L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 26 gennaio 2013

la legge tendenziale della disoccupazione crescente

Sintesi tratta da: "La putrescenza del Capitalismo contemporaneo e la teoria del crollo" di Antonio Carlo
http://www.sinistrainrete.info/marxismo/2430-antonio-carlo-la-putrescenza-del-capitalismo-contemporaneo-e-la-teoria-del-crollo-.html

Nei paesi industriali avanzati lo sviluppo tecnologico ha sempre meno bisogno di lavoro e lavoratori per espandersi.

Prof. Malinvaud (francese):
"La disoccupazione di massa deriva da un cattivo funzionamento dell'economia. Quando questo fenomeno dura tanto da sembrare permanente, viene spontaneo chiedersi se non bisogna apportare qualche modifica fondamentale al nostro sistema economico. ... in effetti è sorprendente che la discussione scientifica della possibilità di riformare le nostre istituzioni economiche per ridurre la disoccupazione di massa sia stata così scarsa".

Nel corso dell'anno (2012) vengono diffusi i dati dell'OCSE e dell'ILO sulla disoccupazione: 205 milioni a livello mondiale (75 milioni giovani).

Accanto alla disoccupazione c'è il fenomeno della sottoccupazione, che l'ILO considera il vero problema occupazionale dei paesi emergenti. Nel rapporto del 1976 erano stimati in 500 milioni ed in quello del 2005 erano stimati 1,2 miliardi pari al 58,7% della forza lavoro dei paesi emergenti e al 49,7% di quella mondiale.

La crescita della produttività serve a creare disoccupati e non occupati. 

Le nuove tecnologie permettono di raddoppiare la produzione ogni 5 anni senza aumentare l'occupazione, ma anzi contraendola, ed i nuovi settori non solo producono di più con meno addetti, ma forniscono agli altri settori i mezzi per fare lo stesso (computers o programmi di produzione) per cui il risultato è che puoi produrre masse crescenti di beni con masse decrescenti di lavoratori anche di alta qualifica, poichè le tecnologie moderne richiedono si lavoratori di alta qualifica ma in misura minima, per cui le professionalità più richieste in futuro saranno baristi, badanti, cuochi, sguatteri etc. molto più degli ingegneri informatici.

Nel  neoliberismo=capitalismo  i salari non aumentano,  le tasse e i servizi aumentano e i prodotti che si possono acquistare sono qualitativamente e quantitativamente di meno.

Le merci rimangono invendute, le fabbriche lavorano al di sotto delle loro capacità e gli investimenti per la produzione manifatturiera languono.
I lavoratori perdono i loro diritti e il lavoro diventa sempre più precario, flessibile e malpagato.

La crisi occupazionale produce effetti a catena su tutta la società e fa saltare gli equilibri della previdenza sociale, che non è un lusso ma un pilastro fondamentale del sostegno del sistema: pensioni decorose contribuiscono ai consumi e all'espansione economica per cui il crack del sistema previdenziale collegato  alla crescita della disoccupazione e della sottoccupazione, finisce con il tradursi in una nuova spinta verso il sottoconsumo ed il blocco dell'economia.

Questo stato di cose nasce dopo la felice parentesi della crescita avutasi nel dopoguerra, negli anni settanta la produzione comincia a languire e gli Stati sovvenzionano largamento il sistema produttivo, l'esempio più eclatante in Italia è il continuo sovvenzionamento alla Fiat.

Lo Stato vola in soccorso delle imprese che pesantemente colpite dalla crisi degli anni '70, sarebbero fallite. Lo Stato comincia innarestabilmente a indebitarsi per permettere all'economia di galleggiare.

Questo da parte delle uscite mentre dalla parte delle entrate i ricchi vengono sempre di più esentati dal pagare le tasse, negli anni 2000 negli Stati Uniti l'aliquota dei ricchi che pagavano le tasse era del 5%, gli altri avevano i paradisi fiscali creati ad arte per evadere/eludere.

