
L'abbiamo detto in tempi non sospetti, prima della prima manovra di macelleria sociale e di classe che il governo Monti-Fornero non ci piaceva, che era un governo al servizio del neoliberismo-pensiero unico e che da questo governo non potevamo aspettarci nient'altro che austerità, rigore e non crescita. Le parole convinte che sono uscite dalla bocca del presidente del consiglio ieri sono lo specchio fedele di quello che pensa: precarizzazione a vita del lavoro.
Un omaggio indiscusso al capitalismo finanziario anglo-americano che tutto vuole e tutto assoggetta alla sua necessità vitale di esistere.
Il capitale sta precarizzando il lavoro in tutto il mondo occidentale, questo sta a significare la cessione dell'intero tempo di vita al capitale,
"ricevendone in cambio quella che sempre di più diventa la mera sussistenza, o ancor meno, la quasi-sussistenza.
Schiavi autossussistenti, nati con la diffusione del lavoro precario, dovranno sostituire progressivamente le stabili figure professionali del passato, in Italia e in Europa, ed alle rivendicazioni di lavoratori coscienti organizzati e disposti a difendere i loro diritti, si sostituiranno le tribolazioni di questi neoschiavi, costretti ad un automantenimento sempre più difficile.
Trascorsa l'epoca moderatamente emancipatrice del welfare e del fordismo, che fu per i lavoratori una sorta di Belle èpoque e una "boccata di ossigeno" dopo decenni di sfruttamento intensivo, il lavoro diventa sempre di più una potenza estranea, o meglio "estraniante", non dominata da chi la subisce ed universalmente oppressiva proprio come la intendeva ai suoi tempi Karl Mark.
La globalizzazione dell'estraniazione sembra procedere di pari passo con l'espanzione del commercio internazionale. Nel contempo, cresce il livello di pressione esercitato dalle dinamiche capitalistiche sui subalterni, accelerate dal dominio incontrastato della finanza - strumento che risponde perfettamente alle aspettative dei nuovi dominanti globali - e dall'affermazionedel paradigma della Creazione di Valore, finanziaria, azionaria e borsistica.
Superare l'estranazione, riappropriarsi del tempo di vita e ricomporre la scissione fra l'interesse particolare e quello comune, significa uscire dal ferale circuito del lavoro capitalistico, sempre più precario e materialmente compresso, ed attivare le dinamiche del lavoro collettivo, cooperativo, associato, che idealmente e concretamente è il lavoro comunitario e comunistico.
Se dovessimo pensare a delle parole d'ordine efficaci, che possono caratterizzare le auspicabili lotte anticapitalistiche future, non potremmo che proporre - oltre a Comunismo e Comunità - "Eguaglianza e Solidarietà".
Il tasso di violenza simbolica espresso dal potere globalista nei confronti dei subalterni raggiunge ormai livelli impressionanti, e non si tratta cero di una violenza "dolce", per quanto non lasci sul corpo visibili segni, come quelli delle frustate inferte agli schiavi nel mondo antico, trattandosi di una forma di violenza destinata a sostituire, efficacemente, la costrizione fisica praticata fin dalla notte dei tempi ed a reprimere senza rincorrere a fustigazioni, mutilazioni o uccisioni. Dove l'imposizione della norma giuridica può rivelarsi scarsamente efficace e l'uso della violenza fisica può soltanto lasciare tracce superficiali , penetra la violenza simbolica di questo capitalismo.
E bene ricordare, tuttavia, che se la violenza simbolica è esercitata sul soggetto "con la sua complicità" come accade oggi nella "simbolizzazione del conflitto di classe", ciò non può avvenire quando quando i soggetti sono animati da una forte coscienza classista, e quindi da solidarietà e vincoli reciproci di natura comunitaria che attivano l'antagonismo. Sostanzialmente per tale motivo, ciòè per debellare ogni forma di resistenza al suo progetto antropologico-culturale con finalità di dominio sul "capitale umano" e su tutti i subalterni, il capitalismo contemporaneo ha da tempo avviato, in Italia , in Europa e in occidente, un decisivo processo di frantumazione del tessuto sociale per la distruzione dell'ordine precedente.
