L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 9 ottobre 2010

Tecniche di manipolazione dell’informazione

di Salvo Vitale

Giornalmente se ne studiano nuove, ma i principi di fondo sono quelli di sempre:

-L’importante non è “fare”, ma “far credere di fare”;

-Una notizia non è tale, un avvenimento non esiste, se non viene comunicato.

-La comunicazione è in grado di creare colpevoli e innocenti, buoni e cattivi, eroi e vigliacchi, grandi uomini e piccoli vermi, di trasformare cattivi politici in abili statisti e abili statisti in cattivi politici, secondo l’orientamento predeterminato del giudizio da comunicare e secondo lo spazio dato alla notizia.

E andiamo a casa nostra: è accertato da “Reporter sans frontière” che l’Italia occupa il cinquantaduesimo posto,( credo che quest’anno siamo scesi giù di altri quattro posti), tra i paesi semiliberi, per quel che riguarda la libertà di stampa e d’informazione. Peggio delle peggiori dittature africane o arabe. Attraverso il meccanismo della distribuzione pubblicitaria, quasi interamente dirottata su Mediaset e grazie ai finanziamenti statali, i giornali, soprattutto quelli di partito, hanno creato una rete di “giornalisti dipendenti”, proni alle direttive dei partiti che li pagano o dei padroni di testate che fanno riferimento a questi partiti o ricevono da essi commesse pubblicitarie. Giornalmente, una equipe di cervelli decide quali devono essere le notizie da prima pagina, quale la notizia d’apertura, quali sono i termini da usare per rendere il fatto appetibile o poco credibile, importante o irrilevante. Sulla base della linea giornaliera, per lo più indicata dai giornali al soldo del governo, gli altri si allineano riproducendone l’impostazione, con lievi differenze. E’ ormai passata come cosa abituale la foto giornaliera del premier, a dimensioni diverse, a colori o in bianconero, in abito blu su uno sfondo bianco o azzurro, in primo piano o in compagnia, col sorriso o con lo sguardo truce, a seconda degli eventi del giorno. Tutti i giornali, di maggioranza, di opposizione o quelli che si professano equidistanti, sono schiavi di questo ritratto, reso obbligatorio dal principio semplicissimo che il personaggio è ormai penetrato in ogni angolo e diventato indispensabile nell’immaginario collettivo: pertanto parlarne o diffonderne l’immagine aiuta a vendere.. In tal senso uno dei giornali più recidivi, è Repubblica, (e il suo partner settimanale, “L’Espresso”), la quale spesso pubblica, sul quotidiano o sul magazine tre o quattro foto del premier, cui si associano altrettante foto dei suoi lacchè, chiamali ministri o leccaculo di vario genere. Anche “Il Fatto quotidiano” di Travaglio cade spesso in questa trappola. In televisione, secondo una mia recente ricerca, il 28% dei telegiornali inizia con la parola “Berlusconi”, o, in ogni caso lo cita in secoda o terza notizia: segue una sorta di rassegna degli “uomini di regime” che ricorda, per molti aspetti il Politbureau e i sistemi di comunicazione sovietici. Non c’è proporzione con le immagini dell’opposizione, spesso inesistenti o irrilevanti. Una volta stabilita l’impostazione del notiziario del giorno, lanciato in prima stesura da Canale 5 e dal Giornale, questo viene passato, per lo più attraverso l’Ansa, a tutti i telegiornali, da Sky alla Rai, alla 7, che si allineano pedissequamente alla direttiva di regime. Pertanto il tutto è omogeneizzato in una dimensione monocromatica: stesse notizie, stesse parole, stessi giudizi, spesso nello stesso momento. Ci sono poi tecniche più raffinate, sino a rasentare il ridicolo, che caratterizzano i giornali interamente schiavizzati dai soldi del premier, ma non solo quelli:

1)Lanciare la notizia, possibilmente gossip, come un’esca all’amo. Aspettare che il giornalista, di opinione possibilmente opposta, abbocchi e poi stroncarlo come uno che invece di fare giornalismo serio cerca calunnie per infangare il nemico politico. La vicenda di Noemi, tirata fuori per prima dai giornali del Berlusca, o quella delle orge di Villa Certosa, disegna chiaramente questa strategia del boomerang che non torna ai furbi che lanciano lo strumento, ma a coloro che lo raccolgono per rilanciarlo, convinti di fare lo scoop.

