L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 28 aprile 2012

www.ucuntu.org - Catania 5 - la lotta alle mafie è esercizio di lotta al potere corrotto e di classe dello Stato italiano


Gennaro e D'Angelo, fattosi trasferire dalla Pretura alla Procura della Repubblica, vi hanno a collega, sino all' '87, il Sostituto Anna Finocchiaro. Prima di uscire dall'Ufficio, perché eletta alla Camera dei Deputati, costei tratta, sino alla
richiesta di archiviazione compresa, denunce di quel contratto di locazione.

L'onda della criminalità è montata, come nel presagio angosciato del 1981. Il Presidente del TM e il nuovo Procuratore presso il Tribunale, Cortegiani, ne scrivono nell' '87 su Segno, rilevando l'effetto di trascinamento che il delitto dilagante e impunito produce in mezzo a schiere di ragazzi non preparati a resistere.

Nell' '88 una relazione del Presidente fa valere i numeri, spietati. La frequenza degli arresti di minori è sconvolgente: 204 in dodici mesi quelli di residenti italiani nel capoluogo (la cifra equivale al 3.46% del totale nazionale, mentre la popolazione non supera lo 0.64%). Gli indiziati di rapina, 58 su 204, costituiscono il 7.67% dei minorenni italiani incorsi in arresto per tale reato, in tutto il Paese. E' una cifra, questa di 58 arresti per indizio di rapina, alla quale non arrivano, messi insieme, tredici interi Distretti di Corte D'Appello, con i loro 17 milioni di abitanti.

Il documento si sofferma sulla corruzione senza freno, e sul posto che ha la mafia nel sistema locale di potere, ma soprattutto sulla condizione minorile. Il CSM ne resta talmente colpito (lo presiede il prof. Cesare Mirabelli; ne fanno parte, con Fernanda Contri, Maddalena e Caselli, Morozzo della Rocca e Racheli, Ambrosio e Abate) da volere che tutti i capi degli Uffici Giudiziari Minorili lavorino sul
tema per una intera giornata, nella sua stessa sede.

Ma Catania non se ne allarma.

Scoppia l'enorme scandalo di viale Africa, per il mega-appalto, a tangenti di miliardi e miliardi di lire, del Centro Fieristico “Le Ciminiere” : enorme anche per il numero e il ruolo delle persone coinvolte. E' un'immensa soperchieria, anche in danno del Comune di Catania. Il Consiglio rinnovato nell' '87 (ne fanno parte uomini come Giusso del Galdo e altri, anche giovanissimi) non consente la variante al PRG
necessaria perché l'opera, voluta dalla Provincia, possa essere realizzata, ma uno stratagemma, nel quale concorrono Uffici Municipali – trattenendo sin quasi all'ultimo giorno utile per il “no” un interpello della Regione – ne vanifca la resistenza.

L'imprenditore, a dispetto di tante evidenze, che fanno una massa, non viene perseguito per nulla. Secondo la Procura (che il Tribunale e la Corte d'Appello non mancheranno di smentire), egli è vittima di concussione. Come tale può riprendersi, se vuole, le ingenti somme distribuite ad amministratori elettivi e a burocrati e a politici; può riprendersele in barba all'Erario, spogliato del suo diritto a
confisca.

Molti vedono nel sorprendente trattamento dei fatti una grandiosa sequela dell'affare Pretura. L'appaltatore invulnerato allora, invulnerabile ora – è lo stesso, e il magistrato che imposta il processo, da solo o con altri più giovani, è uno dei Pretori di quel tempo : è il dott. D'Angelo.

Alla fine, nessuno sarà stato punito : né l'imprenditore (morto durante il giudizio di primo grado), né gli altri : perché a morte sono venuti anche i reati, per prescrizione.

tratto da http://www.ucuntu.org/pdf/ScidaCasoCatania.pdf

www.ucuntu.org - Catania 4 - la lotta alle mafie è esercizio di lotta al potere corrotto e di classe dello Stato italiano



Nel clima creato dalla vicenda della nuova Pretura, l'inchiesta del CSM su Catania, provocata dal prof. D'Urso e dal Comandante della GdF, venne facilmente esorcizzata.
Poteva mettere in luce inveterate prassi devianti della Procura della Repubblica, ma fu ridotta a tenzone attorno alle responsabilità di due persone. La realtà di Catania, ben più vasta e più profonda nel tempo, non ne sarebbe emersa per nulla.
Quando Uffici Giudiziari di Torino, competenti per connessione, procedettero penalmente contro magistrati di Catania (dicembre '84), la protesta unì l'establishment tradizionale e i “progressisti”: tutti pretesero, rumorosamente, che quell'affare fosse consegnato alla Procura della Repubblica di Messina, ex art. 11 CPP.

