
Nel 2012 l’impressione che si ricava è identica.
Il Presidente Giorgio Napolitano, solerte a velocizzare e ad impedire dibattiti sulle manovre economiche, che da luglio del 2011 si susseguono ininterrottamente, di macelleria sociale e di classe, basate su lacrime e sangue non pronuncia nessuna parola sulla criminalità organizzata che c’è in Italia.
Abbiamo intere regioni nelle mani delle mafie, la Sicilia, la Calabria e la Campania dove la padronanza del territorio non appartiene allo Stato italiano ma a Cosa Nostra, alla ‘ndrangheta e alla Camorra in cui i cittadini che abitano lì debbono rispondere prima a queste organizzazioni criminali e poi alle autorità statali.
Ma non finisce qui a macchia di leopardo, le mafie le troviamo nella regione Lazio, Abruzzo, Toscana, Emilia e la Romagna, Liguria, Piemonte, Lombardia. Sicuramente l’elencazione è in difetto e non in eccesso.
Il Presidente del Consiglio Mario Monti va alla City, a Wall Street, a Piazza Affari per dire ai capitali finanziari speculativi di comprare i titoli di Stato italiani perché lui è il garante che gli interessi, alti quanto si voglia, saranno sempre pagati dalle classi subalterne italiane e a dimostrazione della verità fondante di quello che enuncia evoca la manovra sulla previdenza, che è diventata la legislazione più pesante ed iniqua, nei confronti di chi lavora e sta in pensione, che esiste all’interno dell’Europa, fatta con l’opposizione di sole tre ore di sciopero. Inoltre promette “di vendere i beni dello Stato con l’alienazione agli stranieri dei tesori artistici nazionali”.
Il Presidente del Consiglio Mario Monti dice che adesso pensa alla crescita e butta un po’ di fumo negli occhi a chi subisce questo governo, affermando che lui è l’attore che scioglie i nodi in cui il paese è bloccato iniziando a “liberalizzare” professioni, mestieri e … a smembrare l’Eni e Snam: l’approvvigionamento dalla distribuzione. Ma anche su questo poco fumo negli occhi, i giornali del 23 febbraio 2012 denunciano una incredibile marcia indietro: “Sviluppo, dai taxi alle farmacie l'asse governo-partiti frena le liberalizzazioni”.
Il Presidente del Consiglio Mario Monti dovrebbe sapere che non ci può essere crescita con le mafie dentro casa. Lui, che ha ricoperto per anni il ruolo di Commissario alla concorrenza in Europa, dovrebbe sapere che le mafie non permettono la concorrenza, impongono le ditte degli amici, le merci degli amici, i servizi degli amici e quindi la crescita è imprescindibile dalla lotta a Cosa Nostra, alla ‘Ndrangheta e alla Camorra potenziando le procure antimafia. Ma sono passati 100 giorni non ha speso una parola, non ha espresso un concetto, non ha fatto un’azione per indicare che bisogna combattere le mafie, costi quel che costi.
Il Presidente Giorgio Napolitano e il Presidente Monti come si sono accordati per fare uno strappo istituzionale, il primo facendo diventare senatore a vita il secondo e dandogli subito dopo l’incarico di Presidente del Consiglio invece di continuare la giusta dialettica democratica e far esprimere il popolo italiano attraverso le elezioni, dovrebbero mettersi d’accordo e dire che la lotta alle mafie è la priorità insieme alla lotta alla corruzione, 60 miliardi ogni anno, sanciti dalla Corte dei Conti e che rappresenta l’altra faccia della medaglia del sistema illegale esistente nel nostro Paese. In cui ci sono decine e decine di funzionari e dirigenti corrotti e istigatori di piani trasversali che accettano e propongono corruzione in favore delle mafie.
Che ci sia stato uno strappo istituzionale nel proporre ed imporre il governo Monti-Fornero è certo, la prova ’è stata la necessità di far diventare Monti, qualche ora prima, senatore a vita, un pannicello caldo per coprire la magagna di proporlo come Presidente del Consiglio. La domanda d’obbligo è: a che titolo? D’altra parte Napolitano in questi anni ci ha ben insegnato come navigare a vista coprendo quando c’è stato bisogno le magagne del governo Tremonti-Berlusconi. Non possiamo dimenticare il mese di pausa che dette a questo governo, sempre per un bene superiore ed imprescindibile, che permise al governo Tremonti-Berlusconi di rosicchiare la maggioranza alla Camera attraverso la compravendita di deputati, soldi in cambio di voti, il 14 dicembre del 2010.
