Capitalismo 2013
di Antonio Carlo
estratto
8) L’epilogo in terra. La depressione mondiale ed i funerali dell’ “autonomia del politico”. L’impotenza senza ritorno degli Stati
Il fatto è che allora il capitalismo si sviluppava sia pure tra tensioni e contraddizioni per cui gli Stati, il potere politico, avevano alternative di scelta tra le varie ipotesi di sviluppo. Oggi non più perché lo sviluppo non c’è più, al massimo si ha un ristagno asfittico con un indebitamento crescente ed insostenibile accompagnato da grandi masse di occupati e sottoccupati. I problemi sul tappeto sono insolubili e nessuno Stato può inventarsi soluzioni di sviluppo inesistenti. In altre parole gli Stati non sanno più che pesci pigliare perché non ci sono più pesci da prendere.
C) Gli USA
Quanto sosteniamo può essere ulteriormente verificato analizzando i principali paesi o le aree dell’attuale capitalismo: ovunque lo Stato è impotente davanti alla “Grande Depressione” che viviamo.
In USA il PIL, come si è visto, ristagna, ed il debito federale cresce in modo esplosivo. Il prof. Roubini osserva che, potenzialmente, il PIL USA potrebbe crescere del 2,5-3% l’anno, ma l’attuale crescita è molto più bassa155; in realtà potrebbe crescere molto di più poiché nel 2011 il PIL USA cala di un -1,3% nel primo trimestre per impennarsi del 4,9% nell’ultimo trimestre, nel 2012 siamo ad un + 3,7% nel primo trimestre cui segue uno striminzito 1,2% nel secondo, nel 2013 siamo a 1,1% nel primo trimestre e a 2,5% nel secondo (dati su base annua). Come si vede l’economia USA può crescere anche del 5% circa in un trimestre, il guaio è che subito dopo il ritmo non tiene e si affloscia, ci troviamo in presenza di tipici rimbalzini da inventario passati i quali si ritorna al grigiore precedente156. Questo implica che il tasso di utilizzo degli impianti rimane inadeguato o basso con conseguente perdita degli investimenti che rimangono improduttivi157.
Quanto alla disoccupazione ad agosto 2013 sarebbe calata al 7,4%, secondo i dati ufficiali che abbiamo poc’anzi criticato considerandoli irreali, ma qui voglio aggiungere ulteriori considerazioni. Frugando tra i miei articoli passati sulla crisi ho scoperto che nel febbraio 2005, in USA, vengono creato 266.000 nuovi posti di lavoro e la disoccupazione cresce dello 0,2%158. Nel 2012 la disoccupazione cala lentamente ma si creano mediamente solo 183.000 posti di lavoro al mese159; nel giugno 2013 si creano 195.000 posti di lavoro e la disoccupazione è ferma al 7,6% il mese dopo 162.000 posti di lavoro e la disoccupazione cala al 7,4%, ad agosto 169.000 nuovi posti e siamo al 7,3%. Dati assurdi e misteriosi formalmente incomprensibili che si spiegano col fatto che gli scoraggiati (“missing men”) che hanno perso il lavoro e non lo cercano più non sono considerati disoccupati ma semplicemente scompaiono dalle statistiche del lavoro USA.
Come dico da anni queste statistiche sono fatte da struzzi per altri struzzi, le persone serie a cominciare dai Nobel Phelps e Krugman (o al prof. Rifkin) le trattano con sovrano disprezzo. C’è di più, i dati di luglio 2013 evidenziano anche che l’orario settimanale è ancora calato in USA si lavora solo per poco più di 34 ore settimanali160, il che significa che mediamente un lavoratore americano lavora per poco più di 4 giorni a settimana, in altre parole c’è chi lavora 44 ore settimanali e chi 20, 22, 25 etc. , la media è poco più di 34 ore, la forza lavoro è sottoutilizzata come sottoutilizzati sono gli impianti e questo avviene nel paese più ricco del mondo con la massima potenza tecnologica esistente.
