La putrescenza del Capitalismo contemporaneo e la teoria del crollo
Antonio Carlo
Lunedì 10 Dicembre 2012
estratto
6) Italia: i disastri e le gaffes del Governo tecnico
A fine 2011 arriva in Italia il Governo dei tecnici che chiude l’era Berlusconi, e che viene presentato come il
“team” dei
salvatori della patria, mantra nel quale non ho mai creduto, pur
detestando Berlusconi, in poche parole siamo passati dalla padella alla
brace. E valga il vero.
A) Il bilancio disastroso dei tecnici
Ad inizio anno il prof. Monti presenta il suo Governo come un Governo
che rompe con “buonismo” precedente, ci vuole una cura drastica lacrime e
sangue
175. Evidentemente negli ultimi 40 anni, quando abbiamo subito stangate a ripetizione (negli ultimi 20 tremende)
176
il prof. Monti era sulla luna. In realtà il Nostro cerca solo di
accreditare per nuove politiche vecchie, stantie e fallimentari: il
giornale della Confindustria pubblica una rassegna analitica delle
manovre fatte da Berlusoni e Tremonti con relativi costi, che sono di
gran lunga superiori a quelle di Monti
177,
il fatto è però che la manovra del professore arriva dopo 20 anni e più
di donazioni di sangue, il corpo del paese è spremuto e non può
tollerare altri prelievi selvaggi, le stangate si cumulano e diventano
insostenibili, ma soprattutto inutili.
Il salvataggio attribuito a Monti è inesistente, Monti ha finito di
strangolarci e lo dicono i numeri che i plauditori (o struzzi) del suo
governo ignorano a cominciare proprio dai numeri della finanza pubblica.
Il rapporto deficit-PIL si contrae un poco, ma quello debito-PIL si
impenna: a fine 2011 siamo al 120,1%, nel primo trimestre 2012 siamo al
123,3%, nel secondo trimestre l’Eurostat ci accredita di un 126,1% e dei
dati più recenti da record di Bankitalia abbiamo già parlato. Si
impenna inoltre il costo del debito dal 5% e più del PIL per l’anno in
corso al 6% e più nei prossimi anni
178,
ormai lavoriamo non per pagare il debito (nessuno sa come farlo) ma per
pagare gli interessi sul debito. Se questo è un salvataggio sembra un
impiccagione nel senso che siamo impiccati al debito e ai suoi costi
crescenti. Il perché sia ciò non è un mistero: il presidente della
Federauto osserva che , a causa del crollo dei consumi di auto, lo Stato
ha perso 3 miliardi di incassi tra IVA ed accise
179
, in altre parole se tagli i consumi con una politica di lacrime e
sangue, tagli le entrate ed il debito risale, per Watson questo sarebbe
elementare, ma non per il governo tecnico. Lo stesso dicasi per
l’aumento dell’età pensionabile che riduce le entrate dell’INPDAP
(passato all’INPS) per i motivi che abbiamo visto; il Governo
tranquillizza se c’è un deficit sarà ripianato e si pagheranno le
pensioni
180, il
fatto è che una tale politica doveva prevenire il deficit non
contribuire a riprodurlo. In altre parole si fa cassa nel breve periodo
senza curarsi delle conseguenze negative di medio e lungo periodo: la
miopia al potere.
Quanto al PIL doveva calare dell’1,2% invece calerà del doppio, mentre,
riferisce il FMI, che i capitali stranieri abbandonano l’Italia per 235
miliardi di euro (il 15% del PIL)
181, possiamo consolarci con la Spagna dove la fuga è al 27% del PIL, ma è una consolazione amara.
L’occupazione poi è in caduta libera: l’8,3% di disoccupati a fine 2011
che diventano il 10,6% a settembre 2012 (35% disoccupazione giovanile),
un dato spaventoso ma irreale poiché il nostro tasso di occupazione
della forza lavoro è solo al 56,9%, un tasso “spagnolo” per cui non si
capisce perché noi siamo al 10,6% e la Spagna al 25% e la risposta è
semplice: statistiche da struzzi. Il fatto è che lo stesso prof.
