Ancora sull’incostituzionalità delle imposte sulla casa
Le
imposte sulla casa si pongono in evidente contrasto con alcune norme
della nostra Costituzione, esaminiamole più approfonditamente rispetto a
quanto già fatto in precedenti articoli.
Violazione
Art. 42 Cost.: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla
legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo
scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a
tutti”.
Il
tenore letterale della norma è chiaro. Non solo la proprietà privata è
riconosciuta ma è compito della Repubblica quello di renderla
accessibile a tutti i cittadini.
Tassare una proprietà è ovviamente un comportamento in antitesi con la predetta accessibilità.
La casa è un bene indispensabile che viene faticosamente pagato da qualsivoglia cittadino con i frutti del proprio risparmio. Dunque
con denaro già soggetto a tassazione diretta ed accumulato con
sacrifici importanti che spesso si abbinano anche con la stipula di
contratti di mutuo con banche private e dunque con la contrazione di
ingenti debiti.
Viene dunque spontaneo chiedersi che cosa faccia ad oggi lo Stato per rendere la proprietà della casa accessibile a tutti.
La
realtà è sotto gli occhi di chiunque: lo Stato non fa assolutamente
nulla per rispettare il dettato dell’art. 42 Cost. e dunque rendere la
proprietà della prima casa accessibile ad ogni cittadino. Addirittura lo
Stato fa molto di peggio ostacola e scoraggia l’acquisto della
proprietà di un bene immobile con ogni mezzo.
Ogni
italiano oggi è consapevole che acquistare una casa comporta un carico
fiscale spaventoso e ciò a partire dallo stesso momento dell’acquisto,
ove si ha addirittura l’obbligo di sobbarcarsi gravose ed altrettanto
dubbie, sotto il profilo costituzionale, imposte di registro ed
ipotecarie.
L’imposizione
fiscale sulla casa è tale che la stessa non può neppure essere ancora
considerata un valido bene rifugio per il risparmio degli italiani visto
che il prezzo degli immobili sta rapidamente crollando.
La
casa è diventata per lo Stato il modo migliore per sottrarre ingenti
somme ai cittadini. Non si tassano dunque in via prevalente le banche
che ottengono profitti dall’erogazione di mutui, anche per quelli
contratti per l’acquisto della prima casa, ma si tassano direttamente i
proprietari che in realtà non sono che debitori, spesso per periodi
ultraventennali, delle stesse banche.
Inutile
sottolineare che la capacità contributiva di un qualsivoglia istituto
bancario è certamente maggiore di quella del cittadino che si è
indebitato per la vita con detto istituto per l’acquisto di un bene
essenziale alla sua stessa sopravvivenza.
Insomma
comprare una casa è il miglior modo, grazie alle politiche illegittime
del Governo, per impoverirsi e ciò con buona pace dell’art. 42 Cost.
Peraltro
l’attuale livello d’imposizione è talmente elevato che ai cittadini
resta una sorta di diritto di superficie sulla casa di proprietà posto
che nell’arco di una vita sarebbero tenuti a versare somme persino
maggiori del valore dell’immobile stesso. Una forma sostanziale di
esproprio dunque.
* * *
Violazione art. 47 cost.: “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”.
Anche
il citato precetto costituzionale confligge con chiarezza con l’attuale
sistema fiscale che colpisce la casa, ovvero il bene che, senza tema di
smentita, può essere definito il rifugio per eccellenza del risparmio
degli Italiani.
Tutelare
il risparmio in tutte le sue forme impone certamente alla Repubblica di
fornire la predetta tutela anche quando detto risparmio si è accumulato
sotto forma di bene immobile.
Le
imposte sulla casa dunque finiscono per erodere progressivamente il
risparmio determinando un effetto ulteriore di cui si è già detto,
ovvero il crollo dei prezzi degli stessi immobili.
Il
mercato immobiliare dall’avvento del Governo Monti in poi è stato
letteralmente ma inesorabilmente distrutto e la responsabilità di detta
distruzione è a pieno titolo da porsi a carico delle illegittime
politiche attuate.
Davvero
non serve essere dei fini giuristi per comprendere la manifesta
incostituzionalità di qualsivoglia imposta sulla casa ai sensi e per gli
effetti di cui all’art. 47 Cost.
La
tutela del risparmio fu oggetto di ampio dibattito anche in seno
all’Assemblea Costituente ed ovviamente detta tutela fu direttamente ed
inscindibilmente connessa alla casa.
In particolare il 7 maggio 1947 fu proposto in seno alla Costituente addirittura la seguente formulazione dell’art. 47 Cost.: “La Repubblica tutela il risparmio in tutte le sue forme e favorisce l’accesso del risparmio popolare all’investimento reale promuovendo la diffusione della proprietà dell’abitazione”.