Il dissenso fu di pochi. Connessione a parte, Messina era a sua volta soggetta, per lo stesso art. 11, alla competenza di Catania; l'autonomia di ciascuna delle due sedi, rispetto all'altra, non poteva non sofrirne. E a Messina occupava posizione eminente un magistrato catanese, già stato a capo di un importante Ufficio della sua città.
Il processo rimase a Torino, e la paziente decifrazione di un diario in sequestro rivelò che l'autore aveva raccomandato un capomafia a colleghi di altre sedi, recandosi a visitarli nei rispettivi uffici. Era uno squarcio nel sottosuolo della “città senza mafia”.

Scomparso Fava, Catania venne disarmata: meno uomini, meno volanti, meno uomini sulle volanti. La città si trovò ceduta alla malavita, che poteva scorrerla da un capo all'altro, con i traffici e lo spaccio di droga, con le rapine e le estorsioni,
con i furti in casa e gli scippi. Impossibile un adeguato controllo del territorio, impossibili investigazioni adeguate; al sicuro i grandi latitanti, Santapaola in testa.

La protesta, pubblica, viene dalla giustizia per i minori : un articolo del Presidente del Tribunale, in settembre dello stesso '84, su I Siciliani che i ragazzi di Fava tengono in vita; rimostranze al Guardasigilli, a Catania, in presenza e nel silenzio dei capi di altri Uffici; un appello, in gennaio dell' '85, al Ministro degli Interni, Scalfaro, per il diritto della città alla restituzione dei presidî necessari : Catania non può aspettare assunzioni di agenti e carabinieri, ha bisogno di equità nuova e sollecita nel riparto delle risorse disponibili, o anche la lotta alla droga sarà irrisoria. Non c'è occasione di interventi, in convegni e in altre riunioni, che il magistrato trascuri.

Il quotidiano di Catania, ormai padrone del terreno, può permettersi di sottacere avvenimenti importanti, come l'affollatissimo convegno di Albatros, svoltosi nell'aula del Consiglio Comunale il primo dicembre dell' '86. E' l'associazione di cento catanesi, sorta per una lotta nuova e vera alle tossicodipendenze, che parta dalla lotta all'offerta di droga : lo Stato torni a presidiare Catania; il Comune imposti un'articolata politica giovanile; il Servizio Sanitario Nazionale faccia la sua parte con competenza e decisione. È deplorevole, dice il presidente del sodalizio – e il pubblico fervidamente attento gremisce anche l'atrio, sino alle scale – che un
Ospedale spenda 245 milioni l'anno - con l'aggiunta di altri 40, annui del pari, di compenso per l'uso dei mobili e di altre utilità - nella locazione passiva di una villa, nuova sede dei suoi uffici amministrativi, mentre confina in un piccolo garage (pareti rustiche; unica apertura la saracinesca d'ingresso) il Centro Accoglienza Tossicodipendenti.

I lettori del giornale catanese non sapranno nulla di questa intensa giornata cittadina.
Voliamo per un momento da quel tempo all'anno ora in corso, 2010, e a queste ultime settimane. E' passato da allora un quarto di secolo, e un altro convegno, di rilevanza ancora maggiore, è incorso nella censura de La Sicilia. Si è svolto a
Palazzo Biscari, il 28 ottobre, con grande concorso di pubblico, proprio sul tema del ruolo avuto dall'informazione nel cosiddetto “caso Catania”, (il quale è sempre attualissimo, più drammaticamente attuale che mai).