2)Ribaltare la notizia, rivoltarla nel suo opposto, specie se essa è scarsamente credibile. “Libero” del 16-6 ce ne da un esempio: Berlusconi va alla corte di Obama, dopo avere ricevuto alla propria corte, con incredibili buffonate, Gheddafi. Obama non lo caca se non per quel che si può fare con un alleato ininfluente e da sempre asservito alle direttive americane. Il giornale del “duce”, Libero, spara un titolone in prima pagina: “Obama a Silvio: Aiutami”. Grandi risate: il capo della nazione più grande e più ricca del mondo chiede aiuto al guitto di una nazione che ha il debito pubblico più alto del mondo!!!! Eppure, chi ha studiato questo titolo ha cercato di trasmettere l’immagine del ragazzino Obama davanti allo scafato e saggio Berlusconi che dispensa consigli, gli fa il piacere (vedi che sforzo!!!) di mettere in prigione in Italia tre criminali del campo di concentramento americano di Guantanamo e gli mette a disposizione, come già deciso mesi fa, altri ottocento baldi soldati per rialzare le sorti languenti della guerra americana contro i talebani dell’ Afghanistan. “Silvio, Aiutami”. Figurarsi!!! Si può arrivare a questo grado di cialtroneria? Sì, e si può andare ancora oltre: si noti: per gli americani, dire, quando si incontra una qualsiasi persona conoscente la frase “Nice to see you, my friend” è un’abituale frase di saluto: i giornali schiavi hanno voluto far credere che Obama avesse detto a Berlusconi “E’ bello vederti amico mio”, come se fosse una spontanea dichiarazione d’amicizia, una sorta di “M’illumino d’immenso” davanti alla faccia splendente del Silvio internazionale. A proposito, anche quella di usare il nome, anziché il cognome o il titolo, è una tecnica per rendere più vicino il soggetto, per farlo sentire di casa: anche Repubblica, a “Silvio” dedica spesso esortazioni e comprensioni per le sue gaffe o per i commenti dei suoi cortigiani.

3) Tecnica del panino: inventata dal fedelissimo berlusconiano Mimun, ripristinata dal fedelissimo Minzolin, consiste nel dire l’opinione del governo, nel far seguire una critica, spesso “potata” e inconsistente dell’opposizione, e nel far seguire ancora la controreplica dei portavoce governativi: in tal senso i più gettonati e i peggiori sono nell’ordine Gasparri, Cicchitto , Bonaiuti e Capezzone; seguono, a distanza, Tremonti, La Russa, Maroni, Bossi, Calderoli, Bricolo e Quagliarella. Molto spesso i devotissimi della RAI, dopo una dichiarazione di qualche politico d’opposizione, si premurano di avvisare gli interessati della maggioranza per avere la controreplica e annullare subito il senso di qualche intervento timidamente polemico.

4) tecnica della mistificazione: basta accompagnare l’informazione taroccata con espressioni o finte cifre per renderla più credibile: per esempio “Ci siamo adeguati alla normativa europea…”, che non esiste, ma non importa, basta inventarsela; oppure “Secondo un sondaggio diffuso da….(segue il nome della società cui è stato commissionato sia il sondaggio, sia il risultato da esibire) ; oppure “secondo voci di corridoio…” “pare che….” : una volta trasmesso l’input, ritirare la mano non è più possibile: il lancio della notizia falsa ottiene sempre risultati maggiori di quanto non ne ottenga una successiva smentita o rettifica. In pratica il pubblicitario “tipico dei finlandesi…” per dire che i finlandesi hanno tutti denti perfetti, non è stato confermato da alcuna seria ricerca, ma è dato come un’affermazione acquisita universalmente.