Giovannini, presidente dell’Istat, rileva (settembre 2012) che nella
fascia di occupazione 18-29 anni, dove stazionano 7,7 milioni di persone
in età da lavoro, è occupato solo il 40,3%, il 13% cerca lavoro ed il
restante 46,7% è del tutto inattivo ed assente
182,
non studia, non lavora e non cerca lavoro, si tratta di 3,6 milioni di
persone che non sono chiamati disoccupati ma inattivi o scoraggiati,
sostanzialmente si gioca con le parole e con i numeri, il tipico
atteggiamento da struzzo. Realisticamente il Ministro Passera ammetta
che il problema del lavoro riguarda, direttamente o indirettamente 28
milioni di italiani (i vari disoccupati, scoraggiati, inattivi , precari
con relative famiglie), e cioè poco meno della metà degli italiani
183.
Ma non c’è solo la disoccupazione poiché il lavoro precario è un’altra
piaga: ad inizio anno sono segnalati 690 mila contratti di lavoro a
termine della durata di un giorno
184, mentre il 68% dei nuovi contratti di lavoro è a termine nel primo semestre 2011
185,
poco male poiché per l’anno in corso una ricerca del Ministero del
Lavoro con Unioncamere rivela che oltre l’80% dei nuovi contratti sono a
termine
186; in
altre parole chi ha un lavoro a tempo determinato, quando lascia il
mercato del lavoro viene sostituito da precari, il lavoro cattivo che
scaccia quello buono, come era un tempo con la moneta.
I salari reali sarebbero fermi a livello del 1993, negli ultimi 10 anni
gli stipendi medi sarebbero cresciuti solo di 29 euro, da 1.410 a 1.439
187,
quanto alle pensioni l’indagine Istat-INPS, certifica che nel 2010 il
38,8% non andava oltre i 499,9 euro mensili, ed un altro 30,8% si
collocava tra 500 e 999,9
188.
Inoltre la Corte dei Conti nel mese di novembre 2012 ha rilevato che i
conti INPS sono a rischio a causa della scarsità di nuove iscrizioni, e
quindi di nuovi contribuenti (allarme analogo a quello lanciato dall’ILO
30 anni or sono e di cui abbiamo parlato)
189 ed ha altresì rilevato che l’esplosione del lavoro precario e sottopagato renderà ancor più inadeguate le future pensioni
190.
Pesantissima la pressione fiscale che grava, secondo l’OCSE, sui salari
con un cuneo del 47,9% tra salario netto e lordo, siamo al 5° posto per
incidenza del cuneo nell’area OCSE e solo al 23° posto come salario
netto nel 2011
191.
Sempre nel 2011 la pressione fiscale era al 42,9% del PIL ma il dato è
invecchiato , grazie a Monti, adesso siamo al 45% e siccome l’evasione è
elevatissima accade che su chi paga le tasse la pressione arrivi al
55%, con punte del 70%, dati riferiti da Befera, responsabile delle
Agenzie delle Entrate ad un convegno della Confcommercio
192.
Ovviamente con simili salari, pensioni e pressione fiscale i consumi sono in caduta libera: saremmo fermi a 20 anni or sono
193, calano le vendite al dettaglio, 700 mila case rimangono invendute, crollano i mutui casa
194, crolla il mercato dell’auto
195 etc. etc.
Quanto al risparmio la recente ricerca Acri-Ipsos ha evidenziato che,
nel corrente anno, il 72% degli italiani non risparmia nulla (l’anno
scorso eravamo al 75%) mentre il 31% per consumare deve attingere al
vecchio risparmio o indebitarsi (29% l’anno scorso)
196.
Ci si consola col mantra che “le nostre banche sono solide”, il fatto è
però che, ad inizio anno il presidente dell’ABI (Mussari) rileva che le
banche hanno accusato perdite per 26 miliardi nel 2011
197 mentre la raccolta è in calo e le sofferenze aumentano del 20%
198. A fine anno di nuovo Mussari rileva che le banche hanno 35 mila esuberi
199;
nel complesso un panorama alquanto deprimente e ovviamente, è il caso
di ripeterlo, se l’economia reale va male le banche andranno anch’esse
male, a meno di un intervento di mago Merlino.