Nel sottacere l'evento la Repubblica non è da meno de La Sicilia.

tratto da http://www.ucuntu.org/pdf/ScidaCasoCatania.pdf

venerdì 27 aprile 2012

www.ucuntu.org - Catania 3 - La lotta alle mafie è esercizio di lotta al potere corrotto e di classe dello Stato italiano


I fatti
Capitolo I: da "Via Crispi" a "viale Africa"
L'appalto di una nuova sede, proprio per la Pretura, in via Crispi, fu dennunciato con glamore come variamente illegale: ma nessuni si mosse, nè la Procura nè i Pretori. Esortato da un giornale ad agire, Gennaro tacque. L'appaltatore trionfò.
Nella storia della città quell'inerzia fu come spezzata, come una curva a gomito. Le forze dominanti potevano ora guardare senza preoccupazione alla "magistratura progressista" (l'espressione è nelle cartelline dell'imprenditore Rendo, cadute in sequestro a Roma). Costituì, quell'inerzia, una tappa di cruciale importanza nella costruzione della pax cathinensis, la pace di una comunità senza "eretici".
Se si fossero impegnati nel contrastare, avrebbero sfidato, nello stesso tempo, le forze politiche ed economiche egemoni e la mafia (inquietante era infatti per la sua composizione la giunta municipale del tempo, proprio dal lato più attivo in quell'affare). All'opposto, l'astensione da ogni lato di guerra spianava al gruppo e al suo abile proselitismo, la strada del più ampio successo, nella triplice direzione, della conquista seggio in CSM, come oggetto di permante appannagio, dell'accesso ai posti-chiave della Procura della Repubblica e della scalata dell'ANM. Vero è che la caduta di prestigio fu netta; vero anche che isolati autori di anonimi sfruttarono l'aura di grande tentatrice che avvolgeva l'impresa, per mettere avanti spiegazioni diffamatorie dell'inattività, ma la risonanza di quegli scritti, archiviati all'unanimità dal CSM, fu tra minima e nulla, e presto le vociferazioni maligne parvero tacersi per sempre.
Il Prefetto di Palermo, Dalla Chiesa, autore della fatidica intervista sulla mafia a Catania e sulle collusioni con essa degli imprenditori catanesi (la Repubblica del 10/08/'82), venne ucciso il 3 settembre, 24 giorni dopo.
Durante la solenne inagurazione del nuovo edificio, in ottobre, il costruttore potè esaltare, tra gli applausi, i meriti dell'imprenditoria catanese. Dall'interno di quel nuovo tempio della Giustizia il disinvolto artefice di callidi affari repplicava al caduto servitore della legalità.
A Dalla Chiesa successe, con poteri di Alto Commissario Antimafia, un ex Questore di Catania, che con i grandi imprenditori locali aveva sempre avuto rapporti scorrevoli, improntati a fiducia reciproca.
Il quotidiano diretto da Giuseppe Fava fu chiuso quell'anno stesso; Fava venne ucciso il 5 gennaio dell' '84. Aveva raccolto il testimonio caduto di mano al Prefetto di Palermo Dalla Chiesa, fondando un mensile di battaglia, sul tema Catania, e radunandovi giovani di valore (col figlio di lui erano Orioles, i Roccuzzo, Gulisano, Gambino; altri come Faillaci, ancora ragazzo, accorreranno dopo).
La mafia assassina fu buona interprete dei grandi interessi in gioco: quel sangue era necessario al Sistema.
Il quotidiano la Repubblica accettò di chiudere il proprio ufficio di corrispondenza e di non metter piede nella provincia etnea con la sua cronaca regionale.

tratto da http://www.ucuntu.org/pdf/ScidaCasoCatania.pdf

giovedì 26 aprile 2012

www.ucuntu.org - Catania 2 - la lotta alle mafie è esercizio di lotta al potere corrotto e di classe dello Stato italiano


Da via Crispi a viale Africa - Nel “teatro” di San Giovanni la Punta - Il sangue di Rizzo - Volontà di non sapere e verità non cercata - Il Tabù

Premessa
Si tratta di cose e di uomini di un trentennio compatto, dall'82 ad oggi: concatenati i fatti, e sempre gli stessi, da allora, taluni dei magistrati protagonisti.

La situazione all'inizio.
Si diffidava diffusamente, al principio degli anni ottanta, della Procura della Repubblica: in paradossale diminuzione, per questo, le denunce di reati contro la Pubblica Amministrazione, mentre la frequenza dei fatti andava crescendo. La mafia? Pretendevano di far credere che Catania ne fosse immune, pur mentre la lotta tra i clan insanguinava la città.

