Da Monti a Letta
di Luca Michelini
Abbiamo
chiesto a Luca Michelini, professore di Storia del pensiero economico
(Dipartimento di Scienze politiche, Università di Pisa), un commento
sull’attuale crisi politica italiana. Nell’articolato intervento che
trovate nel seguito del post Michelini invita
a «sporcarsi le mani direttamente, vincendo ogni snobismo» e a prendere
atto che «almeno per ora» il M5S è «un’unica forza politica che nei
fatti si sta dimostrando all’opposizione di questo sistema
economico-politico»
«
1.
Giorgio Napolitano è stato rieletto Presidente. La maggioranza
parlamentare che lo ha eletto è la stessa del governo Monti, voluto, a
suo tempo, fortemente da Napolitano. L’operazione Monti avrebbe potuto
avere un senso, forse, se, e soltanto se, fosse riuscita a
cambiare radicalmente la destra italiana, a farla
maturare:
l’avesse cioè indotta a liberarsi, politicamente, di Berlusconi,
nonché delle proprie indelebili tradizioni reazionarie. Una politica
economica di destra quale quella di Monti, inoltre, avrebbe dovuto
ricadere
interamente sulle spalle parlamentari della destra.
D’altra parte, è difficile prevedere e valutare che tipo di “regime”
sortirebbe nel caso in cui lo Stato italiano, come durante il fascismo,
fosse
costretto a salvare l’intero sistema economico, stante la perdurante presenza di Berlusconi
[1], che non è difficile immaginare potrebbe vincere le prossime elezioni
[2].
Napolitano, invece, ha preferito percorre tutt’altra strada, coinvolgendo il Pd nel sostegno al governo Monti.
2.
E’ necessario chiedersi per quale motivo il Pd si è fatto coinvolgere
in questa operazione e per quale motivo oggi abbia rinnovato l’alleanza
con il Pdl.
La risposta è semplice, per quanto
sgradevole a molti militanti democratici: perché l’ideologia montiana
costituisce, al fondo, l’indelebile ragione sociale del Pd; perché il Pd
è fortemente compromesso con la destra italiana, avendola legittimata
prima e salvata più volte in seguito.
Ammesso e non concesso che allearsi con
M5S, dopo l’elezione alla presidenza di Rodotà, costituisse un rischio,
il rischio che si corre alleandosi con Berlusconi è incomparabilmente
maggiore.
Ma come mai proprio ora il Pd paga così
tanto, con una sollevazione di massa dei propri militanti ed elettori,
la scelta di allearsi con il Pdl?
3. Le cause che hanno portato all’implosione del Pd, che è un dato di fatto e che prescinde dal tempo, purtroppo lungo, della sua agonia fratricida, sono numerose e di importanza diversa.
Come dicevo, quella più importante
rimanda all’origine stessa del Pd, che è stato un tentativo di importare
in Italia il liberismo-di-sinistra stile Tony Blair, quello
infaticabilmente promosso dal “Corriere della sera”, di cui Monti è
stata una voce fondamentale.
Si tratta di una ideologia complessa. Essa è stata utilizzata dai Paesi egemoni geo-politicamente per eliminare
pericolosi concorrenti industriali e politici. A questo servono,
infatti, le liberalizzazioni (anzitutto dei mercati del lavoro e dei
capitali), le privatizzazioni e l’esaltazione della contrapposizione tra
lo Stato, visto come un “parassita”, e il mercato, considerato l’unico
capace di produrre in modo efficiente ricchezza. Tutto ciò certo non
serve, come i fatti dimostrano, ad assicurare la “crescita” e
tanto meno “lo sviluppo economico” di un Paese come il nostro. E poiché
si volevano smantellare sistematicamente, anche se a piccoli e
volutamente confusi passi, tutte le conquiste “progressiste” della Prima
Repubblica (conquiste spesso ricche di contraddizioni, dato il
“sistema” vigente dopo il 1945), si doveva ricorrere ad una classe
dirigente di “sinistra”, per origini organizzative e culturali, per
realizzare “le riforme” (sic!) con il dovuto controllo (in termini meno
compromettenti: con il dovuto consenso) sociale.
4.