Davanti a questo quadro disastroso, il governo a fine anno lancia
segnali di ottimismo: nel 2013 avremo (a fine anno) la ripresa, la
famosa luce in fondo al tunnel, epperò subito dopo (inizio novembre)
l’Istat dirama le sue previsioni per il 2013: PIL – 0,5% (governo –
0,2%) , disoccupazione ufficiale (molto più bassa di quella reale)
all’11,4% e cioè attorno ai 3 milioni, consumi – 0,7%, (contro il – 3,2%
del 2012), se questa è luce sembra quella di un perdurante incendio.
Sintomatico è il dato sulla disoccupazione, soprattutto rapportato alle
dichiarazioni del governo sulla riforma del mercato del lavoro, volta a
ridurre le tutele per favorire le assunzioni (intervista di Monti a
Matrix di inizio anno), sembra evidente che il mercato del lavoro se ne
infischia delle riforme del governo tecnico, stando almeno alle
previsioni dell’Istat che fornisce al Governo i dati per la sua politica
economica.
Si dirà che la colpa è della crisi, ma le crisi si affrontano con la
politica economica, chi crede nel futuro del capitalismo e governa deve
farlo, e l’efficacia della politica del lavoro posta in essere è del
tutto nulla. Ancora: un sondaggio Bankitalia fatto tra settembre e
ottobre 2012 è arrivato alla conclusione che il 30% delle imprese
italiane chiuderà il 2012 in rosso e ridurrà il personale, l’anno scorso
i dati erano 23,6% per le perdite e 29,3% per le riduzioni del
personale
200.
B) I provvedimenti del Governo tecnico
Ovviamente se i risultati del governo tecnico sono stati quelli
su esposti potremmo risparmiarci di analizzare in dettaglio le molte
decisioni prese, tutte fallimentari, tuttavia lo faremo per evidenziare
come l’attuale classe dirigente italiana sia in stato confusionale,
balbetti e improvvisi, rimediando uno strafalcione dopo l’altro. Dei
provvedimenti lacrime e sangue (istituzione dell’IMU, aumento di accise,
IVA ed addizionali, aumento dell’età pensionabile, etc.) si è già
implicitamente detto: il solito taglio di consumi, salari e pensioni
che, cumulandosi ai precedenti ha portato ad una recessione da cui non
sappiamo come e quando usciremo, c’è solo qualcuno che periodicamente ci
dice che si vede la luce infondo al tunnel, che vi sono segni di
ripresa etc., più o meno come Hoover nel 1929-32, che per questo si
coprì di ridicolo e si fece per giunta la fama di menagrano perché
subito dopo le dichiarazioni ottimistiche arrivavano dati disastrosi che
suonavano come uno sberleffo.
Tornando ai nostri tecnici assieme al decreto “salva Italia” (quello con
stangate varie) ne viene varato un altro detto “cresci Italia” volto a
stimolare la ripresa. Come? Aprendo il mercato e suscitando nuove
energie: bisogna cioè attaccare le
lobbies che ingessano il
mercato e soffocano le forze potenziali dell’economia. Ma chi sono i
reprobi in questione? Il prof. Monti ben conosce gli interessi forti che
dominano il mercato e condizionano la politica di bilancio e fiscale
degli Stati, le IM che egli denunciò nel lontano 1997 come si è visto
201.
Epperò nel corso degli anni deve essersene dimenticato perché il
decreto in questione colpisce tassisti, farmacisti e notai che sarebbero
i veri nemici dello sviluppo economico italiano ed i veri responsabili
della crisi; in verità c’è anche una puntatina contro l’esosità delle
commissioni bancarie, ma dopo la levata di scudi dei banchieri rientrerà
rapidamente
202.
Francamente non si sa se ridere o piangere: qualche migliaio di posti di
lavoro per nuovi tassisti o nuovi farmacisti (nella migliore delle
ipotesi) non cambia certo il problema occupazionale italiano che ha ben
altra dimensione. Inoltre, si prevede, per favorire l’imprenditoria
giovanile la possibilità di creare per gli
under 35 delle srl
senza costi e con un solo euro di capitale (avete letto bene), costoro
dovrebbero aprire il mercato alla concorrenza lottando contro le grandi
ed invadenti IM che hanno ben altra potenza economica
203.