 Ci sono torme di industriali che fanno la questua ai governi per essere sovvenzionati ed essentati sotto molteplici voci.

Le Imprese Multinazionali si stabilizzano e mettono in concorrenza gli Stati e allocano i propri investimenti dove si pagano meno tasse. Centri di poteri, che controllano quote enormi della ricchezza mondiale, ricattano gli Stati e ne condizionano pesantemente la politica fiscale e di bilancio.

L'origine del deficit e del debito pubblico è tutta e solo qui.

Nel 2007/08 il sistema bancario  è collassato, per salvarle la valutazione del governo Obama aggiornata all'ottobre del 2010: 3300 miliardi di dollari, mentre la Commissione Europea fornisce il dato per lo stesso mese ed anno: 4500 miliardi di euro e cioè circa 6000 miliardi di dollari.

Tamponi la crisi (o meglio i suoi sintomi) ma non la risolvi, se l'economia non riprende a crescere le banche non puoi salvarle, cadranno travolte dal tracollo generale, il salvataggio è solo un palliativo momentaneo che opera sugli effetti e non sulle cause: se l'economia langue, languono anche le banche, puoi pagare le loro perdite, ma poi le perdite si riformano. E le banche lo sanno e cercano disperatamente di sopravvivere con operazioni speculative audaci e piratesche.

In un mondo i cui profitti si possono fare sempre meno legalmente (perchè l'economia è imballata) diventa imperativo di sopravvivenza farli in modo illegale ed un profitto illegale non può essere dichiarato, va occultato. Il capitale finanziario ha su di sè questo precipuo compito, lo strumento principe sono i derivati e non possono ne vogliono regolare questo strumento.

I neoliberisti=capitalisti sostengono che lo sviluppo lo fa il libero mercato, a chiacchiere, perchè sempre è esistito lo Stato come forza fondamentale dello sviluppo economico. Sul tema dell'occupazione il mercato ha fallito e gli investimenti (tecnologia) l'occupazione la distruggono e non la creano.

Se non si produce occupazione alla lunga non produci ricchezza. Questa economia non riesce a fare a meno di massicce dosi di debito pubblico, che non risolvono i problemi (anzi in prospettiva li aggravano) ma permettono di sopravvivere sul breve medio termine. Questa economia non può fare a meno di un debito crescente e sempre più insostenibile anche solo per galleggiare.

Il significato della nostra esperienza è chiaro, se tagli i consumi con manovre di macellerie sociali e di classe, tagli lo sviluppo e senza sviluppo non paghi neanche gli interessi sul debito che cresce su se stesso in una spirale drammatica; di recente anche nell'autorevolissimo "Economist" si leggono considerazioni di questo genere, lo sfascio delle politiche liberiste e ragionieristiche è evidente a tutti, tranne che agli struzzi.

Il neokeyneismo=capitalismo punta sugli investimenti pubblici, ma per crescere poco ti devi indebitare in maniera rovinosa. Il Giappone dagli anni novanta fino al 2007 raddoppia il suo indebitamento, 230% ma la crescita è sfitica 1,3% annuo. Non è la soluzione per assorbire disoccupazione e creare posti di lavoro.

Il vero problema è la disoccupazione, che blocca la produzione, consumi, salari e prospettive di ripresa.

Un cambiamento di direzione, per reperire risorse, potrebbe essere una lotta feroce all'evasione fiscale, in tutto il mondo, ma gli Stati sono subalterni alla politica neoliberista=capitalista delle Imprese Multinazionali, che li condizionano e li ricattano. Gli Stati oscillano tra impotenza e connivenza con l'evasione fiscale e il debito ovviamente si impenna.

D'altra parte la differenzzazione di tassazione è così macroscopica  che non si può non pensare al fatto che è voluta, ricercata, è fatta ad arte per permettere l'evasione alle banche, alla finanza e alle grandi società. All'interno dello stesso Eurogruppo abbiamo l'Irlanda, Lussumburgo, etc..