Il nesso fra violenza simbolica e precarietà integrale, indotta artificialmente nella vita umana, risulta perciò evidente, e si stabilisce per "produrre" docili soggettività che rispondono in primo luogo alle attuali esigenze riproduttive sistemiche. Se le risorse culturali possono essere impiegate, fin dal momento educativo della scuola, con lo scopo di perpetuare il potere delle èlite riproducendolo, la classe dominante contemporanea le usa in modo più efficente e spregiudicato rispetto a tutte le altre classi egemoni che storicamente l'hanno preceduta, a partire dalla vecchia borghesia proprietaria, riuscendo ad imporre, a mantenere e ad estendere "con una certa qual facilità" il proprio potere.
A partire dalla cruciale precarizzazione e flessibilità del lavoro, i dispositivi simbolici del potere sembrano agire senza incontrare, per ora, resistenze ed ostacoli significativi, ed è per tale motivo che lo scrivente usa l'espressione "simbolizzazione del conflitto di classe", perchè, appunto, le ostilità si spostano dall'originario terreno, meramente ne banalmente economico-rivendicativo, per investire l'intero piano culturale e la fondamentale relazione fra mondo oggettico e mondo soggettivo.
Sarebbe possibile, se le cose non stessero così, come si è sommariamente descritto, l'accettazione da parte di milioni di individui di lavori intermittenti, a chiamata, in coppia, con paghe di volta in volta più basse, in termini reali e nominali, e a condizioni di lavoro sempre più stringenti?
Sarebbe possibile quanto sta accadendo oggi, nella nostra società, agli orfani della vecchia classe operaia e ai ceti medi penalizzati dalla tirranide finanziaria, in presenza di una estesa e persistente solidarietà classistico-comunitaria, che può estricarsi in forme di resistenza diffusa, dando luogo ad autentici prodromi rivoluzionari?
Ma i dominati, pur nella relativa passività del momento e nella temporanea assenza di un diffuso antagonismo classista, non partecipano mai interamente alla loro dominazione, come invece credeva Bordieu, in quanto esistono pur sempre un uomo solidale e non mercantile nelle microcomunità o in determinati circuiti sociali e un uomo competitivo e partecipe attivo o passivo della circolazione capitalistica nella propria dimensione sociale più generale.
Ci sono nell'uomo bisogni profondi, come quelli relazionali e identitari testimoniati dalla persistenza della solidarietà comunitaria, espressi in microcircuiti e fuori dalle logiche liberoscambiste, che nessun dispositivo simbolico, per quanto invasivo ed efficiente come quello applicato dalle attuali èlite, può dominare completamente, inducendo il soggetto ad un pieno "misconoscimento".
I sofisticati dispositivi di dominazione innescati dalla Global Class non sono certo perfetti ed inattaccabili, non hanno ancora debellato tutte le resistenze, ed è per questo che il processo di flessibilizzazione di massa, realizzato in primo luogo attraverso la svalorizzazione e la precarizzazione del lavoro, è destinato a continuare ancora a lungo.
L'autorità non è stata completamente sostituita dalla pubblicità, intesa quale veicolo ampiamente utilizzato per la "simbolizzazione del conflitto di classe", poichè si estrinseca ancora, in certe circostanze (pastori sardi, terremotati dell'Aquila, pescatori, No Tav, autotrasportatori), attraverso le forme più tradizionali, mettendo in campo i vecchi apparati repressivi soprattutto in occasione delle proteste operaie, studentesche o dei cosidetti marginali.
Dietro lo specchio di questa realtà, che riflette delle immagini superficialmente piacevoli ed allettanti - ipermercati stracolmi di beni, pubblicità capziose, prodotti strabilianti ad alta tecnologia nel campo delle telecomunicazioni, automobili super accessoriate, e molto d'altro - la lotta di classe, per opera dei dominanti globali e in nome e per conto del capitalismo contemporaneo, continua in forme molteplici e in un modo sempre più radicale. La "specie" Home Consumens, analizzata in profondità da Bauman e da tanti altri come le sciame di consumatori voraci o di tipi umani prevalenti nelle società occidentali, tende a riconoscersi sempre più spesso e ad individualizzarsi radicalmente nell'Homo Precarius, e alla coppia Produzione-Consumo tende a sostituirsi per moltissimi la coppia - apparentemente contradditoria, se posta in rapporto con la prima - Precarietà-Esclusione.
Cioè non rappresenta un "baco" nel sistema, una sorta di incapacità di sviluppare le forze produttive da attribuire al nuovo capitalismo, preconizzando su questa base e in modo automatico la sua fine, ma semplicimente il riflesso sociale di un dominio incontrastato del paradigma della Creazione del Valore, che "razionalizza" a suo modo il fattore lavoro - non più variabile indipendete dal punto di vista economico e da trattare quindi come tutti gli altri fattori produttivi - sostituendo quando serve e dove serve l'Esclusione all'Integrazione, senza dover più porsi fastidiosi problemi etico-cociali e di stabilità sistemica.
