L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 5 febbraio 2011

Strauss-Kahn: «Instabilità sociale, rischio di nuove guerre»



L'allarme del numero un del Fondo monetario 
Dominique Strauss-Kahn, capo del FMI, ha detto che la ripresa economica in tutto il mondo è  costruita su fondamenta instabili, con molte nazioni ricche, ancora legate a mancanza di lavoro mentre potenze emergenti come Cina, India e Brasile già a rischio di surriscaldamento. «Non è la ripresa che volevamo. Si tratta di una ripresa segnata da tensioni, che potrebbe anche gettare i semi di una prossima crisi», ha detto.
"La disoccupazione globale rimane a livelli record, con la crescente disuguaglianza di reddito per l'aggiunta di tensioni sociali", ha detto, citando turbolenze in Nord Africa come un preludio a ciò che può accadere a 400 milioni giovani che si preparano a presntarsi come forza lavoro nel prossimo decennio. «Potremmo vedere crescente instabilità politica e sociale all'interno delle nazioni - anche la guerra», ha detto.
Il FMI ha pubblicato a novembre scorsoun documento dal titolo Inequality, Leverage and Crisis sostenendo che il divario estrema tra ricchi e poveri – che richiama la situazione degli Stati Uniti alla fine degli anni 1920 - è stata una causa di fondo della grande recessione 2008-2009.
Il documento ha messo in guardia sulle “conseguenze disastrose" per l'economia mondiale se i lavoratori riconquistare il loro "potere contrattuale" contro il potere dell’economia finanziari e della rendita. Si suggerisce di modificare profondamente il sistema fiscale e riduzione del debito per i lavoratori.
«La questione più importante è quello di affrontare il problema ricorrente dei grandi surplus di alcuni paesi», ha detto, avvertendo che se questi eccessi non verranno messi sotto controllo porteranno a scontri globali e alll'aumento del protezionismo.
Con un avvertimento velato alla Cina e ad altri paesi che tengono basse le loro valute per avere vantaggi commerciali, il capo dell'FMI ha detto che "la regolazione del tasso di cambio non dovrebbe essere contrastato". Né  dovrebbe essere imposti controlli di capitale per fermare l'afflusso di fondi..
Strauss-Kahn ha anche accennato al fatto che alcune parti dell'Asia stanno superando il limite di sicurezza per velocità di crescita e ha detto che c’è bisogno di "stringere" ulteriormente prima che l'inflazione vada fuori controllo. "Ci sono rischi di surriscaldamento. E in quel caso assisteremo da atterraggi molto duri per i paesi coinvolti", ha detto.
tratto da   http://www.ilpuntostampa.info/2011/02/strauss-kahn-instabilita-sociale.html

venerdì 4 febbraio 2011

"Etica" ed "Economia": la sfida di "Oxfam"

