Un percorso originale ed inedito di ricostruzione della filosofia marxista
di Costanzo Preve
18.
Nello stesso periodo storico in cui Marx giungeva alla proposta della
libera individualità in opposizione alla semplice eguaglianza personale
borghese Nietzsche effettuava una diagnosi del nichilismo nella cultura
europea considerata da molti tuttora insuperata. Nietzsche critica
contemporaneamente l’etica borghese del suo tempo, la religione
cristiana ed il nascente socialismo, unificandoli tutti e tre sotto la
comune categoria di “decadenza”, istituendo così una sorta di grande
narrazione che parte da Socrate, passa da Paolo di Tarso ed attraverso
Rousseau giunge fino alla nascente socialdemocrazia tedesca. Al di là
del fatto che i nicciani di destra la interpretano come la profezia
dell’avvento di un Superuomo dominatore delle plebi ed i nicciani di
sinistra la interpretano come l’avvento di un Oltreuomo superatore delle
credenze metafisiche di ogni tipo (ennesima prova della sostanziale
intercambiabilità fra sinistra e destra, due categorie politiche
filosoficamente del tutto mute ed improprie), la diagnosi nichilistica
di Nietzsche non intende denunciare l’oblio della categoria di verità,
ma intende anzi propiziare il suo definitivo abbandono. L’ontologia
cessa di essere un riferimento veritativo, per diventare una produzione
energetica di un soggetto desiderante. Il culmine del niccianesimo non
sta nell’esteta D’Annunzio né nell’eurodeputato Vattimo, ma in quell’Antonio Negri
che parla di produzione dell’Essere da parte di moltitudini desideranti
in cui non è più possibile distinguere animali, uomini ed organismi
cibernetici (cfr. Impero, Rizzoli, Milano 2001, p. 98 e p.
415). L’incubo del capitalismo metropolitano viene così trasfigurato in
un progetto comunista di emancipazione di un nuovo proletariato. Nulla
di più diverso dall’antropologia filosofica di Marx, figlia di Spinoza e
di Hegel, e basata appunto sulla differenza ontologica di principio fra
animali, uomini e macchine.
La
ragione per cui Nietzsche piace tanto oggi sta proprio nel fatto che il
profeta tedesco incarna al massimo grado la democrazia come
eguagliamento dell’orizzonte capitalistico dell’eguaglianza personale.
Abolita la verità come prospettiva di una visione filosofica
logico-ontologica della realtà (secondo le prospettive classiche di
Platone, Aristotele, Spinoza ed Hegel), e ridottane la natura a funzione
energetica della volontà di potenza individuale, si ha così di fatto
un’omologia perfetta con il mondo capitalistico delle merci, dei consumi
e dell’impresa. L’uomo imprenditore si muove appunto in un integrale
vuoto ontologico, ed il suo desiderio di consumi sempre più sofisticati
(e tendenzialmente illimitati) è mosso esclusivamente dal differenziale
energetico di volontà di potenza che egli riesce a mettere in atto. La
volontà di potenza è appunto l’estrinsecazione della sua energia
imprenditoriale, esaltata dalla flessibilità e dalla precarietà di ogni
attività umana, flessibilità e precarietà che costituiscono appunto il
moderno nichilismo attivo, quello positivo e creativo. Si tratta
ovviamente di un Nietzsche addomesticato e civilizzato, reso compatibile
con la società civile e con lo stato di diritto, un Nietzsche teorico
massimo di un capitalismo integralmente post-borghese.
Ma
se questo Nietzsche è per me privo di ogni vero interesse filosofico
(ed è appunto per questo che invece piace tanto agli sciocchi ed ai
superficiali di oggi), resta il Nietzsche geniale diagnostico della
condizione antropologica derivata dalla caduta delle vecchie certezze
metafisiche. È a mio avviso il solo Nietzsche interessante. Lo scenario
del nichilismo, secondo questo Nietzsche, dà luogo alla doppia figura
dell’Eremita, colui che vive talmente appartato da non essere neppure
stato informato della morte degli dei, e dell’Ultimo Uomo, che è
informato della morte degli dei, ed appunto per questo ne trae
cinicamente la conclusione che tutto è ormai possibile. Mentre di
superuomini-oltreuomini non se ne vedono, nessuno ne ha mai visti e non
se ne vedranno mai, perché si tratta di semplici proiezioni velleitarie
ed illusorie di soggettività nichilisticamente sbandate, di eremiti e di
ultimi uomini sono piene le strade, i parlamenti, i governi, le sezioni
dei partiti, gli studi pubblicitari, le case editrici, i giornali e le
televisioni.