Fu dal lato della Giustizia Minorile che venne nell' '81 l'allarme. La criminalità, tutta, era in rapido aumento; quello era un anno-svolta; l'avvenire poteva essere tremendo; era necessario far presto: i mesi contavano come anni. Per il riscatto della città, nelle sue parti malate – matrici terribilmente feconde di disadattamento minorile – ci voleva impegno concorde dello Stato e degli Enti Locali: danaro, competenza nel progettare, probità nella gestione. Quella relazione del Presidente del Tribunale per i Minorenni cadde nel vuoto. Il Prefetto ne sorrise.
Se qualche speranza si poteva nutrire, erano i Pretori ad ispirarla: uomini nuovi (Gennaro, D'Angelo e altri) dai quali non pochi cittadini si aspettavano progressivo rinnovamento della Giustizia.
Ma i fatti delusero, amaramente.

tratto da http://www.ucuntu.org/pdf/ScidaCasoCatania.pdf

mercoledì 25 aprile 2012

www.ucuntu.org - Catania 1 - la lotta alle mafie è esercizio di lotta al potere corrotto e di classe dello Stato italiano

Nota editoriale
Questo documento – il promemoria del Giudice Giambattista Scidà, Presidente Emerito del Tribunale dei Minori e protagonista prestigiosissimo, da oltre un quarto di secolo, dell'antimafa a Catania – è uno strumento indispensabile per la comprensione di almeno una delle possibili interpretazioni del “caso Catania”, di cui la stampa ufficiale non ritiene di dovere dar conto al lettore. Di che si tratta?
La città di Catania, tormentata da un sistema politico-mafoso fra i più potenti d'Italia, non ha mai potuto contare, in tutti questi anni, su un impegno giudiziario anche lontanamente paragonabile a quello del pool palermitano. Non è storia di oggi ma degli anni Ottanta (mancate indagini sull'omicidio Fava), Novanta (enucleazione delle responsabilità imprenditoriali), Duemila (privatizzazione della città da parte dei monopoli). L'inquietudine della società civile si accresce ora, e trova forse
un' “ultima goccia” decisiva, nella pubblicazione di un documento che ritrae insieme un boss mafoso e il principale candidato a una carica importantissima nel Palazzo: compresenza, per quanto auspicabilmente priva di significati penali, che non aumenta certo la fducia dei cittadini nel Palazzo.
Il nostro mestiere di giornalisti ci impone di accertare e diffondere una notizia che non può essere negata all'opinione pubblica. Non certo per avversioni o simpatie personali o per volere schierarsi nelle faide che, disgraziatamente, consumano in questi tempi non solo la classe politica, ma parte della giustizia siciliana. Ma perché non è in nostro potere di privare i lettori del loro diritto alla verità. Il nostro non è prevalentemente, come si dice oggigiorno, “giornalismo investigativo” (non lo fu quello di Giuseppe Fava), né corre dietro agli scoop; per noi l'investigazione è solo
una parte di un processo complesso di ricostruzione e racconto della realtà
che al centro ha la cultura e la società.
La nostra verità, insomma, non si estrinseca mai in un “viva questo e abbasso quello”, non grida, non cerca facili notorietà; ma cerca di rappresentare al lettore un quadro il più possibile fedele e veritiero di un mondo che, come i veri giornalisti sanno, è articolato e difficile e non si lascia rinchiudere in facili ovvietà.
Questo modo di pensare, in questo momento , non è molto popolare. Le idee del giudice Scidà non sono state contestate, sulla stampa ufficiale, ma aggredite. Ultimamente l'attacco ha raggiunto (sempre attentamente guardandosi dall'affrontare in qualsiasi modo la descrizione dei fatti) forme odiose e personali e se n'è resa responsabile, nell'edizione locale, “Repubblica”.
Il che apparirebbe incongruo, pensando all'impegno civile di cui questa testata ha sempre dato prova a Palermo e sul piano nazionale. Ma non lo è, purtroppo, se si considera il ruolo che questo giornale (o meglio, il suo editore) ha sempre avuto a Catania. Aperta alleanza con Ciancio, silenzio sugli affari, autocensura dei contenuti (fino a poco tempo fa si evitava di distribuire la cronaca) in ossequio all'alleato. E questo non per scelte “ideologiche” o culturali, ma banalmente per la comunanza d'affari col piccolo Berlusconi catanese.
Hanno questi interessi un ruolo nell'attacco personale e violento a Scidà, nella difesa dunque del Sistema catanese qui ed ora? Non lo sappiamo. Ma, non essendo affatto arbitrario né privo di connessioni con schieramenti vecchi e nuovi, è un dubbio che dobbiamo consegnare – con tutto il resto – al lettore.
Al quale, per l'ennesima volta, forniamo dunque non la Verità rivelata o lo scoop maiuscolo ma, più semplicemente, un utile strumento di lavoro.
Questo è sempre stato il nostro principio e il nostro stile e questo, sommessamente, intendiamo mantenere.
Riccardo Orioles