È come se il generale Montgomery avesse chiesto ai suoi fanti, durante
la seconda guerra mondiale, di attaccare i carri Tigre tedeschi da 65
tonnellate con le sciabole di latta. Si noti poi che il giudizio dell’UE
(presso cui Monti gode una notevole stima) sui provvedimenti volti ad
aprire il mercato è stato fortemente negativo: con un comunicato del
6/10/12, l’UE rileva che l’Italia negli ultimi sei mesi ha realizzato il
peggior risultato di sempre per quel che riguarda le norme per
l’attuazione del mercato unico
204.
Evidentemente, però, i provvedimenti “sciabole di latta” non bastano ed a
giugno il governo vara un nuovo decreto “sviluppo Italia”, che
conterrebbe 80 miliardi di investimenti, cui però nessuno crede, ed alla
trasmissione “Ballarò” del 19/6/12 il sottosegretario Catricalà
ammetterà candidamente che la cifra vera è poco più di un miliardo in
tre anni, 350 milioni l’anno più o meno: una miseria.
C’è poi la politica del lavoro che si esprime tra l’altro nella
controriforma dell’art. 18 Statuto dei lavoratori: i lavoratori hanno
troppe tutele sicché i poveri capitalisti non potendo licenziarli, non
assumono nuovi dipendenti
205
ancora una volta un’asserzione risibile; in un paese con una
disoccupazione elevatissima e dove il lavoro precario si estende a
macchia d’olio, è evidente che è possibile creare disoccupazione: in un
simile paese: nulla vieta ad un imprenditore di licenziare il proprio
dipendente per scarso rendimento , per crisi aziendale, per utilizzo di
tecnologie che rendano esuberante il lavoratore etc., in tutti questi
casi esiste un giustificato motivo sia oggettivo che soggettivo, come
nulla vieta ad un imprenditore di sostituire lavoratori a tempo
indeterminato che si ritirino dal mercato del lavoro, con lavoratori
precari o di non sostituirli affatto, o di chiudere fabbriche e
trasferirsi in Serbia o Romania e così via, che da noi le tutele siano
eccessive è una asserzione che non sta né in cielo né in terra, la
verità è che gli unici licenziamenti che sono veramente vietati sono
quelli per rappresaglia politico-sindacale o per avversione personale e
cioè una minoranza trascurabile dei licenziamenti, tanto è vero che le
cause di lavoro che riguardano la riassunzione del lavoratore sono solo
300-500 il 2-3‰ su un monte cause di lavoro di 160 mila
206.
Inoltre non è certo che per questo motivo che gli investitori stranieri
non vengono da noi, a tal proposito lo stesso Monti ha riferito che il
sovrano del Quatar , da lui incontrato, gli aveva detto che le remore ad
investire in Italia erano due: lentezza burocratica e corruzione
207,
l’art. 18 non era citato; più o meno nello stesso periodo il presidente
della Confindustria Squinzi parlando della riforma Fornero, imperniata
sulla “contrazione” della’art. 18 la definì una “vera boiata”, cosa che
destò grandissimo scalpore perché non si era mai visto un presidente
della Confindustria che trattasse con tanto esplicito disprezzo la
politica del Governo.
Ad onor del vero però Monti una sua idea di riforma del lavoro ce
l’aveva e consisteva nel tutelare non tanto il posto di lavoro ma il
lavoratore, secondo un modello che ha avuto la sua massima espressione
in Danimarca dove il lavoratore che perde il lavoro è accompagnato a
trovare altri posti di lavoro alternativi e nel frattempo gode di una
indennità di disoccupazione di 1.600 euro superiore allo stipendio medio
di un lavoratore italiano, che come si è visto si aggira sui 1.439
euro; ovviamente il lavoratore licenziato in Danimarca non può rifiutare
il nuovo posto di lavoro che gli viene offerto per cui può capitare che
un professore universitario finisca col fare il postino
208.