“L’operazione Monti” è perfettamente riuscita anche perché la sinistra
ha una macchia d’origine indelebile: ammanta di retorica
“progressista” la banale sete di potere. La retorica ha assunto le più
diverse forme, facendo divenire mera ideologia, cioè mera propaganda,
intere tradizioni di pensiero e sacrificando, con ciclica regolarità,
sull’altare della “ragion di Stato” del momento, le menti migliori di
cui dispone (l’ultimo caso è quello di S. Rodotà) e buttando a mare le
regole della democrazia, ben oltre i limiti imposti dai ricorrenti
“stati d’eccezione” (e ben oltre i limiti imposti dai “momenti
rivoluzionari”). Le classi dirigenti del c.d. Terzo stato hanno il tradimento
(sia chiaro: non solo del Terzo stato, ma della Patria) e il
machiavellismo nel sangue: gli esempi sono innumerevoli. Con il crollo
del Muro di Berlino, insomma, è la nomenklatura ad essersi riprodotta, adeguandosi ai tempi mutati.
Questa nomenklatura si è perfettamente trovata a proprio agio con Monti e
non ha avuto alcun tentennamento nell’inserire l’assurdo pareggio di
bilancio in Costituzione. A scelte deliberate si è data la veste di
ineluttabili necessità. Ci si è deliberatamente sottomessi al ricatto
dei “mercati finanziari”, lasciati volutamente liberi nel
giocare d’azzardo con il debito pubblico: prima, attraverso la
separazione tra Tesoro e Banca centrale, ora, come docili esecutori
della geo-politica tedesca. Come da copione sperimentato nei decenni, si
è invocata la ben nota politica dei “due tempi”, che ora ha assunto
questa veste: prima si mettono a posto i conti, poi si cresce. Il tutto
mettendo sotto accusa, come sempre, la Costituzione: come se essa non fosse stata anche il risultato dell’esperienza della Grande Crisi del 1929, cioè dell’antecedente storico della crisi attuale.
5. E la destra, che ruolo ha giocato in questo vero e proprio gioco al massacro?
In nome dell’ideologia (della retorica pubblicitaria) del libero mercato, in nome delle divine
capacità dell’imprenditore di governare non solo la propria azienda,
ma l’intero sistema, essa in effetti si è ritagliata, tramite il
controllo dello Stato (senza del quale spesso nemmeno esisterebbe, come
dimostra il caso di Mediaset), sacche di rendita monopolistica.
Venendo così a costituire, di fatto, un pericoloso focolaio di
nazionalismo economico, guardato con sospetto dal capitalismo dominante
a livello globale.
Tutta immersa nei propri, esclusivissimi
affari, questo (inconsapevole) nazionalismo da burletta, che si indigna
per i “marò”, ma che si fa soffiare sotto il naso la Libia (senza
batter ciglio), è stato utilizzato per continuare lo smantellamento
della nostra statualità (scuola, giustizia ecc.) e della nostra economia
(della nostra Nazione, insomma), venendo poi sacrificata,
ciclicamente, quando il momento lo richiedeva. I “mercati finanziari”,
però, non hanno mai portato il colpo fino in fondo, naturalmente: un
po’ per paura di creare un pericoloso precedente anti-mercato (la
tematica dei conflitti d’interesse, p.es., è molto spinosa, perché
rischia di incrinare… l’intero sistema vigente); ma soprattutto perché
il gioco “dell’alternanza”, il pressapochismo affaristico, lo
svuotamento progressivo della sovranità parlamentare e popolare, erano e
sono funzionali al disegno finale: il caso Libia ne è ancora un
esempio emblematico.
