L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

mercoledì 28 dicembre 2011

2° parte "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi" (alcuni estratti)


Uscito dalla casa dell’idealismo sbattendo la porta a ventiquattro anni, Marx ci ritorna a ventisei per non uscirne mai più. Ma passano solo pochi anni, ed in Europa si diffonde come un incendio inarrestabile l’immagine positivistica del mondo. Tutto ciò che può essere detto, al di fuori della letteratura, deve essere “scientifico”. Marx è un essere umano, non un superuomo nicciano. È dunque comprensibile che egli inserisca il suo progetto, che è un progetto di scienza filosofica in senso hegeliano, in una forma di scienza positivistica pura. E di qui nasce il particolare paradosso di Marx, quello di una scienza filosofica della storia che si veste (o meglio, si traveste) da scienza positivistica della presunta (ed in realtà del tutto inesistente) previsione deterministica del futuro a partire dalle contraddizioni economiche e sociali del presente.

Questo è il paradosso di Marx, storicamente parlando un paradosso felice, perché la ragione principale del successo del marxismo successivo fu proprio la sua menzogna, e cioè la pretesa di previsione deterministica del futuro. Non c’è nulla da stupirsi, perché la ragione principale del successo del cristianesimo primitivo fu parimenti la sua menzogna, e cioè la promessa del prossimo avvento del regno di Dio. Si tratta della stessa natura del paradosso di Cristoforo Colombo, il cui successo (la scoperta dell’America) è derivato direttamente dal suo errore (l’idea di stare andando in Asia).

Si tratta di quello che io chiamo il futurismo marxista, e cioè del fatto che il successo del marxismo viene certificato (erroneamente) a partire dalla sua proiezione rivoluzionaria nel futuro. Questo futurismo, a sua volta, viene costruito sui tre elementi dell’economicismo, dello storicismo e dell’utopismo. Dall’elemento economico viene ricavata la (falsa) teoria del crollo economico del capitalismo. Dall’elemento storico viene ricavata la (falsa) teoria del progresso interminabile ed asintotico fino all’approdo alla razionalità finale. La somma di economicismo e di storicismo si chiama utopismo, e di utopismo il comunismo muore (ed infatti ultimamente di utopismo e morto).

In realtà, e questo non è che il maggiore paradosso di un pensiero fin dall’inizio dialettico, e quindi paradossale (la dialettica è infatti soltanto la forma teorica sviluppata del paradosso, il cui codice genetico è l’unità dei contrari che, unendosi, diventano opposti), Marx non dà luogo ad una sequenza futuristica, ma è al contrario inserito in qualcosa che soggettivamente avrebbe senz’altro rifiutato (ma tutti rifiutano di avere un complesso di Edipo, senza che questo sia un argomento decisivo per la negazione dell’esistenza del complesso di Edipo stesso), e cioè la lunga tradizione della resistenza dell’elemento comunitario e solidale dell’umanità contro l’elemento privatistico e dissolutore.

Che l’individuo concreto Karl Marx (1818-1883) avesse o meno accettato o rifiutato questa auto interpretazione, che dopo la sua morte diventa necessariamente l’interpretazione di altri, è certo un fatto rilevante sul piano biografico e letterario, ma non ha assolutamente nessuna importanza sul piano filosofico generale. La filosofia della storia di Marx può anche manifestarsi superficialmente nella forma dell’ “infuturamento” della filosofia della storia di Hegel, ma personalmente ritengo che questo infuturamento sia un elemento del tutto secondario. L’elemento principale non è l’infuturamento futuristico delle tendenze già presenti nell’oggi borghese-capitalistico, ma è il ricollegamento alla lunga tradizione della conservazione, nei tempi nuovi in cui si vive, della struttura comunitaria e solidale della società.

La comunità dei marxisti è pronta per un simile colossale riorientamento gestaltico? Ma neppure per sogno! Essendo composta in maggioranza di veri e propri “intellettuali di sinistra”, individualisti e futuristi per loro stessa storica natura, tutto questo le sembrerà un’ irritante follia. Il fatto è che, purtroppo, essa non ha più nulla a che fare con il pensiero di Marx, ma unicamente con la cosiddetta “sinistra”, che è una costellazione culturale individualistica e futuristica per sua propria essenza sociologica e politica. Se il problema afferma di essere la soluzione, ogni soluzione diventa impossibile. E questa è esattamente la situazione tragicomica in cui oggi ci troviamo, in cui le comunità presunte “marxiste” sono fra i principali ostacoli per la riscossione senza ipoteche dell’eredità di Marx.

11. La legittimità del comunismo storico novecentesco e le ragioni del suo fallimento

Il principale errore di prospettiva storica e di valutazione metodologica che si può fare a proposito del bilancio del comunismo storico novecentesco veramente esistito (da non confondere con il comunismo onirico-utopico degli intellettuali marxisti, che ragionano sempre come se si trattasse di esaminare i “discostamenti” da un comunismo platonico modernizzato ideale) sta nel chiedergli le “credenziali” di conformità alla lettera ed allo spirito di Marx. Dal momento che i discostamenti dalla lettera di Marx sono enormi, e non avrebbe comunque potuto essere diversamente (il modello originale di Marx è infatti strutturalmente del tutto inapplicabile), ne deriva una inevitabile condanna, che rivela soltanto l’incapacità di ragionamento storico delle “anime belle”, i soggetti culturali più stupidi della intera tormentata storia dell’umanità.

Eppure, il difetto sta nel manico, perché fu Lenin, fondatore unico ed indiscusso del modello teorico-pratico del comunismo storico novecentesco realmente esistito, ad impostare le cose nei termini religiosi della opposizione dicotomica fra Ortodossia e Revisionismo (variante ateo materialistica della vecchia buona eresia). Lenin aveva tutte le buone ragioni di legittimazione ideologica di fronte ai suoi seguaci religiosizzati (non esiste fanatico religioso più grande dell’ateo positivista), per cui sarebbe assurdo ed antistorico criticarlo a posteriori con la pedanteria del professore universitario. Ma resta il fatto che il modello del comunismo nato nel 1917 in Russia, benemerito quanto si vuole (e per me è benemerito almeno come Gesù e Maometto, forse non di più, ma neppure di meno), non deriva per nulla dalla utopia comunista marxiana, peraltro assolutamente inapplicabile, perché fondata sull’ipotesi irrealistica della estinzione dello stato politico attraverso l’autogoverno politico integrale dei consigli dei lavoratori.

In questo modo, vengono richieste “credenziali” teoriche verbose ad un fatto storico che si legittima da solo per la sua stessa benemerita nuda esistenza, sulla base di “discostamenti” da una lettera marxiana del tutto inapplicabile, perché costruita sulla base dell’ipotesi storica (assolutamente non realizzatasi) del passaggio diretto al socialismo sulla base dello sviluppo economico capitalistico nei punti alti della produzione capitalistica stessa. Soltanto una categoria ingenua e dogmatica come quella dei “marxisti” poteva ritenere di poter presentare “credenziali” di giudizio in base ai presunti (ed anzi realissimi) “discostamenti”.

Antonio Gramsci fu uno dei pochi marxisti della sua generazione che comprese subito che nel 1917 Lenin non si era presentato ad un esame universitario di “vero marxismo” di fronte ad una commissione presieduta dal signor Kautsky (in questo caso, sarebbe stato inesorabilmente bocciato), ma aveva autonomamente ripreso lo spirito di anticapitalismo rivoluzionario radicale di Marx lasciandone cadere la lettera. E tuttavia Gramsci, come tutti i marxisti della sua generazione, riteneva in perfetta buona fede che Marx fosse stato il fondatore del marxismo, laddove non è affatto così, in quanto il marxismo inteso come formazione ideologica coerentizzata, fu una creazione esclusiva di Engels e di Kautsky nel ventennio 1875-1895, in cui il modello positivistico domina, incorpora e soffoca i residui elementi filosofici idealistici.