Senza dubbio una riforma avanzata ma che interviene sugli effetti non
certo sulle cause: la disoccupazione in Danimarca è al 7,5% ed imporre
ad un professore universitario di fare il postino non è certo moralmente
condannabile, ma è economicamente assurdo, se produci un urbanista, uno
specialista di letteratura nordica, un informatico etc. impegnerai
delle risorse sia dello Stato che del singolo, mandarlo poi a fare il
postino significa ammettere che quelle risorse sono state sprecate e
questo non è certo razionale economicamente. Il modello danese, dunque,
non manca di contraddizioni e limiti ma è soprattutto un modello che
richiede un notevole esborso economico (un’indennità di disoccupazione
da 1.600 euro mensili non è cosa da poco) ed infatti in quel paese la
spesa per gli ammortizzatori sociali assorbe il 3,37% del PIL contro
l’1,84% italiano
209,
e qui vale la solita considerazione che non puoi fare le nozze con i
fichi secchi: se vuoi imitare il modello danese, pur con i limiti che
indubbiamente vi sono, devi spendere come in Danimarca e non come in
Italia altrimenti fai solo una caricatura da quattro soldi (nel senso
letterale del termine).
Ancora. La vicenda incredibile e vergognosa degli esodati: l’aumento
dell’età pensionabile lascia un numero enorme di lavoratori,
precedentemente spinti ad andare in pensione anticipata, senza stipendio
e senza pensione per alcuni anni. Il governo tecnico si accorge del
problema ed emana un decreto per 65 mila esodati, che potranno usufruire
del vecchio regime, epperò dall’INPS trapela che il numero vero degli
esodati è di gran lunga superiore sarebbero più di 300 mila; il Ministro
Fornero insorge con una strana e contorta smentita secondo cui i dati
sarebbero imprecisi e non critici, a sua volta il dott. Plateroti,
vicedirettore del giornale della Confindustria rileva che qualche
settimana prima il dott. Mastrapasqua, direttore dell’INPS, aveva
fornito il dato in una audizione alla Camera senza che la signora
Fornero obiettasse alcunchè
210,
per cui la tardiva smentita della signora Fornero appare alquanto
dubbia. Peraltro il governo ha dovuto estendere la platea ad altri 55
mila esodati e poi ancora ad altri 10 mila, ed altri 10 mila ancora, ma
quale sia il numero reale non lo sappiamo ancora, più volte ci è stato
detto che sarebbe stato reso pubblico ma, mentre chiudo questo articolo,
ancora rimaniamo a valutazioni fatte da fonti indipendenti, il governo
tace e da più parti gli si fa notare che tecnici che giocano con i
numeri e con la vita delle persone, non sono uno spettacolo edificante
211.
Al di là di confusione e di improvvisazione quello che colpisce è che il
governo non abbia valutato la conseguenza dell’innalzamento dell’età
pensionabile in un momento di crisi pesantissima. Se aumenti l’età, con
esuberi che crescono continuamente (i 35 mila delle banche solo per fare
un esempio) il rischio, non solo in Italia, è che crei persone che si
troveranno senza stipendio e senza pensione e che non potranno consumare
e sostenere così l’economia (a parte ogni considerazione morale, che,
per gli imbecilli, non ha peso alcuno ma che per me ce l’ha). Anche qui
l’impressione che si ricava è di un governo che procede a tentoni ed
alla giornata, e che non sa valutare in anticipo le conseguenze della
propria azione, sono tecnici appunto.
Non meno fallimentari sono stati i provvedimenti sulla
spending review, provvedimenti
volti a ridurre gli sprechi per i quali ci sarebbe un vasto campo basti
pensare agli aerei F35 che ci dovrebbero costare 12 miliardi di euro
per difenderci non si sa bene da quale pericolo che viene dall’aria
212,
o ai costi enormi di corruzione ed evasione fiscale, invece accade che
si riducano le spese per la ricerca scientifica, sicchè 30 scienziati
faranno appello a Monti perché tali tagli siano revocati
213,
mentre il prof. Giovannini dirigente dell’Istat osserva che, a causa
dei tagli, dal gennaio 2013 non potrà più produrre statistiche, il che è
il colmo per un governo di tecnici e di economisti
214.
Si riducono, accorpandole, le province ma senza licenziare i
dipendenti, il che è giusto ma riduce il risparmio a molto poco (si
parla di qualche centinaio di milioni).