5) tecnica del complotto: D’Alema, che ha parlato di un indebolimento dell’immagine del premier dopo le europee, Napolitano, presidente comunista, Bersani che ogni tanto si concede qualche blanda critica, si sono visti accusare di un complotto ordito, nientemeno che per destabilizzare il governo e sostituire il suo capo, che invece resta impavido in sella “tetragono ai cimenti e al fato avverso”. Artefici del complotto diventano, a turno, i giornalisti, i magistrati, i partiti d’opposizione, i mafiosi, gli industriali o non meglio identificati “poteri forti” che vogliono sbarazzarsi con l’inganno di chi invece merita solo rispetto e devozione ed è stato eletto dal popolo che lo ama. Appartiene anche a questa categoria la “tecnica del mandante occulto”, che non esiste, ma cui si da esistenza nell’immaginario collettivo, in modo da potere individuare in un referente misterioso il colpevole. Persone dignitose, come Scalfari, De Benedetti, Draghi, si sono a turno viste associare a questo ruolo. Che il complotto per liquidare la democrazia sia da tempo in atto è vero, ma a farlo non è D’Alema, il quale, tuttalpiù o è complice o non si è ancora reso conto che l’acquiescenza porta ogni giorno alla perdita di un pezzo di libertà. A farlo è proprio la cricca che gironzola attorno al neoduce, dalla mafia, alla P2, ai cosiddetti “padroni del vapore”, che, nonostante la crisi, non vogliono perdere nessuno dei privilegi goduti.

6) l’aggressione dell’avversario con il ribaltamento, su di lui dell’eventuale accusa infamante: il povero Di Pietro è stato, sin dai tempi di Tangentopoli, vittima di campagne di campagne di diffamazione studiate a tavolino, di false immagini che lo hanno presentato come pervertito, ladro, corrotto, arricchitosi indebitamente con i soldi del partito. Idem dicasi della Veronica, che dopo il suo atto di coraggio e la sua denuncia si è vista aggredire da infami calunnie, accreditare pretesi amanti ed è stata sbattuta, sempre sui giornali del padrone, con le tette al vento. Per non parlare della povera D’Addario, che, da puttana alla corte del gran Sultano è stata trasformata in invidiosa bugiarda prezzolata. O del povero Boffo, costretto alle dimissioni dall’Avvenire per una nota informativa successivamente dichiarata falsa dallo stesso killer Feltri che l’aveva tirata fuori. In pratica quello che tu dici a me lo rigetto su di te: vince chi ha più strumenti e giornali per far passare la propria posizione.

7) E’ il principio di Goebbels: “Una bugia detta mille volte diventa una verità”. Così sin dai tempi di Nerone, che incolpò i cristiani dell’incendio di Roma, per arrivare al caso di Telecom Serbia, il piano studiato a tavolino, con un falso testimone che avrebbe dovuto testimoniare che Prodi era un corrotto anche lui: addirittura sul caso Mitriomtikin si fece anche una commissione parlamentare che, grazie all’onesta di alcuni suoi componenti, non accertò nulla. Ma si pensi anche ai complotti dei magistrati “comunisti” che volevano e vogliono, a comando e a qualsiasi costo criminalizzare il premier verginello e innocente. Da Telecinco a Mills. Oppure ai giudici carogna di Mani Pulite che hanno causato il suicidio di tanti poveri innocenti, o l’esilio del nobile socialista Craxi. In altri termini il revisionismo storico si lega al principio della storia è scritta dai vincitori.

