L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 17 settembre 2022

La guerra chiama guerra e vuole il suo tributo di sangue


16 SETTEMBRE 2022

I nuovi scontri sono iniziati all’alba di questo venerdì. Le mai definitivamente demarcate linee di confine tra Kirghizistan e Tagikistan sono diventate, ancora una volta, teatro di aspri scontri tra i soldati dei due Paesi. Questa volta però sembra esserci stato qualcosa in più dei “tradizionali” scambi di colpi d’arma da fuoco che da anni, di tanto in tanto, movimentano questo angolo centroasiatico. Nel corso della mattinata infatti sono apparsi video di carri armati tagiki a ridosso delle frontiere e soldati kirghisi con armi pesanti al seguito. Poi un annuncio comune, da parte sia del presidente kirghiso che di quello tagiko, con il quale è stato ordinato l’immediato ritiro delle truppe dal confine. L’esclation al momento sembra scongiurata. Ma non mancano i punti interrogativi.

Cosa sta accadendo tra Kirghizistan e Tajikistan

A ben guardare anche gli ultimi video, lo scontro sta assumendo le sembianze di una guerra di confine. Nulla di nuovo da queste parti. Le linee di frontiera degli Stati sorti nel 1991 ricalcano quelle delle ex repubbliche sovietiche. E quando Mosca ha tracciato i confini, ha fatto in modo di evitare la creazione di forti entità locali, slegando quindi alcuni territori da repubbliche a cui storicamente avrebbero dovuto appartenere. Il caso più eclatante, in virtù anche dei nuovi recenti scontri, è quello del Nagorno-Karabakh. Un territorio a maggioranza armena assegnato però all’Azerbaijan, circostanza che dopo la disgregazione dell’Urss ha creato le ben note tensioni.

Nel cuore dello spazio centroasiatico c’è una situazione non così dissimile che ha il proprio perno a sud della valle di Fergana. Qui convergono i confini di tre repubbliche ex sovietiche: Kirghizistan, Uzbekistan e Tagikistan. Un intreccio originato non solo da scelte politiche dello scorso secolo, ma anche dalla geografia del territorio composta di rilievi e catene montuose non in grado di far delimitare in modo netto e chiaro le frontiere. Il sud del Kirghizistan è in maggioranza uzbeka e già di per sé questa circostanza non ha mancato di originare contrasti in passato. Il problema però sta soprattutto nelle enclavi. All’interno del territorio kirghiso ce ne sono ben sei: quattro sono uzbeke e due tagike. A complicare ulteriormente il quadro è la composizione etnica delle enclavi. C’è ad esempio quella di Sokh che appartiene all’Uzbekistan ma è abitata in maggioranza da tagiki. In poche parole, è possibile trovare territori interni al Kirghizistan, ma amministrati dall’Uzbekistan e dove la popolazione è tagika.

Un intreccio a cui nessuno ha mai dato una soluzione politica. Si è così passati alle armi. Lo scorso anno kirghisi e tagiki ad aprile hanno rischiato seriamente di entrare in guerra dopo che uno scambio di colpi molto serrato tra i soldati dei due eserciti ha provocato diversi morti. Tutto poi è rientrato dopo colloqui diplomatici. Pochi giorni fa un nuovo (e quasi inaspettato) round degli scontri, anche in quel caso domati in poche ore. Adesso invece sta andando in scena quello che assomiglia molto al preludio di un’escalation. I tagiki hanno mostrato in un video l’ingresso di propri soldati in un villaggio kirghiso, lì dove hanno appeso la bandiera tagika sul tetto di una scuola. Sui social circolano altri video dove i carri tagiki si accalcano lungo i confini.

Dal canto loro i kirghisi, i quali hanno denunciato un raid sulla città di Batken, hanno iniziato a usare lanciarazzi contro postazioni oltre confine. Amministratori locali delle regioni coinvolte hanno provato a metterci una pezza. Poi l’annuncio quasi insperato: “Via le truppe dal confine”. Un ordine emanato sia da Sadir Japarov, presidente del Kirghizistan, che da Emomali Rahmon, presidente del Tajikistan.

Gli scontri proprio durante il forum di Samarcanda

Sui motivi per cui questi confini fanno così gola alle parti in causa negli anni sono state lanciate molte ipotesi. La prima riguarda il controllo dei corsi d’acqua: nella zona, contrassegnata da territori aridi, sono pochi e quei pochi ovviamente sono potenziali motivi del contendere. C’è poi un’altra ipotesi, questa volta più ufficiosa che ufficiale. Entrambi i Paesi hanno interesse a controllare il contrabbando, foriero di soldi e prestigio, che passa da queste parti. Non bisogna infatti dimenticare come l’Afghanistan, da cui esce l’80% dell’oppio necessario a produrre l’eroina, non è così lontano e le vie della droga spesso solcano i sentieri dell’Asia centrale.

Ad ogni modo, non sfugge la tempistica con cui si è generata la nuova prova di forza tra Kirghizistan e Tagikistan. Poco più a nord dell’area degli scontri infatti, era in corso nella città uzbeka di Samarcanda la riunione dello Shanghai Cooperation Organization (Sco). Qui si sono incontrati Vladimir Putin e Xi Jinping, con la presenza ovviamente poi di tutti i leader della regione. Attaccare nelle ore del summit ha dato maggiore eco al rumore degli spari. “Se fossi il presidente dell’Uzbekistan – ha scritto non a caso Kadyr Toktogul, ex ambasciatore kirghiso negli Usa – sarei arrabbiato con il mio collega tagiko per aver rovinato il partito SCO a Samarcanda, a cui hanno partecipato più di una dozzina di capi di stato e di governo”.

Dal canto loro fonti tagike hanno invece accusato la controparte di provocazioni e di aver quindi generato tensioni durante la riunione di Samarcanda. Di certo, chiunque ha premuto per primo il grilletto era consapevole di poter sfruttare lo Sco per avere maggiore incidenza politica e mediatica.

La nuova breccia tra gli alleati di Mosca

Gli scontri tra Kirghizistan e Tagikistan hanno destato ovviamente maggiori perplessità al Cremlino. Entrambi i Paesi sono alleati di Mosca ed entrambi fanno parte dello Csto, l’organizzazione di difesa capeggiata dalla Russia. Un gruppo chiamato nelle ultime ore in causa a proposito delle nuove tensioni tra Armenia e Azerbaijan e che oggi più che mai appare zoppicante al suo interno. Per la diplomazia russa, gli scontri odierni sono l’ulteriore testimonianza della propria vulnerabilità attuale nelle aree dove si concentra la propria influenza e dove si concentrano i propri maggiori interessi. Un grattacapo in più a poche ore dalla sconfitta subita in Ucraina nella controffensiva di Izyum.

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