    Al via una "Campagna", per incoraggiare comportamenti "Etici" nel "Commercio".
Loretta Napoleoni*
("Mondo e Missione", Febbraio 2011)
Tutti ormai s'interessano di "Economia": se ne parla in "Bus", in fila agli Sportelli della Posta, persino allo Stadio, nell'intervallo delle partite di calcio. Quando c'è crisi, l'Economia entra con prepotenza nel quotidiano. Non si tratta di un fenomeno "congiunturale", piuttosto di una semplice presa di coscienza. Siamo infatti noi, consumatori e cittadini, che con le nostre azioni quotidiane creiamo l'Economia. Andare al lavoro, riempire il serbatoio del motorino, fare "Shopping", persino guardare la "Tv" è un'azione Economica". E se è vero che l'Economia siamo noi, anche la crisi attuale è in qualche modo relazionata con il nostro comportamento.
Da vent'anni viviamo al di sopra delle nostre possibilità, e diamo per scontato che l'anarchia Economica e Finanziaria che regola il nostro Mondo ci rende più liberi e più ricchi. Esiste però una bella differenza tra un mercato libero, dove la concorrenza è sana, e uno che si regge su quella sleale. Il "Gigante Americano" del "Caffè Starbuck" controlla gran parte della produzione di Caffè al Mondo: ha quindi il potere di imporre agli agricoltori prezzi d'acquisto più bassi di qualsiasi altro concorrente e ai consumatori prezzi superiori alla media. Esiste naturalmente nell'"Unione Europea" una Legislazione contro questo tipo di comportamento, ma i piccoli produttori della Costa Rica e del Camerun non la conoscono...
Qualche anno fa "Oxfam", pilastro "Britannico" della Cooperazione, ha denunciato "Starbuck", costringendo la "Multinazionale" a cambiare tattica. "Oxfam Italia" si è poi data da fare affinché gruppi di piccoli agricoltori dell'"America Centrale" entrassero a far parte della Rete del "Commercio Solidale". Oggi si può acquistare il loro Caffè un po' dovunque, confezionato in deliziose scatole, che "Oxfam Italia" ha disegnato, e spesso i prezzi sono inferiori a quelli di "Starbuck" o di altre "Multinazionali".
Nel corso di quest'anno, "Oxfam Italia" lancerà una Campagna per incoraggiare i comportamenti Etici nel Commercio: si tratta di un'iniziativa lodevole che ci fa sperare in un miglioramento nei comportamenti dei consumatori, poiché proprio loro hanno il potere di cambiare il mercato.
Concorrenza leale è sinonimo di comportamento Etico, altrimenti l'Economia diventa controproducente: ne parla a lungo Adam Smith, "padre fondatore" dell'"Economia Moderna", ne «La Ricchezza delle Nazioni». Quando il mercato cade in mano a un gruppo ristretto di produttori o consumatori, lo Stato deve intervenire, per evitare che questi manipolino il mercato. E intervenire non significa fare i Condoni Edilizi o Tributari ogni cinque o sei anni, ma punire chi non rispetta le regole. Nei "Paesi Scandinavi", dove il livello di Etica negli affari è superiore a quello dei "Paesi Mediterranei", nessuno costruisce nei "Parchi Nazionali", perché lo Stato arriva con le ruspe e butta giù tutto.
L'Economia non è diversa da una partita di calcio: senza l'arbitro è difficile rilevare tutti i falli. È però anche vero che sta ai giocatori competere lealmente. Troppo spesso cerchiamo di prendere qualche scorciatoia, dalla negligenza nella gestione dei rifiuti fino all'evasione fiscale. Ancora più spesso, ci lasciamo sedurre dai modelli sbagliati: uomini e donne ricchi e senza scrupoli, celebrati nei "Rotocalchi" e sul "Piccolo Schermo". Viene subito in mente Gordon Gekko, il "Finanziere" spietato e disonesto del "Film": "Wall Street". Ebbene, è proprio grazie a costoro che ci troviamo in una crisi Economica e Finanziaria che rischia di far saltare la "Moneta Europea", facendoci retrocedere di un "Ventennio"!
* Economista, da Londra
Tratto da http://www.atma-o-jibon.org/italiano10/rit_napoleoni25.htm

giovedì 3 febbraio 2011

La fame di democrazia in Egitto fa tremare i Listini mondiali.


(Teleborsa) - Roma, 31 gen - In confronto le passate tensioni tra le due Coree sono state "acqua calda". E' l'Egitto, ora, il vero spauracchio dei listini mondiali, e non è necessario essere Nouriel Roubini per immaginare le conseguenze di un inasprimento della situazione e, soprattutto, dell'effetto domino su altri paesi dove la democrazia latita (e non sono pochi!).

L'Egitto sta vivendo ormai da giorni una vera e propria guerra del popolo contro l'attuale regime del Presidente Hosni Mubarak. Gli egiziani non chiedono altro che ordine e legalità e, soprattutto, una democrazia "reale". E affinchè questo avvenga, bisogna tagliare con il passato, e dunque con Mubarak.