8) Tecnica dell’antipolitica: Berlusconi è uno cui si può perdonare tutto, perché non è un politico di professione, ma un imprenditore prestato alla politica. Grasse e grosse risate ci siamo fatti quando Obama è stato eletto presidente: Silvio, secondo il solito “Libero”, è l’ Obama italiano, , l’uomo nuovo che sa conquistare la gente. Non conosce il linguaggio e i trucchi della politica e perciò spesso si lascia andare a gaffe e a minchiate che, a seconda delle reazioni, vengono smentite subito dopo. Ma anche questa è una tecnica: lanciare la pietra e ritirare la mano.Per questo bisogna avere comprensione nei suoi riguardi: Tutta la fila dei suoi devotissimi, pronti sempre a dire “Il capo ha sempre ragione” si è astenuta dal fare commenti quando il padrone, in un raro accesso di sincerità ha sussurrato: “Certe volte quello che faccio mi fa schifo”. In questo caso “il capo è sincero”.

9) Tecnica del vittimismo: Si comincia sin dal primo giorno dell’elezione: “E adesso lasciamolo lavorare”. L’opposizione viene vista come un fastidioso disturbo che ostacola le giuste manovre del premier. Addirittura può diventare “eversiva” se si permette di dire che è ora di cambiare uomini e politica. Invece il Silvio passa per uno nei cui confronti si ordiscono complotti, si fabbricano false prove, si truccano i risultati elettorali, si inventano episodi inesistenti, insomma gli si appioppa tutto il male del mondo, mentre lui meriterebbe di essere santificato. Le veline al Parlamento europeo? Niente vero. I voli di stato carichi di puttanelle? Ma quando mai!!! Noemi che passa tre giorni nella sua villa? Calunnie. Veronica che si decide finalmente a chiedere il divorzio? E’ una poveraccia imbeccata dall’opposizione, ma la pagherà. Le orde dei comunisti si mobilitano in ogni parte della nazione per diffondere il male e l’odio, ma per fortuna c’è il partito dell’amore che trionfa.

10) Tecnica dell’apoteosi: Quella della santificazione è una strategia conforme a quelle che usavano e usano i regimi totalitari: il premier visto come colui che non dorme, ma riposa, con la finestra illuminata di notte, che sfibra le sue stanche ossa per servire il paese, che sa quando intervenire, che risolve con la bacchetta magica i problemi della monnezza napoletana o quelli del post-terremoto abruzzese, che siede tra i grandi accreditando l’immagine di statista di levatura mondiale, quando tutti invece ridono di lui. E giù oscene canzoni, dichiarazioni al limite dell’esaltazione religiosa, il tutto con contorno di pubblicazioni con foto truccate, al cui centro c’è sempre lui, il divino, l’ineffabile, il prescelto dal signore, con la storia commovente di chi si è fatto da sé.

11) tecnica dell’oscuramento: un personaggio esiste finchè esiste in televisione: oscurarne l’immagine è come cancellarlo dal novero delle persone “esistenti”: esempi come quelli di Prodi, Veltroni, Bertinotti, Previti, Luttazzi, Guzzanti, scomparsi o eliminati dai teleschermi, ci danno l’idea di quanto la visibilità d’un personaggio ne confermi l’esistenza e la notorietà. Il suo contrario è dato dalla tecnica della sovraesposizione, in cui quotidianamente bisogna parlare del personaggio, qualsiasi cosa esso combini, sia quella di avere il torcicollo o di acchiappare a volo una mosca.

12) tecnica del particolare come elemento per confermare la tesi di partenza: si tratta di inserire, in un contesto di dati citati a dimostrazione di un assunto, un particolare, spesso casuale, altre volte presunto, per dare un colore più forte alla dimostrazione: se Fini ha ammesso di avere fumato uno spinello, Fini diventa un individuo “sospetto” e non moralmente integro; se tra le persone che organizzano feste di vip c’è implicato un amico di un trafficante di cocaina, la cocaina diventa un elemento da associare all’insieme, anche se non giudiziariamente provato: esiste una verità giudiziaria, spesso calpestata, e una verità di fatto, maturata nell’opinione pubblica attraverso la gestione dei mass media, che finisce col prevalere sull’altra.