Lo stesso orizzonte futuro, d'altra parte, ci appare interamente sussunto alla nuova riproduzione capitalistica che non incontra ostacoli di rilievo e non deve più misurarsi con modelli alternativi, presi in un circolo vizioso, che è funzionale alla riproduzione strategica della totalità sociale nell'Evo del Capitale Transgenico Finanziarizzato, prigionieri di quella che ci appare sempre di più come una empasse storica e politica, altro non ci rimane se non contraporre con forza al lavoro capitalistico - che oggi significa estraniazione, svalorizzazione e precarietà, con la minaccia incombente dell'esclusione - il lavoro collettivo comunistico-comunitario, fondato su eguaglianza e solidarietà, dalla cui diffusione potrà concretamente e spontaneamente germogliare un General Intelect postcapitalistico e postmarxiano.
D'altro canto, se nessuna produzione biopolitica delle moltitudini è in atto e di conseguenza non ci può essere un oscuro biopotere che ha sostituito le vecchie le vecchie forme di dominio la nuova Pauper Class capitalistica in via di formazione deve fare i conti , qui e adesso, con la svalorizzazione progressiva del lavoro e la precarizzazione dell'intera vicenda esistenziale, imposta da una riconoscibile Classe dominante Globale.
Il lavoro mantiene la sua centralità, nella realtà quotidiana come nelle lotte per l'emancipazione o nelle resistenze alle dinamiche capitalistiche, e come tale può diventare un "cavallo di troia" per superare le difese del Nemico. Metaforicamente, oltre le mura che cingono la sua munita cittadella, apparentemente imprendibile, ci siamo tutti noi, ed ogni giorno entriamo per servirlo con il nostro lavoro. In assenza di questo lavoro, se non ci fosse la cooperazione fra i subalterni, sia pure ricondotta entro gli schemi capitalistici e assoggettata ad un comando esterno, senza l'apprendimento delle tecniche e lo sviluppo delle abilità umane, non avrebbe neppure senso parlare di "finanza creativa", di produzioni immateriali e intellettuali, di multimedialità, di biotecnologie, di terziari avanzati o avanzatissimi, semplicemente perchè non potrebbero esistere. Non esiste una fabbrica completamente automatizzata, senza operai e senza tecnici, se non in qualche racconto di fantascienza, in cui impropabili chip di ultima generazione sostituiscano integralmente l'opera dell'uomo e il suo sforzo collettivo.
Le sole macchine non possono "creare valore per l'azionista", alimentando il nuovo sfruttamento, e se mancasse la cooperazione umana nel lavoro non ci sarebbe neppure la Borsa.
Ed allora come ha scritto il filosofo Costanzo Preve, da tutti riconosciuto quale padre del Comunismo Comunitario in Italia: Rimettere il comunismo sui piedi significa sempre e comunque rimetterlo sui suoi piedi comunitari. Se in futuro la distruzione delle oligarchie mercantili che oggi dominano il pianeta, la classe dominante più abbietta dell'intera storia dell'umanità, darà luogo ad un modo di produzione alternativo migliore, non si tratterà certo di un generico "comunismo", ma di un nuovo modo di produzione comunitario edificato consapevolmente su basi nuove, che si tratta di esplicitare con chiarezza.
Il comunismo e qui inteso come un ideale eterno, che non si è spento con il collasso sovietico, non si è dissolto con la fine dei partiti comunisti europei, non è scomparso con le conversioni delle èlite cinesi al capitalismo mercantista globale, e non è esaurito dal pensiero e dall'opera, pur poderosa e importante di Karl Mark.
E' vero che le alternative sconfitte non possono essere riproposte se prima non si provvede a ripensarle e ad emendarle, ed è altrettanto vero che in questa società frammentata, relativista e nichilistica, il deserto può crescere facilmente in ciascuno di noi, ma è nei sogni rivoluzionari e antagonisti, sopravvissuti alla "normalizzazione" simbolica di questo capitalismo, che si ricompongono con fatica i frammenti della lotta di classe, ed è in loro che nascono le visioni di un altro futuro possibile e di una società diversa" (Eugenio Orso, Comunismo Comunitario, Comunismo e Comunità n. 5 gennaio-giugno 2011)
a cura di martelun