Fusaro vs De Monticelli
Uno scambio di riflessioni
Di seguito la risposta di Diego Fusaro ad una severa critica nei suoi confronti pubblicata da Roberta De Monticelli sul sito Phenomenology Lab e riportata in calce

"Cara Roberta,
chiamato in causa dalla tua appassionata e appassionante
riflessione,
ti rispondo. Lo faccio in privato, per correttezza. Se poi tu riterrai
opportuno, renderò pubblica la risposta. Mi sembra corretto fare così
con una collega, per di più decano, che stimo e con cui sono seriamente
felice e onorato – al di là di ogni retorica – di potermi confrontare
su questi temi decisivi. Nel rispetto dell’interlocutore, credo sia più
giusto fare così. Spero, naturalmente, in un’analoga amicizia e in
un’analoga stima da parte tua, nonostante la differenza delle visioni (o
proprio in forza di essa, se, come credo, è sempre bene valorizzare le
differenze!).
Credo che, in fondo, combattiamo contro
la stessa cosa, se – come tu dici – è contro la “mente prigioniera” che
lotti. È ciò contro cui lotto anch’io. Certo, bisogna capire di che
cosa è prigioniera oggi la mente: converrai con me che le ideologie
cambiano e che di volta in volta è l’ideologia dominante a imprigionare
le menti.
Oggi credo sia difficile dimostrare che
l’ideologia dominante non sia quella neoliberale, l’ideologia
perfettamente compiuta che – ecco il punto – liquida come ideologia
tutto ciò che esula dall’orizzonte neoliberale presentato come modo
naturale di pensare, esistere e produrre. È questa, ahinoi, la prigione
che tiene in cattività le menti oggi. Non era forse Socrate che si
muoveva nello spazio pubblico dell’agorà per destrutturare le false
opinioni – le ideologie,potremmo anche dire – radicate nella mente dei
concittadini?
Mi sfugge dunque il senso del tuo richiamo a Socrate, che – se non ti conoscessi
di persona e se non conoscessi la tua intelligenza – sembrerebbe solo
un insulto degno di Sallusti e non di Roberta De Monticelli. Perché
demonizzare a priori il proprio interlocutore (grande o piccolo
che sia) presentandolo come la negazione vivente di Socrate? La
filosofia si dice e si pratica in molti modi. Io ben capisco la tua
visione della filosofia (pur non condividendola personalmente); tu
escludi a priori la mia, negandole il titolo stesso di filosofia.
Sono anch’io un europeista convinto, come
Erasmo e Spinelli, ma poi anche come Kant: ed è proprio per questo –
sottolineo: per questo! – motivo che sono contro l’odierna eurocrazia,
che dei sogni di Spinelli e di Kant è il pervertimento. Cosa c’entra
l’odierna Europa del debito e dell’asservimento economico dei popoli
con il nobile progetto di Spinelli e di Kant? Perché continuare a
negarsi – a proposito di mente prigioniera! – che l’odierna Europa non è
altro che un progetto criminale per portare a compimento quel processo
– avviatosi nel 1989 – di privatizzazione integrale delle esistenze e
di smantellamento coatto dei diritti sociali? Perché, in nome della
passione della verità e della denuncia delle storture del mondo,
ostinarsi a non vedere che la funzione della moneta unica non è servire
i popoli, ma asservirli, rinsaldando il potere dell’aristocrazia
finanziaria e del grande capitale europeo, cifra macabra di un’Europa
finanziaria in cui i popoli e le nazioni non contano più nulla né come
soggetto politico, né come soggetto sociale?
Per tornare, una volta di più, al tema
del berlusconismo: non ho mai sostenuto ciò che tu continui ad
attribuirmi, presentandomi come un berlusconiano larvato. Sono allievo
di Hegel e di Marx, non di Pera o di Schifani! Come già dicevo, il
punto del problema sta altrove, se solo si sappia guardare più in là
dell’asfissiante teatrino dello scontro
berlusconiani-antiberlusconiani. Il problema non è tanto la volgarità
patetica del Cavaliere, ma la metamorfosi della sinistra. In che senso?
Come già scrivevo, l’antiberlusconismo ha
permesso alla sinistra di occultare la propria adesione supina al
capitale dietro l’opposizione alla contraddizione falsamente
identificata nella figura di un’unica persona, secondo il tragicomico
transito dal socialismo in un solo paese alla contraddizione in un solo
uomo. Così facendo, la sinistra si è potuta volgarmente riciclare,
aderendo al monoteismo del mercato e dirottando su un’unica persona la
contraddizione contro cui combattere. Come l’odierno antifascismo in
assenza integrale di fascismo, così l’antiberlusconismo ha svolto il
ruolo di fondazione e di mantenimento dell’identità di una sinistra
ormai conciliata con l’ordine neoliberale.