Si
auspicava fortemente dunque la diffusione della proprietà
dell’abitazione che doveva essere incentivata con decisione dallo Stato
anche per proteggere i cittadini da forme di svalutazione degli stessi
risparmi.
Alla fine si scelse una formulazione dell’art. 47 Cost. certamente più sintetica “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme”. La
ragione di tale scelta non era quella di escludere la casa dal novero
del risparmio tutelato ma, al contrario, quella di lasciare aperta la
fattispecie fino al punto di tutelare ogni forma di risparmio
possibile.
Ciò
è peraltro confermato dal secondo comma dell’attuale formulazione
dell’art. 47 Cost. dove il diritto alla casa si conferma prepotentemente
dato che ivi è disposto a carico della Repubblica l’obbligo di favorire
“l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”.
I padri costituenti dunque vollero davvero tutelare il risparmio in tutte le sue forme.
Oggi è drammatico constatare che i nuovi governi non sono minimamente
all’altezza di affrontare dibattiti compiuti su tali livelli giuridici
ed economici, limitandosi ad agire come meri esecutori degli interessi
della finanza che, pezzo dopo pezzo, si produce in una decisa campagna
di rottamazione dei diritti costituzionali dei cittadini.
* * *
Violazione
art. 53 Cost.: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in
ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è
informato a criteri di progressività”.
Trattasi del cd. principio della capacità contributiva.
Allorquando
si parla di tasse ed imposte la norma fondamentale da cui partire è
certamente l’art. 53 Cost. Questa è la norma che più di tutte è stata
violata durante la storia della nostra Repubblica e ciò sulla base della
falsa rappresentazione di una ragione di Stato che avrebbe imposto di
ometterne il rispetto.
Occorre
esaminare i lavori dell’Assemblea Costituente al fine di comprendere
profondamente detto articolo onde evidenziarne appieno la portata
normativa.
Il 23 maggio 1947 si proseguiva nell’esame degli emendamenti relativi al titolo IV del progetto di Costituzione.
In particolare si dibatteva proprio l’annoso tema della proporzionalità in materia fiscale.
Durante
tale assemblea l’On. Salvatore Scoca, noto giurista e vero promotore
della proporzionalità fiscale, poneva all’attenzione degli illustri
Colleghi il seguente concetto che ivi si trascrive: “Se
pensiamo, infatti, che la massima parte del gettito della imposta
diretta è dato ancora oggi dalle tre imposte classiche sui terreni, sui
fabbricati e sulla ricchezza mobile, che sono a base oggettiva o reale e
ad aliquota costante, mentre comparativamente assai scarso è il gettito
della complementare sul reddito globale, che è a base personale ed
aliquota progressiva, abbiamo la riprova più convincente che lo stesso
sistema delle imposte dirette si impernia sulla proporzionalità”.
Ed ancora: “Se poi consideriamo che più dei tributi diretti rendono i tributi
indiretti e questi attuano una progressione a rovescio, in quanto,
essendo stabiliti prevalentemente sui consumi, gravano maggiormente
sulle classi meno abbienti, si vede come in effetti la distribuzione del
carico tributario avvenga non già in senso progressivo e neppure in
misura proporzionale, ma in senso regressivo. Il che costituisce una grave ingiustizia sociale, che va eliminata, con una meditata e seria riforma tributaria”.
Tale
ragionamento è certamente banale ed intuitivo eppure in oggi è
completamente dimenticato dagli esponenti degli ultimi governi i quali,
bene ribadirlo, avevano giurato di difendere e rispettare la
Costituzione e non già di violentarla.
Ma torniamo all’On. Scoca.
Ancora nella seduta della Costituente, affermava che: “La regola della progressività deve essere effettivamente operante;
e perciò nella primitiva formulazione dell’articolo aggiuntivo da me
proposto avevo detto che il concorso di tutti alle spese pubbliche deve
avvenire in modo che l’onere tributario complessivo gravante su ciascuno
risulti informato al criterio della progressività”.
Il livello del ragionamento giuridico del 1947 era dunque anni luce superiore a quello attuale.
Si
aveva ben chiara la manifesta ingiustizia sociale di imposte sui
consumi scorrelate da ogni principio di capacità contributiva.
Imposte che finiscono inevitabilmente per gravare sulle classi più deboli della società. Ciò
vale dunque non solo rispetto a quanto oggetto del presente elaborato
ma anche in riferimento ad altre ed altrettanto inique imposte, quali la
stessa IVA, inopinatamente aumentata nella sua aliquota dagli ultimi
governi con effetti catastrofici sui consumi e sullo stesso gettito
fiscale che è ovviamente calato.
Ma torniamo all’Assemblea Costituente.