Gli esperti di cultura e politica medio-orientale si dividono tra scettici e ottimisti. I primi credono che al momento non esista una figura politica in grado di prendere in mano le redini del Paese a guidarlo serenamente verso una nuova Era. Per i più ottimisti, invece, vi sono alcune persone perfettamente in grado di guidare l'Egitto verso riforme graduali che inizino dalla magistratura, passando per i partiti "che devono essere permessi e indipendenti", e dall'economia che da trent'anni è "corrotta, asfittica, non crea lavoro, ostacola gli investimenti", afferma Hisham Kassem, uno dei più noti politologi egiziani e fondatore di quotidiani indipendenti, in una intervista al Corriere della Sera di oggi. Per Kassem la transizione verso un nuovo Egitto potrebbe essere tranquillamente guidata dall'attuale vice presidente Suleiman.
Ma non bisogna trascurare il Nobel per la pace Mohamed ElBaradei, divenuto ufficialmente leader dell'opposizione e letteralmente osannato dal popolo.

Quale sarà il destino del paese dei Faraoni non è dato saperlo. Ciò che si sa, e che fa tremare, è che altri popoli dei numerosi e travagliati stati limitrofi potrebbero seguire l'esempio dell'Egitto che, si sa, in Nordafrica è un po' come la nostra Germania: un opinion leader, per prendere a prestito una citazione sociologica. Non dimentichiamoci che siamo nell'area più instabile del Pianeta, e che vi sono decine di nazioni pronte ad esplodere come una miccia.

E se l'effetto-domino interessasse anche realtà non necessariamente medio-orientali ma comunque prive di democrazia? Sembrerebbe, lo affermano report di stampa, che le autorità cinesi stiano attentamente filtrando le notizie provenienti dall'Egitto e i forum su internet che ne parlano proprio per il timore che anche alcune "teste calde" cinesi possano emulare il popolo egiziano.

Per il momento, a farne le spese sono i listini azionari, da cui gli investitori stanno fuggendo a gambe levate ormai da giorni. Venerdì Wall Street ha messo in disparte alcune buone notizie, in particolare legate al PIL, e i sogni di scalata di indici come il Dow Jones, che stava corteggiando la soglia psicologica dei 12.000 punti come non faveca da anni, e dell'S&P500 che dice momentaneamente addio a quota 1.300 punti.
Oggi l'Asia è capitolata sui timori di un affetto-domino dell'instabilità politica, mentre stamane l'azionario europeo sembra di umore non proprio roseo.

Secondo molti economisti l'ondata di vendite potrebbe penalizzare anche la Borsa di Israele che, come si sa, è un Paese tutt'altro che politicamente instabile. Non parliamo dei listini egiziani, ormai al tracollo.

Chi scende, e chi sale. La fuga dall'azionario sta alimentando la domanda di beni decisamente meno rischiosi come oro, Treasuries e petrolio. Quest'ultimo è ulteriormente infiammato dai timori che le tensioni possano impattare il transito delle petroliere nel canale di Suez. E se schizza il petrolio, apriti cielo... prezzi al consumo che decollano, spese che aumentano per tutti, dalle aziende alle famiglie...

Intanto le agenzie di rating continuano a punire l'Egitto. Dopo il peggioramento dell'outlook di Fitch di giovedì, è arrivato stamane il taglio di Moody's. L'agenzia statunitense ha infatti abbassato il rating del Paese a "BA2" dal precedente "BA1", con outlook negativo, avvertendo che potrebbero arrivare altri tagli se la situazione dovesse persistere o addirittura aggravarsi.

mercoledì 2 febbraio 2011

IL RISVEGLIO GLOBALE TEMUTO DA BRZEZINSKI E’ ARRIVATO ?