6. Ma il fatto è che, ora, i tempi sono radicalmente
mutati. Il sistematico smantellamento e snaturamento delle
organizzazioni (sindacati, cooperative, partiti: tutti
leaderistici, populistici, antidemocratici, anche se in grado diverso) e
delle culture politiche della sinistra (comunista, socialista,
cattolico-democratica, azionista, liberal-socialista ecc.) al fine di
costruire un partito liberal-liberista (ma non laico, naturalmente)
venato da talune velleità di giustizia sociale (sempre pronte, però, a
far penetrare la logica del profitto nelle residue sacche di statualità:
scuola, sanità ecc.), deve improvvisamente fare i conti con una crisi
di carattere sistemico. La ristretta élite di potere che ha governato
l’epoca delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni è messa alle
strette, perché la crisi ne mette potentemente in forse l’egemonia e il
sistema economico che essa garantisce. Matematica dimostrazione del
pericolo che corrono le élites di potere che hanno governato il Paese
per un Ventennio, è l’esito delle elezioni, che hanno visto la pesante
sconfitta di tutti i partiti della c.d. Seconda Repubblica, il flop di Monti e l’esplosione elettorale del M5S, una massiccia astensione dal voto.
7.
Forse è ancora presto per dirlo, e spero vivamente di sbagliarmi, ché
l’antico sapere democristiano potrebbe riservarci delle gradite
sorprese; ma, dai primi passi compiuti, il governo Letta sembra volere
continuare la filosofia di fondo della c.d “agenda Monti”. Alcuni
indizi: le dichiarazioni di Letta sul mercato del lavoro, che si
vorrebbe ancora più flessibile e implementare tramite l’incentivazione
fiscale; quelle sul rilancio della ricerca attraverso (par di capire)
finanziamenti privati. Anche il dibattito Pd-Pdl sull’Imu lascia
intendere che ci si stia muovendo ancora all’interno della agenda
Monti. L’Imu, infatti, è una patrimoniale tutta interna alla logica perversa del fiscal compact, cioè interna ad una logica per cui la redistribuzione di ricchezza non
è affatto funzionale ad un massiccio programma di investimenti
pubblici (nella scuola, nella sanità, nei trasporti, nella
riqualificazione energetica e urbanistica ecc.) e, quindi, ad un
programma di rilancio dell’economia, anche privata.
Il governo Napolitano-Letta non una
parola ha speso sull’esigenza di rendere efficiente ed egualitaria la
giustizia, anzitutto civile. Non un cenno al tema delle televisioni e
dell’informazione e tanto meno al conflitto d’interesse di Berlusconi.
Nessun cenno alla natura del nostro sistema finanziario: nessun cenno
alla necessità improrogabile di nazionalizzare il Monte dei Paschi di
Siena. Ha invece messo in programma un inquietante progetto di “riforma”
(sic!) della Costituzione.
Infine, considerare il cambio di rotta
nelle politiche economiche europee come precondizione per mettere in
campo in Italia politiche di piena occupazione, significa voler
deliberatamente ignorare la resuscitata politica di potenza di Francia e
di Germania.
8.
Esiste, dunque, un’alternativa all’implosione del sistema
economico-politico oggi dominante: quella che esso si arrocchi
ulteriormente, dal punto di vista politico, istituzionale e sociale.
Portando fino alle estreme conseguenze le politiche fin qui seguite:
riducendo, cioè, il nostro Paese sostanzialmente ad una colonia, sempre
salvaguardando sacche di rendita per alcune élites politico-economiche
nazionali, magari garantite da un sistema presidenzialistico.
L’inserimento del pareggio di bilancio
in Costituzione, nonché l’attuale “stato d’eccezione” che sta vivendo il
nostro Paese, con un governo del Presidente della Repubblica senza
precedenti e tenacemente proteso a violare le più elementari regole
della democrazia – anzitutto il rispetto e il ruolo dell’opposizione,
oggi costituta dal
solo M5S
[3], nonché la
totale mancanza di informazione – lasciano intendere che ci stiamo dirigendo verso questa direzione di ulteriore arroccamento.
Il rilancio di politiche del lavoro di
stampo liberista, insomma, non è affatto un errore teorico e politico,
come è pur opportuno rilevare
[4];
è una scelta consapevolmente perseguita. Lo scopo è quello della
ri-proletarizzazirizzazione e de-politicizzazione di larghe fasce di
popolazione in funzione di logiche si sviluppo
non più nazionali.