Ingiustizia, miseria e storture
d’ogni sorta hanno così cessato di essere intese per quello che
effettivamente sono, ossia per fisiologici prodottidell’ordo
capitalistico, e hanno preso a essere concepite come conseguenze
dell’agire irresponsabile di un singolo individuo. La cessazione palese
dell’ostilità verso il nomos dell’economiaè stata riconvertita
in conflitto moralistico-legalistico verso un unico individuo. È una
tragedia sociale, politica e culturale. Forse la più grave degli ultimi
trent’anni.
Anche sull’affaire Assad mi attribuisci parole e posizioni che non sono le mie e mi vedo pertanto costretto a rettificare. Capita che popoli
e nazioni oppresse talvolta si ribellino, sia pure a modo loro e con i
mezzi che sono loro a disposizione e che l’anima bella occidentale è
subito pronta a bollare come “terrorismo”,“integralismo”, ecc. Non si
tratta ovviamente di approvare tutti questi mezzi,né di giustificarli in
ambito morale o politico. Si tratta, però, di capire il fatto – di per
sé chiaro come il sole – che i mezzi estremi impiegati
dall’imperialismo possono provocare reazioni estreme. Questo il punto.
Non sto affatto con Assad, per il quale non nutro personalmente alcuna
simpatia: ma non accetto neppure che si usi Assad – presentandolo
ipocritamente come il nuovo Hitler – per aggressioni imperialistiche
stabilite a priori (da quant’è che si doveva attaccare la Siria? A quando risale l’inserimento della Siria nelle liste di proscrizione globali?).
Non sono affatto un sostenitore della
Siria in quanto tale, ma nel probabile nuovo conflitto tra gli
aggressori USA e gli aggrediti siriani sto senza se e senza ma dalla
parte di questi ultimi: o vogliamo negare la legittima difesa agli
aggrediti? Non schierarsi non è degno di un intellettuale, ed è tipico
solo dell’anima bella di cui diceva Hegel. Di più:non schierarsi
significa legittimare ciò che è, i rapporti di forza quali sono.
Ripeto: non nego che Assad sia un
personaggio poco raccomandabile (ho mai detto forse il contrario?),
nego però il teorema – degno della mente prigioniera di cui sopra – per
cui bisogna sempre da capo intervenire militarmente, usando i diritti
umani come foglia di fico per coprire oscene aggressioni
imperialistiche (Iraq, Libia, Siria, ecc.). Tutto qui: né più, né meno.
Non penso ovviamente che il capitalismo
sia il nuovo Dio che tutto decide, ed è anzi ciò contro cui combatto:
e, tuttavia, sì, lo ammetto senza remore, penso che la contraddizione
primaria sia il nesso di forza capitalistico, con il classismo che
genera a propria immagine e somiglianza e che – mi pare di capire –
resta sempre ai margini della prospettiva della questione morale. Il
fatto stesso che si citi la falsa alternativa tra Bush e Obama mi pare
sintomatico: sono davvero così diversi? O non sono entrambi
manifestazioni della stessa contraddizione che sfocia nel bombardamento
etico?
Come già dicevo, il proceduralismo
democratico e il formalismo delle norme attualmente non presentano il
benché minimo interesse per i nove decimi dell’umanità sofferente: la
quale lotta per sopravvivere e per poter accedere al benessere minimo,
orientandosi secondo visioni non proceduralistiche, bensì
contenutistiche. Esse presentano, quale contenuto, la legittima
richiesta di riconoscimento e di uguaglianza, sia pure espressa in una
maniera che il lessico proceduralista inquadra come fondamentalistica.
Questo è il punto. Ciò non significa – si badi – che io neghi la
responsabilità degli individui, ci mancherebbe altro! Significa solo
che tengo – o, almeno, provo a tenere – in debita considerazione la
storicità (che è esattamente ciò che manca nella prospettiva kantiana,
come ben rilevò Croce);la quale – come sapeva Marx – è un nostro
prodotto dal quale poi siamo tuttavia condizionati nel nostro agire.
Per questo, nel mio piccolo, rigetto l’alienazione capitalistica e le
patologie che le sono consustanziali. Se non credessi nella libertà
degli individui di dire di no, non avrebbe senso pensare e agire,
sperare e lottare: non trovi?
Vengo ora alla replica della domanda che tu mi poni: “lo
sviluppo del capitalismo è sostenibile, nel rispetto di regole
severe”?. Se si impongono regole severe, non è più capitalismo: il
capitalismo ha come fondamento esattamente l’annullamento di ogni
regola che non sia quella che il mercato si autoimpone (da cui i
continui starnazzamenti dei neoliberali contro i lacci e i lacciuoli
della politica sociale)! Quello che tu dici, è per me accettabilissimo!