sabato 29 gennaio 2011

Il "Risveglio Globale" temuto da Brzezinski è arrivato
Monumentale grido di battaglia per la libertà in tutto il mondo rischia di deragliare l'agenda del nuovo ordine mondiale
di Paul Joseph Watson
Prison Planet.com
Il "risveglio politico globale" molto temuto da Zbigniew Brzezinski è in pieno svolgimento. Rivolte in Egitto, Yemen, Tunisia e altri paesi rappresentano un grido di libertà veramente imponente  in tutto il mondo  che rischia di danneggiare enormemente l'agenda per un governo mondiale, ma solo se i rivoluzionari riusciranno ad evitare di essere cooptati da una paranoica e disperata elite globale.
Durante un discorso al Council on Foreign Relations a Montreal l'anno scorso, il co-fondatore insieme a  David Rockefeller della Commissione Trilaterale e regolare partecipante alle riunioni del gruppo Bilderberg, Zbigniew Brzezinski, ha lanciato l'allarme per un "risveglio politico globale", principalmente da parte dei giovani dei paesi in via di sviluppo, che minaccia di rovesciare l'ordine internazionale esistente.
Leggere interamente le parole di Brzezinski, alla luce delle rivolte globali che ora vediamo diffondersi a macchia d'olio in tutto il pianeta, ci offre una sorprendente panoramica su quanto sia di fondamentale importanza l'esito di questa fase della storia moderna, per il futuro corso geopolitico del mondo, e di conseguenza per la sopravvivenza e la crescita della libertà umana in generale.
Per la prima volta nella storia umana, quasi tutta l'umanità è politicamente attiva, politicamente consapevole e politicamente interattiva ... Il risultato globale dell'attivismo politico sta generando un impulso alla ricerca della dignità personale, del rispetto culturale e di opportunità economiche in un mondo dolorosamente segnato dai ricordi di una secolare dominazione straniera coloniale o imperiale ... L'anelito alla dignità umana a livello mondiale è la sfida centrale insita nel fenomeno del risveglio politico globale ... un risveglio che è socialmente imponente e politicamente radicalizzante  ... L'accesso quasi universale a radio, televisione e Internet sta creando sempre più  una comunità di percezioni condivise e di invidia che può essere galvanizzata e canalizzata da demagogiche passioni politiche o religiose. Queste energie trascendono i confini sovrani e rappresentano una sfida sia per gli Stati esistenti, che per l'attuale gerarchia mondiale, su cui ancora si fonda l'America...
I giovani del Terzo Mondo sono particolarmente inquieti e risentiti. La rivoluzione demografica che essi rappresentano è quindi una bomba politica ad orologeria, come pure ... Il loro potenziale rivoluzionario  potrebbe emergere tra le decine di milioni di studenti concentrati negli istituti di istruzione di "terzo livello" spesso intellettualmente discutibili dei paesi in via di sviluppo. Stando alla definizione di istruzione di terzo livello, vi sono attualmente in tutto il mondo tra 80 e 130 milioni di studenti "universitari". In genere provenienti dalla piccola borghesia socialmente insicura e infiammata da un senso di indignazione sociale, questi milioni di studenti sono rivoluzionari-in-attesa, già semi-mobilitati in assemblee di grandi dimensioni, collegate da Internet e pre-posizionati per un replay su scala più grande di ciò che è accaduto anni prima a Città del Messico o in piazza Tiananmen. La loro energia fisica e la frustrazione emotiva è solo in attesa di essere innescata da una causa, o una fede, o un sentimento di odio ...
Anche [Le] maggiori potenze mondiali, vecchie e nuove, affrontano una realtà nuova: mentre la letalità della loro forza militare è più grande che mai, la loro capacità di imporre il controllo sulle masse politicamente risvegliate del mondo è a un minimo storico. Per dirla senza mezzi termini: in tempi precedenti, era più facile controllare un milione di persone che uccidere fisicamente un milione di persone, oggi, è infinitamente più facile uccidere un milione di persone che  controllare un milione di persone.
Zbigniew Brzezinski
E 'importante sottolineare che Brzezinski non stava elogiando l'inizio di questo "risveglio politico globale", lo stava screditando. Come uno degli dei principali architetti dell'"attuale gerarchia a livello mondiale", a cui fa riferimento, lo stesso Brzezinski è sotto minaccia diretta, così come in generale la continua capacità dell'élite globale di controllare gli affari del mondo.
Brzezinski si rammarica del fatto che Internet ha reso quasi impossibile per le élites globali controllare l'ambiente politico, controllare i pensieri e il comportamento di un milione di persone, che è precisamente ciò per cui  l'Egitto si è mosso per fermare il world wide web ieri, in un disperato tentativo di evitare che gli attivisti si organizzassero contro lo Stato.