13) tecnica del “pompaggio”: si individua tavolino la notizia, per lo più di cronaca, che si vuole gonfiare e verso la quale far convogliare l’attenzione della gente: in genere si tratta di situazioni che coinvolgono gli affetti familiari, come nel caso di Cogne, o dei fratellini Pappalardo, oppure piccole orge tra amici di una tranquilla provincia, come nel caso di Meredith, oppure mostri e serial killers pronti a colpire nell’ombra. Non è il pubblico a mostrare le sue “morbose” curiosità verso un fatto, ma il giornalista che, “pompando” quel fatto lo fa diventare oggetto d’interesse. Spesso tutto ciò serve a distrarre da problemi più gravi dai quali si vuole distogliere l’attenzione. Più sottile e perverso è il rapporto di cronaca con gli stranieri o gli extra-comunitari: se qualcuno di essi è coinvolto in un delitto, se ne trae occasione per montare una campagna di stampa sulla sicurezza e sulla necessità di chiudere le frontiere. Se si tratta di italiani, la cosa finisce col rientrare nella “normalità” della cronaca. Il pompaggio riguarda infiniti altri argomenti, come ad esempio la guerra di cifre dei partecipanti alle manifestazioni, tra quelle della questura e quelle denunciate dagli organizzatori.

Esistono naturalmente altre sottili strategie, con l’uso sapiente delle quali si può fare giornalmente campagna elettorale e procacciare consensi in modo spregiudicato. Gli americani ne hanno studiato tante, ma almeno, tra di essi esistono persone e testate giornalistiche in grado di ritagliarsi una certa indipendenza e di denunciare e mettere in crisi gli intoccabili, a cominciare dal presidente. In Italia questo è ormai un principio irrimediabilmente perduto. Il dilagante “neofascismo morbido” si intrufola negli spazi della democrazia per eroderli giornalmente, lasciando credere che tutto è interno al contesto delle regole democratiche. tratto da http://www.gliitaliani.it/2010/10/tecniche-di-manipolazione-dell%E2%80%99informazione/




lunedì 4 ottobre 2010

economia mondiale nella terza depressione!



L'ANALISI La partita del Dragone Dollaro-Yuan, i pericoli di un braccio di ferro Lo scontro tra le valute annuncia quello, più drammatico, per il passaggio dell' egemonia MARCELLO DE CECCO

L' economista più influente degli ultimi 50 anni non è forse Milton Friedman nè sulla sponda opposta Hyman Minsky, ma un terzo uomo di Chicago meno noto ai non esperti, Eugene Fama, un signore di 72 anni che si è sempre occupato di mercati finanziari. Non solo ha reso celebre la teoria dei mercati efficienti, ma ha nel 1984 dato una base teorica all'arbitraggio tra valute praticato senza copertura a termine.

Sulla base della sua analisi i cambisti e in genere gli investitori internazionali che ricercano profitti immediati si sono lanciati in spericolate avventure "senza rete" dando vita a quel che oggi è noto come "carry trade', il procurarsi fondi a prestito su un mercato dove sono a buon mercato per investirli su una piazza con altra valuta dove rendono di più. La mancanza di necessità di coprirsi a termine, suggerita dall'articolo di Fama, rende possibili operazioni altrimenti non redditizie, per differenziali anche ridotti i rischio che si corre, suggerisce la teoria di Fama, può essere fronteggiato guardando attentamente ad alcuni parametri, e tenendosi pronti a uscire dal mercato in ogni momento.