Napolitano sapeva e sa che il paese attraversava e attraversa una grave crisi finanziaria, nata nel 2007 negli Stati Uniti. Nonostante ciò permise al governo Tremonti-Berlusconi di governare per ulteriori mesi rubando tempo per fronteggiare la crisi economica, e certo poi attraverso l'emergenza e l'urgenza sono state le classi subalterne, il mondo del lavoro a subire conseguenze più nefaste che potevano essere limitate, soprattutto facendo pagare anche ai ricchi il dovuto attraverso la Patrimoniale permanente e regolata. Ma così non è stato.
Lo scenario del novembre, 11 novembre del 2011 è stato preparato e voluto da Napolitano e questa cosa è stata scritta sui giornali detta in televisione rilanciata dalla radio e poi si meraviglia che va in Sardegna, dove la situazione è veramente drammatica, e sono mesi e mesi che il Movimento dei Pastori sardi lo denuncia, comincia ad essere accolto da fischi e contestazioni. Che cosa pretende che facciano i disoccupati, i precari, i cassa integrati senza più prospettive, i pastori che se lasciassero i loro greggi nonostante che lavorino solo per la sopravvivenza andrebbero ad ingrossare il mondo dei disoccupati, altro mestiere non sono capaci a fare, e loro sono orgogliosi di fare il loro lavoro e non lo ritengono monotono. Forse Napolitano pretenderebbe contestazioni silenziose educate come hanno fatto i poliziotti quando hanno ricevuto l'ordine di picchiare i pastori a Civitavecchia e gli aquilani a Roma.
E certo sempre due pesi e due misure, è nella norma.
Cerchiamo di provare a chiarire quello che il neoliberismo sta attuando in Italia. Una ricetta che il Fmi ha sempre applicato ai paesi del Sud America. Lacrime e sangue per le classi subalterne, tagli feroci alla spesa pubblica, tasse progressive maggiori per i più poveri salvando quelli che sono ricchi, privatizzare attraverso le regalie al capitale privato tutto il possibile di quello che appartiene allo Stato ma che non è dello Stato ma della comunità.
Fabbriche, pezzi di aziende, aziende locali che trattano beni comuni: trasporti, acque (nonostante il referendum), rifiuti, istruzione, sanità. Tutto il possibile.
Distruzioni del Welfare, attacco alle pensioni, riduzione dei salari, eliminazione dei contratti nazionali, riduzione dei diritti.
Perché culturalmente deve passare il concetto che solo i privati sono efficienti e scordarsi il fatto che è stato proprio il capitale finanziario speculativo che ci ha portato in questa situazione.
Dove i profitti sono andati ai privati e le perdite ai contribuenti!
E poi l'articolo 18. E' un totem, ma no non è un problema, non è oggetto di contrattazione, ma sì ne parleremo alla fine, se ci avanza tempo, e i giornalisti che incalzano e vanno sempre a chiedere a tutti: ma l'articolo 18?
E certo sono impertinenti questi giornalisti. E la Fornero l'accordo si farà con o senza sindacato ed è sotto inteso che pensa all'articolo 18. Ma no bisogna “riformare” sia il modo di entrata sia il modo di uscita dal lavoro. Che poi il modo di uscita è essenzialmente togliere l'articolo 18. Ma si si può riformarlo profondamente questo articolo 18. E che vuol dire? O c'è o non c'è. Veltroni impazza sul quotidiano “la Repubblica”: teniamoci Monti e molliamo l'articolo 18. Ichino che sostiene con veemenza e convinzione l'eliminazione dell'articolo 18. Fassina che è il responsabile economico del Pd e che si sente rappresentato dalla Fiom di Maurizio Landini e litiga con i fautori dell'abolizione dell'articolo 18 all'interno del suo partito. E Bersani che scalpita (?!?!) e dichiara che così non va su che cosa? Ma naturalmente sull'articolo 18. Il governo che risponde che metterà la fiducia sulla “riforma” del lavoro, chiaramente il fulcro è l'eliminazione dell'articolo 18.
Bombassei che sostiene dal momento che interessa così pochi lavoratori, fatto presente dal Giannini, si può eliminare tranquillamente. Ma argomento contrario dal momento che interessa così pochi lavoratori si può mantenerlo tranquillamente. Pochi lavoratori che sono costretti a farvi ricorso in Tribunale, precisiamo.
In definitiva cosa dice l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, la 300/1970?
Sancisce che non si può licenziare senza giusta causa.
La sua eliminazione porta ad essere licenziati in ogni momento e per qualsiasi motivo.
L'eliminazione sancisce l'estensione del precariato a tutti, anche a chi ha un contratto indeterminato.
martelun