Come è di routine ogni volta che sommosse e rivoluzioni spuntano improvvisamente  come dal nulla, la storia ci ammonisce di non prendere alla lettera quello che si vede, e ricordare le numerose artificiose "rivoluzioni colorate" che sono servite a ben poco se non a consentire all'elite globale del FMI/Banca mondiale di rovesciare un potere canaglia e sequestrare il paese entrando dalla porta di servizio con l'aiuto di regimi fantoccio successivamente insediati.
Tuttavia, l'effetto domino della rivoluzione globale che ha subìto un'accelerazione nelle ultime settimane, sembra essere stato generato da una genuino desiderio coordinato, su base popolare, per la vera libertà, e la fine dei regimi dittatoriali che gli Stati Uniti e l'elite bancaria hanno contribuito a sostenere.
La rivolta globale che si sta diffondendo in tutto il Medio Oriente e il Nord Africa, avendo già toccato l'Europa con disordini e scioperi in Italia, Francia, Grecia e Regno Unito lo scorso anno, si caratterizza come una reazione contro la dittatura, la brutalità della polizia e la repressione politica. Questi fattori hanno agitato correnti sotterranee di risentimento per anni, ma solo grazie ad una maggiore educazione e ad un più facile accesso alle informazioni e alla capacità di organizzazione attraverso Internet, una nuova generazione di attivisti ha detto finalmente basta. L'aumento vertiginoso dei prezzi alimentari, l'inflazione del carburante, salari più bassi e alta disoccupazione hanno svolto un ruolo centrale.
Come scrive Andrew Gavin Marshall  nel suo ottimo articolo, Stiamo assistendo all'inizio di una rivoluzione globale? "Non dobbiamo accantonare queste proteste e rivolte come istigate dall'Occidente, ma piuttosto  come proteste emerse in maniera organica, e l'Occidente sta tentando successivamente di cooptare e controllare i movimenti emergenti".
Nel caso di Egitto, Yemen e Tunisia, tutti e tre i regimi hanno goduto del supporto multi-decadale del complesso militare-industriale. Tutti e tre sono stati vassalli completamente compiacenti con il nuovo ordine mondiale. Non c'era bisogno di "rivoluzioni colorate" fittizie o messe in scena provocate dall'elite globale in questi paesi.
Infatti, il dado era già stato tratto quando l'amministrazione Obama ha espresso il suo sostegno al trentennale dittatore Hosni Mubarak, durante un'intervista della PBS di ieri, quando il vice-presidente Joe Biden ha lasciato intendere che le richieste dei manifestanti sono illegittime.
"L'azione riflessa delle potenze imperiali è quella di armare e sostenere ulteriormente i regimi oppressivi, come pure la possibilità di organizzare una destabilizzazione attraverso operazioni di infiltrazione o di guerra aperta (come si sta facendo in Yemen)", scrive Marshall. "L'alternativa è quella di avviare una strategia di "democratizzazione", in cui le Organizzazioni Non Governative-ONG- occidentali  e organizzazioni della società civile, stabiliscono contatti e relazioni forti con la società civile nazionale in queste regioni e nazioni. L'obiettivo di questa strategia è quello di organizzare, finanziare e aiutare direttamente la società civile nazionale per la creazione di un sistema democratico, sul modello occidentale e, quindi, mantenere la continuità della gerarchia internazionale. In sostanza, il progetto di "democratizzazione" implica la creazione delle strutture esteriori visibili di uno stato democratico (elezioni multipartitiche, società civile attiva, "indipendenza" dei media, ecc) e tuttavia mantenere la continuità nella sottomissione alle corporazioni, alla Banca Mondiale, al FMI, alle multinazionali e alle potenze occidentali".
Ricordate - ogni paese che mantiene la propria sovranità, agisce principalmente nel suo interesse e tenta  di costruire se stesso come uno Stato forte, prospero e culturalmente forte è un nemico per i globalisti. La gerarchia internazionale esige il rispetto, la dipendenza, la debolezza e una diluizione del patrimonio e della cultura in modo che ogni nazione possa essere racchiusa nella sfera di controllo del governo mondiale.
Non commettete errori a questo proposito, stiamo assistendo ad una rivoluzione globale, l'età della collera è caduta su di noi come tessere di domino che raggiungono ogni angolo del pianeta. Se l'esito sarà il rovesciamento dell'attuale gerarchia globale, come teme Zbigniew Brzezinski, resta da vedere, ma sicuramente questo dipenderà da chi controllerà i nuovi governi che sostituiranno i governanti spodestati - la gente che ha iniziato il processo di cambiamento, o la Banca mondiale, o il FMI, o le ONG e il resto delle élites globali che stanno disperatamente tentando di salvare il loro programma di governo mondiale da un deragliamento.
tratto da http://ilupidieinstein.blogspot.com/2011/01/il-globale-temuto-da-brzezinski-e.html