Questo rappresenta un autentico incubo per le autorità monetarie di tutti i paesi, perché il mercato dei cambi e quelli dei titoli a reddito Esso di tutto il mondo sono soggetti a oscillazioni improvvise e profonde, e sono all'ordine del giorno vere e proprie bolle su alcune valute, alle quali corrispondono movimenti opposti per altre, che sconvolgono non solo la politica monetaria ma anche le decisioni di investimento degli imprenditori e le politiche di bilancio dei governi, che si basano sull'uso del debito pubblico.

Questa premessa è necessaria per capire il senso del grido di dolore del ministro brasiliano Mantega, che ha comunicato al mondo la disperazione di un governo e di un intero paese alle prese con una rivalutazione del 35% della propria moneta sul dollaro (in un anno), con un declino corposo delle esportazioni e un aumento veloce delle importazioni. Il tutto perché il Brasile, al contrario dei paesi sviluppati, è sfuggito, insieme ad altri produttori di materie prime e prodotti agricoli, alle secche della recessione mondiale e continua a segnare aumenti del Pil secondi solo a quelli cinesi. Non può, il ministro Mantega nè alcun altro al suo posto, allentare la politica monetaria. L'inflazione, già parecchio alta, diverrebbe assai maggiore e condurrebbe ad una fine ingloriosa e immeritata l'era del presidente Lula da Silva, autentico padre del Brasile contemporaneo. Il Brasile non produce solo materie prime. Ha sviluppato una potente industria manifatturiera e si spinge nel terziario avanzato. La feroce rivalutazione attuale mette in pericolo la sopravvivenza di entrambi questi settori, che danno lavoro alla parte più istruita e giovane della popolazione. Per colpa, indirettamente, del professor Fama o almeno dei suoi seguaci cambisti e investitori, il Brasile si gioca quindi non solo il suo futuro ma anche gli ultimi dieci anni del suo passato. Lo stesso vale per gli altri paesi che si trovano, per la fortuna o per i propri meriti, in una fase economica non disastrata come quella in cui versa, per le proprie nefandezze finanziarie, ma anche per l'esaurirsi di un modello di sviluppo, il cuore del sistema economico mondiale. Quando il primo ministro cinese, che parla a nome del prossimo paese leader mondiale, asserisce in pubblico che la rivalutazione del 20% del livello dello yuan che si richiede al suo paese da parte dei paesi sviluppati e in particolare da Stati Uniti e Giappone, costituirebbe un disastro senza pari per la Cina, in termini di sviluppo e occupazione, c'è da prenderlo sul serio. I cinesi osservano quel che accade nel mondo con molta attenzione e ricordano bene le conseguenze della svalutazione del dollaro della metà degli anni ottanta sullo yen e sul marco. In questa parte del mondo, lo ricordiamo anche noi, si giunse a parlare di eurosclerosi, quando il cambio del marco tedesco, spinto verso livelli stratosferici dalla svalutazione americana, si portò appresso le altre valute dello Sme, che potevano assai meno sopportare una rivalutazione tanto drastica, e mise in crisi il futuro dell'Europa- Solo il ritorno alla speranza della presidenza Delors, e assai più l'arrivo della riunificazione tedesca, con il lancio della moneta unica che lo seguì per il diktat di Mitterrand (o Euro o niente riunificazione) fece voltar pagina all'Europa, ma non prima che la debolezza del dollaro e la forza del marco avessero indotto la orribile crisi del 1992, che in pratica mise fine all'avventura di sviluppo dell'Italia unita, introducendo nel nostro paese una instabilità che una colpevolmente incapace gestione della introduzione dell'Euro ha trasfonnato in inarrestabile declino.