Viva le regole che limitano l’economia! Ben venga la gestione con
norme rigide e severe della produzione! Ma questo non si chiama forse
primato della politica sull’economia,id est egemonia del governo
degli uomini sui meccanismi della produzione e dello scambio? Non è
questo forse un tentativo di dare regole all’economia limitandola e
riconducendola al servizio dell’uomo? Se questo è, siamo
d’accordissimo, ed è peraltro quello che vado sostenendo da tempo. Il
punto è che ciò significa uscire dal capitalismo, e mi fa davvero
piacere che tu – che pure non parli, salvo errore, di uscita dal
capitalismo – di fatto proponga quella tesi! Come si può gestire
politicamente e con regole il mercato rimanendo in Europa, che è
esattamente la neutralizzazione della possibilità politica dei popoli
di decidere sovranamente sulla propria esistenza? Come puoi armonizzare
la tua aspirazione a porre limiti e leggi all’economia e, insieme,
approvare l’apparato burocratico che la rende irrealizzabile? Come non
vedere che il solo modo per realizzare ciò che tu dici – regole per il
mercato – ci vuole la politica, la quale a sua volta,per operare,
dev’essere liberata dall’egemonia dell’economia sancita dalla moneta
unica?
Ti ripropongo quel che ti dicevo qualche
mese fa: saresti d’accordo a organizzare insieme un dibattito su questi
temi al “Punto Rosso” o il qualche altro luogo pubblico di nostro
gradimento? Che ne dici? A me farebbe molto piacere e ne sarei onorato.
Ti ringrazio fin da ora per aver preso in considerazione le mie tesi
con serietà e passione, un caro saluto,
Diego."
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Dalla più vecchia al più giovane: perplessità per aprire un dibattito
By Roberta De Monticelli
Ma che sventura.
Ho scoperto ieri in un consiglio di facoltà di essere il “decano” della
mia facoltà – cioè la più vecchia ancora in ruolo. Bene, la mia vita è
stata splendidamente varia e interessante, nulla da obiettare. Ma che
strano destino, fra molti privilegi, sembra delinearsi in questo
crepuscolo della Repubblica per una vecchia prof. che – a parte le sue
lezioni e i suoi libri – ha passato gli ultimi dieci anni a combattere
il totalitarismo mentale – la sindrome della “mente prigioniera”, la
chiamava il grande Czeslaw Milosz – che tutti ci minaccia, e che è
socratica vocazione combattere.
Che sventura che la più vecchia, finita una stagione di battaglie e nel
mezzo di una speranza (nel nostro piccolo) di rinnovamento, almeno di
questa piccola accademia dove il meglio della vita umana potrebbe
fiorire negli studi e nella ricerca – debba imbattersi con sconcerto e
incredulità in questa pagina scritta dal più giovane, bel virgulto di
speranze (anche per il mondo umiliato e sofferente dei suoi coetanei,
dei nostri ragazzi, in questa agonizzante Repubblica):
http://eidoteca.net/2013/09/18/la-situazione-siriana-intervista-al-filosofo-diego-fusaro/
Per constatare che il totalitarismo mentale o la prigionia interiore
cresce e si diffonde, più tenace che mai, affascinando probabilmente
molti della sua generazione, altrimenti non si spiegherebbe il consenso
di cui il giovane “filosofo” (perdonate, perdonami Diego le virgolette,
ma non è possibile usare il nome della vocazione di Socrate per chi
pensa in modo tanto contrario a Socrate!) gode in rete e nei media.
Oh caro Diego Fusaro, perché è a te che voglio parlare, e non è la prima
volta che ci provo. Ti ho ascoltato oracoleggiare da economista
sull’euro e l’Europa in uno spezzone di una trasmissione che davvero
assomigliava a una gabbia – non di matti forse ma di cialtroni urlanti, e
questo, poverino, non è colpa tua, il livello medio dei dibattiti
televisivi è quello che è. Ne so qualcosa. E pazienza, ho spento
l’occhio catodico demenziale, pregando l’anima di Altiero Spinelli di
aver pazienza, in fondo c’è buona volontà oltre la catastrofe che tu
suggerisci come buona via (uscire dall’euro), e certo che un’Europa
politica, che finalmente riduca la sovranità degli stati membri anche
nel resto della politica e non solo nell’economia, è infine la cosa per
cui bisognerebbe combattere giorno e notte.