L’interesse storico della rivoluzione russa del 1917 e del successivo comunismo storico novecentesco fino al 1991 non sta quindi assolutamente nella sua maggiore o minore fedeltà o nel suo maggiore o minore discostamento dal pensiero di Marx, che comunque non era mai stato coerentizzato dal suo creatore, e quindi non può servire neppure teoricamente da pietra di paragone. Il suo interesse sta unicamente nel fatto che, per la prima volta nella storia comparata dell’umanità, per la prima volta (lo ripeto) le classi dominate sembrano vincere stabilmente contro le classi dominanti, cosa inaudita e mai successa prima. Di regola, le classi dominate perdono sempre (vorrei ripeterlo: sempre) contro le classi dominanti, che in generale perdono soltanto contro altre classi dominanti più forti (gli esempi sono innumerevoli, dai proprietari romani contro i capi germanici alla nobiltà francese nel 1789 contro la borghesia, eccetera), e questo a causa di una peculiare ed inestirpabile stupidità strategica insita nel codice culturale delle classi dominate.

Domina soltanto chi è in possesso della totalità concettuale della riproduzione dei rapporti sociali. Certo, sono importanti la forza, la violenza organizzata, la tecnologia, i saperi di manipolazione ideologica, il monopolio del simbolismo religioso, eccetera, ma sopra ad ogni altra cosa è importante la proprietà concettuale della totalità dei rapporti sociali. Ora, la specifica stupidità delle classi dominate, dovuta alla loro collocazione subalterna all’interno della divisione sociale del lavoro, per cui le classi dominate dominano soltanto empiricamente il particolare separato dalla totalità riproduttiva, sta nel fatto che le classi dominate soffrono sulla loro pelle lo sfruttamento e la diseguaglianza, ma non possono mai accedere alla comprensione della dinamica della totalità riproduttiva. Ed è per questo che hanno perso sempre, ed alla fine hanno perso persino nell’unica occasione storica in cui avevano stabilmente vinto almeno per alcuni decenni del novecento. Ragione ultima, questa, della demonizzazione del novecento oggi concertata da tutta l’orchestra ideologica delle classi dominanti.

Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anticomunitario.

Abbiamo visto che, di regola, le classi dominate sono destinate a perdere sempre e comunque contro le classi dominanti per la loro inguaribile stupidità strategica, dovuta al “materialismo spontaneo” che nasce dalla loro collocazione subalterna nella divisione classista del lavoro sociale (e questo, in tutti i modi classisti di produzione, nessuno escluso). Le classi dominanti sono in possesso della sintesi “idealistica” della totalità sociale e, sulla base della conoscenza di questa totalità idealistica, possono vincere regolarmente. Il 1917 russo è quindi opera esclusiva dell’unità di direzione strategica del partito comunista di Lenin. Il partito di Lenin rappresenta infatti un esempio unico di classe dominata diretta sulla base di un sapere strategico di classe dominante.

L’eccezionalità storica di questo evento è sbalorditiva. Considero il triste fallimento di questo esperimento di ingegneria sociale sotto cupola geodesica protetta (cupola geodesica protetta definita in termini di “totalitarismo” dai servi ideologici delle classi dominanti capitalistiche) la più grande tragedia storica (sia pure certamente provvisoria e non definitiva, per fortuna) non solo del novecento, ma dell’intera storia dell’umanità. Ci furono certamente eventi immensamente più sanguinosi, ma nessuno dotato di significato storico talmente tragico. Per una sola volta nella loro miserabile storia di oppressione e di dominio le classi dominate avevano vinto contro le classi dominanti (cosa mai avvenuta prima), e questo dominio è durato solo settant’anni, con il rischio di essere stata soltanto una parentesi anomala, anziché l’apertura di un ciclo storico evolutivo.

Le classi dominanti hanno capito immediatamente chi era il nemico principale. Soltanto i “marxisti”, la categoria più stupida del lavoro intellettuale, hanno continuato a giudicare questo fenomeno storico in base al criterio del “discostamento” dalla lettera di Marx. E si sono messi a dire che si trattava di normale capitalismo di stato, di dispotismo asiatico elettrificato, di stato operaio burocraticamente degenerato, eccetera. Tutte cose plausibili, ma che passavano a lato della sconvolgente novità del fenomeno storico. Se il lettore distratto non lo avesse ancora capito, lo ripeto: di regola, le classi dominanti vincono sempre contro le classi dominate; e vincono sempre, perché sono proprietarie private non tanto e non solo delle forze produttive, quanto della totalità concettuale ideale della riproduzione sociale classista: le classi dominate sono invece vittime di una peculiare stupidità strategica, dovuta al loro materialismo spontaneo, che gli inibisce la conoscenza della totalità concettuale riproduttiva ideale (l’Uno di Platone, il Dio del cristianesimo, la Ragione dell’illuminismo, il Modo di Produzione di Marx, eccetera).

Quali sono le cause della rovina di questo meraviglioso e mai abbastanza rimpianto esperimento sociale comunista? In ultima istanza, questo fallimento è dovuto alla evoluzione dialettica distruttiva del suo stesso principio fondatore. Il partito leninista, riproposizione positivistica del pitagorismo antico, per cui la verità non sta nella somma delle opinioni maggioritarie ma in un rimando all’universale (geometrico per Pitagora, storico per Lenin), afferma la sua pianificazione economica socialista sciogliendo tutte le comunità precedenti (si tratta del fatto già correttamente rimproverato da Hegel al pur virtuoso Robespierre), e scomponendo tutte queste comunità in individui singoli ideologizzati “a sinistra”. Ma in questo modo il comunismo non diventa la rigorizzazione egualitaria del principio della comunità, ma diventa un esperimento sociale moralistico su basi individualistiche. Il comunismo collettivistico come coronamento dell’individualismo “atomistico” di sinistra.

E tuttavia, su basi individualistiche, la restaurazione capitalistica diventa tragicamente inevitabile. In una prima generazione, il dispotismo sociale egualitario delle classi dominate, carico degli elementi regressivi di invidia e di rancore verso le classi dominanti appena sconfitte e su cui si vuole bestialmente infierire, afferma il proprio potere in forma necessariamente dispotica e burocratica (senza mediazione burocratica, infatti, le classi dominate non potrebbero affermare il loro potere, perché la loro spontanea stupidità strategica gli impedirebbe di dominare la totalità concettuale della riproduzione, e Stalin ne è l’esponente esemplare, mentre invece Trotzkij rappresenta la coscienza infelice del discostamento palese dalla lettera dell’inapplicabile utopia anarcoide marxiana). In una seconda generazione (Krusciov) le classi burocratiche sorte sul terreno della pittoresca incapacità delle classi dominate di esercitare direttamente e senza intermediari il loro autogoverno politico e la loro autogestione economica (capacità certamente superiore fra i contadini sumeri ed egizi che fra gli operai fordisti della catena di montaggio), rafforzano il loro consumo parassitario sulla società e sull’economia pianificata sempre più stagnante. In un terzo momento, infine (Gorbaciov, Eltsin, dirigenti cinesi attuali, eccetera), le nuove classi medie cresciute all’interno del processo di industrializzazione socialista, piene di odio sia verso l’egualitarismo plebeo dei dominati sia verso il parassitismo burocratico dei quadri di partito, attuano una maestosa controrivoluzione sociale che restaura in forma nuova il potere assoluto delle classi dominanti, e che solo la categoria corrotta ed imbecille degli intellettuali può definire in termini di vittoria della libertà contro il totalitarismo.

Il discorso sarebbe ancora lungo, ma dobbiamo fermarci qui per ragioni di spazio e di opportunità. Io considero l’esperimento benedetto del comunismo storico novecentesco un precedente simbolico inestimabile. Esso ha infatti costituito prima di tutto un precedente. Prima di allora mai le classi dominate avevano vinto, sia pure provvisoriamente, contro le classi dominanti. Ma se è successo una volta, sia pure una sola volta, può succedere ancora. Bisogna però vedere su che nuove basi.