Parallelamente il debito pubblico si impenna, abbiamo visto il dato del 2012 ma il sig. Lew, nuovo ministro del tesoro USA, dice che a ottobre 2013 raggiungeremo il tetto di 16.700 miliardi di dollari di debito federale, per cui bisognerà chiedere al Congresso una nuova autorizzazione per sforarlo, e questo malgrado Obama abbia fatto negli ultimi anni manovre lacrime e sangue161, l’ultima a febbraio di quest’anno con tagli generalizzati di ogni genere dalle spese militari ai parchi pubblici162.
È accaduto inoltre che in una pubblica manifestazione del 20.9.13 Obama abbia attaccato apertamente i repubblicani ricordando loro che l’America non è una repubblica bananiera che possa andare in default . In realtà varie entità pubbliche (municipalità, contee e sinanche uno Stato, il Minnesota) sono andate in default in USA ed uno Stato che non sia in grado di onorare i propri impegni fallisce, si chiami Nicaragua o USA; ciò che però, Obama voleva dire era che un default degli USA avrebbe conseguenze catastrofiche e si passerebbe da un 1929 strisciante e nascosto ad uno palese e devastante. Se il governo USA non paga più i buoni pasto o le indennità di disoccupazione assieme ai debiti che ha verso i propri fornitori, se taglia drasticamente le commesse che eroga all’industria, le conseguenze sarebbero immediate e disastrose. Il guaio è che in questa contesa i due contendenti hanno contemporaneamente ragione e torto. Ha ragione Obama nel dire che l’America non può fallire, sarebbe un disastro, la fine di un impero con ricadute su tutta l’economia mondiale; ma hanno ragione anche i repubblicani perché un debito di 16.700 miliardi che cresce di anno in anno come un torrente in piena, con un ritmo enormemente più elevato della crescita del PIL, è come un cancro irreversibile le cui metastasi si diffondono anno dopo anno, sicché la vita del paziente è sempre più a rischio.
Entrambi , però, hanno torto perché non propongono soluzioni valide al problema sul tappeto, soprattutto sul tema nodale dell’occupazione: la ricetta di Obama è fallita e quella dei repubblicani è la solita minestra riscaldata di stampo monetarista: meno spese pubbliche in modo da dilatare gli investimenti privati che rilanceranno produzione, occupazione e benessere. Romney durante la campagna elettorale del 2012 ha promesso agli americani milioni di posti di lavoro sin dai primi mesi del suo ipotetico governo, e questo più che un libro dei sogni ci sembra un delirio da ospedale psichiatrico: i repubblicani dimenticano che gli investimenti ormai non producono più occupazione ma disoccupazione e sottoccupazione e dimenticano, altresì, che la spesa statale non è uno spreco ma un sostengo all’economia capitalistica: i buoni pasto di 4,45 dollari al giorno e a persona significano domanda e consumi per cifre annue molto consistenti e lo stesso dicasi per le indennità di disoccupazione, se tagli queste spese tagli i consumi e quindi la dinamica dell’economia, lo stesso si può dire per i consumi pubblici come le spese per la scuola che si traducono in stipendi degli insegnanti e quindi in consumi, ed in commesse per le industrie fornitrici. In sostanza i repubblicani propongono una politica che avrebbe gli stessi effetti di un default e che è stata già sperimentata e sconfitta: nel 1981 Reagan cercò di tagliare la spesa ma siccome l’economia non reggeva si convertì, nel 1982, ad una politica opposta di spesa a sostegno dell’economia e come tutti sanno il rapporto debito federale-PIL si impennò dal 31,9% del 1981 al 50,99% del 1988; lo stesso avvenne con G. W. Bush e con Greenspan sotto la cui direzione il rapporto debito federale-PIL passò dal 57,34% del 2001 al 73,31% del novembre 2008163.