Già ero rimasta sorpresa di apprendere da una precedente pagina in rete
che il tuo peggior nemico nel dibattito pubblico è chiunque si ostini ad
essere antiberlusconiano – personalmente preferirei non dover dare un
nome proprio alla mentalità viscidamente truffaldina, mafioseggiante e
protervamente impunita dei palazzinari e puttanieri (mi scusino i miei
studenti) che con l’aiuto di una classe politica senz’arte né parte da
vent’anni a questa parte diffondono l’osceno e lo chiamano libertà o
forza italia o qualsivoglia altra bestemmia garbi loro. Preferirei non
dare un nome proprio a questa mentalità non maggioritaria certamente ma
ben radicata, che con l’aiuto di leggi infami si è impadronita di quasi
tutta la Cosa Pubblica, fino a ridurla all’agonia in cui versa. Ma
infatti non è più un nome proprio quello, non più di quanto lo siano
altre designazioni dei ricorrenti flagelli in cui si condensa per una o
due generazioni la banalità del male. Anche se il nome di origine
propria che meglio designa l’umanità che il berlusconismo lascia erede
di se stesso è: la razza nana degli scilipotidi.
Ma aprire una qualunque pagina in rete, e trovarmi faccia a faccia con
l’inconcepibile – Diego: la tua difesa di Assad e dello stato siriano
dal vero Nemico : il capitalismo o l’imperialismo statunitense – no, a
me questo sembra davvero troppo per cambiare pagina e tornare a cose più
urgenti. Come dire, sentirti dire queste cose e star zitti, è quasi
come sentir lodare Stalin o Hitler e far finta di niente. Non è che
perché uno non ha tutto il potere che questi due scatenarono contro il
mondo, che la sua efferatezza è meno grave, mi pare. E allora davvero
fammi capire il tuo argomento, Diego. Sono dunque solo ideologia e
menzogna quelle che descrivono Bashar Assad come un autocrate
responsabile di alcuni eccidi fra quelli spaventosi nella storia
dell’uomo? Non c’è alcun fatto nell’autocrazia siriana? Bada bene,
riconoscere alcuni fatti non significa affatto rimuoverne altri: per
esempio che in alcune provate occasioni Israele e gli stessi Stati Uniti
hanno usato eccome i famigerati gas, i mezzi dello stragismo più
vigliacco e disumano che ci sia. Non fraintendermi dunque – non ho
alcuna difesa d’ufficio da fare. Ma – perché è questo il vero punto
della mia incredulità, e, se vorrai, del contendere, anche nel caso
delle cose patrie: è possibile che tu creda veramente, caro Diego, che
sia il “capitalismo” l’autore di tutta a) la violenza politica e bellica
(scenario internazionale) b) la corruzione del diritto, dell’etica, del
linguaggio e della logica che stanno uccidendo questa nostra Repubblica
(scenario nazionale)? Oh Diego, dunque questo tu insegni? Il
“capitalismo”, questa prosopopea, decide dei gas e delle bombe, decide
delle leggi elettorali e delle leggi ad personam, decide di sopprimere o
stravolgere una Costituzione, decide di Guantanamo o di Abu Omar,
decide magari anche di mettere in cattedra te o (frittata già fatta) me?
E non fa proprio la minima differenza che a fare il presidente degli
Stati Uniti sia un Bush o un Obama, e a fare – si parva licet – il
nostro Presidente sia un uomo che ancora nel ’56 non ci vedeva giusto su
carri armati e altre contingenze del Reale, che come si sa è Razionale,
o (speranza che sfiorammo e che svanì) un grande costituzionalista che
ha speso la vita a dare delicate articolazioni normative all’idea di
giustizia? E non ti sfiora il dubbio che, comunque tu lo voglia
chiamare, un modo di funzionamento della vita economica pur centrato sul
mercato cambi come dal giorno alla notte a seconda delle regole e delle
istituzioni in cui gli è concesso di funzionare, e che queste non sono
leggi interne di un noumeno detto “capitalismo” ma norme che siamo noi a
chiedere o a rifiutare? O che, se la repubblica mondiale del diritto
auspicata da Kant ancora non esiste, l’antidoto al regime di una potenza
unipolare non sia Carlo Marx – ma proprio un po’ più d’Europa?
Ma con domande così larghe e accorate un dibattito forse non può
cominciare. E allora lancio il guanto e ti sfido a una replica semplice:
come commenteresti tu la tesi di Sylos Labini (2002), citata da Barbara
Spinelli (“la Repubblica”, 18/09/2013): che “lo sviluppo del
capitalismo è sostenibile”, se lo è, “nel rispetto di regole severe”?
Che è in mancanza, o nella violazione di queste, che una civiltà si
ammala? E quello che tu chiami “il fanatismo dell’economia” non è forse
un aspetto dell’abdicazione (tutta politica) della “politica” a
governare le cose umane con ragione e giustizia, e non una “legge”
inesorabile del “capitalismo”? Perché se tale fosse, a chi o a cosa si
appella il tuo richiamo al “pathos anti-adattativo” e al gramsciano
“spirito di scissione”, che crescono (speriamo) in noi?