Di Costanzo Preve

Tratto da:

http://www.comunismoecomunita.org/wp-content/uploads/2010/09/Modo-di-produzione-comunitario-corretto.pdf

venerdì 23 dicembre 2011

1° parte "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi" (alcuni estratti)


"l'anima è una realtà spirituale differenziata ed inimitabile, ed in quanto tale letteralmente <<incalcolabile>> perchè non quantificabile"

"Domina soltanto chi è in possesso della totalità concettuale della riproduzione dei rapporti sociali."

1. Il problema. Rimettere sui piedi il problema del comunismo ed il problema della percezione
complessiva del ruolo di Marx nella storia universale del pensiero umano.

Ciò che la “repubblica dei colti” intende oggi per “comunitarismo” è o una corrente della filosofia
universitaria anglosassone imperiale dominante (in sintesi una timida proposta di correzione al
codice ultraindividualistico dominante) oppure un richiamo cristiano alla solidarietà ed alla
attenzione al cosiddetto “Altro”. In entrambi i casi ci si guarda bene dal lasciar pensare che l’idea di comunità possa servire ad una teoria ed ad una pratica di un vero e proprio modo di produzione alternativo al capitalismo. E dal momento che questo, e solo questo, è il vero problema (laddove le correzioni liberali o cattoliche al capitalismo liberale sono meno di nulla, pura retorica impotente e pura aria fritta testimoniale) è evidente, almeno per me che bisogna porre il problema su basi del tutto differenti ed anzi alternative. Questo breve saggio è espressamente rivolto in questa direzione.

Mettendo volutamente tra parentesi l’ennesima discussione filologica sul pensiero di Marx
possiamo partire dal fatto che, al netto dei suoi errori prognostici e diagnostici sul capitalismo e
sulla sua dinamica evolutiva prevedibile, egli ci ha consegnato in eredità due lasciti importanti e
preziosi e cioè una teoria strutturale dei modi di produzione storici e sociali ed una filosofia
umanistica ed universalistica rivolta potenzialmente all’intero genere umano e non solo alla sua
componente storico-geografica occidentale. Questa eredità può essere oggi riscossa soltanto se
vengono eliminate alcune “ipoteche” che ne impediscono la riscossione. Tutte queste “ipoteche” si riducono in ultima istanza ad un’unica carenza di universalismo reale, carenza dovuta alla recezione marxiana di elementi non universalistici e non universalizzabili dell’eredità occidentale stessa. Senza avere qui la pretesa di stilarne un elenco completo, possiamo citare l’accoglimento del codice individualistico dell’illuminismo settecentesco, universalistico nella forma e borghese nel contenuto, l’incomprensione del carattere comunitario del grande idealismo di Hegel , l’inutile
insistenza sull’ateismo come premessa necessaria per il comunismo sociale, il doppio utopismo
risultante dalla fusione dell’escatologia ebraico-cristiana rivolta ad una fine “pacificata” della storia con l’utopia positivistica della amministrazione scientifica” delle cose, l’accoglimento pressoché integrale dell’ideologia borghese del progresso illimitato, la decisività esclusiva dello sviluppo delle forze produttive, la negazione della funzione conoscitiva e veritativa autonoma dell’ideazione propriamente filosofica, eccetera.

Non voglio qui aprire un ennesimo ed asfissiante capitolo sui cosiddetti “errori” di Marx, che poi
non sono propriamente errori, ma momenti inevitabili della ricerca filosofica e scientifica seria. È
perfettamente possibile pensare e sostenere che quelli che io considero “errori” (tutti riconducibili in ultima istanza al trittico economicismo-storicismo-utopismo) non lo siano, e siano anzi affermazioni non solo geniali e fondate, ma addirittura “scientifiche”. Rispetto la marxologia, anche perché me ne sono occupato per più di trenta anni, e rifiutandola dovrei anche rifiutare la mia stessa biografia intellettuale, Ma oggi ormai fermarsi alla marxologia è solo una mezza misura del tutto insufficiente.

Di Marx, personalmente , mi interessa conservare soltanto due cose. Come ho detto prima, ed ora ripeto, di Marx conservo soltanto la teoria strutturale dei modi di produzione storici e sociali (che comprende al suo interno la teoria dell’estorsione capitalistica del plusvalore) e la filosofia
umanistica ed universalistica rivolta potenzialmente all’intero genere umano e non solo alla sua
componente storico-geografica occidentale, il cui statuto però considero di tipo idealistico e non
materialistico (o meglio, materialistico solo in senso metaforico). Si tratta di due elementi, ognuno
dei quali deve essere però elaborato e chiarito.

Per quanto riguarda il primo elemento, e cioè la teoria dei modi di produzione, bisogna subito
chiarire che essa non può dare luogo ad una “scienza” nel senso proprio del termine, ma soltanto ad un sapere sistematico, o se si vuole, ad una “scienza filosofica” nel senso dell’idealismo classico
tedesco (i cui esponenti, lo ripeto, sono Fichte, Hegel e Marx, che non è affatto un materialista, ma è un idealista ateo rivoluzionario munito di una teoria strutturalistica dei modi di produzione) e non certo nel senso della fisica di Galileo o del positivismo ottocentesco. È allora necessario inserirvi una teoria, sia pure ancora approssimativa e non coerentizzata, del modo di produzione comunitario. Il fatto che Marx non ne abbia mai parlato concerne la filologia marxiana, non la teoria dei modi di produzione in quanto tali. Marx non li ha certamente “esauriti” tutti. E tuttavia, o cominciamo a parlare di modo di produzione comunitario in senso proprio, oppure il cosiddetto “comunitarismo” dovrà necessariamente ripiombare nel localismo, nel provincialismo, nella correzione universitaria complementare ed integrativa agli eccessi dell’anomia individualistica, ed infine nella perenne invocazione cristiana ed ecumenica a tenere conto anche dell’ “altro”, del diverso, del povero, eccetera, come se il pur onesto Levinas potesse sostituire il ben più consistente Marx.

Per quanto riguarda il secondo elemento, e cioè la filosofia umanistica ed universalistica rivolta
potenzialmente all’intero genere umano e non solo alla sua componente storico-geografica
occidentale, l’eredità marxiana non potrà essere riscossa senza liberarla dei suoi elementi futuristici, che a sua volta non sono che l’estrema propaggine del “cattivo infinito” della ideologia borghese del progresso. Da un punto di vista filologico, è indubbio che in un certo senso Marx “infutura” (o “futurizza”) la filosofia della storia di Hegel, prolungandone il decorso temporale che Hegel aveva deciso di arrestare ad un momento “borghese” idealizzato (borghese-comunitario, tuttavia, non certo borghese-individualistico). E tuttavia questo infuturamento comunista della filosofia della storia borghese di Hegel, dovuto in gran parte all’elaborazione dialettica della coscienza infelice borghese stessa, non è l’aspetto principale della questione. E l’aspetto principale della questione è di tipo percettivo, e sta nell’inserimento della totalità espressiva del pensiero idealistico di Marx (come si noterà, idealistico senza virgolette) all’interno di una sorta di “catena metafisica alternativa” a quella consueta.

La catena metafisica consueta in cui è genericamente inserito il pensiero di Marx è quella del
coronamento della modernità illuministica e dell’infuturamento della filosofia occidentale della
storia. Ma chi si mette su questa strada (la strada di un secolo e mezzo di marxismo maggioritario, ed anzi ultramaggioritario) firma la propria condanna a morte. Sul piano dell’infuturamento utopistico il capitalismo è imbattibile ed assorbirà sempre gradatamente i suoi ridicoli avversari.
Occorre invece rivolgersi ad una catena metafisica alternativa, quella del collegamento e del
reinserimento di Marx in una tradizione millenaria di tipo tradizionale (tradizionale, non
tradizionalistico o conservatore), quella della resistenza della comunità solidale umana contro
l’insorgenza del privatismo dissolutore.

Marx pensatore tradizionale, quindi? E perché no! Marx pensatore del modo di produzione
comunitario (di cui il comunismo è soltanto la variante utopico-avanguardistica, frutto di una
russoviana “furia del dileguare” sulla base di un mito sociologico proletario frutto di una illusione
storica errata), e Marx momento di una lunghissima tradizione comunitaria, che parte dai
presocratici, passa per Aristotele e culmina in Fitche ed in Hegel.