Senza dubbio lo sviluppo e l'uso della tecnologia pongono problemi drammatici per la società nel suo complesso (crescita della disoccupazione) ma la logica del Capitale è quella che ciò che va bene per l'impresa, che che ne aumenta cioè la produttività e i profitti, deve andare bene per la società, è una logica sulla quale si muove l'impresa capitalistica.

Marx intravede la teoria del crollo nel "Frammento sulle macchine" dei "Grundrisse" dove parla esplicitamente di crollo del capitalismo partendo dalla considerazione che il macchinismo tende a distruggere la classe operaia che è alla base del sistema, ma se si distrugge la base del sistema, si distrugge il sistema stesso.

La riduzione in sè degli operai, dovuta all'automazione, non è decisiva dal punto di vista produttivo poichè aumenterebbe enormemente la produttività del lavoro, ma il problema è il realizzo del pusvalore: le merci che contengono il lavoro degli operai vanno vendute e se la massa dei salariati si riduce ad una pattuglia, per giunta mal pagata, si pone il problema di chi possa acquistare un'enorme, crescente quantità di beni.

Se non c'è mercato per i beni che produci e se non c'è il cosidetto consumo pagante, vai a gambe all'aria. Il dramma dell'automazione è che produce una massa enorme di beni ma anche una massa ancora più spropositata di disoccupati, che il sistema non può sopportare al di là di un certo limite.

Il sistema può sopravvivere solo se ci sono dei contrappesi riequilibranti, delle spugne che assorbono la disoccupazione tecnologica. Queste spugne ci sono state ed hanno funzionato fino agli anni '70 del secolo passato. Adesso abbiamo visto che sono del tutto  esaurite e non si vedono altre soluzioni valide per risolvere il problema: il sistema crea disoccupazione e sottoccupazione e non la riassorbe; il "Frammento delle macchine", che era un'intuizione geniale del 1857 è diventato realtà nel nostro tempo.

La crisi attuale (senza possibilità di soluzioni positive) cammina su due direttive parallele: la prima è la legge tendenziale della disoccupazione crescente, la seconda è la putrescenza o il disfacimento dello Stato nazionale-borghese.

Il capitalismo ha avuto sempre bisogno di centri regolatori il cui compito non era quello di realizzare un mitico "piano del capitale" che ne vincesse le contraddizioni, ma quello più limitato ma importantissimo di creare una forma nella quale le contraddizioni potessero operare senza mandare in frantumi il sistema e che fungesse da ammortizzatore delle stesse; non si trattava di una funzione neutrale di giustizia indipendente dalle classi sociali, ma di una funzione di equilibrio per garantire la sopravvivenza del sistema stesso e cioè del capitalismo e della classe dei capitalisti dunque una funzione classista per eccellenza.

Una situazione caotica e catastrofica.
Il capitalismo ha avuto sempre bisogno dei poteri regolanti, di prassi condivise e legittimate da questi poteri che fossero dei punti di riferimento solidi nella tempesta della concorrenza, gli Stati nazionali erano la massima espressione di questi poteri regolanti, che erano il pilastro fondamentale di sostegno e di equilibrio nello sviluppo capitalistico, ora il pilastro è crollato e nulla lo ha sostituito se non il caos della derogolamentazione più selvaggia, e questo elemento di crisi irreversibile si cumula, in una miscela esplosiva, alla legge della disoccupazione crescente.

Le leggi economiche sono l'espressione e il prodotto dell'azione dell'uomo in società, le leggi economiche sono una forma particolare e fondamentale di azione sociale.