martedì 1 febbraio 2011

Senza rallentare la corsa della spesa e far ripartire la crescita abbattere il debito non servirebbe

29 gennaio 2011 - Repubblica
Tassa Patrimoniale idea sbagliata e iniqua



ALESSANDRO PENATI
La proposta è partita da Amato: una patrimoniale per ridurre il debito pubblico. Veltroni l´ha ripresa. Pellegrino Capaldo l´ha rilanciata sul Corriere della Sera, come imposta sulle plusvalenze immobiliari (è la stessa cosa).
Fortis l´ha evocata sul Sole-24 Ore, indicando la ricchezza degli italiani come panacea contro una crisi del debito pubblico: se gli investitori esteri scappano dai Btp, gli italiani sono abbastanza ricchi per comprarseli, indirettamente, pagando una patrimoniale.
Risolvere la crisi del debito pubblico, scaricandolo sui privati cittadini è un´idea insensata: non risolve i problemi alla base della crisi della finanza pubblica; è inefficiente; ed è iniqua, a dispetto degli slogan. (1) C´è una crisi quando gli investitori cominciano ad avere dubbi sulla sostenibilità del debito pubblico. Conta il livello, ma anche la dinamica del debito, che dipende dalla capacità del governo di incidere durevolmente sulla spesa pubblica, e dal tasso di crescita dell´economia, dal quale dipende il flusso delle imposte. Il nostro debito, elevatissimo, è tornato ai livelli di 15 anni fa: segno che il problema della spesa pubblica è tale e quale. Ma a differenza di allora non c´è l´attesa per l´euro, che fece scendere i tassi, partiamo da un livello più alto di pressione fiscale e veniamo da un decennio di stagnazione. In caso di crisi, anche se lo abbattessimo con una patrimoniale, il debito ricomincerebbe a crescere. E saremmo da capo. A meno di non far ripartire la crescita e rallentare la corsa della spesa pubblica. (2) I fautori della patrimoniale sembrano dimenticare l´effetto depressivo sui consumi di una forte caduta della ricchezza. Ridurre il debito al 60-80% del Pil, come proposto, implica una patrimoniale da 600-900 miliardi, ovvero circa 150-250 mila euro per ognuna delle 2,5 milioni di famiglie più ricche, l´ipotesi Amato; o circa 20-35 mila euro in media per tutte le famiglie nella versione Capaldo. A me pare garanzia di recessione.
Ma Capaldo sostiene che la patrimoniale, riducendo l´onere del debito, permetterebbe di aumentare gli investimenti pubblici: «È innegabile.. che il Paese troverebbe nuovo slancio», chiosa l´intervistatore. L´unica cosa di innegabile è che a guadagnarci sarebbero le solite imprese che si aggiudicano gli appalti. (3) Il 65% della ricchezza degli italiani è costituita da immobili; che costituirebbero la principale base imponibile della patrimoniale. Non c´è nulla di sbagliato nel tassare il mattone: ma per finanziare gli enti locali, come si fa in tutto il mondo, sul presupposto che il valore delle abitazioni è correlato alla qualità dei servizi pubblici, al decoro, o alla sicurezza. Da noi invece, per finanziare i Comuni tassiamo i redditi, e le case di chi, non residente, non vota: caso unico di taxation without representation, come ha ironizzato Boeri. (4)
Chi è veramente ricco detiene le proprie attività finanziarie in holding, family offices, aziende di famiglia. Per colpirle, bisognerebbe mettere una patrimoniale su tutte le società di capitali. Insensato. E se la società è all´estero? Impossibile. Chi aveva poi esportato capitali, li ha fatti rientrare con lo scudo attraverso l´intestazione fiduciaria dei conti esteri: che rimanendo fuori, possono svanire nuovamente, senza che il fisco possa farci niente. Alla fine, la patrimoniale graverebbe prevalentemente sui risparmi del ceto medio, depositati presso gli intermediari. (5) Oltre metà del debito pubblico italiano è detenuto da stranieri. In caso di crisi si pensa dunque di tassare pesantemente gli italiani per far sì che gli investitori stranieri non perdano un centesimo. Una patrimoniale equivale in tutto a un default: ma assurdo in questo caso, perché non toccherebbe metà dei creditori. (6) Il nostro debito pubblico è frutto delle pensioni elargite ai cinquantenni e della finanza allegra per comperare consensi negli anni '80.
Chi è causa del dissesto, dunque, non ne sopporterebbe le conseguenze. Strano senso di equità. Ma le idee cattive hanno più fascino di quelle buone. Specie quando servono da paravento per nascondere i veri problemi: l´incapacità di crescere; e una spesa pubblica che non ha mai smesso di correre.
tratto da
http://www.unioneinquilini.it/index.php?id=2889

