamentali economici di Pechino, teme che ulteriori svalutazioni possano essere all’orizzonte.
Se il dollaro dovesse rivalutarsi, infatti, lo sforzo di sostenere il peg di fatto col dollaro potrebbe farsi troppo oneroso per la Pboc. Bank of America si attende che che lo yuan il prossimo anno scenda a 6,90 sul dollaro (dagli attuali 6,43), mentre Daiwa teme un deprezzamento del 20%. La valuta cinese, dunque, è sopravvalutata nei mercati?
Un aspetto certamente problematico è quello dei deflussi di capitale dalla Repubblica popolare: 113 miliardi di dollari nel solo mese di novembre, un record costato alla banca centrale cinese (secondo le stime di Capital Economics) circa 57 miliardi di vendite di riserve straniere al fine di sostenere il cambio. Nel terzo trimestre il deflusso, secondo uno studio della Reserve Bank of Australia (Rba), è arrivato a 300 miliardi di dollari con una liquidazione di 200 mililiardi di asset stranieri da parte della Pboc.
Sostenere il cambio a questo prezzo diventa molto costoso, anche per le sostanziose riserve valutarie cinesi. La guerra valutaria è entrata nel vivo. Sempre la Rba scrive che gli esportatori cinesi stanno cercando di mantenere i propri guadagni in dollari e che si è verificata “una riduzione della volontà di ricevere pagamenti in yuan”. Per compensare le cose Pechino ha tagliato la tariffa sulle esportazioni di bollette d’acciaio e sulla ghisa: un incentivo che dovrebbe favorire l’avanzo commerciale utile a sostenere la forza della moneta.
Ma, in definitiva, non è facile stabilire se la Cina abbia o meno uno yuan sopravvalutato, scrive Evans-Pritchard, anche se un shock valutario c’è sicuramente stato: la moneta cinese, in un momento in cui avrebbe necessitato di sollievo ha dovuto seguire nella sua risalita il dollaro cui lo yuan è ancorato. La vicina svalutazione dello yen giapponese, inoltre, non ha certo reso questa rivalutazione del tasso di cambio reale cinese più agevole. Quest’ultimo è salito del 30% dalla metà del 2012, mentre il costo dei salari procedeva con aumenti a doppia cifra.
Tutto questo, ovviamente, erode i margini di profitto delle imprese cinesi. L’impegno ufficiale delle autorità di Pechino resta quello di mantenere stabile il cambio. Alla luce dell’ingresso dello yuan nel novero delle valute di riserva del Fmi, sarà difficile questo obiettivo venga perseguito attraverso un ritorno alle vecchie politiche del beggar-thy-neighbour.

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