L'uomo, dunque, non è il portatore passivo di una funzione imposta da una struttura economica, eppure a volte sembra esserlo, ciò avviene perchè le azioni umane non sono coordinate ma contrapposte e conflittuali. Lenin diceva che gli uomini viventi agiscono scontrandosi con ostacoli frapposti loro da altri uomini viventi, le azioni degli uomini in società sono azioni contrapposte e conflittuali, sicchè assai spesso il risultato globale del processo storico è una media diversa dai progetti posti in essere dai singoli o dai gruppi, per cui questo risultato ci sembra essere la conseguenza di una forza estraniata rispetto all'uomo ed indipendente da esso e dalla sua azione.

Lo stesso dicasi per "la situazione" di cui si dice spesso che è pesante ed ingovernabile, e così finisce col pensare che sia la situazione il vero soggetto, mentre in realtà essa è un oggetto, una conseguenza, un prodotto dell'agire umano, in cui però avviene che varie azioni contrapposte si elidano e si neutralizzano reciprocamente portando alla paralisi, all'immobilismo ed alla ingovernabilità. Ciò avviene, chiaramente, nel caso del rapporto Imprese Multinazionali-Stati nazionali: le Imprese Multinazionali esprimono una realtà concorrenziale ed egoistica che non ha alcun progetto di governo dell'economia ma ha la forza di paralizzare gli Stati impedendo loro di svolgere le funzioni di equilibrio generale che sono di propria competenza

Tutto avviene attraverso l'uomo e nulla avviene sopra la sua testa, il crollo del capitalismo è il prodotto di meccanismi socio-economici impazziti ed ingovernabili, ma questi meccanismi e la loro pazzia sono il prodotto dell'agire sociale degli uomini in maniera disorganizzata e conflittuale.

Il crollo sociale del capitalismo non è solo qualcosa che non ha nulla di meccanicistico, ma è la condizione perchè sia possibile un'azione di radicale trasformazione della società. Si è detto che un potere ci sembra divenuto insopporttabile quando è in crisi ed è debole e vunerabile, e questo è normalmente vero: quando un potere è forte la ribellione appare se non impossibile, difficile e velleitaria e viceversa.

Lo Stato nazionale è alle corde e non può pagarsi neanche la sicurezza, tutto si sfascia e si sbricciola. Un tempo il pubblico impiego era uno dei pilastri del consenso al sistema: garantiva il posto fisso (quello che oggi sarebbe noioso secondo alcuni), era una spugna della disoccupazione, si andava in pensione in una età accettabile, gli orari ed i ritmi di lavoro non erano quelli molto più duri dell'industria etc. . Adesso tutto questo è un ricordo ucciso dall'austerità incalzante negli ultimi anni: si licenzia, si blocca il turnover nella pubblica amministrazione, con conseguenti carichi di lavoro crescenti, aumenta l'età pensionabile sicchè l'era dei privilegi è finita. E' quello che accade ai pubblici dipendenti accade anche ai colletti bianchi privati, per comune ammissione le classi medie si stanno impoverendo, del resto i dati forniti prima sulla stratificazione dei redditi, e sulla disoccupazione generalizzata, sono chiari: c'è un 10% della popolazione mondiale che si taglia una fetta spropositata della ricchezza ai danni del rimanente 90%: non è solo la vecchia classe operaia che viene colpita ma anche le cosidette classi medie impiegatizie e non.

Il sistema non lo si rompe con le proclamazioni rivoluzionarie, ma con parole d'ordine concrete che partano dai bisogni reali degli agenti sociali e perciò stesso evidenzino l'incapacità del sistema a soddisfarli. La vera differenza tra i sessantottini e nuovi movimenti sta in ciò che quelli, dopo la crisi degli anni '70 eravano condannati a perdere, loro possono vincere e non è una diferenza da poco.

Cosa nascerà dalla fine del capitalismo non si sa, e non si può prevederlo, come diceva Lenin "L'albero della teoria è grigio e quello della storia è sempre verde".

Un cosa, però, è certa questo sistema sta collassando e niente e nessuno potrà salvarlo, prepariamoci, dunque a vivere questa realtà-

martelun