L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

giovedì 11 agosto 2022

Studiare la crisi argentina per capire come gli Stati Uniti scaricano sul resto del mondo la loro inflazione creata da loro stessi. Il paese si è indebitato in DOLLARI con il Fondo Monetario Internazionale, il braccio armato degli statunitensi/Occidente. Alzando i tassi d''interessi il debito argentino aumenta paurosamente, per far fronte alla richiesta degli interessi maggiorati, si stampa denaro, pesos, che aumenta la massa di valuta circolante per il paese che alimenta ulteriormente l'inflazione, si arriva al corto circuito in cui più denaro si stampa e più l'inflazione diventa altissima, insostenibile. E a monte le richieste del Fmi diventano più pressanti per fare, le chiamano "riforme" ma sono propri salassi e depauperamento delle risorse interne e materiali e soprattutto sociali. Urgente uscire fuori dalle grinfie del dollaro e dal suo circuito di avvoltoi, da qui la richiesta formale ad aderire ai BRICS

La crisi argentina sprofonda nel caos, arriva il terzo ministro all’Economia in un mese
La crisi dell'economia argentina è così grave, che al Tesoro si sono succeduti tre ministri nell'arco di appena un mese.
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 09 Agosto 2022 alle ore 06:42


“In Germania sono costretti a tornare a bruciare carbone, in Francia a spegnere l’illuminazione nei monumenti e in Spagna quella delle vetrine dei negozi, cose impensabili fino a pochissimi anni fa”. Ha esordito così il nuovo ministro dell’Economia, Sergio Massa, quasi per indorare la pillola sulla drammatica crisi argentina di questi mesi. Raccoglie un’eredità pesantissima, con l’inflazione esplosa a luglio al 64% ed attesa al 90% entro la fine dell’anno. Il presidente Alberto Fernandez gli ha affidato un “super ministero”, comprensivo della gestione di Agricoltura e Attività Produttive. Il suo predecessore Silvina Batakis è rimasta ministro dell’Economia per appena un mese. Vicina all’ex “presidenta” Cristina Fernandez de Kirchner, numero due dell’amministrazione e a capo dell’ala sinistra dei peronisti, è durata quanto un gatto in tangenziale. Il suo predecessore Martin Guzman, a sua volta, si era dimesso a fine giugno per divergenze di vedute proprio con la Fernandez.
Svalutazione del cambio contro crisi argentina?

Le tensioni sui mercati non si sono placate sotto Batakis, anzi la donna era stata percepita ostile agli investitori e alle riforme economiche. A preoccupare è, in particolare, il collasso del tasso di cambio. Per un dollaro ci vogliono ormai ufficialmente circa 133 pesos, ma sul mercato nero venerdì scorso occorrevano ben 286 pesos. In appena un anno, il deprezzamento è stato del 27%, mentre per il “dolar blue” si è arrivati a -37%.

La banca centrale argentina ha sì alzato i tassi d’interesse a giugno di 300 punti base, ma portandoli al 52%, nettamente sotto l’inflazione. Al Fondo Monetario Internazionale (FMI) il governo aveva promesso di portarli sopra per sconfiggere l’inflazione. L’istituto non ha più sufficienti riserve valutarie per difendere il cambio.
In cassa ha dollari per 32,3 miliardi, corrispondenti ad appena quattro mesi di importazioni. Una maxi-svalutazione, tuttavia, resta esclusa da qui alle elezioni dell’anno prossimo. Farebbe esplodere ulteriormente i prezzi al consumo e perdere i residui consensi al governo.

Amministrazione Fernandez molto impopolare

Massa è stato fino a qualche giorno fa presidente della Camera bassa. Ha promesso di porre fine alle stamperie della banca centrale. In effetti, nell’ultimo anno la massa monetaria calcolata con l’aggregato M3 è aumentata di circa il 42%. Ha chiarito che il bilancio dello stato sarà coperto con entrate e ricorso all’indebitamento, non più grazie alle monetizzazioni dei disavanzi. Questi saranno contenuti, spiega, al 2,5% del PIL fissato dall’amministrazione. Inoltre, si è impegnato a centrare gli obiettivi sul saldo primario concordati con l’FMI. A questi Buenos Aires dovrà restituire 44 miliardi di dollari, pur secondo i termini della rinegoziazione.

Quattro le promesse di Massa: ordine fiscale; avanzo della bilancia commerciale; rafforzamento delle riserve valutarie; sviluppo accompagnato dall’inclusione. Resta da vedere come saranno perseguiti gli obiettivi due e tre. In teoria, una svalutazione sarebbe imprescindibile, ma per quanto detto appare improbabile da qui al prossimo anno. A meno che l’amministrazione Fernandez voglia giocarsi il tutto per tutto, consapevole che di questo passo la sconfitta nell’autunno del 2023 sarebbe certa.

Nessun commento:

Posta un commento