L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 3 settembre 2022

Vogliono il voto e poi continuare a inciuciare per altri cinque anni, sono atlantisti, filo Nato, euroimbecilli a prescindere, sono antirussi per scewlta ideologica ed avanti così fino alla completa nausea

I partiti italiani: così diversi, così uguali



Francesco Bennardo per il Simplicissimus

In una illuminante puntata della sitcom Camera Cafè, andata in onda dal 2003 al 2017 e ambientata nell’ufficio di un’innominata azienda multinazionale, il delegato sindacale comunista Luca Nervi e il direttore fascista Augusto De Marinis riescono a elaborare un accordo perfetto, un patto di corresponsabilità tra dirigenti e lavoratori in grado di prevenire ogni minimo contrasto tra capi e maestranze per i futuri decenni. Proprio quando si accingono a firmare il prezioso documento, i due vengono presi dal dubbio mucciniano: «Che ne sarà di noi?». Eh già, perché pur essendo come i ladri di Pisa – i quali notoriamente litigano di giorno per rubare insieme di notte – Luca e Augusto sono stati messi ai posti di comando proprio perché arcigni difensori senza sé e senza ma del loro ceto sociale. Nonostante la corruzione, l’incapacità e lo scarso livello culturale che manifestano, il loro potere è solido perché si basa sull’eterna conflittualità tra servi e padroni e da esso, solo ed esclusivamente da esso, trae legittimazione. Venuta meno questa conflittualità, concludono i due, il loro compito potrà dirsi esaurito, con le ovvie conseguenze del caso: il Presidente nominerà un nuovo e più morbido direttore, il sindacato farò altrettanto con il proprio delegato. «Questo mai!», sentenziano i due – ancora una volta concordi – ed allora eccoli scervellarsi tutta la notta per trovare una clausoletta su cui far finta di litigare, impuntarsi ostinatamente e mandare tutto l’accordo a carte quarantotto. La splendida intesa già stilata viene mandata al macero per quella che il principe De Curtis avrebbe definito una pinzillacchera e il potere dei nostri eroi è salvo.

I partiti della cosiddetta sinistra e i partiti della cosiddetta destra, in Italia, sono esattamente come Nervi e De Marinis: hanno la stessa mentalità, lo stesso programma, gli stessi ideali. Sulle questioni di fondo, non c’è una virgola di differenza. Eppure, un paio di bazzecole su cui dividersi e far finta di litigare devono saltar fuori, altrimenti come riuscirebbero a convincere i poveri gonzi degli elettori a votare? Fin quando il Cavaliere godette di buona salute e prestigio, i giochi erano presto fatti: berlusconiani da un lato, antiberlusconiani dall’altro. E vai col tango, un lunghissimo tango iniziato con la «discesa in campo» berlusconiana del 26 gennaio 1994 e conclusosi con uno squallido casquè il 16 novembre 2011 (nascita del governo Monti). Da quel giorno, la musica cambia: l’avversario non è più una «zecca comunista» o uno «sporco fascista», ma un partner con cui è possibile il confronto (che poi, in un climax inciucista sempre più imperioso, diventerà dialogo e infine alleanza). La retorica delle «soluzioni condivise», delle «riforme necessarie per questo paese», delle «strategie comuni per la ripartenza» – che ha trovato nei 500 giorni di dominio incontrastato di Draghi la sua acme – la conosciamo ormai a memoria.

La troppa vicinanza tra gli ex acerrimi nemici contribuisce a far splendere l’astro del Movimento 5 Stelle: il grillismo sembrava una supernova, ma si rivelerà una nana bianca disposta a rinunciare a tutti i propositi originari – e a diventare, nel caso di Di Maio e dei suoi accoliti, più realista del re – pur di essere accolta nella grande famiglia dei moderati. Moderati, parola ormai svuotata dal significato originario che sta ad indicare tutti coloro che condividono le seguenti posizioni politiche:In politica estera, filo-atlantismo e filo-europeismo senza sé e senza ma (anche a costo di violare lo spirito della Costituzione, come nel caso della cessione delle armi all’Ucraina e al battaglione Azov);
In Economia, neo-liberismo sempre più spinto;
In politica religiosa, sostanziale mantenimento dello status quo corrente (con particolare “comprensione” verso le posizioni vaticane);
In politica giudiziaria, garantismo tout-court.

Tutti i partiti italiani presenti in Parlamento, da Fratelli d’Italia a Liberi e Uguali, condividono queste generiche linee-guida. Tutti. Ed allora sorge il problema di trovare quelle famose bazzecole su cui far finta di scannarsi per aizzare le varie tifoserie e convincerle a mettere convintamente la croce sulla scheda. Alla fine, le bazzecole pescate dal cilindro sono due: i diritti della comunità LGBT+ e l’immigrazione.

Intendiamoci subito: non si tratta assolutamente di bazzecole in senso stretto. Sono due questioni fondamentali dei nostri tempi, spesso sfociate purtroppo in tragedia. Meriterebbero quindi più rispetto e più attenzione. Ma i nostri partiti le utilizzano come meri pretesti per far finta di litigare. «La sinistra è il partito dei gay e dei neri, votate per noi!»; «La destra è il partito degli omofobi e dei razzisti, votate per noi!». Finché la situazione politica rimarrà immutata, la questione dell’immigrazione non sarà mai affrontata seriamente, perché così com’è conviene a tutti: a chi sfrutta i migranti come lavoratori sottopagati, a chi inquadra i migranti come ospiti di ben remunerate cooperative, a chi utilizza i migranti come bacino elettorale. Una cosa molto simile si può dire per i diritti della comunità gay (ecco perché era prevedibile che il DDL Zan non fosse approvato, così come è prevedibile che qualunque sia l’esito delle elezioni del 25 settembre nulla sarà fatto in proposito).

Democrazia non significa libera circolazione dei partiti, ma delle idee. Se tutti i partiti, fossero anche mille, mettono in campo la stessa idea, nel Paese circolerà solo quell’idea: esattamente come in una dittatura.

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