Si tratta, ovviamente, di una proposta di riorientamento gestaltico radicale che non è rivolta ai
comunitaristi liberali anglosassoni (che si tengono saldamente sul terreno di un capitalismo liberale “addolcito” dai richiami comunitari), ai cattolici umanisti (che per comunitarismo intendono soltanto l’invito all’attenzione al “volto” dell’altro), alla sinistra occidentale (che incarna il grado estremo dell’individualismo anomico, scambiato kafkianamente per comunismo) ed a quanto resta della comunità marxista ortodossa e/o eretica, fortificatasi nel Castello del Dogma, in cui l’ateismo si contrappone alla religione e il materialismo si contrappone all’idealismo, eccetera.

Ma tutti costoro bisogna cortesemente lasciarli stare. Bisogna pensare con la propria testa, e
sviluppare logicamente il proprio ragionamento. Ed è quello che farò nei prossimi capitoli.

di Costanzo Preve
tratto da
http://www.comunismoecomunita.org/wp-content/uploads/2010/09/Modo-di-produzione-comunitario-corretto.pdf

mercoledì 21 dicembre 2011

Inghilterra, il capitale mercantilistico batte un colpo


... e di oggi la notizia che venti aziende mercantilistische inglesi, ieri sul Telegraph, scrivono pubblicamente al premier britannico Cameron, chiedendogli che ci sono interessi inglesi nel Mercato Comune Europeo, li c'è un mercato che assorbe una buona parte, almeno il 50%, delle merci prodotte dai tre milioni di occupati inglesi, che bisogna ampliarlo anzi riformarlo i servizi, le telecomunicazioni, il digitale e l'energie. ...

Che cosa vuol dire quest'appello da parte del capitalismo mercantilistico inglese? E' la conferma che il processo di desertificazione produttive di intere zone europee e di centralizzazione di capitali europei volute dal capitalismo finanziario tedesco e anglo-americano (la finanza della City e Wall Street) si scontra con interessi concreti del capitalismo mercantilistico di tutti i paesi europei e quindi anche inglese, ma questi capitalistici invece di pretendere, insieme alle masse dei popoli che subiscono le politiche recessive di lacrime e sangue, e che assolutamente non ambiscono alla disoccupazione, alla mancanza di diritti e alla riduzione del welfare, belano incerte e paurose che bisogna mantenere il Mercato Comune Europeo in quanto li si vende e si scambiano merci e che potrebbe essere ampliato e rinforzato.

Il capitalismo mercantilistico europeo, in questo momento ha gli stessi interessi dei dominati e allora insieme chiediamo alle forze politiche che cominciamo ad equiparare, almeno sulle tasse, il capitale finanziario al capitale mercantilistico e il mondo del lavoro. Tassiamo le transazioni finanziarie dimostriamo che abbiamo coraggio e non abbiamo paura a crearci le nostre allenze per obiettivi determinati. Se L'Euro implode quelli che subiranno di più le conseguenze saremo noi dominati e nè vorremo farne a meno con tutti i sacrifici che fin'ora siamo stati costretti a fare. I politici poi hanno concordato in tutta Europa di raccontare la identica favola: quella dei due tempi, prima i sacrifici e poi la ... crescita... bugiardi e falsi non ci facciamo prendere in giro da voi.

il 10 dicembre scrivevamo, dopo il vertice europeo del'8/9 dicembre: "La Bce continua a non essere prestatore di ultima istanza, ma ha avuto il "compito" di dare liquidità al sistema interbancario europeo, gli altri tre tentativi precedenti non hanno avuto granchè un minimo di riscontro, nonostante l'intervento delle Banche Centrali del capitalismo occidentale (Fed, Bce, B.C. Svizzera, B.C. Giapponese, B.C. Inglese, B.C. Canadese).
Il compito è di dare soldi alle Banche europee in quantità illimitata, a tasso fisso, con scadenza tre anni in cambio le Banche europee possono dare titoli anche poco garantiti. Nello stesso tempo la riserva obbligatoria di garanzia, sui soldi depositati, scende pericolosamente all'1%.
Anche su questo tentativo il tempo ci dirà se è servito o sarà il quarto buco nell'acqua.
Una cosa è certa, queste condizioni così favorevoli, i clienti delle banche non le riceveranno mai".

Bene l'asta si è tenuta questa mattina e il sistema bancario europeo, 523 banche, hanno chiesto la cifra di 489 miliardi dando come garanzia anche propri titoli, come hanno fatto le banche italiane perchè garantita dal governo Monti, una clausola che è stata ideata al vertice europeo dell'8/9 dicembre e che il governo Monti subito ha approvato appunto per dare un aiutino al sistema bancario italiano, vedremo nei prossimi giorni se questa quantità enorme di denaro immesso dalla Bce alle banche europee servirà a diminuire la non fiducia del sitema interbancario europeo e se questi soldi serviranno a scongiurare la stretta creditizia che circola in europa.

Un commento non posso negarmelo. Da una parte si assiste ai governi europei che fanno manovre di macelleria sociale e di classe e dall'altra la Bce che "regala" soldi alle banche, questo meccanismo non può convincere. Togliere ai poveri e dare ai ricchi.
Noi vorremmo che la Bce diventi prestatore di ultima istanza e si assuma anche l'onere e il compito di essere prestatore di prima istanza nella creazione di lavoro.

Un ultimo commento per il governo Monti. Non ci piace l'ennesima macelleria sociale di classe, ma ancor di meno non ci piace quei velati tentativi di far ripartire l'economia regalando ancora una volta alle aziende private benefici e sconti.
Siamo convinti che la crescita non la faranno le aziende private ma serve: " Si deve puntare a coordinare la politica fiscale e la politica monetaria europea al fine di predisporre un piano di sviluppo finalizzato alla piena occupazione e al riequilibrio territoriale non solo delle capacità di spesa, ma anche delle capacità produttive in Europa. Il piano deve seguire una logica diversa da quella, spesso inefficiente e assistenziale, che ha governato i fondi europei di sviluppo. Esso deve fondarsi in primo luogo sulla produzione pubblica di beni collettivi, dal finanziamento delle infrastrutture pubbliche di ricerca per contrastare i monopoli della proprietà intellettuale, alla salvaguardia dell’ambiente, alla pianificazione del territorio, alla mobilità sostenibile, alla cura delle persone. Sono beni, questi, che inesorabilmente generano fallimenti del mercato, sfuggono alla logica ristretta della impresa capitalistica privata, ma al contempo risultano indispensabili per lo sviluppo delle forze produttive, per l’equità sociale, per il progresso civile (lettera degli economisti del 14 giugno 2010).

Se non riusciamo a coinvolgere l'Europa, la crescita in Italia deve avvenire predisponendo un Piano di sviluppo per la produzione pubblica di beni collettivi (anche John Maynard Keynes).

martelun@libero.it

sabato 17 dicembre 2011

Europa, il capitale finanziario anglo-americano e quello tedesco


La zona euro nasce ed è tenuta insieme dalla moneta unica. A questa moneta unica manca la Banca Centrale che agisce come prestatore di ultima istanza, manca una politica fiscale integrata, non vi è una istituzione politica parlamentare e una politica che dia direzione e marcia.

Il sistema capitalistico finanziario americano e non solo, per mantenere ed aumentare i profitti ha prodotto titoli finanziari spazzatura. Nel tempo la bolla che ha creato è scoppiata prima con i mutui subprime e poi con gli altri titoli tossici, 2007/08. Il pubblico, gli Stati, sono intervenuti per salvare le banche, il privato. Una volta che l’operazione è riuscita il sistema capitalistico finanziario, non essendosi sostanzialmente, create nessuna regola per essere regolamentato, ha continuato a fare il suo lavoro, cercando profitti.