tratto da http://www.ucuntu.org/pdf/ScidaCasoCatania.pdf

martedì 24 aprile 2012

I popoli del sud lottano contro il capitale predatorio di risorse. Le guerre sono parti integranti della spoliazione

Cristina Kirchner
l'Argentina ha fatto un grande passo in avanti.
Con uno due ha steso al tappeto il capitale che voleva continuargli a succhiargli il sangue. Come un vampiro appena capisce la debolezza di un avversario si attacca alle carotidi e non molla più finche la vittima non è dissanguata.
Prima ci aveva provato il Fmi a propinargli la solita minestra fatta di tagli alla spesa pubblica, vendita dei gioielli di famiglia, disoccupazione. Politiche recessive.
Poi i soliti Oligopoli internazionali che sfruttano i beni finiti di un territorio, di un popolo, di una Nazione per fare profitti e lasciare quei popoli, quelle comunità prive del fabbisogno elementare costringendo ad importare gli stessi prodotti che su cui gli Oligopoli fanno soldi.
Un flash, grande è stato il tripudio dei giornalisti argentini che ascoltavano la Premier che annunciava la nazionalizzazione.
Con questo evento il pendolo si è decisamente spostato, l'esempio potrebbe essere seguito.
Il Capitale reagirà violentemente.
martelun

domenica 22 aprile 2012

quello che sento? un'analisi pacata? perchè ho voglia di mangiare qualche cuore e nn va bene


inutile fare analisi trite e ritrite ridette e ribadite.
qui occorre muoversi.
inutile dire che un fallimento sarebbe un disastro che reputo meno dannoso dell'evolversi dell'attuale putiferio.
siamo in mano a pochi signori.
siamo un progetto.
studiato a tavolino
ci sono laureati in statistica e matematica cinici e cattivi come non mai assunti dalle banche che lavorano per questo.
non siamo neppure cavie, lo eravamo sanno perfettamente, ora, le nostre reazioni.
disarticolate confuse innocue.
ci facciamo male,
usciamo male da tutte le manifestazioni.
dovevamo ribellarci quando successero gli orrori al diaz.
noi ci siamo fatti abbindolare e questo è uno stigma non indifferente.
essere complici.
subire soprusi
essere assassinati tra lo sgomento durato due minuti
della massa subitaneamente seguito dall'indifferenza propria dell'individualismo più schifoso.
avete votato per anni le stesse facce e i nipoti e i figli delle stesse facce
quando nel quotidiano non lo permettete lo condannate
urlate allo scandalo alla corruzione.
magari dell'assessore del paese di 2000 anime.
avete votato per anni senza capire che l'unico modo per fermare la ruota oliata è astenersi.
tutti.
l'unico modo per mandarli via è l'astensione totale dal voto
seguita dall'astensione dal lavoro
sino alla fine di questa orrenda pagliacciata che sono diventati quei farabutti che sono a roma.
che si vergognino e tornino dalle loro famiglie che abbiamo mantenuto secoli.
non abbiamo più soldi.
non c'è più nulla da costruire è tutto costruito anche abusivamente è tutto cemento.
nessuno compra case.
e chi le compra svendute accumula mattoni.
morirà con un mattone nella bara.
perché fra poco non varrà più niente neppure quello,
il tanto osannato mattone.
fermiamoci gente,asteniamoci dall'obbedienza. disobbediamo.
tutti.
siamo la maggioranza non guardate i miliardari ma bagnini che girano molti sono un bluff,
fidatevi di me.
siamo la maggioranza.

S.R.P.