Nel frattempo la ragioneria centrale dello Stato ci fa sapere che
l’Italia non riesce ad usare i fondi strutturali europei per i quali ha
ottenuto 59,4 miliardi nel periodo 2007-2013, di cui sono stati spesi
solo 16,1 miliardi, rimangono non spesi 43,3 miliardi che l’Italia
perderà se non saranno usati per la fine del 2013
215; il governo ha cercato di fare qualche cosa ma senza grandi risultati
216.
Ancora, l’anno scorso sulla scia di una bella ricerca di Nunzia Penelope
ho rilevato che il governo non riscuoteva ben 45 miliardi l’anno di
propri crediti, 450 miliardi negli ultimi 10 anni
217,
una cifra enorme, ma non risulta che si sia fatto nulla, il nostro
Stato non è nei guai solo per i debiti ma anche per i crediti che non
riesce a riscuotere.
Infine l’evasione fiscale e la corruzione: 120 miliardi le tasse evase
per il governo, molte di più per il Tax Research londinese come si è
visto, e anche per la nostra Corte dei Conti, che stima il peso di
evasione e corruzione a 200 miliardi l’anno
218, ciò che viene rilevato anche da altre fonti
219.
Inoltre la Banca d’Italia a metà 2012 pubblica uno studio secondo cui
l’evasione concerne il 31% del PIL (e non il 17-18% come sostiene il
governo), in quanto oltre al PIL legale nascosto (18-19%) c’è il PIL
della criminalità, un altro 12%, il che con una pressione fiscale del
45% del PIL fa ascendere il volume delle tasse evase a 220-230
miliardi220. Intendiamoci non voglio sostenere che occorra pagare le
tasse sul commercio di coca o lo sfruttamento della prostituzione, ma
che quei capitali e quelle risorse andrebbero confiscati e reimmessi
nell’economia legale in attività legittime e tassate.
Befera, responsabile dell’Agenzia delle Entrate ammette che il fenomeno è
enorme ma non si dimette per la palese inutilità della sua agenzia, che
andrebbe sciolta (dati i risultati) in sede appunto di
speding review.
Gli obiettivi della lotta all’evasione che vengono proposti sono sempre
10-12 miliardi l’anno da recuperare, il che, come ho detto negli anni
passati
221, è uno
spot per l’evasione fiscale poiché il rischio statistico di incappare
nella maglie del fisco è minimo (il 5-6% delle probabilità), poi se ti
beccano comincia la lotta defatigante dei ricorsi e se tutto manca la PA
può dimenticarsi di riscuotere il suo credito, cosa frequentissima, che
all’occorrenza può essere incentivata (corruzione). Si noti poi che
queste cifre non hanno nulla di eccezionale: che in Italia circa 1/3 del
PIL sia occultato è cosa che era già stata rilevata nel libro bianco
del Ministero delle Finanze nell’ormai lontano 1977
222.
Basterebbe, dunque, che lo Stato annullasse l’enorme massa delle
esenzioni IVA (oltre 38 miliardi), poiché i gruppi sociali che
dovrebbero pagare quella tassa la evadono largamente, un’esenzione
doppia è veramente eccessiva (lavoratori autonomi ed imprenditori si
autoesentano evadendola), ma nessuno ipotizza queste soluzioni che
sarebbe “staliniste” o da Stato di polizia tributaria, e così il
bilancio dello Stato salta e scopriamo che il welfare è un lusso che non
ci possiamo permettere, come le pensioni oltre i 1000 euro, e
conseguentemente si tagliano i consumi e lo sviluppo economico e
oscilliamo tra ristagno e recessione da oltre 20 anni.