Il terreno di caccia è stata la zona euro per le sue contraddizioni strutturali. La Germania, l’Olanda, la Finlandia, l’Austria e il Lussemburgo hanno contenuto i salari in rapporto alla produttività per essere più competitivi nel resto della zona euro e vendere più merci alla Grecia, all’Irlanda, al Portogallo, all’Italia, alla Spagna, alla Francia, a Cipro, al Belgio. I primi hanno dei sistematici avanzi di bilancio e i secondi disavanzi, debiti. Stessa moneta due zone contrapposte e qui che il capitale finanziario soprattutto anglo-americano ha deciso di giocare la sua partita, innescando meccanismi sempre più perversi verso la deflagrazione della zona euro. Aiutato in questo dal capitale finanziario tedesco, che spinge deliberatamente a risolvere la situazione con politiche recessive che rendono la crescita impossibile per gli Stati che hanno intrapreso tali politiche e si ritrovano in una continua rincorsa, verso il baratro, Grecia insegna, che finirà solo quando o l’euro imploderà o qualche stato deliberatamente deciderà di uscire da questa mattanza.

In questo modo in Europa si è accelerato il processo di smantellamento dello stato sociale, si è precarizzato il lavoro, si sta ristrutturando e si sta centralizzando il capitale. Una volta finita la guerra il capitale potrà ricominciare il ciclo di accumulazione, “nell’assecondare questi interessi non soltanto si agisce contro i lavoratori, ma si creano anche i presupposti per una incontrollata centralizzazione dei capitali, per una desertificazione produttiva del Mezzogiorno e di intere macroregioni europee, per processi migratori sempre più difficili da gestire, e in ultima istanza per una gigantesca deflazione da debiti, paragonabile a quella degli anni Trenta” (lettera degli economisti, 14 giugno 2010)

Questi non sono percorsi lineari e netti. In Germania il capitale mercantilistico, quello cha fa i soldi sulla produzione e vendita delle merci, tenta, per il momento inutilmente, di far capire al capitale finanziario che i profitti ci sono perché esiste il mercato e la moneta unica che favorisce la circolazione delle merci. La crescita c’è perché si vendono merci e i conti della Germania sono in linea, anche se non perfettamente in quanto il debito è l’85% del Pil, proprio grazie a queste vendite, il bilancio dello stato è tenuto sotto controllo e non si hanno bisogno, nell’ottica neo-liberista di fare manovre recessive e ripetere quindi le macroscopiche politiche recessive e depressive che si stanno imponendo a tutta la zona euro, Lotta impari, il capitale finanziario tedesco alleato con quello anglo-americano conduce tutti alla morte, sapendo che quelli che sopravviveranno ristrutturati e ri-nati potranno ri-iniziare il nuovo ciclo di accumulazione. E se tutto questo trasforma ed annichilisce le prospettive di vita di milioni di persone e di intere generazioni non importa. Se qualcuno si vuole domandare da dove nasce la rabbia, questa nasce non dall’invidia ma dall’amore per la giustizia e per l’equità è da queste cose che si deve partire, dalla disoccupazione che aumenta, dal lavoro che viene precariezzato, da un minimo di benessere che viene tolto con crudeltà e non perché sia l’unica scelta ma perché una parte del capitale quello finanziario vuole profitti subito e sempre, non curandosi delle macerie che lascia.

Il processo non è lineare perché al capitale finanziario anglo-americano si contrappone, malamente, le istituzioni degli Stati Uniti. Il governo, Obama con il suo ministro del Tesoro Timothy Geithner, la Fed, le banche centrali della Svizzera, Canada, Giappone, Inglese la stessa Bce con tutte le sue limitazioni statutarie, che rispondono alla diversa tipologia di mandato che non è la creazione di profitti ma quello di governare il paese con meno traumi possibili, per le istituzioni politiche, per quelle monetarie è impedire che il sistema capitalistico finanziario vada troppo avanti sul ciglio del burrone rischiando di caderci portando all’implosione del sistema capitalistico monetario internazionale con tutte le conseguenze sociali e drammatiche che ognuno di noi può rappresentare nella propria mente. Malamente, perché, una delle prime cose da fare sarebbe la tassazione sulle transazioni finanziarie; procedere allo smantellamento e rimpicciolimento delle istituzioni capitalistiche finanziarie “troppo-grandi-per-fallire”; portare alla luce il sistema capitalistico finanziario, bancario e non bancario sommerso, hedge funds e private equità firms; separare le attività bancarie di investimento a rischio da quelle delle altre operazioni bancarie, precisamente quelle commerciali; eliminazione dei paradisi fiscali; porre un freno ai bonus e ad altri piani remunerativi del settore finanziario irresponsabili ed eccessivi; regolamentare le agenzie di rating che funzionano come avanguardie dei futuri investimenti speculativi del capitale anglo-americano. Di queste cose tutti possono costatare che non se ne è fatta una e quindi anche quelle istituzioni che a parole si dichiarano preoccupate per l’andamento dell’economia mondiale nei fatti non riescono ad avanzare nessuna azione concreta per uscire fuori dal tunnel.

Cosa dire, ormai si legge dappertutto analisi e rappresentazioni diverse della realtà economica e politica che stiamo vivendo, ognuno pensa che la propria interpretazione sia quella esatta, anche noi abbiamo la presunzione di leggere e analizzare la realtà e nel tempo abbiamo sempre di più sviluppato delle posizioni precise e nette tra cui la sintesi che precede è, a parer nostro, lo stato dell’arte e da cui non ci spostiamo, almeno che i dati che via via riscontriamo non inficiano la nostra visione. Dati certi sono quelli che la politica recessiva e depressiva che gli europei stanno attuando sta portando i risultati dovuti. L’Italia in recessione, per il 2012, a -0,4% la Germania una crescita +0,7%. Con queste previsioni auguri a tutti.

martelun@libero.it

sabato 10 dicembre 2011

... ma sostanzialmente tutto è rimasto invariato. Perchè il mainstream dei mass media starnazza giulivo?!?!


L'Europa con questo vertice ha ottenuto tempo e guadagnato qualche posizione verso la giusta direzione, ma sostanzialmente tutto è rimasto invariato.

Il Patto di Stabilità non è l'armonizzazione ed integrazione delle politiche fiscali, quindi la grande differenza tra produttività e capacità di crescita, tra i vari paesi europei, rimane inalterata.
Anzi, è una conferma della politica neo-liberista che va verso la obligatorietà di politiche recessive che impediscono la crescita, e gli Stati che non fanno questo saranno anche sanzionati automaticamente con multe economiche (?!?!)-(cornuti e mazziati).
La politica della macelleria sociale e di classe, porterà alla non crescita che inciderà sulla maggiore disoccupazione e sull'aumento del debito pubblico perchè diminuiscono le entrate fiscali.
Il Debito Pubblico, che è il rapporto tra la spesa e la crescita, in questa maniera invece di diminuire, nel tempo si accrescerà e loro i mass media esultano, due sono le cose o sono cretini loro o siamo cretini noi, non ci sono vie di mezzo.
Già siamo in piena recessione e nel 2012 si prevede una decrescita fino a -0,4%.
Non si vedono interventi per la crescita, anzi è materia non trattata, la parola serve soltanto per riempire la bocca.

La Bce continua a non essere prestatore di ultima istanza, ma ha avuto il "compito" di dare liquidità al sistema interbancario europeo, gli altri tre tentativi precedenti non hanno avuto granchè un minimo di riscontro, nonostante l'intervento delle Banche Centrali del capitalismo occidentale (Fed, Bce, B.C. Svizzera, B.C. Giapponese, B.C. Inglese, B.C. Canadese).
Il compito è di dare soldi alle Banche europee in quantità illimitata, a tasso fisso, con scadenza tre anni in cambio le Banche europee possono dare titoli anche poco garantiti. Nello stesso tempo la riserva obbligatoria di garanzia, sui soldi depositati, scende pericolosamente all'1%.
Anche su questo tentativo il tempo ci dirà se è servito o sarà il quarto buco nell'acqua.
Una cosa è certa, queste condizioni così favorevoli, i clienti delle banche non le riceveranno mai.

La creazione degli Eurobond è stata congelata e se ne riparlerà a Marzo del 2012.