Purtroppo, lo “stato d’eccezione” non sembrerebbe volgersi ad un
indispensabile New Deal, né sembra voler far valere con forza, e con gli
inevitabili
rischi, il proprio peso in Europa. E’ comunque
difficile valutare le conseguenze di una possibile implosione dell’euro,
vuoi motu proprio, perché l’euro cessa
di fatto di servire da
moneta intra-europea, vuoi per “colpa” di qualche Paese che prima o poi
si ri-approprierà, per non soccombere, della sovranità monetaria e
finanziaria, su una nazione come la nostra (sic!) dove il
liberal-liberismo e l’affarismo sembrano aver fatto tabula rasa di ogni
pensiero alternativo perfino nei luoghi dove sarebbe più naturale
trovarlo.
9. Sarà
banale ed economicistico ricordarlo, ma la sinistra non è il parto di
qualche cervellotico o esaltato pensatore o di un qualsivoglia gruppo
organizzato, ma è il frutto del sistema economico capitalistico.
Ed è altrettanto banale ricordare che è
sempre il capitalismo a generare soluzioni di destra radicale alla
crisi, secondo programmi che interiorizzano, distorcendole in senso
totalitario o autoritario (le celebri “rivoluzioni passive” di italiana
memoria), anche alcune tipiche istanze progressiste.
La crisi
sistemica dell’economia
mondiale e di quella europea in particolare, oggi invoca una politica di
governo totalmente differente da quella liberal-liberista. Nella
vulgata e nelle analisi più accorte, essa si definisce di stampo
“keynesiano”: che per venti anni è stata semplicemente ostracizzata dal
Pd e perfino dalla CGIL (i testi del montiano Ichino, erano considerati
Vangelo
[5]), che ora, invece, pare l’abbia ri-scoperta
[6].
Più in generale, rinasce prepotente, e
dalla logica delle cose, l’esigenza di superare la logica del profitto,
come dimostrano i mille rivoli delle opposizioni sociali,
prim’ancora che politiche, oggi presenti nel Paese. Per certi versi, e a
tratti, queste opposizioni sono maggioritarie, come ha dimostrato il
referendum sull’acqua.
Per ora queste opposizioni hanno uno
sbocco politico progressista, con M5S. Certo: si tratta di un movimento
caotico e magmatico; fatto sta che hanno proposto come presidente della
Repubblica Stefano Rodotà, cioè tra i massimi teorici che oggi può
vantare la sinistra italiana e la Repubblica nel suo insieme.
In ogni caso, se la crisi dovesse
aggravarsi, non è difficile prevedere che anche in Italia, che ne è la
culla, nasceranno forti aggregazioni di destra estrema, come in Grecia e
in Ungheria. Fratelli d’Italia (il nazionalismo-burletta all’ennesima
potenza) è da presumere che sia nato (nel disegno di… Berlusconi) a
questo scopo e inseguendo questa speranza. Brunetta forse ha colto nel
segno, quando ha invocato la pacificazione politica come scopo del patto
Pd-Pdl. Ma è possibile pensare, come sembra pensare Napolitano, che il
capitalismo sia un sistema economico pacifico e pacificabile? La
storia ci insegna che è l’esatto contrario.
10.
Le convulse vicende che hanno portato alla rielezione di Napolitano
alla presidenza della Repubblica e all’insediamento del governo Letta
hanno dimostrato che ora in Parlamento esiste un’unica, reale, opposizione: quella di M5S.
Sono numerosi gli osservatori,
soprattutto di sinistra, che mettono in luce le criticità
di questa
aggregazione politica. Solo “Micro-Mega”, che pur non si nasconde queste
criticità, è al fianco della neo-nata formazione, se pur mantenendo
tutta la propria indipendenza di giudizio. L’ultimo numero del “Ponte”
(aprile 2013), p.es., è particolarmente critico nei confronti di M5S.
Non entro nel merito delle critiche rivolte ora all’offerta (ruolo dei
leader, statuto, organizzazione, ruolo del web, metodo di selezione e
qualità delle classi dirigenti ecc.) ora alla domanda (a quale
elettorato di rivolge, quali siano le caratteristiche del “consumatore
medio” italiano di politica, quale programma economico abbia ecc. ) che
contraddistingue la vita di questa nuova formazione (un nuovo genere di
“imprenditorialità politica”). Non entro nel merito perché esse sono
in gran parte condivisibili. Direi di più: non è difficile presumere
che siano condivise anche dai milioni di italiani che hanno votato M5S e
dalla stessa classe dirigente del movimento, Grillo&Casaleggio
compresi. Il dato più rilevante e più interessante, però, è proprio
questo: che, finalmente, tutto, in politica, è in forte movimento. E la
direzione che prenderà questo movimento dipende, anche se in piccola
misura, da ciascuno di noi.