La corruzione, un’altra tassa enorme che fa lievitare del 40% il costo delle opere pubbliche, come rileva la Corte dei Conti
223,
e ad ottobre il governo conferma questi dati pubblicando un libro
bianco sulla corruzione da cui si evince che il nostro tasso di sviluppo
nel periodo 1970-2000, con una corruzione “normale”, sarebbe stato
doppio e ancor più elevato negli anni più recenti. Nel frattempo il
parlamento approva la legge anti-corruzione, che solleva critiche
pesantissime per la sua timidezza in tema di ritorno ad un vero falso in
bilancio (dopo la controriforma di Berlusconi), di prescrizione, di
concussione (lo scorporo del reato in due ipotesi di cui una più lieve
devitalizza in parte la norma), mentre il reato di auto-riciclaggio (il
reinvestimento delle mazzette avute come prezzo della corruzione) non è
previsto
224. Ad
ottobre l’On. Buongiorno, presidente della Commissione Giustizia della
Camera, dichiara in un’intervista ad “Otto e mezzo” ( TV LA7 ), che
nell’attuale legislatura non c’è stato grande interesse per la lotta
alla corruzione, la Camera si è occupata di altro, del lodo Alfano (le
vicende giudiziarie di Berlusconi) e dell’ipotesi di ridurre l’incidenza
delle intercettazioni telefoniche, ciò che certo avrà terrorizzato
mafiosi e corrotti. Non sembra che il nuovo governo segni una seria
inversione di tendenza rispetto al passato.
Un panorama nel complesso disastroso e sin anche in un giornale come
“Repubblica”, filo-montiano dalla prima ora, si ritrovano giudizi molto
pesanti sul governo (ci si rende conto che la liberazione del Berlusconi
ha avuto costi pesantissimi) tra questi citiamo quello di Riva ,
secondo cui il governo ha preso decisioni “di insolita durezza” “poi ha
creduto o ha fatto finta di credere che chissà quali stimoli alla
crescita potessero venire da provvedimenti di dubbia efficacia e di mal
certa gestione, come i decreti sulla liberalizzazione e la
semplificazione”, quanto alla riforma dell’art. 18 è definito “un
inutile teatrino”
225.
C) I nodi irrisolti dell’economia italiana
L’economia italiana presenta vari nodi irrisolti con cui il governo
tecnico avrebbe dovuto confrontarsi e cioè: a) L’enorme debito pubblico;
b) la disoccupazione in particolare quella dei giovani; c) la bassa
produttività e competitività del nostro sistema economico.
Sul primo punto è evidente che bisogna trovare un mezzo per ridurre il
debito, poiché il peso oppressivo degli interessi mangia una parte
rilevante della ricchezza nazionale, che può emigrare all’estero
(impoverendo il paese), dal momento che una fetta consistente del nostro
debito è in mani straniere che, in questi ultimi tempi, come si è
visto, non prediligono l’investimento in Italia anzi sono in fuga dal
nostro paese. Fioriscono, dunque, i piani per il rientro dal debito e si
mira alla vendita dell’enorme patrimonio edilizio pubblico (carceri e
caserme e dismesse per fare un esempio) e girano cifre e valutazioni
rilevanti ma anche molto criticabili in dettaglio
226.
Senza, però, entrare nei particolari dei singoli progetti, due cose in
via generale sono da porre in rilievo: quando vendi in una situazione
profonda crisi, non vendi ma svendi a prezzi di strozzo, chi compra, in
genere, sono fondi speculativi specializzati in “operazioni avvoltoio”
che sono tra i pochi a disporre della liquidità necessaria, inoltre,
caserme o carceri non sono facilmente riciclabili e richiedono ulteriori
spese di intervento ai fini della riconversione ad altri scopi
profittevoli.
Si corre il rischio, cioè , di ottenere molto poco; inoltre (e questo
rilievo è anche più pesante) si interviene sugli effetti e non sulle
cause (la produzione del debito), per cui se continuano ad operare le
cause che hanno prodotto il buco nero che divora tutto, c’è il rischio
che si buttino anche le poche entrate ottenute, già in passato si sono
operate vendite di rilievo (ad. es. azioni ENI) e non è cambiato nulla.
Occorrerebbe una politica di intervento sulle cause che manca del tutto.
Sui giovani e sulla loro disoccupazione Monti in un’intervista a “Sette” del 27/7/12 ha detto: “Esiste un aspetto di
generazione perduta
purtroppo. Si può cercare di ridurre al minimo i danni, ma più di
attenuare il fenomeno con parole buone credo che chi (…) partecipa alle
decisioni pubbliche debba guardare alla crudezza di questo fenomeno e
dire: facciamo il possibile per limitare i danni alla generazione
perduta, ma soprattutto impegniamoci a non ripetere gli errori del
passato e a non creare altre
generazioni perdute”
227.