La tassazione sulle transazioni finanziarie, di cui a parole la Germania e la Francia sono a favore ed ha trovato anche la convinzione dell'Italia attraverso le parole del Presidente del Consiglio Mario Monti, pronuciate pubblicamente il 4 dicembre 2012, in cui fra il capitalismo dell'economia reale e il capitalismo dell'economia finanziaria vi deve essere un maggiore equilibrio per cui è bene che ci sia questa tassazione, non c'è nemmeno una parola in nessuna dichiarazione ufficiale nè in nessuna indiscrezione, forse si è persa nei meandri di Bruxelles.

Quindi non ci convincono nè i titoloni sui giornali dove si mischia il patto di stabilità con un sistema finanziario integrato nè i falsi sorrisi tripudiati in televisione da chiunque parli del vertice europeo.
Falsi e bugiardi.

martelun@libero.it

sabato 3 dicembre 2011

Euro, fallimento entro Natale



Quanti dilemmi, quante paure, quanti input è il momento, non è il momento di un altro post?
Poi da solo il nodo si scioglie, si è ora, adesso subito.

Invertiamo, cominciamo dal nostro governo Monti e poi saliremo verso il mercato capitalistico finanziario occidentale.

Non riuscivamo a capire, convinti che il neo-liberista avrebbe applicato la ricetta dei neo-liberisti, eravamo storditi dal cambio repentino fatto con il governo Tremonti-Berlusconi, nel paese ci sono state diverse disposizioni d'animo che si sono accavallate, hanno viaggiato parallelamente, alcuni aspetti hanno predominato per qualche momento per poi essere superati da altri. Ma oggi si comincia a delineare un profilo politico-istituzionale ben preciso.

Il governo Monti applicherà la ricetta neo-liberista che produce recessione e che è pagata dalle classi dei dominati.

Rigore, equità e crescita sono parole vuote in cui continuerà ad esserci sacrifici per chi già dagli anni'70 sta pagando e che negli ultimi quindici anni è spinto sempre di più verso l'emarginazione e la precarizzazione, togliendo welfare e i pochi diritti rimasti.
Questo governo non è capace di invertire la tendenza, non è capace di prendere in mano il paese e dargli una prospettiva di lungo respiro, di ridarci l'anima.
Certo è chiedere troppo al governo Monti di prendere 10 miliardi di euro e investirli nelle forze di polizia e nella magistratura per combattere le mafie: cosa nostra, 'ndrangheta e camorra.
Vorremmo, sommessamente ricordargli che non ci può essere crescita con le mafie dentro casa.
Prendere 10 miliardi e investirli per combattere l'evasione fiscale di 120 miliardi annui, si presume che sia un investimento che in breve tempo sia capace di un ritorno consistente.
Annullare per decreto tutti gli appalti della Pubblica Amministrazione, ormai si è capito che il 99% sono truccati e producono corruzione a go-go, parrebbe 60 miliardi ogni anno. Gli appalti in Italia hanno un costo eccessivo, tre quattro volte i prezzi di mercato. Perchè?
Non ci può essere crescita con una macchina statale che brucia miliardi, con sprechi ad ogni livello, nazionale, regionale e comunale per non parlare delle province che potrebbero essere totalmente abolite. Su via governo Monti, professore Bocconiano facciamo un piccolo sforzo.
Vedrai che la maggioranza assoluta del Paese, se veramente la manovra economica fosse diretta verso questa direzione, farebbe corpo unico insieme a te e allora se ne potrebbe vedere delle belle.
Nella Pubblica Amministrazione ci sono sprechi enormi dati da enti inutili, da consulenze facili, da appalti agli amici degli amici. Siamo in tempi straordinari e bisogna adottare soluzioni straordinarie.
Investiamo, nelle strutture scolastiche, investiamo sulla qualità dell'insegnamento, non lasciamo i nostri giovani da soli, ridiamo loro il presente e il futuro a tutti e non solo a quelli che frequentano l'Università Bocconi e allora si che possiamo dire che stiamo lavorando per la crescita dell'Italia.

Europa. E' chiaro che il capitale dominante in Germania vuole profitti e subito e la battaglia che sta facendo contro il capitale tedesco più lungimirante che tenta di far capire al primo che si è esportato e hanno fatto profitti grazie all'euro e ai paesi periferici europei che hanno comprato in massa le loro merci rimane perdente nei confronti dei primi.
Quindi non ci aspettiamo che il governo di Merkel inverta la rotta e crei gli eurobond e faccia la Bce garante di ultima istanza ne che si possa tassare le transazioni finanziarie, sono chimere scritte nel libro dei sogni.
Il capitale dominante in Germania è quello che si riconosce nel libero mercato capitalistico finanziario, in cui il neo-liberismo ha sempre con fiducia cieca riconosciuto la capacità di autogovernarsi, tant'è, che la sua capacità di autogovernarsi ci ha portato alla più grande crisi economica-sociale e politica mai affrontata dall'umanità, la crisi del 2007/08. Basteranno dieci anni per uscirne fuori? Ma!?!?
Quindi questo capitale non si accorge che sta sul precipizio, cieco e voglioso solo di profitti immediati, porterà a breve, prima di Natale 2011, all'implosione dell'euro.
L'unica cosa che il governo Merkel riconosce è una probabile, possibile governo comunitario delle finanze europee, ma mette tanti di quei paletti da far slittare questa decisione alle calende greche, cioè da rendere questa proposta inutile rispetto all'urgenza dei tempi.

Mondo occidentale. Le banche degli Stati Uniti, la giapponese Nomura, il sistema finanziario del mercato capitalistico occidentale ha bisogno di profitti, è questa la sua ragione d'essere ed ha trovato nella speculazione all'euro un doppio scopo. Il primo quello, appunto di far profitti immediati e tanti e che possano durare nel tempo. Il secondo è quello di far scomparire l'euro come possibile alter ego del dollaro e far continuare a dominare questa valuta ancora per altro tempo, alleato fedele, goloso è il capitale dominante tedesco.
Il sistema economico capitalistico occidentale subisce anche l'attacco da parte della crisi interbancaria europea, ormai da qualche mese incapace di far circolare liquidità, a nulla sono valsi i tentativi della Bce di creare prestiti illimitati a dodici, dodici e a tredici, tredici mesi al sistema bancario europeo.
A nulla è valso l'intervento della Fed, della Banca Centrale Svizzera, di quella Giapponese, di quella Britannica e della Bce a metà settembre per portare soldi in dollari al sistema interbancario europeo.
A poco varrà il nuovo intervento di qualche giorno fa delle medesime banche a cui si è aggiunta quella Centrale Canadese per dimezzare fino a febbraio del 2013 il prezzo di prestito dei dollari che il sitema bancario capitalistico occidentale paga in queste operazioni. Varrà solo per comprare tempo. Ma la politica europea, il capitale dominante tedesco, la prima perchè succube, il secondo perchè cieco di fronte allo scintillio dei profitti, viaggiano spediti verso il baratro.
Qui in Italia si discute default si, default no. Signori non preoccupiamoci, sarà il capitale mercantile a mandarci in default, anche se noi non volessimo.
Il baratro è vicino.