Quanto al Giappone, la monetizzazione del gigantesco influsso di capitali stranieri, se ridusse la rivalutazione dello Yen, portò alla bolla dei mercati finanziari e immobiliari della fine degli anni ottanta e, dopo il suo scoppio, ad un terribile decennio di stasi, gli anni perduti del Giappone. I cinesi hanno osservato specialmente quel che è accaduto al loro potente vicino di casa. Sanno benissimo di avere, rispetto al Giappone, il vantaggio di non aver perso la guerra né subìto il solo bombardamento atomico della storia e di non aver dovuto firmare una resa e un trattato di pace le cui clausole segrete sono, a quel che si dice, molto pesanti. Sanno di essere soci fondatori dell'Onu, di possedere una sovranità a 360 gradi, e di essere la prossima super potenza mondiale. L' abbiamo già ripetuta tante volte, su queste pagine, questa litania di caratteristiche della nuova Cina, ma siamo costretti a ripeterci, perché questa realtà sembra sfuggire sia ai giapponesi che agli americani. I primi, in una serie recente di episodi, sono usciti a ossa rotte dal confronto di potenza con il gigante vicino di casa. Quanto agli Stati Uniti, ricorrono una volta ancora al gioco delle parti tra Congresso e Presidenza, votando una legge protezionistica che scatenerà la furia cinese e risposte che, in puro stile confuciano, saranno pesanti ma sottili e perfide e, in particolare, protratte nel tempo. Sembra, purtroppo, di vedere il ritorno della situazione monetaria internazionale degli anni venti, quando il testimone della egemonia monetaria mondiale stava passando: da una Inghilterra in pesante declino, che aveva ceduto agli Usa tutti i suoi investimenti americani per pagare le spese della prima guerra mondiale, e si trovava con un cambio sopravvalutato e le casse vuote di riserve, a premere sugli Usa perché facessero salire i propri prezzi interni o il proprio cambio. Mentre l'egemonia la assumevano gli Stati Uniti, che avevano ammassato tutto l'oro di Europa vendendo merci ai belligeranti. Ma, come notava parecchi anni fa Charles Kindleberger, maestro di storia monetaria internazionale, gli Stati Uniti non erano pronti a portare il fardello dell'egemonia monetaria con la necessaria lungimiranza. E non erano nemmeno attrezzati, a farlo, dal punto di vista delle architetture finanziarie. Sarebbero stati in grado di assumere una leadership costruttiva solo dopo avere ulteriormente acquistato potere ed esperienza come vincitori, insieme all'Unione Sovietica, della seconda guerra mondiale. Gli accordi di Bretton Woods, il Piano Marshall, l'elaborazione della teoria dell'equilibrio del terrore, furono il risultato della nuova capacità americana di gestire il proprio enorme potere. Ma non avevano di fronte nessuno che li sfidasse, tranne una Unione Sovietica chiusa negli spazi guadagnati con il sacrificio di decine di milioni di russi in guerra e intenta a realizzare in solitudine il suo esperimento di sistema socio economico alternativo al capitalismo. Ora la sfida rassomiglia a quella che posero gli Stati Uniti all'Inghilterra all'alba del novecento, quando la crescita americana aveva tenuto ritmi " cinesi" per quasi trent'anni, portando il paese al primo posto tra le economie mondiali. Ci vollero cinquant'anni, e due guerre mondiali, per conferire agli americani l'egemonia mondiale piena. Speriamo che la confuciana saggezza della quale la dirigenza cinese ha dato ripetuta prova continui ad ispirare le sue decisioni, evitando al mondo aggiustamenti di peso equivalente. Purtroppo, credo che lo sapremo presto, da come i cinesi affronteranno la mancanza di equilibrio dell'egemone in declino (e qui il precedente inglese non fa bene sperare). Speriamo che il drago non decida di risolvere la partita con il Grizzly in campo aperto, perché i vasi di coccio siamo noi, paesi piccoli in balia degli eventi. Speriamo che la dirigenza cinese non si sia occidentalizzata tanto da fare politica per la piazza e la plebe e che mantenga il confuciano distacco che permette decisioni razionali e ispirate al bene comune, anche di fronte al disordinato comportarsi dei leader della maggior democrazia mediatica del mondo.