Un ulteriore nodo di contraddizioni dell’economia USA si colloca nell’ambito della politica della Fed che è uno dei capisaldi del governo dell’economia in USA. Da anni essa persegue una politica di sostegno che consiste anche nell’acquisto massiccio di bonds pubblici o collegati al mercato dei mutui al fine di sostenere l’economia: in altre parole si stampa carta moneta e si acquistano titoli, siano essi del debito pubblico che di imprese private; in questo modo si garantisce la copertura delle emissioni dei titoli pubblici a prezzi e a rendimenti accettabili e si sostiene l’economia privata in particolare il settore delicato dei mutui. Negli ultimi mesi nella Fed si è delineata una spaccatura tra coloro che intendono continuare il piano di acquisti (fino a 85 miliardi di dollari al mese) e chi vorrebbe contenerlo. In realtà la Fed può continuare ad acquistare i titoli che il mercato non acquisterebbe o acquisterebbe a prezzi molto più bassi, ma avendone già in portafoglio alcune migliaia di miliardi c’è il rischio alla lunga si trovi con un portafoglio titoli non collocabile sul mercato se non a prezzi stracciati. In Italia qualcosa di simile capitò alla Banca d’Italia nel 1931 che , dopo aver acquistato per anni titoli spazzatura , al fine di sostenere l’economia, si trovò con il portafoglio pieno di titoli che erano carta straccia, per cui correva il rischio di essere tecnicamente fallita. Il problema fu risolto con la creazione dell’IRI che acquistò a buon prezzo (per la Banca d’Italia) i titoli in questione, naturalmente qualcuno pagò per l’operazione: il contribuente italiano dalle cui tasche uscirono i soldi per costituire la dotazione dell’IRI. Ma è possibile in USA una soluzione simile alla nostra del 1931?
Assolutamente no. Un simile piano implicherebbe un costo di alcune migliaia di migliaia di dollari che si scaricherebbe sul consumatore americano già oberato di debiti164 e quindi implicherebbe una contrazione dei consumi già poco dinamici, in sostanza un rimedio peggiore del male; inoltre i repubblicani che controllano uno dei rami del Congresso (e condizionano il Senato) farebbero le barricate, ciò che poteva fare Mussolini non può fare Obama.
C’è di più il 20.9.13 la Fed ha spiazzato tutti affermando che il piano di lento e graduale rientro della politica degli acquisti e bonds (che tutti si attendevano) era rinviato a data da destinarsi, evidentemente l’economia americana non può fare a meno di una stampella di sostegno di 85 miliardi di dollari mensili. Questa posizione ha suscitato però le critiche di Warren Buffet famosissimo finanziere che però non è privo di atteggiamenti liberal, il quale ha rilevato che la Fed si comporta come un fondo speculativo ad altissimo rischio: il suo portafogli titoli è passato da 879 miliardi nel 2007 ai 3.600 attuali, ma i titoli in questione potrebbero devalorizzarsi esponendo la Fed a perdite anche di 500 miliardi poiché i tassi di interesse dei bond americani tendono a salire e per contro i loro prezzi tendono a deprimersi165. La preoccupazione di Buffet è tutt’altro che infondata poiché la situazione dell’indebitamento globale dell’economia americana è pesantissima: già nel 2009 tale indebitamento era vicino al 400% del PIL166 e da allora la situazione si è incancrenita, inoltre la concorrenza sul mercato mondiale per accaparrarsi i capitali necessari al finanziamento del debito pubblico dei vari paesi si sta acuendo per cui è prevedibile una crescita della concorrenza tra i paesi fondata sulla crescita dei tassi di interesse, è probabile quindi che titoli con tassi di interesse ritenuti bassi si devalorizzino. Come si vede la situazione dell’economia americana è un intrico di contraddizioni quanto mai esplosivo ed insolubile davanti al quale il governo, l’opposizione e la Fed sono del tutto impotenti, si procede per palliativi perché soluzioni strutturali, ipotesi di sviluppo praticabili non ne esistono.
http://www.sinistrainrete.info/crisi-mondiale/3116-antonio-carlo-capitalismo-2013.html