Qui con estremo candore, Monti ammette che non sa cosa fare davanti
alla disoccupazione giovanile, le sue esortazioni del passato, del tipo
“non fossilizzatevi nella ricerca di un noioso posto fisso”, oppure
“cercate di andare all’estero”, nascondono una verità molto semplice: il
governo dà per scontato che l’attuale generazione di giovani sia
perduta, non sa cosa fare (al di à di qualche palliativo e di qualche
buona parola) anzi potremmo dire che Monti è conscio di aver dato un
contributo alla “perdita” dell’attuale generazione di giovani.
Un’economista, per quanto ottocentesco come Monti, non può ignorare che
se si eleva l’età pensionabile, in un momento in cui l’occupazione si
contrae stabilmente in Italia e all’estero (per cui l’invito di andare
all’estero è platonico)
228,
si contraggono altresì gli sbocchi occupazionali per i giovani: è stato
stimato, infatti, dal CNEL, che nel 2020, grazie alla riforma Fornero,
gli
over 57 al lavoro saranno il 46,9% contro il 25% attuale,
cresceranno gli occupati vecchi e si ridurranno parallelamente i giovani
a causa dell’aumento dell’età pensionabile
229.
La risposta a questi rilievo è che il prolungamento dell’età
pensionabile era obbligato per salvare i conti degli enti previdenziali,
ma una risposta di questo genere è assolutamente miope. La
disoccupazione giovanile è l’espressione della contrazione del mercato
del lavoro che non produce nuovi posti, per cui i giovani rimangono a
piedi, la loro disoccupazione è l’espressione di una tendenza generale
del sistema, non è un problema che riguardi solo i giovani, non sono
loro una generazione perduta ma è il sistema che si sta perdendo o
disfacendo; inoltre abbiamo visto che se l’occupazione si contrae, si
riduce il numero dei contribuenti e dei contributi agli enti
previdenziali per cui i loro conti saltano, così assieme alla
“generazione perduta” si perdono pure i conti degli enti previdenziali,
sempre che si sappia guardare al di là del proprio naso.
In sintesi se non si risolve il problema dell’occupazione giovanile non
si risolve il problema dell’occupazione in generale ed il sistema rimane
stabilmente depresso, e la depressione del sistema manda in
tilt gli enti previdenziali.
Il terzo e ultimo nodo dell’economia italiana è la bassa produttività e
competitività, che, in passato, dal ’70 al ’79 aveva uno dei tassi di
crescita della produttività più elevati al mondo
230.
Chi, come me, quegli anni li ha vissuti ricorda benissimo le
lamentazioni delle industriali sulla bassa produttività dei nostri
operai, troppo conflittuali e poco diligenti sul lavoro, per cui gli
investimenti erano scarsamente dinamici; è una tesi che contestai allora
231,
adesso, “a babbo morto”, apprendiamo che erano balle. Ma, dopo esserci
tolta questa piccola pietra dalla scarpa, occorrerà considerare il
perché oggi la produttività è bassa e la risposta è semplice: in Italia
non mancano gli investimenti, ma sono carenti gli investimenti in
macchinari e tecnologia: tra il 2000 e il 2010 il peso degli
ammortamenti sul fatturato cala dal 6,5% al 3,8%, mentre la vita dei
macchinari passa da 10 a 16 anni, livello bassissimo per UE ed OCSE
232.
D’altro canto se l’economia ristagna e gli impianti rimangono
inutilizzati (54% è il tasso di utilizzo nell’industria dell’auto, come
si è visto) investire di più diventa difficile. Inoltre aumentare la
produttività crea una situazione occupazionale in caduta libera, come
abbiamo più volte sottolineato, il che acuisce il ristagno-calo dei
consumi e scoraggia nuovi investimenti in macchine e tecnologie. Un
altro circolo vizioso insolubile, e dal momento che il circolo vizioso è
insolubile il governo “saggiamente” non fa nulla.
http://www.sinistrainrete.info/marxismo/2430-antonio-carlo-la-putrescenza-del-capitalismo-contemporaneo-e-la-teoria-del-crollo-.html