giovedì 24 novembre 2011

VERITA' è una operazione di coraggio che il governo tedesco non vuole affrontare




LA SVIZZERA DA LEZIONI DI REGOLAMENTAZIONE DELLA FINANZA ALL'UNIONE EUROPEA

E' davvero paradossale che sia la Svizzera a dare lezioni di regolamentazione finanziaria all'Unione Europea e al resto del mondo, che invece con le ultime disposizioni sembra ancora promuovere l'operato dissennato della finanza e della speculazione.
Nonostante la nota e discutibile gestione della riservatezza dei dati dei correntisti stranieri, la banca centrale della Svizzera, la Swiss National Bank, ha dato una bella lezione di regolamentazione della finanza e ripulito le due banche private principali, la UBS e la Credit Suisse, che avevano i conti palesemente in disordine, dando dimostrazione di senso e ragionevolezza.
L'intervento di regolazione finanziaria della banca nazionale svizzera nasce da una considerazione abbastanza semplice: l'UBS e la Credit Suisse con un comportamento abbastanza irresponsabile avevano accumulato nei propri attivi un patrimonio superiore del 500% dell'intero PIL della Svizzera, e quindi era chiaro che qualcosa nei conti non tornava.
La banca centrale svizzera ha obbligato le due grandi banche private a rivolgersi a revisori contabili indipendenti, che esaminando i bilanci di UBS e Credit Suisse si sono subito accorti di enormi irregolarità nella gestione dei titoli obbligazionari e degli strumenti derivati.
In pratica i managers e i dirigenti della UBS e della Credit Suisse per avere diritto ai bonus miliardari hanno forzato un po' la mano con la creazione di titoli derivati, creando senza sosta CDO (Collateralized Debt Obligations) riferiti ai propri attivi, e acquistando sui mercati non regolamentari strumenti derivati di altre banche straniere, coprendoli poi con altri titoli CDS (Credit Default Swap) e CSE (Current Swap Rate) per assicurarsi dal rischio di insolvenza e di cambio degli stessi titoli acquistati.
In pratica i bilanci di UBS e Credit Suisse erano enormemente gonfiati da titoli derivati molto rischiosi e difficilmente monetizzabili senza perdite, perchè i managers avevano ormai l'abitudine di usare la cartolarizzazione dei propri attivi (i prestiti della banca che qualcuno deve pagare) vendendoli sui mercati con i soliti strumenti finanziari strutturati come i CDO, che sono gli stessi che hanno causato la bolla speculativa dei subprime negli Stati Uniti.
La banca centrale della Svizzera però non ha chiesto alla cittadinanza di capitalizzare le banche private con soldi pubblici, come sta accadendo adesso nell'Unione Europea, ma si è assunta in proprio il rischio di insolvenza trasferendo questa massa enorme di titoli tossici in un proprio fondo garantito di circa 60 miliardi di dollari, ripulendo così in una sola mossa i bilanci disastrati della UBS e della Credit Suisse.
Come contropartita però, la Swiss National Bank ha chiesto alle due banche private di interrompere drasticamente le proprie attività di investimento nei titoli derivati e di focalizzare invece le operazioni sulle normali attività di credito e raccolta depositi dai clienti, come dovrebbe fare una vera banca commerciale che opera direttamente sul territorio.
Tuttavia a differenza dell'Unione Europea che non ha una propria banca centrale, essendo la BCE una banca straniera e indipendente, la Svizzera ha potuto risolvere i propri problemi e regolamentare la finanza creativa delle proprie banche private perchè ha una vera banca centrale come la Swiss National Bank che può agire a largo raggio per difendere l'economia reale della propria nazione.
Mentre l'Unione Europea a causa dell'incapacità dei suoi governanti tentenna ancora nella modifica dello statuto della BCE e promuove ai ruoli di guida le persone che erano più o meno collegate al mondo della finanza (vedi Monti per l'Italia e Papademos per la Grecia), aprendo ancora di più le porte alla speculazione e affossando la ripresa, la Svizzera ha già cambiato pagina e gli svizzeri non sono proprio dei dilettanti in quanto a gestione delle banche.
Tratto da http://www.ultimenotizie.we-news.com/politica/interna/6278-la-svizzera-da-lezioni-di-regolamentazione-della-finanza-allunione-europea

giovedì 17 novembre 2011

Il Capitale finanziario internazionale attacca l'euro e il governo Merkel-Sarkozy non vuole decidere




Ci sono due lotte che si stanno combattendo.
La prima è tutta interna all'Europa ed è tra i capitali forti europei a danno ed a discapito di quelli deboli dell'area mediteranea e periferica e viene svolta attraverso l'obbligo di attuare politiche liberiste recessive che portano sistematicamente all'interno dei paesi deboli manovre economiche di macelleria sociale e di classe.
La seconda tra i capitali Anglo-Americani e i capitali europei in cui i primi usciti in maniera disastrosa dalla crisi del 2007/08 e avendo nei loro bilanci milioni e milioni di dollari di titoli finanziari che non valgono più nulla bisognosi di profitti che diano ai loro bilanci più credibilità e veridicità di quanto sostanzialmente non hanno, si sono scatenati nell'unica possibilità che il mercato capitalistico da loro, attaccare l'euro, far profitti con la sua attuale possibile, probabile caduta e poi riguadagnare comprando con poco, pezzi importanti dell'Europa. Un esempio per tutti il fallimento della MF Global, società di broker d'intermediazione e d'investimenti, che aveva nei suoi bilanci 6.300 miliardi di titoli di stato europei. Verso la fine del mese di ottobre 2011 ha perso in borsa più del 70% in quanto troppo sbilanciata nel possesso di titoli di stato europei avendo ridotta la sua liquidità vicino allo zero, ha dovuto dichiarare default una volta che il mercato dei capitali si è accorto di questa pessima gestione. Ma si trova in compagnia anche con altre società la Macquarie Group, la Barclays, la State Street e Jc Flowers.

In questa situazione direi che per prima cosa bisogna respingere l'attacco del capitale finanziario internazionale del mondo occidentale e questo lo si può fare solo:
- rendere la Bce prestatore di ultima istanza
- creazione di eurobond
- tassare le transazioni finanziarie
- armonizzare ed integrare la politica fiscale dei paesi dell'euro

Concordiamo a questo proposito con l'Appello fatto da ottanta economisti "seri e di sinistra" al Parlamento Italiano e a tutte le forze politiche, in data 16 novembre 2011, che tenendo presente la costruzione dell'Unione Monetaria fatta su basi neo-liberiste non rivolte "alla crescita, alla piena occupazione, all'equilibrio commerciale fra gli stati membri, e a una maggiore equità distributiva nei paesi e fra i paesi".
"Le misure di restrizione dei bilanci pubblici che vengono richieste in cambio di questi aiuti (europei) hanno aggravato la recessione e la stessa crisi finanziaria nei paesi beneficiari".

E qui entra in gioco l'altra battaglia che si sta giocando in Europa tra i capitali forti a danno dei capitali deboli che giocano sul filo del rasoio per puro interesse di profitto rischiano "la sopravvivenza dell'Unione Monetaria e del Mercato unico, e la stabilità economica europea e globale".

La Germania, l'Olanda, l'Austria, la Finlandia spingono per politiche recessive per rendere gli altri paesi poveri e dominare economicamente e politicamente sul resto dell'Europa. Noi non ci stanchiamo di ripeterlo, i capitali di questi stati si devono scordare la libera circolazione delle loro merci e dei loro soldi in Italia per accattare per due soldi pezzi del nostro patrimonio e delle nostre aziende, se l'euro dovesse implodere.

L'Appello degli Economisti, che segue a distanza di diciasette mesi, la Lettera degli Economisti, 14 giugno 2010, chiede, anche loro, che la Bce diventi prestatore di ultima istanza, che "le politiche di riduzione dei debiti pubblici siano in questa fase controproducenti, e si reputa quindi che la richiesta nei riguardi della Bce vada accompagnata da un impegno non già all'abbattimento , ma bensì alla stabilizzazione del rapporto debito pubblico/Pil in Italia e negli altri paesi in difficoltà".

C'è ne anche per il nascituro governo Monti.
"Un nuovo esecutivo, tecnico o politico, che si configurasse invece come mero esecutore delle richieste europee, quali espresse nelle scorse settimane, determinerebbe un aggravvamento della crisi economica e finanziaria in Italia e in Europa, con devastanti conseguenze sociali e l'insostenibilità degli attuali accordi monetari e commerciali, nell'UE".