L’On. Scoca proseguiva illustrando ai Colleghi della Costituente un concetto ancora oggi di estrema attualità: “Da un punto di vista scientifico (se di scientifico c’è qualcosa nella materia finanziaria,
o nella scienza delle finanze) si può dimostrare, come è stato
dimostrato, che, pur partendo da uno stesso principio, è possibile
giungere sia alla regola della proporzionalità che a quella di
progressività”.
Peraltro
era già ben noto allora che il principio della progressione deve avere
qualche forma di limitazione in quanto non si addice alle imposte
indirette reali e può trovare solo inadeguata ed indiretta applicazione
nelle imposte sui consumi e nelle imposte indirette in generale.
Tuttavia secondo i padri fondatori e lo stesso On. Scoca in particolare “Resta tuttavia fermo che il sistema tributario nel complesso deve essere informato al principio di progressività”.
Dunque
con le ovvie eccezioni del caso il sistema che era stato concepito nel
1947 ed attuato con la formulazione dell’art. 53 Cost. non rispecchia
minimamente le attuali scelte legislative che si pongono in evidente e
totale contrasto con esso.
In particolare il semplice esame dei bilanci dello Stato (ad esempio quello di competenza 2013) rende chiarissimo un dato.
Le
imposte indirette, quelle non progressive, portano un gettito
sostanzialmente analogo a quello delle imposte progressive. Dunque
l’intero sistema è incompatibile con il dato Costituzionale anche con
l’eccezione meno fiscale che già si enunciava nel 1947.
Nel 1947 sempre l’On. Scoca infatti affermava: “Lasciandosi guidare da un sano realismo, non
si può negare che una Costituzione la quale, come la nostra, si informa
a principi di democrazia e solidarietà sociale, debba dare preferenza
al principio della progressività”.
Ed ancora con un conteggio approssimativo ma che rende benissimo l’idea circa il tema che stiamo affrontando: “Ho
sempre pensato che chi ha dieci mila lire di reddito e ne paga mille
allo Stato, con aliquota del 10 per cento, si troverà con 9 mila lire da
impiegare per i suoi bisogni privati; mentre chi ne ha centomila, dopo
aver pagato l’imposta del 10 per cento in base allastessa
aliquota, si troverà con una disponibilità di 90 mila lire. E’ ovvio
che per pagare l’imposta il primo contribuente supporta un sacrificio di
gran lunga maggiore del secondo, e che sarebbe equo alleggerire
l’aggravio del primo e rendere un po’ meno leggero quello del secondo”.
Oggi
ci si sente liberi di legiferare ignorando completamente i principi
fondamentali dello Stato finendo per colpire scientemente le classi più
deboli della società con il riflesso di paralizzare completamente i
consumi.
Sempre
in sede di Assemblea Costituente l’On. Meuccio Ruini ben specificò i
paletti per il Legislatore in materia tributaria ovvero specificò in
quali casi è possibile dare corso ad un’imposizione fiscale non retta
dal principio di progressività: “non tutti i tributi diretti possono essere applicati con criterio di progressività. D’altra parte, se
ai singoli tributi indiretti non si addice il metodo della
progressività, si può e si deve tener presente complessivamente tale
criterio, gravando la mano sui consumi non necessari e di lusso”.
Questa
è l’interpretazione autentica tratta dai lavori dell’Assemblea
Costituente. La possibilità di applicare le pur necessarie imposte
indirette deve essere dunque limitata ai beni non necessari ed a quelli
di lusso.
L’imposta
sulla prima casa, pertanto, è illegittima sotto il profilo
costituzionale non essendo ovviamente un’imposta che colpisce un bene di
lusso o un bene non necessario.
Se vogliamo la
stessa IVA sui beni indispensabili e necessari esce “con le ossa come
minimo rotte” dalla piana lettura dei lavori dell’Assemblea Costituente.
I
padri costituenti sarebbero dunque inorriditi dalla deriva presa dagli
ultimi governi che si sono dimostrati attenti unicamente agli interessi
finanziari in spregio ai principi fondamentali caricando sforzi
economici insostenibili sulle classi più deboli.
Se
si pensa che oggi l’UE chiede proprio ai singoli Stati di spostare la
tassazione dai redditi ai consumi ben si comprende quanto sia basso il
livello di preparazione economica e giuridica (o di quanto sia alto il
livello di malafede?) di chi oggi si eleva all’ambizione di guidare il
mondo in un più luminoso futuro.
Chi
in Europa si riempie la bocca su certi temi dovrebbe armarsi di umiltà e
tornare a studiare in quanto manifestamente non all’altezza del compito
che pensa di poter svolgere.
Paragonare
la preparazione sociale, economica e giuridica dei padri Costituenti
italiani della fine degli anni 40′ a quella dei tecnocrati di Bruxelles è
un po’ come paragonare un quadro di Da Vinci ai primi scarabocchi di un
bimbo di due anni. Salviamo gli Italiani sarà al Vostro fianco anche in
questa battaglia.
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