lunedì 31 gennaio 2011

davos - Loretta Napoleoni

Proprio a Davos il ministro delle Finanze greco aveva chiesto aiuto ai colleghi europei; durante un incontro a porte chiuse gli fu detto di aspettare una decisione che non arrivò. L'Europa Unita non si è mossa infatti fino a quando la Grecia non si è trovata ad un passo dalla bancarotta. Il 2010 sicuramente ci ha mostrato le conseguenze negative dell'inesistenza di regole di comportamento economico universali. Ed il dibattito che si è scatenato è stato ricco e feroce. Ormai tutto quello che c'era da dire su questo argomento è stato detto, a Davos tutt'al più se ne potrà fare un riassunto. Abbiamo bisogno di politiche nuove non di ulteriori dibattiti.
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Il problema di Davos, dunque, quest'anno sta proprio nel titolo: esistono norme condivise da tutti? Esiste un consenso sulla visione della nuova realtà? O meglio, c'è chi è pronto ad accettare l'inevitabile spostamento ad oriente di industrie chiave, come quella green, di tecnologie e risorse finanziarie? In altre parole chi è pronto ad accettare che l'Europa e gli Stati Uniti contano oggi meno di un anno fa? E che le regole nuove le detta il continente asiatico? Certamente non i partecipanti a Davos.

In realtà la risposta a queste domande è semplice: i capitani d'industria e i grandi banchieri sono ben coscienti della nuova realtà, ecco perché alcuni quest'anno a Davos non ci saranno. Bill Gross di Pimco nel suo prospetto per il 2011 suggerisce di tenersi lontano dal dollaro americano e di investire in azioni nei mercati emergenti. Così come lui, molti altri ritengono che il centro dell'economia mondiale ormai sia l'Asia, dove infatti molte società stanno spostando le loro sedi, e non si tratta solo delle grandi banche ma anche di compagnie di Research and Development. Per chi ancora non lo sa l'Asia sta sorpassando i mercati occidentali nei settori di alta tecnologia, proprio quelli che ci è sempre stato detto avrebbero salvato le economie occidentali.