La sempre più esigua élite di intellettuali di sinistra è come se continuasse ad aspettare che altri,
finalmente, mettano in piedi un vero partito o movimento di sinistra.
E’ però del tutto evidente che questo tentativo ha perso di
credibilità, perché le élite politiche e sociali astrattamente di
sinistra, non solo molto raramente guardano alle élites intellettuali
(alle loro analisi, cioè), ma hanno completamente perso di credibilità e
di capacità d’azione.
Ora si tratta di sporcarsi le mani
direttamente, vincendo ogni snobismo. Qui ed ora è venuto il momento non
di inventare un “nuovo linguaggio” finalmente capace di suscitare il
vero movimento che “abolisce lo stato di cose presenti”. E’ venuto,
invece, il momento di offrire, là dove è possibile, il proprio
contributo (utilizzando, ciascuno, il linguaggio che gli è proprio) per
risolvere problemi concreti. Fuori dal Parlamento esistono molti luoghi
dove offrire questo contributo, perché esiste ancora una diffusissima
opposizione sociale. In Parlamento, ora, esiste un’unica forza politica che nei fatti
si sta dimostrando all’opposizione di questo sistema
economico-politico: questa forza è M5S. E’ da qui che ora si può e si
deve ripartire per proporre ragionamenti, analisi sulle cause della
crisi e possibili rimedi. Non vedo, purtroppo, altri movimenti seriamente disposti ad ascoltare e seriamente disposti ad agire. Non vedo altri spazi di democrazia. Almeno per ora».
[1] Stante, cioè, la perdurante presenza di un
imprenditore che, dopo aver realizzato un partito proprio, cioè di sua
proprietà, ed aver tentato di realizzare un proprio Parlamento, una
propria giustizia, un proprio sistema dell’informazione (Mediaset più
Rai) ecc., dovesse anche gestire l’intero sistema
economico-finanziario.
[2]
Dando credito politico a Napolitano: c’è però da dubitare che i
prevedibili tentativi di Napolitano di “sterilizzare” politicamente
Berlusconi (Senatore a vita?) possano sortire l’effetto (forse) voluto.
[3] Davvero difficile non concordare con il seguente post di Grillo:
L’elettore non conta nulla:
http://www.beppegrillo.it/2013/05/lelettore_non_conta_nulla.html#commenti.
Difficile, cioè, non considerare del tutto fallimentare e
impresentabile non solo la strategia del Pd, ma anche quella di SEL. La
cui politica sembrerebbe tutta all’insegna della
furbizia: furba
nel voler sfruttare le primarie per conquistare la leadership della
coalizione; furba nel non voler creare un partito; furba nel voler
costruire il potere del capo sul web; furba nel ritagliarsi una
rappresentanza parlamentare assolutamente sproporzionata rispetto alla
forza elettorale; furba nell’accettare una presidenza della Camera che
per logica e rispetto delle regole della democrazia non gli spettava;
furba nel passare ora all’opposizione, quando almeno l’alleanza con
Monti, se non proprio con Berlusconi, era nelle cose fin dall’inizio.
Ora SEL si gioca la partita della vita: ma tante furbate non penso
possano fargli meritare la necessaria credibilità. Come nel caso del
Pd, solo il
dramma potrà risolvere la questione della sconfitta
politica delle elezioni.
[5]
Da iscritto al Pd, Ichino ha costituito una delle voci fondamentali
del “Corriere della sera” nell’era del “liberismo di sinistra”.
[6] Alludo a
Tra
crisi e “grande trasformazione”. Libro bianco per il Piano del Lavoro
2013, a cura di Laura Pennacchi, Roma, Ediesse, 2013. C’è da augurarsi
che il Piano non costituisca l’antecedente per l’ennesima vampata
d’intelligenze, come quella di Laura Pennacchi.