Una parolina siamo obbligati anche noi a dire al presidente del Consiglio Mario Monti, non ci faremo incantare dalle parole, vi seguiremo passo passo e denunceremo pubblicamente se le vostre politiche favoriscono, ancora una volta, il capitale o fate gli interessi delle classi subalterne, l'equità e crescita siano piene di contenuto.
Noi vi abbiamo già proposto, tra le altre cose, che per uscire dalla crisi ci vuole un piano di sviluppo e produzione pubblica di beni collettivi a voi le scelte.

martelun

giovedì 10 novembre 2011

Apologia di un pastore in via di estinzione

10 nov

Una finestra aperta sul Movimento Pastori Sardi che negli ultimi due anni ha portato nel circuito mediatico un’agonia che si consumava nel silenzio generale

L’odore della campagna, il rumore dei campanacci e il calpestio degli zoccoli del bestiame. Emblemi di un settore, quello della pastorizia, legata a doppio filo alla Sardegna. Per secoli gli allevatori ne sono stati custodi e detentori e hanno tramandato tante tradizioni che ancora oggi vivono nella nostra quotidianità. Senza la figura sociale del pastore la

domani vedendosi alla guida di un’azienda agropastorale se già oggi il proprio padre è costretto a ritirarlo dagli studi perché non è più in grado di pagarglieli?

La punta dell’iceberg dei problemi, il prezzo del latte, che da anni si trova in saldo, circa 60 centesimi di euro per i più fortunati.

Eppure dietro un litro di latte ci sono immani quantità di sacrifici e alti costi di produzione tra acqua, elettricità, mangimi e sementi. E siamo di fronte a un vero e proprio strozzinaggio se si pensa che poi al supermercato il formaggio lo si paga dai 12 euro in su. E se varchiamo il mare il pecorino è venduto a peso d’oro.

Sardegna sarebbe sì un’isola molto bella ma in un certo senso una scatola vuota. Perfino quando la si rappresenta sotto l’aspetto turistico è raro evitare le immagini delle greggi al pascolo. Sarà così anche per i nostri figli o per i nostri nipoti?

Proseguendo sul binario che sta portando centinaia di aziende verso il baratro probabilmente no! La figura del pastore sembra infatti destinata a sparire.

Per capire un po’ meglio cosa c’è oggi nei pensieri di un allevatore, apriamo una finestra sul Mps (Movimento pastori sardi) che sotto la guida del leader Felice Floris dagli anni Novanta osteggia ogni giorno con passione e determinazione la crisi dilagante.

Nessuna connotazione politica, dissociato da sindacati che ritiene inadeguati, l’unico obiettivo del Mps è quello di tutelare il pastore sardo, al grido di «riprendiamoci ciò che in tutti questi anni è stato tolto a un intero popolo».

Un intero popolo: sì, perché la crisi del mondo agropastorale è affare di tutti. Se va a fondo questo settore, si trascina dietro tutto un indotto di attività commerciali tra fornitori ed esercizi di vendita.

Giorni di duro lavoro e notti di veglia tra mille preoccupazioni. È questa oggi la vita del pastore sardo. Guardiani del territorio e del tempo, che all’allevamento hanno dedicato un’intera vita.

Alle attuali condizioni come può un giovane ragazzo pensare al proprio

In Sardegna la zootecnia ovicaprina è costituita da circa 17 mila allevamenti. La sua incidenza sulla PLV (Produzione lorda vendibile) agricola regionale è del 25 per cento circa, cioè il 45 per cento del peso dell’intero settore zootecnico. L’Isola produce più di due terzi del latt ovino italiano e oltre la metà del latte caprino. In cifre rispettivamente il 68 e il 52 per cento circa della produzione nazionale.

La produzione complessiva del comparto è intorno ai 300 milioni di litri, che, una volta trasformati portano a una produzione totale di formaggi pari di oltre 590 mila quintali, con un movimento di fatturato di circa 350 milioni di euro. Alla luce di queste cifre, chi realmente ci guadagna dal latte?

In più: qualche anno fa alle aziende è stato chiesto uno sforzo immane per rinnovare le stalle, svecchiare le attrezzature modernizzare le campagne che tradotto in impegni finanziari significa mutui di 30 anni. Debiti che le aziende oggi non riescono più a sostenere. Il carico da novanta ce lo mettono le cartelle esattoriali, all’ordine del giorno: ne seguono aste impietose che si abbattono sul lavoro di generazioni. Per troppo tempo si è scesi a compromessi dietro le false illusioni e miseri contentini.

Ma il Movimento Pastori Sardi è riuscito in questi anni a farsi spazio, portando a conoscenza di tutti i veri problemi delle campagne sarde e sfatando una volta per tutte il pensiero comune di una categoria disgregata.

Margherita Denti – Pubblicato numero di ottobre di Millo

http://www.movimentopastorisardi.org/?p=1397

mercoledì 9 novembre 2011

L'Italia tradita dalle sue Istituzioni e dalla sua classe politica


l' 8 settembre del 2011 abbiamo scritto che a breve ci sarebbe stato richiesto dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Centrale Europea, dai mercati capitalistici di fare la "macelleria sociale e di classe 2" ci siamo.

Abbiamo trascorso sessanta giorni e abbiamo visto forze varie sempre più convergenti che andavano tutte verso una unica direzione, verso un unico scopo: fare pagare alle classi subalterne italiane la crisi mondiale del mondo occidentale il cui punto più alto attualmente e in Europa.
Il Capitalismo mondiale pare che abbia scelto , per uscire fuori da questa tremenda crisi, due direzioni.
Da una parte attaccare e far pagare ai popoli europei più deboli, tra cui l'Italia grazie ad un governicchio che pensa più ad affari di famiglia che al bene comune, togliendo salario, lavoro, istruzione, salute , benessere sociale, diritti, democrazia, risparmi, immobili pubblici e privati, precarizzando il presente e il futuro e togliendo prospettive e sogni.
Dall'altra quella di fare guerre locali mirate per riportare paesi ricchi di materie prime, petrolio e gas, sotto il potere politico-economico-militare dei paesi occidentali, Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Germania (che gioca una partita di rimessa). Di qui l'attacco ad uno Stato Sovrano come la Libia con la scusa che Gheddafi fosse un non democratico. Hanno aspettato quaranta anni e oggi hanno deciso, era un elemento per uscire dalla crisi, come sono stati elementi per uscire dalla crisi non conclamata del 2001 l'invasione dell'Afghanistan e dell'Iraq, dove le menzogne sulle armi di distruzioni di massa, con il tempo sono emerse nella sua limpida verità.
Non è finita, non passa giorno, che sui giornali maistream, non vi sia un articolo sull'Iran e di quanto questo Stato Sovrano sia da condannare perché vuole costruire la sua bomba atomica come l'hanno altri Stati Sovrani. Quante ne hanno gli Stati Uniti?
Si sta preparando il terreno per fare un'ulteriore guerra ad uno Stato ricco di petrolio e che non si trova nell'orbita politico-economica-militare dei paesi occidentali. La Cina e la Russia cosa hanno da dire sulla preparazione militare che sta facendo Israele?

Con l'avallo e il presidenzialismo del Capo dello Stato, come è successo a luglio ed agosto 2011 si vuol far votare velocemente la legge di Stabilità meglio la Macelleria Sociale e di classe 2 al di là dei contenuti che sono tutti contro le classi subalterne e poi ci vengono a parlare che senza la crescita non possiamo uscire da questa crisi, quando sono proprio loro, il FMI, la BCE, l'Europa che facendo manovre recessive una dopo l'altra portano l'Italia sempre di più a non avere nessuna risorsa per attivare la crescita.
La crescita che non può essere come in passato lasciato all'anarchia del capitalismo ma che deve avere un Piano di Sviluppo fondato sulla produzione pubblica di beni collettivi. La crescita è imprescindibile dalla salvaguardia della Comunità Italia.

Cosa possiamo fare in questa situazione? Dobbiamo attivare un
confronto crudo sincero, diciamo tutto quello che pensiamo fuori dai denti, e vediamo se riusciamo a far venir fuori le capacità di cui siamo portatori e spenderle per il Bene Comune. Produrre, organizzare, trovare soluzioni, impegnarci a far rete, razionalizzare e mettere in comune, attingere alle nostre risorse. Non aspettiamoci salvatori della Patria, non esistono, esiste solo il programma da noi liberamente, autonomamente elaborato e la scelta organizzativa da noi elaborata basata su chi già in passato ha fatto vincere la classe dei dominati sui dominanti, è stato un esperimento sociale durato settanta anni.
Ma se è avvenuto una volta può accadere di nuovo!

martelun