19.
Max Weber ha saputo diagnosticare ancora meglio di Nietzsche la
situazione nichilistica dell’uomo contemporaneo. Weber ha in comune con Marx
il fatto che entrambi rifiutano il rimando ad una struttura veritativa
logico-ontologica della realtà, e nello stesso tempo sono entrambi
inquieti per questo loro rifiuto. Weber ha il grande merito di non
evocare illusoriamente superuomini-oltreuomini del tutto inesistenti,
appunto perché non parte da una grande narrazione della decadenza, come
Nietzsche, ma dall’analisi dialettica delle conseguenze dei processi
della razionalizzazione moderna. La modernizzazione ha infatti prodotto
progresso, ma anche disincanto del mondo, ed il disincanto del mondo non
sarebbe neppure poi così male se non comportasse anche e soprattutto la
consunzione delle risorse simboliche dell’umanità. L’aspirazione al
profitto e la cura dei beni esteriori avrebbero dovuto essere un
“sottile mantello da poter gettar via in ogni momento”. Ed invece,
associate con passioni puramente agonistiche e spinte all’estremo, fini a
se stesse, hanno finito per trasformarsi in una “gabbia d’acciaio”. È
notevole la capacità dialettica di Weber, che capisce come si inizia con
l’illusione di un sottile mantello, e si finisce con la consistenza
inesorabile di una gabbia d’acciaio. Altro che le stupidaggini
sull’avvento di moltitudini desideranti di superuomini-oltreuomini
dotati di capacità teurgiche!!! Weber si chiede: quali esseri
cresceranno sotto la ferrea calotta della razionalizzazione? Quali
saranno le fattezze di questi ultimi uomini? Ed egli risponde con
pessimismo e lungimiranza che saranno “specialisti senza spirito ed
edonisti senza cuore”, ovvero un “nulla che si immagina di essere salito
ad un grado mai prima raggiunto di umanità”.
20.
La diagnosi di Weber è stata fatta fra il 1910 ed il 1920. Ma la
generalizzazione di massa del tipo umano che incarna veramente il nulla
antropologico convinto di essere il coronamento della storia dovrà
aspettare in Europa il cosiddetto Sessantotto. Lo spirito del
Sessantotto consiste nella distruzione dei residui valori borghesi e
religiosi fatta con l’illusione e la falsa coscienza necessaria
(utilizzo qui un concetto marxiano al 100%) di stare facendo una
rivoluzione anticapitalistica. L’errore teorico, ovviamente, sta
nell’identificazione fra borghesia e capitalismo, con l’illusione di
star lottando contro la riproduzione capitalistica proprio perché si
lotta contro i residui già indeboliti dell’etica borghese e religiosa.
Ma questa identificazione è del tutto falsa. La logica di sviluppo del
capitalismo è infatti impersonalmente “tecnica” (nel senso di
Heidegger), e non è affatto soggettivizzabile. Il capitalismo ha passato
una sua prima fase storica protoborghese e protoproletaria (borghesia
liberale e classe operaia), ma la sua logica di sviluppo è del tutto
post-borghese e post-proletaria, in direzione di nuove ed inedite
configurazioni classiste. Così come Spinoza seppe opporsi alla
concezione personalistica e teleologica della divinità, così oggi il
solo modo di essere spinoziani consiste nell’opporci ad una concezione
personalistica e teleologica dell’essere sociale e del legame sociale. E
questo interpella direttamente le forme di soggettività e di
individualità di chi pensa di opporsi al capitalismo.
21.
Negli ultimi cento anni coloro che si sono organizzati per opporsi al
capitalismo si sono generalmente chiamati “compagni”. Il compagno è
certamente un in-dividuo come gli altri, ma un in-dividuo che cerca di
superare la sua solitudine ed il suo isolamento attraverso un progetto
comune di tipo solidale. Il filosofo Jean-Paul Sartre
ha dato nel 1960 una formulazione filosofica sostanzialmente insuperata
a questa natura progettuale dell’essere compagni, attraverso la sua
teoria del cosiddetto gruppo-in-fusione che persegue una
finalità-progetto, a sua volta sempre minacciata dalla serializzazione e
dalla inevitabile burocratizzazione, denominate da Sartre il
pratico-inerte. In questo modo, secondo Sartre, si è compagni
soprattutto se si ha un progetto comune da compiere insieme. È il
progetto che costituisce antropologicamente i compagni. Senza progetto,
nessun compagno.
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