L'ubicazione geografica è fondamentale, Davos nasce in Svizzera durante la guerra fredda, in territorio neutrale dunque, e si sviluppa come ponte tra l'Est e l'Ovest, svolge una funzione importante nell'abbattimento della cortina di ferro. Geopoliticamente questo villaggio alpino era al centro di un mondo in evoluzione ed in forte crescita. Ma non è più così.
Viene spontaneo chiedersi anche che fine farà l'Europa in questo nuovo scenario internazionale? Il continente che per tanti anni si è autocelebrato a Davos. Certamente quest'anno al World Economic Forum farà una magra figura. Incapace di riconoscere la necessità di cambiare e cambiare insieme, l'Unione Europea sarà frammentata, divisa tra coloro che vogliono più integrazione e coloro che, dopo i tracolli della Grecia e dell'Irlanda, voglio dimenticare, almeno per un po', che Bruxelles esista. Ma anche gli Stati Uniti non sono in gran forma, con un presidente ormai senza potere e che molto probabilmente non sarà rieletto.

Quest'anno a Davos poco o nulla succederà, come d'altronde avviene ormai da tempo. Nel 2010, Soros chiese la fine delle mega banche, un fenomeno che potrebbe appartenere alla fantascienza finanziaria. Oggi giorno infatti i supermercati della finanza continuano a fare affari d'oro per se stessi e per i loro investitori. Mentre a Davos si discuterà di nuove regole, Goldman Sachs venderà a nuovi clienti una fetta di Facebook raggirando una regola della Security and Exchange Commission che glielo vieta e che adesso sta cercando di correre ai ripari, anche se tutti sanno che non riuscirà a bloccare l'affare Golmand-Facebook.

E le regole condivise di cui tanto si parla da almeno due anni? Beh, si continuerà a parlarne ancora a lungo, si dirà che la strada migliore è l'austerity prolungata che, nonostante lasci milioni di persone senza lavoro, fa tanto piacere ai mercati. Ovviamente chi non segue la regola dell'austerità sono i mercati emergenti i cui governi invece investono nell'economia per finanziare industrie nascenti e nuove tecnologie, per sottrarci quel primato che per secoli è stato nostro.

A Davos naturalmente nessuno avrà il coraggio di raccontare questa storia. Al contrario si dirà che la crisi secondo molti è alle spalle e quindi si tornerà agli anni d'oro, quelli prima del 2007. E a conferma si mostrerà come negli Stati Uniti le spese natalizie nel 2010 hanno toccato un record mai raggiunto, $584 miliardi (10 miliardi in più degli anni prima della recessione), segno che l'economia sta ricrescendo. Ovviamente nessuno menzionerà la ripresa dell'indebitamento delle famiglie, tutti quei soldi spesi per far festa a Babbo Natale provengono dalle carte di credito; né si parlerà di disoccupazione; men che meno di quella giovanile che è paurosamente alta in Europa ed anche negli Stati Uniti; non si parlerà di Africa che cinesi, indiani e brasiliani si tengono per sé. Insomma, Davos sarà la solita passerella di celebrities le cui parole si trasformeranno negli usuali titoli rincuoranti sullo sfondo delle meravigliose valli della Svizzera. E questa indigestione di rassicurazioni ci farà dimenticare la necessità di cambiamento, di riforma del sistema produttivo e della ricerca in Europa e negli Stati Uniti di un modello nuovo per l'economia post-industriale.

Loretta Napoleoni
Fonte: www.caffe.ch/
Link: http://www.caffe.ch/publisher/loretta_napoleoni/section/
16.01l.2011
 tratto da  
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=31864